Gay & Bisex
La mia soffitta 3

26.05.2025 |
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Poi, rievocare la mia soffitta ha cominciato ad assumere connotazioni malinconiche, ed ora temo che il racconto abbia iniziato ad assumere una vita..."
(segue da 2)
Non so neppure bene perché ho iniziato a scrivere questi raccontini della mia vita reale. Avevo pensato che si trattava solo di una condivisione di sensazioni in cui forse qualcuno poteva riconoscersi e che probabilmente non avrebbero destato molto interesse in quanto, pur se con episodi "erotici", si inserivano a fatica nel contesto della maggior parte dei racconti di questo sito.
Poi, rievocare la mia soffitta ha cominciato ad assumere connotazioni malinconiche, ed ora temo che il racconto abbia iniziato ad assumere una vita propria virtuale che condiziona la mia vita reale. Sogno spesso di essere ancora là. E so che non devo andarci perché non è più casa mia, ma ci vado e mi sveglio con l'ansia. È indicativo il fatto che abbia ancora inutilmente le chiavi di allora...
Ma voglio tranquillizzare i miei "venticinque lettori" perché con questo racconto penso proprio di "chiudere" questa serie. Anche perché di erotico, in questo terzo episodio non c'è proprio niente. È solo una messa a punto dello status quo qualora qualcuno avesse ravvisato il fil rouge che univa i vari raccontini e magari fosse incuriosito da com'è adesso la situazione.
Ringrazio chi mi ha letto e in particolare i pochissimi che hanno commentato.
Conoscevo Oscar da una decina d'anni, quando entrambi frequentavamo la stessa palestra, chiusa ormai da qualche tempo. Era un ragazzino di circa 15 anni, molto carino, fresco, affabile, sempre sorridente, attento ai discorsi negli spogliatoi, anche un pelo timido. Un moretto con già un bel corpo e un bell'uccellotto, molto ligio in sala pesi a eseguire nei dettagli le "prescrizioni" della sua scheda che gli istruttori ogni paio di mesi aggiornavano. Con lui ho realizzato "de visu" giorno per giorno lo sviluppo di un corpo maschile da una post-adolescenza a una piena e armoniosa virilità, intesa in senso estetico.
Fu eclatante, dopo un estate in cui non lo avevo visto, vederlo in autunno con due belle spalle, deltoidi, bicipiti, tricipiti, pettorali, trapezi, spleni, paravertebrali, dorsali, tutto ben definito e tornito e con un ventaglio di pelini scuri che si apriva dall'ombelico fin sopra i capezzoli. Agli inizi conversavamo, poi non più dopo un fatto occorso nel bagno turco in cui entrai con un amico (era Raffaello di cui ho già parlato più volte) per una pompa senza che ci accorgessimo che lui era già dentro.
Per uscire, stante la strettezza del posto, doveva passare in mezzo a noi e, dato che, ad ogni buon conto, aveva il cazzo duro, io da dietro lo bloccai con gli avambracci sotto le ascelle, mentre il mio amico la pompa la fece a lui. Venne in un amen e certamente aveva gradito; eppure, uscendo, sibilò "froci" con un certo disprezzo.
Quando ci si "beccava" negli spogliatoi non ci si salutava neppure anche perché ormai lo spogliatoio era un affollato luogo di chiacchiere di maschiotti ruspanti tanto ben fatti quanto ignoranti i cui argomenti non erano neppure i classici calcio e figa bensì scooter, anabolizzanti, arti marziali, masse muscolari, stivali, puttane, birre e bravate notturne; tutto un virilume in cui era chiaro il disprezzo per tutto ciò che era loro estraneo, in primis cultura e, a seguire, extracomunitari, mendicanti, homeless, associazionismo, badanti, gay e financo donne.
Ero in città con due amici e un'amica per una pizza. A una tavolata in fondo presero posto otto persone piuttosto rumorose: due ragazze abbastanza sguaiate e sei maschi tra i quali Oscar. Per quanto evitassi di guardare nella loro direzione non potei non notare che i più erano con vari piercing e tatuaggi, quasi tutti a testa rasata e tutti in giaccone di pelle, femmine comprese. Poco dopo una di queste disse:
- Vieni anche tu Oscar al bowling dopo?
Qualcuno tra il ridere generale disse che no, lui sarebbe andato "qua dietro" dalla sua tardona e allora per me fu un flash estraniante e un turbinio di pensieri, collo stomaco che mi si stringeva, iniziò a martellarmi le tempie: "sta a vedere che è lui il ragazzo di cui Grazia si è infatuata..." eh sì, i conti tornavano... e mi misi mentalmente a ripassare i discorsi che, più o meno renitente, lei mi aveva fatto: che era uno un po' dissestato, uno sgangherato, ma non drogato, mezzo fascista, col culto degli amici, della forza, sempre col giubbotto di pelle addosso, spesso anche quando facevano l'amore, uno che ciondolava tutte le notti per la città e non faceva niente tutto il giorno se non dormire fino alle 4 del pomeriggio e che tuttavia a lei piaceva averlo per casa, le piaceva come si muoveva e poi era giovane,,, anche bello, muscoloso, ma anche antipatico e solitario, a volte prepotente... e che a volte portava anche amici e che trovava intrigante il loro modo di pensare per quanto confuso e farneticante, ma che comunque era una sbandatina, una novità divertente, un capriccio, che sarebbe finito presto, figurati... 17 anni di differenza... e che si davano dei gran baci perché lei è sempre stata più sentimentale che sessuale, avrei dovuto saperlo bene... e che tutto sommato le piaceva anche la sua inesperienza, la sua irruenza... e poi... che aveva un bellissimo cazzo...
Stavo male, i miei amici se ne accorsero, accusai un improvviso mal di pancia e chiesi di potere andarmene a casa. Si offersero di accompagnarmi ma dissi che non era così grave. Arrivato alla mia auto, mi diressi sparato alla mia casa in campagna. La gatta in veranda mi venne incontro strofinandosi, la lasciai entrare in casa e, accarezzandola, mi rilassai un poco.
Poi all'improvviso la decisione pazza: sarei andato a spiarli...
Nella casa in centro erano abitati praticamente solo il primo piano e la soffitta e al quarto piano nessuno saliva. E la camera da letto era l'unica che non avesse finestra all'esterno, ma una finestrella alta che dava su una specie di piccolo soppalco raggiungibile dalle scale con certe contorsioni. Bisognava saperlo. Come pure bisognava sapere che le ante interne che aderivano ai vetri per escludere la, comunque fioca, luce delle scale non appoggiavano bene e restava una lunga fessura per parte da cui si poteva sbirciare all'interno.
Concretizzai la cosa con una rapidità ed un ansia cattiva che non sapevo d'avere. Tornai in città e salii le scale della mia ex abitazione con circospezione. Grazia era sola, perché sentivo la musica delle variazioni goldberg di Bach: di certo se ci fosse stato Oscar o chi altro fosse, di sicuro non l'avrebbe messa. Mi ero stranamente calmato e comunque decisi che ormai che ero lì avrei aspettato un po' per vedere cosa sarebbe successo. Proprio in quel momento sobbalzai per il suono del campanello, seguito immediatamente dallo schiocco del tiro della porta in fondo alle scale. Col cuore in gola mi rannicchiai nel soppalchetto.
Non vedevo la scala, né la porta d'ingresso, ma sentii bussare leggermente, aprire, un paio di bisbigli e poi richiudere. Bach non c'era più. La luce nella camera da letto era spenta ma arrivava luce dalla sala. Qualche minuto di silenzio poi due distinte risate di lui e di lei. Ed ecco Grazia che, in camicia da notte, si butta sul letto, la figura atletica del giovane si avvicina dalla sua parte con passi lunghi e leggeri sulle scarpe da ginnastica e col giubbotto di pelle. Grazia sorride e gli arruffa i capelli... era proprio Oscar... Faceva freddo ma sudavo, la posizione rannicchiata era infame, ma non potevo certo muovermi...
All'improvviso Grazia si alza e si leva la corta camicia rimanendo nuda colle sue lunghe gambe, i fianchi morbidi e il ventre piccolo biancheggianti nella semioscurità. Oscar afferra per la vita Grazia che schiaccia il pube contro di lui e cede ad un bacio lungo e, avrei detto, violento. Poi Oscar le stringe i seni e lei lo bacia e poi si strofina contro il suo pube, i calzoni e giù fino alle scarpe che gli toglie. Oscar abbassa la zip, si slaccia i pantaloni e li cala a metà coscia, rovescia fuori il cazzo dagli slip, un cazzo enorme e tremendamente rigido che pulsa e si inarca puntando il cappellone violaceo alla bocca di Grazia la quale ingoia il cazzo fino alla base. Poi, accosciata, lo succhia lentamente colle cosce tremanti per lo sforzo. Ingoia a fatica, presumo, e ogni tanto, quando, il cazzo le sfugge, lo riprende aprendo tutta la bocca e tendendo le labbra. Presto Oscar eiacula: dall'inarcamento dei fianchi e dagli spasmi della gola di Grazia direi molte volte, almeno una decina... Oscar resta inarcato e Grazia col suo cazzo in bocca per un tempo che pare non dover mai finire, finché poi si stacca deglutendo e passandosi la lingua sulle labbra da un lato all'altro, sospira e si siede abbracciandosi alle gambe di lui.
Provavo uno spasmo al cuore, alla testa, poi alle braccia, insieme a un forte dolore, avrei detto, alle vene. Ero al massimo della tensione e per non farmi venire un infarto decisi di chiuderla lì. Lentissimamente, per evitare ogni minimo rumore, mi lasciai scivolare fuori dalla nicchia in cui mi ero appallottolato, con immensa circospezione mi alzai carponi cercando di non urtare nulla col capo e col corpo, feci a gattoni i tre gradini che portavano sul ballatoio delle scale e fu un sollievo alzarsi in piedi. C'era un po' di luce che entrava dai lucernari. Scesi al buio accendendo la luce solo quando fui al secondo piano... e fuggii in strada.
L'aria fresca della strada mi colpì quasi piacevolmente. Provavo uno struggente senso di pena per Grazia così persa per questo ragazzotto tanto acerbo quanto dotato e anche per Oscar, colle sue idee confuse e velleitarie e tuttavia molto solo, che si compiaceva nel sentirsi desiderato da... una signora. E mi facevo pena anch'io per la mia meschina azione di guardonaggio quando in realtà la vita di Grazia non mi apparteneva più.
Benché molto depresso, non potei non trovare gratificante la visione del selciato lucido, le luminarie di natale ancora accese nella miriade di localini e pub che avevano soppiantato tutti i vecchi negozi della città il cui centro non mi era mai parso bello come allora. Mi compiacevo a vedere i gruppetti di fumatori fuori la porta dei locali e mi trovai a considerare il fatto che questa abitudine si era affermata ovunque ed era stata accettata senza proteste da parte della gente.
Contemporaneamente però provai un senso di struggimento perché mi sentivo ormai di non riuscire a fare più parte di questo modo di vivere fatto di pub, di apericene, di happy hour... a 40 anni ero già di un'altra generazione e... sì... presi coscienza di essere ormai un ex. Ex amante, ex convivente, ex giovane, ex bisex, ex frequentatore di palestra, ex viveur, ex sventrapassere, ex sfondaculi... vabbé, dai jacopo, è poi normale che il tempo passi... adesso vai a casa, prendi 10 gocce di minias e poi... "domani è un altro giorno"...
Misi in moto l'auto e mi avviai ma... mi afferrò la nostalgia, per Grazia, per la mia ex soffitta, mi mancava la palestra, quella palestra, mi mancavano i miei 20 anni, quei 20 anni...e già che c'ero, considerai che mi mancava una famiglia, e i miei genitori, e un punto di riferimento, qualcuno da amare, che mi amasse... ci vedevo male, ma non era annebbiamento, erano semplicemente lacrime. Accostai, mi soffiai il naso e, un po' calmatomi, arrivai a casa. La gatta in veranda dormiva raggomitolata, sollevò la testa, fece miao, ma tornò a dormire. Entrai presi il sonnifero e, in attesa che mi venisse sonno, accesi il computer.
Ecco, ora sento il sonno che arriva, ho scritto di getto il resoconto di questa serata intanto che il minias fa effetto. Domani sarò certamente più in forma. Buonanotte a tutti.
(Fine)
Quelli eran giorni, sì, erano giorni e tu
Al mondo, no, non chiedere di più
Noi ballavamo un po′ e senza musica
Di là passava la nostra gioventù
Claudio Daiano (1945) - paroliere
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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