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Il Passaggio (capitoli 8 e 9)


di Federossetta
30.11.2018    |    3.499    |    1 8.6
"Io e la segretaria entrammo nei posti dei passeggeri e così inizio un viaggio silenzioso di cinque minuti fino a casa Diraci..."
Capitolo 8: Notte Con Giacomo
Mentre con gli altri era stata più una sfida tra me e me, ora mi sentivo più sottomesso all’influenza di Giacomo. Certamente aveva il viso più bello della compagnia, il cazzo era inferiore solo a Kevin però era migliore per quanto riguardava l’aspetto. Infatti quando lo avevo preso in bocca solo poco tempo prima alla pizzeria mi ero accorto che era capace di attirare chiunque lo guardasse. Una caratteristica non da poco perché per esperienza posso dire che alcuni hanno tutt’altra caratteristica, capace di toglierti la libidine.
Ero in piedi e mi guardai attorno. Giacomo mi squadrava dall’altra parte del piccolo falò in estinzione. Aveva uno sguardo compiaciuto e molto sexy, si alzò quando mi vide tremare per il freddo. Ero pur sempre in bikini. Guardai l’ora e mi accorsi che mi ero portato il mio orologio da donna a fare il bagno, dimenticandomi di posarlo. Intanto misi a fuoco l’ora: erano le due meno venti. Escludendo la preparazione e le carezze intorno al fuoco avevo concesso a Carlo sui venti minuti, mentre allo stallone circa un’ora.
Giacomo si avvicinò a me e mi accolse in un abbraccio da fratello maggiore che non ho mai avuto. Il suo obiettivo era infondermi calore e ci stava riuscendo, mi accoccolai tra le sue braccia e chiusi gli occhi. Dopo poco tempo gli sussurrai: “Prima di iniziare… volevo chiederti un favore…” mi guardò e mi sorrise: “per caso in denaro?”
Mi scappò di bocca un gridolino per nulla maschile “Daii, non a te, sei stato troppo gentile.”
“Ah ho capito lascia fare a me. Domani ti faccio trovare nello zaino quello che ti spetta.” Gli ricordai che il mio zaino era fin troppo pieno, doveva già contenere il mio stretto necessario, la borsa di pelle e tutto il mio repertorio femminile di quella sera. Pregai dunque di non lasciarmi monetine che poi mi sarei stancato, si fa per dire, inutilmente. Avrei gradito invece delle banconote profumate per pagarmi le spese anche del campeggio con la sua famiglia. Quando fu risolto tutto mi chiese lui un favore. Prima di tutto ci allontanammo dagli altri intorno al fuoco, in un posto più isolato e vicino al mare. Ci coricammo a pancia in su, lui sotto, le gambe aperte nelle quali mi accomodai io, la mia testa sul suo addome che si muoveva a tempo con il suo respiro. Contemplando le stelle mi fece una domanda che mi lasciò spiazzato.
“Fede, stasera sei stato praticamente con tutti” cominciò ad accarezzarmi i capelli “si lo so anche con Dimitri, me l’ha detto quello stronzo che ha ceduto. Ma d'altronde siamo fatti così noi maschi.” Si interruppe un attimo e aggiunse “…noi etero.” Non riuscivo più a sopportare la suspense e allora arrivai subito al nocciolo: “Dove vuoi arrivare Giacomo?”
Mentre lui mi carezzava la testa e qualche volta un suo dito finiva nella mia bocca che lo accoglieva volenterosa, io toccavo ammaliato i suoi quadricipiti facendogli venire brividi di piacere.
“Volevo chiederti i tuoi pareri su ciascun membro del gruppo, prima di giacere con te.” Inizialmente rimasi di sasso, poi mi girai faccia contro faccia e lo guardai. “Eh va bene, ma mettiti comodo che ci metterò un po’. Sono un ottimo intenditore io.”
Lui incrociò le mani dietro la testa e rispose: “Sono già comodo.” In quella posizione esaltava i suoi pettorali, allora ne approfittai per sistemarmi un po’ più su, petto contro petto. Iniziai a parlare, ma intervallando parole con baci bagnati al suo collo.
“Dimitri mi sembra un bravo ragazzo. È fedele a te, non arrabbiarti se ti ha disubbidito perché la colpa è in parte mia e della mia sensualità.” Mi interruppi per un lungo limone, la mia lingua un tutt’uno con la sua. Poi sollevai la testa e lo fissai a pochi centimetri da me. “Gennaro è forte, bravo a letto e il classico maschio dominante. Mi sono reso conto essere un etero convinto, uno di quelli che difficilmente si concede ad un’esperienza gay.”
Giacomo annuì come se lo sapesse già. “Io secondo te sono etero convinto?” Gli sorrisi. “Sei etero, ma mi concedi fantastici baci che penso tu non abbia mai dato a nessuna femmina nella tua vita. Però per contro, ti ritrai quando provo a strusciarmi su di te.”
“Allora devo osarmi di più” mi sussurrò mentre leccava la mia orecchia. “A quanto pare” gli risposi. Poi continuai: “Roberto è quello che mi è piaciuto di più come persona. Non lo sa ma è vicino a scoprire che in realtà non è la figa che lo attira ma il pistolino. Sotto il vostro aiuto può diventare un eccellente pompinaro” Ma mai come il sottoscritto, pensai. “Infine che dire di Carlo e Kevin. Il primo è un ricco di merda, impacciato nei rapporti ma crudele. Il secondo invece è il sogno di ogni ciucciacazzi della zona, non è molto espressivo ma potrei portarmelo dietro come un cagnolino.”
Giacomo non mi stava più ascoltando. Si lasciava baciare con gli occhi chiusi e un sorrisetto sulle labbra, però avevo notato la sua attenzione per la mia descrizione di Roberto. Capii allora che lo scopo di quel resoconto era in realtà sapere se Roberto avrebbe potuto sostituirmi l’anno seguente. Furbo però il mio uomo.
Intanto sembrava essersi addormentato. Io volevo scendere fino al suo cazzo, ma il freddo mi decise ad alzarmi e dirigermi verso la tenda con lui appresso mezzo assonnato. Fui felice di non essermi tolto l’orologio, perché notai essere già le 3.30. Era proprio vero che di notte il tempo sembra passare più in fretta. Sollevai il velo dell’entrata della tenda e scelsi di scoparmi Giacomo nello stesso scomparto dove mi ero scopato Gennaro e Roberto. Almeno lì c’erano le mie cose. Giacomo quando capì la mia scelta, prelevò uno dei tre materassini e lo sistemò nell’altra stanzetta dove Roberto e Carlo stavano già dormendo. Ora io e Giacomo saremmo stati più larghi. Tra le pareti della tenda intorno a noi e i materassini aggiustati come matrimoniale c’era maggiore spazio e ne approfittai per piegare i miei indumenti femminili e preparare per il giorno successivo quelli da maschio. Anche lui aveva la sua borsa nella tenda e ci rovistava ancora quando io terminai le mie mansioni. Per cui con molta calma mi sganciai il reggiseno e sfilai le mutandine, infilandomi sotto le coperte. Lo squadrai a lungo muoversi con i muscoli della schiena impegnati in sinuosi movimenti, finché non si fermarono e lui si girò sorridendo. “Adesso sei tutto per me amore. Edoardo non sa cosa si perde quello stolto.” Ridemmo insieme. Poi si infilò anch’egli sotto le coperte e ci baciammo, un bacio lunghissimo con le nostre lingue che si intrecciavano e le nostre labbra che si cercavano continuamente, mentre con la mano scesi ad accarezzare il suo membro sempre più duro e bello. La sua mano iniziò a scendere lungo il mio fianco, come di risposta, e andò a posarsi sul mio bel sedere. Con una forte presa me lo palpò attirando il mio bacino verso di sé. Quando i nostri due membri si toccarono, cominciai a sudare ed avere caldo, sentii anche un calore più intenso provenire da dentro. Un nodo allo stomaco e una fiammata provenirono da in mezzo alle mie gambe. Raggomitolato addosso a lui, gli accarezzai il petto e la pancia, giocando e disegnando dei cerchi a ridosso degli addominali che gli provocarono una piacevole pelle d’oca. “Come ci sai fare” si complimentò. Io sorrisi: “Non hai ancora visto il meglio di me”
Finalmente iniziai l’inesorabile discesa lungo il suo corpo. La mia lingua solcò ogni punto, ogni insenatura della carne, soffermandosi sui capezzoli e infine sulla sua patta coperta dalle mutande. Giacomo per venirmi in contro mi legò i capelli mediamente lunghi in un codino, utilizzando il suo elastico per capelli che aveva al polso. Che premuroso. Quando mi sistemò per bene, inarcai il culo che prontamente avvinghiò con la sua mano curiosa e gli tolsi i boxer con cura. Poi sempre con calma e quiete iniziai a scappellarlo per bene. Mi portavo il suo cazzo fino alla gola dove facevo dei gargarismi con la mia saliva misto al suo liquido pre-seminale. Poi lo lasciavo uscire e rientrare, uscire e rientrare. Finché per lui non fu abbastanza e mi girò di schiena. Eravamo entrambi su un fianco, conoscevo la posizione. Mi appoggiai a lui con la schiena, la mano sinistra mi sorreggeva mentre la destra era intenta a palparmi le tettine. La gamba destra invece era protratta indietro sopra il suo corpo. Feci tutto da solo: cercai il suo cazzo turgido che trovai bello pronto e eccitato che puntava alla mia schiena, e lo indirizzai verso la giusta via. Il ferro gelido del mio orologio mi sfiorò per un momento la figa anale, trasmettendomi un brivido di piacere indescrivibile. Dopo tanto tempo finalmente i miei ansimi sovrastavano quelli del mio partner, che pian pianino venne avanti col corpo infilandomi facilmente la sua asta nella mia galleria. Per la successiva mezz’ora sborrai sulla mano due volte e pure copiosamente. Infatti i suoi movimenti armoniosi mi avevano del tutto inebriato, il mio ansimare era un piacere unico, ricordo che mi portai per diverso tempo appresso. Giacomo fu l’unico a venirmi nel retto e me lo scaldò talmente tanto che sembrava in fiamme quando estrasse il suo membro. Gocciolando liquido seminale insistetti per pulirgli l’asta, la lingua fece un ottimo lavoro e alla fine lui mi ringraziò con un bacio.
“Quando vuoi sei il benvenuto in casa mia. Ormai non vivo più con la mia famiglia, sono solo e autosufficiente. Facci un pensierino perché sei proprio una brava cagna Federica.” Annuii pensoso. Certo che mole lo sarei fatto il pensierino, ma prima dovevo vedere se potevo avere un futuro con il favoloso manager Andrea incontrato pochi giorni prima. In ogni caso Giacomo si era comportato bene, rispettandomi e amandomi fino in fondo. Una scappatella a casa sua sarebbe stata di godimento per entrambi, sempre tenendo conto come si sarebbe evoluto il mio rapporto col fratello Edoardo.
Stanchi morti ci addormentammo, poco prima però diedi un’occhiata al mio orologio che intanto si era sporcato di sborra. Con una leccata decisa passò tutto. Erano quasi le cinque, il giorno dopo i genitori di Carlo sarebbero venuti vero le 10.00 aspettandosi di trovare le tende già libere da ogni bagaglio. Mentre mi accoccolai attaccato attaccato a Giacomo che nel mentre si era già addormentato pensai come avrebbero reagito i genitori di Carlo alla vista dell’enorme quantità di sborra (prevalentemente mia) presente sul materassino e per terra. Risi sotto i baffi sapendo che quelli non li avrei mai più rivisti in vita mia quindi in poche parole cazzi loro.
Prima di dormire anch’io nudo vicino al mio uomo, contai il malloppo che mi ero fatto. In tutto ero riuscito a racimolare ben 400 euro, compresi quelli usati per i vestiti che saranno stati circa 150. Felice come non mai mi addormentai, prima senza che Giacomo se ne accorgesse gli sparai una sega e mi infilai la sua proboscide nel culo.
La mattina (si fa per dire) mi svegliai. Erano le 9, avevo dormito poco ma mi sentivo ristorato anche se avevo un forte dolore al culo e alla spina dorsale. Mi accorsi di essermi svegliato prima di Giacomo, che era abbracciato dietro di me, il suo cazzo ancora perfettamente inserito nel mio corpo! Il suo cazzo moscio era rimasto nel mio culo per 4 ore e le sue braccia possenti avevano impedito che il mio corpo reagisse durante il sonno allontanandosi da quella fonte di piacere. Con serenità girai il collo e leccai il mio uomo venticinquenne. “Ehi guarda che scherzo del destino, ci siamo attratti anche nel sonno e così siamo rimasti.” Quando se ne accorse sorrise sornione. “Ecco da dove proveniva la bella sensazione provata nel sogno” Prima di uscire cambiati dalla tenda volle scoparmi per l’ultima volta e io accettai ben volentieri dandogli il mio culo e la mia bocca, la quale ripulì tutto lo sperma.
Io e lui tornammo prima al campeggio dell’arrivo dei genitori di Carlo e ci salutammo per l’ultima volta con un languido e triste bacio. In seguito fu poco il tempo che riuscii a ritagliare per lui e i suoi amici perché fino alla fine della vacanza me ne stetti in disparte a sognare.
Alla fine il tempo passò e così la settimana finì anche per me. Verso il fine settimana trascorsi anche del tempo con Edoardo che mi fece felice, per cui prima di partire salutai e ringraziai per bene tutti e tornai da solo in treno fino alla mia città. Alla fermata prima della mia, vi era il paese di Andrea dove sarei dovuto andare se avessi voluto guadagnare qualcosetta. Fu allora che decisi cosa fare, tanto non ci sarebbe stato nessuno che conoscevo nella mia città in quel periodo, e mi sarei annoiato parecchio.
Così il giorno dopo mi vestii elegante come vedevo fare ad Andrea e mi preparai all'incontro con il mio nuovo datore temporaneo. Andrea infatti gestiva la filiale del suo paese natale, mentre suo padre, il boss, ne gestiva un altra molto più importante in una metropoli.

Capitolo 9: Vecchio Amico
Raggiunsi l'indirizzo verso le 8 di mattina. Davanti a me si presentò un grattacielo ragguardevole, il più grande della piccola città. Ne rimasi comunque sbigottito.
All'entrata informai il portiere del motivo della mia visita, il quale mi mise in attesa. Vi era altra gente ad aspettare, ma siccome io ero amico del dirigente, non dovevo cercare un lavoro, semplicemente iniziarlo. Dopo un'attesa comunque eterna, una segretaria mi informò che ero atteso al 17o piano, l'ultimo.
Chiamai l'ascensore, che era già occupata da tre individui vestiti elegantemente. Venivano dal piano sottoterra e mi dissero che scendevano due piani prima del mio. Nel mentre non feci meno che ascoltare i loro discorsi.
"Il capo se continua così rischia di prendere il posto al padre prima che schiatti. Con l'ultima idea di merchandising il profitto totale ha preso un'impennata mai vista."
"Dicono che il padre ne è rimasto talmente orgoglioso da lasciargli il controllo completo di un terzo della sua azienda."
"Cosa? E la parte del terzo fratello?"
"Non dirmi che la meritava. Forse gli ha lasciato il 5%, mentre la sorella il 13%."
Le voci si persero lungo il corridoio del 15o piano. Continuai la corsa fino all'ultimo piano.
L'ascensore si aprì con il solito suono caratteristico.
Davanti a me si apriva un atrio spazioso e illuminato, con un'ampia scrivania su un lato, una porta possente dall'altro. Dietro la scrivania sedeva una donna sui cinquant'anni, impegnata con alcune scartoffie. Non appena mi vide mi invitò a sedermi su un divanetto lì vicino. "Buongiorno, il signore l'accoglierà appena possibile."
"Grazie"
Guardandomi intorno vidi diversi quadri con articoli di giornale. Celebravano il progresso dell'azienda e soprattutto quello del prodigioso figlio Andrea Diraci. Fui interrotto dalla voce della segreteria "Prego si accomodi, il signore la attende." Mi indicò l'enorme porta dall'altra parte della stanza.
"Grazie" spinsi i pomelli e con forza la spalancai. Chiudendola alle spalle rimasi per la miliardesima volta di quel giorno senza parole.
La stanza era due volte l'enorme atrio dell'ingresso. Due scrivanie con tanti ornamenti riempivano quell'enorme spazio. Mozzafiato era la vista che si aveva dalla terrazza dell'ufficio. Seduto dietro alla scrivania più grande stava il mio capo, con fare allegro e rilassato. Mi fissò per un attimo. Poi sorrise.
"È un piacere ritrovarti Federico."
Allora lo sapeva. Lo ha saputo per tutto il tempo che siamo stati insieme senza mai farmene rendere conto. "Il piacere è tutto mio... Andrea. Grazie per questa opportunità." Poi non seppi più trattenermi. "Ma lo sapevi già chi ero durante le nostre serate al mare?"
"No, devo ammetterlo. In due anni sei cambiato parecchio. Io mi ricordavo di una figura esile su un letto di ospedale. Invece adesso eccoti qui, tonico e più in forma che mai. Mi ci è voluto il tuo curriculum per capire con chi mi ero imbattuto."
"Anche tu sei cambiato." Gli dissi.
"Certo, e meno male. Sono diventato in un certo senso più autorevole. Ma passiamo ai fatti."
Mi consegnò un contratto da firmare.
"Pensavo, con il consenso di mio padre, di darti più che un lavoro da 1000 € al mese." Continuò. "E siccome mi serve un braccio destro, pensavo di darti questo compito. Ovviamente sei in un periodo di prova oltre il quale potrai poi decidere se tenere il lavoro o meno."
Ero senza parole. Mi conosceva poco eppure aveva estrema fiducia in me. "Non so che dire. Accetto volentieri se non do problemi." Lessi la cifra sul contratto: ottomila euro al mese, che sarebbero poi aumentati in base ai meriti. Mentre firmavo, sentivo che il mio nuovo manager continuava a parlare, ma da un pezzo avevo perso il filo del discorso. Un volta finito, feci per sistemarmi all'altra scrivania.
Andrea rise. "No. Non sarà questo il tuo ufficio"
"Come no? "
"Visto che sarai il mio braccio destro dovrai conoscere tutto, per procedere come se tu fossi me nel caso io sia via per lavoro. Ed è per questo che ho fatto spazio nella mia casa a pochi passi da qua, affinché tu possa lavorare da casa e seguirmi sempre."
"Oh. Grazie. È molto importante per me quello che stai facendo. Mi toglierebbe il problema del viaggio e con esso il costo."
"Lo so, e ne prendo atto. Devo informarti che non mi piace avere del personale che gestisca la mia vita privata. Quindi ti chiedo solo di fare due lavoretti per pagarti il vitto e l'affitto, come cucinare o altre cose. Ci stai?"
Non ci pensai due volte ricordandomi della cifra da lui precedentemente offerta.
"Sì, non c'è problema. Sono abbastanza bravo nelle pulizie."
"Grazie. Lo sapevo di fare bene a contare su di te."
Mi diede un'affettuosa pacca sulla spalla. "Bene. Il nostro colloquio è finito. La mia segretaria Stephanie ti accompagnerà nella tua nuova casa. Lì ho lasciato alcune righe con i lavori da fare entro stasera che tornerò da lavoro."
"Va bene. Ciao, arrivederci."
"A dopo" mi salutò, e mi accompagnò alla porta. Vedendoci Stephanie si alzò bruscamente e mi fece un cenno col capo. Io la seguii, facendo a ritroso il percorso che mi aveva portato lì.
Una volta usciti dalla struttura, c'era ad accoglierci una limousine nera con tanto di autista. Io e la segretaria entrammo nei posti dei passeggeri e così inizio un viaggio silenzioso di cinque minuti fino a casa Diraci. A casa di Andrea ci ero già stato, con il corpo di Denise. Eppure c'era qualcosa di diverso nella splendida villa, un senso di vuoto. La segretaria aprì la porta di ingresso con un grosso chiavistello, che una volta entrati lo lasciò sul tavolo. Mi salutò con un borbottio e se ne andò. Sentii il rumore del motore della limousine allontanarsi e allora persi tutta la tensione e mi guardai attorno. La casa era strutturata esattamente come me la ricordavo. Sul tavolo, assieme al mazzo di chiavi, vi era un biglietto scritto in calligrafia ordinata e pulita.
"Ciao Federico.
Ero certo che avessi accettato il lavoro, congratulazioni sei il mio nuovo braccio destro! Come ti avrò già detto, detesto troppe persone che girano in casa, quindi non ho il personale di pulizia. Se sei qua è perché avrai accettato anche questo piccolo favore e devi sapere che te ne sono grato. Ti lascio da solo a fare il tour della casa, non appena ti sarai orientato, ti ho lasciato il completo per le pulizie nella camera degli ospiti, con i prodotti che ti serviranno. Qui in seguito ci sono i compiti che dovrai fare."
Sospirai. Lavorare tutto il giorno sarebbe stato meglio. Eppure avevo il presentimento che se mi fossi rifiutato il mio lauto stipendio sarebbe svanito. La mia convinzione vacillò quando entrai in quella che doveva essere la camera degli ospiti. Sul letto c'era un grembiule e degli abiti palesemente da donna per le pulizie. Per me che avevo iniziato da parecchio il cambio di sesso quello mi provocò un lungo brivido di piacere e la fantasia ebbe la meglio.
Un altro biglietto accompagnava quella rivelazione.
"Eccoci qua. Spero non ti dimentichi che sono sono fiero di te e che sarebbe un peccato deludermi così presto. Ci vediamo stasera e, se tutto va bene, ti porto a cena fuori. Ah, ricordati dei cani, li ho spostati in giardino dopo che hanno azzannato un ospite."
Quella lettera nascondeva più minacce che parole e me ne accorsi. Decisi di assecondare gli ordini del mio manager e mi svestii.
A cominciare dalla biancheria, c'erano una mutanda da donna, una protesi per il seno con tanto di reggiseno e pizzo, una calzamaglia bianca, una minigonna grigia e infine le scarpette, la maglia e il grembiule bianco. Guardandomi allo specchio vidi un'altra persona, e mi piacqui. Per conto mio mi diressi verso il bagno, sperando di trovare qualcosa da donna, sapendo che una volta in quella villa vi abitava l'intera famiglia di Andrea. Aprii un armadio a muro e vidi solo robe da donna: dai trucchi più raffinati ad altri importanti arnesi.
In mezz'ora mi ero depilato i pochi peli che ancora crescevano trascurando la mia cura anti ormonale, mi ero messo un rossetto rosso acceso e truccato il viso. Guardandomi allo specchio neanche mi riconoscevo. Sotto tutto quel trucco ero veramente io? Impaurito dalla reazione di Andrea quando sarebbe tornato decisi quindi di lavarmi, d'altronde non sapevo se gli piaceva l'intraprendenza. Mi legai i miei lunghi riccioli per essere più professionale e finalmente iniziai a lavorare.
Durante le pulizie ebbi tempo per fare alcune chiamate, a mio padre per informarlo contentissimo del mio nuovo lavoro, a mia madre per dirle che non sarei tornato a casa e di mandarmi la borsa che non avevo ancora disfatto dopo la vacanza al mare. Infine chiamai Edoardo, che condivise la mia gioia e stranamente si scusò per essere stato un po' distaccato per tutta la settimana che avevo passato con la sua famiglia. Non sapeva che se lui aveva trascorso il tempo a deprimersi, io mi ero divertito con Andrea ai pub serali.
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