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I . 3 LA NOSTRA PRIMA VOLTA


di Aleppe
19.08.2017    |    42.888    |    3 9.5
"Attesi che lei si mise a lavare i piatti, quindi mi misi dietro di lei, le sollevai la gonna e, palpandole le magnifiche chiappe, cominciai il lavoro di..."
Sebbene il risultato fosse già soddisfacente, è evidente che, caro lettore, non potessi accontentarmi di seghe e pompini: dovevo arrivare alla fica. Già, ma come?
Dopo una delle solite performance, la guardai in viso con sguardo pentito e sottomesso, e pronunciai queste parole: “Mamma, non posso essere solo io a godere, devo restituirti il piacere che mi dai, altrimenti mi sento in colpa per il mio smisurato egoismo.”. “Figlio mio, non ti preoccupare, noi madri siamo abituate a dare senza ricevere.”. “No, mamma, tu non hai capito, io voglio assolutamente restituirti quanto mi dai. Trovo profondamente ingiusto da parte mia che sia solo io a godere.”. “Ah sì? E dimmi, come pensi di ricambiarmi?”. “Potremmo fare l’amore. Avere un rapporto completo intendo.” “Tu sei completamente pazzo!”, sbottò lei, “E’ immorale già che quello che ti faccio io e tu vorresti peggiorare la situazione con un rapporto completo? Ti rendi conto che siamo madre e figlio o te ne sei dimenticato? Sarà meglio che io riveda le mie posizioni anche rispetto al resto …” “Scusami, scusami … ho esagerato, lo riconosco. Permettimi allora di praticare il sesso orale come tu fai con me. Penso che sarebbe una maniera molto carina di ricambiare quello che la tua bocca pratica al mio sesso.” “Cioè vorresti leccare … tu devi aver visto troppi film porno.” E dopo questa frase si alzò per sparire in cucina. Insistere sarebbe stato controproducente, quindi lasciai che se ne andasse.

Quella notte, mentre dormiva in stanza con mio padre, aprì di soppiatto la porta, mi avvicinai al letto, scostai le lenzuola e cominciai a toccarla in mezzo alle gambe. Subito si svegliò. Compresa la situazione, si voltò verso di me e sussurrando disse: “Carlo, che fai?” “Ti restituisco il favore. Ti ho detto che ho un peso sulla coscienza.” “Stai fermo che se si sveglia tuo padre, cosa gli diciamo?” “Non lo so, è un problema tuo”, dissi continuando ad infilare le dita tra le sue cosce in cerca della fessura. “Aspetta, vai in bagno e ti raggiungo lì per parlare.” Così mi recai in bagno e dopo poco arrivo anche lei in vestaglia e camicia da notte. “Allora, la fai finita con questa storia o no?” cominciò lei. “Non ci penso neppure.” Dopo mezz’ora di tira e molla, stanca di proseguire, arrivammo a un compromesso: mi avrebbe permesso di praticarle un ditalino, ma solo per cinque minuti. In piedi di fronte al lavandino, si voltò quindi verso lo specchio, sollevò la vestaglia, si abbassò le mutandine e “Avanti” disse. Sollevate un po’ le vesti, le infilai la mano tra le gambe ed inviai il medio ad esplorare la zona. Trovata la fessura, si infilò dentro e cominciai a fare su e giù, ma l’espressione del suo viso riflessa nello specchio non mostrava alcun entusiasmo. “Mamma, è inutile che vado avanti, tu non stai godendo per nulla! Mettiti a sedere sul bordo della vasca e lascia fare a me” “Uffa, che noia che sei. E va bene, facciamo come vuoi tu, ma fai presto perché devo andare a dormire; domani alle sei devo essere già in piedi”, e mi accontentò. Mi misi in ginocchio di fronte a lei, le aprì la vestaglia e la camicia da notte ed infilai la testa tra le gambe. Cominciai quindi a raspare con la lingua sulle labbra della fica e a stuzzicarle il clitoride. Stavolta lei non rimase indifferente alle mie attenzioni e, pian piano, cominciò a mugolare. Intensificai allora gli sforzi, ed allungai le mani fino alle poppe per tittillarle i capezzoli, stringendoli tra il pollice e l’indice. Mi divertivo quindi a stuzzicarle il clitoride con la lingua. Quest’ultima mossa aumentò spaventosamente il di lei piacere, che ora si manifestava anche attraverso la turgidità dei capezzoli. Non passo molto tempo che si lasciò andare ad un lungo “Oooohhhh …” raggiungendo così l’orgasmo. Allora mi alzai, le diedi un bacio sulla fronte e le dissi “Ci vediamo domattina. Buonanotte” e la lasciai lì, stupenda, seminuda con la vestaglia e la camica da notte apete, le gambe completamente spalancate, la fica aperta e gocciolante di fronte al mondo, le tette scoperte e i capelli sciolti. Ci rimase quasi male che non le avessi chiesto niente in cambio, ma anche questo faceva parte del piano.

Trascorsi infatti i canonici pochi giorni in cui ripetei il trattamento, venne il giorno dell’assalto alla cittadella. Come in precedenza avevo scelto la cucina come luogo del misfatto. Attesi che lei si mise a lavare i piatti, quindi mi misi dietro di lei, le sollevai la gonna e, palpandole le magnifiche chiappe, cominciai il lavoro di lingua. Partendo dalla fica, risalivo lungo il solco che divide le chiappe fino ad arrivare al buchetto del culo, che mi divertivo a stuzzicare dandogli piccoli colpetti con la lingua. Cominciò a mugolare e ansimare per il piacere. Le ginocchia si piegavano incapaci di reggere lo sforzo. La testa era reclinata e gli occhi chiusi, per godersi al massimo il mio lavoro. Quando capii che il piacere era così intenso che non si sarebbe più tirata indietro, abbassai rapidamente i pantaloni della tuta e infilai il cazzo già libero (avevo apposta deciso di non indossare mutande in previsione di questo momento) nell’umida fessura. Come risvegliatasi da un sogno, si irrigidì: “Fermo, cosa stai facendo? Ti avevo detto che non potevi. Toglilo subito da lì!”, disse cominciando a scalciare nel tentativo di mandarmi via, ma io le serrai i fianchi con forza e cominciai a spingere sempre di più. “Lasciami fare mamma, non senti come è bello? Non dire che non ti piace.” “Non mi piace, tiralo fuori, ti scongiurò …” aveva cambiato tono. Capito che con le cattive non mi sarei fermato, provò con le buone, implorandomi, tuttavia neppure questo servì a nulla. Mi piacevano troppo le sue chiappe bianche, grosse, morbide, contro cui rimbalzavo ad ogni spinta e niente mi avrebbe fermato. Allungai quindi le mani in cerca delle sue tette, che non faticai a trovare viste le dimensioni, quindi le estrassi e mi divertii di nuovo a giocare con i capezzoli, che subito diventarono duri. Ancora per pochi minuti cercò di divincolarsi, il che aumentò ancora di più la mia eccitazione, fino a quando, rassegnata “almeno non venirmi dentro …” disse sottomessa. La accontentai, non già perché condividevo la sua scelta, ma perché … fu troppo bello estrarre il membro che appena prima di venire e lasciare che gli schizzi di sborra le imbrattassero il fondoschiena e le generose chiappe. "Grazie mamma … mi vado a lavare”. Mentre mi allontanavo, mi voltai a guardarla ancora lì, piegata ad angolo retto sul lavello, con le grandi tette nude a penzoloni, il culo scoperto e i rivoli di sborra che le solcavano le chiappe. Non corse subito a ricoprirsi, ma rimase un po’ lì interdetta, come se neppure lei avesse capito cosa fosse successo o forse dubbiosa sulle sue reali emozioni.

Non passo molto tempo che ebbi la risposta: la sera si sedette sul divano accanto a me. “Carlo, dobbiamo parlare.” Cominciò “Siamo andati troppo oltre, con quello che è successo oggi abbiamo oltrepassato il limite”. “Certo mamma”, le risposi voltandomi verso di lei e guardandola dritta negli occhi. “Noi siamo madre e figlio e certe cose …”, continuava lei mentre il mio viso si avvicinava sempre di più al suo “ … non si possono fare”. Pronunciò quel “fare” balbettando, mentre ormai i nostri nasi si toccavano e gli occhi si fissavano sbarrati. Quindi chiuse gli occhi e capii che era il segnale. La baciai e, senza darle il tempo di respirare, le mie mani si gettarono sul suo seno. Sbottonai subitò la camicetta e, infilendole le mani nel reggiseno, ne estrassi le copiose poppe che ora svettavano maestose. Tolsi allora la lingua dalla bocca di lei, dove si era nel frattempo infilata, per utilizzarla dove le avrebbe dato più piacere: i due splendidi rosoni che coronavano la vetta delle tette. Slinguavo a più non posso, mentre lei ripeteva senza convinzione cecando di respingere i miei attacchi “No, basta … ti prego … smettiamola … arghhh” intervallando le parole con sospiri di piacere. A questo punto la mano sinistra si infilò tra le gambe e, afferrate le mutandine, con forza gliele strappai, lasciando l’accesso alla fica completamente libero. La destra invece gliela infilai in bocca, in maniera da farmi leccare le dita e lasciare che quell’organo avesse una funzione migliore rispetto alle proferire parole vane. Ormai era completamente in mio possesso: le mani le frugavano impetuose due dei tre buchi mentre con la lingua continuavo a leccarle il seno. Non avevo fretta, perché sapevo che da lì a poco sarebbe successo, ed infatti puntuale arrivò la richiesta: “Ti prego, dammelo …”, “Cosa?” risposi sornione, “Dammelo, ne ho voglia”, “Ma cosa? Dimmi cosa vuoi e te lo darò” “Il cazzo, voglio il tuo cazzo !!!”, disse infine con tono scocciato per questo giochetto che evidentemente non gradiva. Non attese oltre. Subito la penetrai. Eravamo così, nella più classica delle posizioni, quel missionario che distingue la razza umana dagli animali, lei mezza svestita e io con i soli calzoni calati, segno evidente della nosta incontenibile libidine. Mentre i nostri sguardi si fissavano l’un l’altro, con i fianchi le davo grosse spinte affinchè lo sentisse fino in fodo. Il ventre intanto accoglieva le spinte oscillando a tempo. Con la sinistra, rimasta libera perché il suo ruolo era stato preso dal cazzo, le tittillavo il clitoride e non passò molto che reclinò il capo e si lasciò andare ad un lungo “Oooohhhh ….” Che testimoniava il suo godimento.

Stavolta volevo anche io la mia parte. La lascia calmare, poi la girai su stessa con le ginocchia per terra e il busto appoggiato sulla seduta del divano. Sollevai ben bene la gonna per mettere a nudo le sue chiappone, mi sistemai con calma dietro di lei e cominciai a chiavarla alla pecorina. Guardavo estasiato quella schiena, in parte coperta dalla camicetta, sulla quale si posavano i capelli sciolti, ma scoperta nella sua parte migliore, quel culo magnifico. Guardavo il mio arnese entrare ed uscire, e lei assecondare il mio movimento. Riuscivo a intravedere da dietro il sorriso compiaciuto della femmina che vuole dimostrare al suo maschio di essere ancora in grado di dargli piacere e insieme di godimento per il trattamento ricevuto. Con la mano sinistra facevo man bassa delle sue chiappe, ora tastandole, ora pizzicandole, finquando mi lasciai andare anche a qualche sonora sculacciata. La destra invece gliela infilai di nuovo in bocca, dove una lingua impazzita continuava a tormentami le dita come se fossero un altro membro infilato in quell’orifizio.

Le piaceva, eccome se le piaceva, ma soprattutto piaceva a me, che infatti di lì a poco venni, ancora una volta sborrandole sulla schiema. Mi alzai allora in piedi ed attesi che lei si voltasse per ricomporsi col membro ancora gocciolante. Quando lo vide “Puliscilo!” le ordinai. Mi guardò smarrita, come se non avesse capito bene, “Puliscilo, con la bocca!”, le ripetei e vedendo dalla sua espressione che aveva inteso benissimo cosa volessi, ma per pudore non riusciva a farsi avanti, le presi la testa e la avvicinai alla cappella. Non servì altro: apri la magnifica bocca e ingoiò fino in gola il mio cazzo. Poi uscì e diede qua e là qualche colpo ben assestato di lingua per raccogliere quanto era finito nei dintorni. “E’ stato bellissimo …” mi disse allora titubante chinando il capo. “Anche per me”, risposi allora in tono rassicurante, sempre mascherando il mio vero intento di usarla allo scopo del mero piacere. Un lungo bacio sugellò questa nostra “prima volta”.
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