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Una storia... Che continua...


di honeybear
07.12.2017    |    31.631    |    2 8.3
"Ti sorrisi e in men che non si dica, spalancai nuovamente le mie fauci assetate di cazzo per riempirmi interamente il palato il succulento pezzo di carne che..."
Il cazzo su cui mi sto muovendo mi ha aperto in due come una mela. È forse un dei più grossi che ho preso in vita mia… E non mi sono certo risparmiato!!!!
Stasera poi la fortuna ha girato bene: sto montando il gran bigolo di un gran bell’uomo! Un’accoppiata generalmente difficile da trovare!
Il silenzio della torrida notte estiva è interrotto solo dal ritmico sbattere delle mie chiappe contro le sue cosce bollenti, tese e muscolose: gli umori che mi colano dal buco e dalla cappella si mischiano al nostro sudore.
Le sconcezze che mi sussurra all’orecchio mentre con la lingua mi scivola lungo il collo, suscitano in me il ricordo di ciò che mi dicevi tu: “Dai troia, muoviti… - io sono diventato la tua cagna, ma la sostanza non cambia - Muoviti così… Così! Più veloce… Più veloceeehhh… Ti piace fartelo squassare dal mio manganello eh… Eh!?” e mi assesta un paio di sculacciate per agevolare meglio il passaggio del bastone di carne tra le pieghe del mio anellino sfranto.
Mi fermo un attimo per respirare, mi chino su di lui baciandolo per poi scivolare più in basso a perdermi tra le maglie del generoso mantello scuro che avvolge i pettorali scolpiti…
Lo sento afferrarmi per i fianchi: sono forti le sue mani, come lo erano le tue. Ora è lui a dirigere il gioco.
“Aaahhh…” mi mordo il labbro. Mi sta facendo salire e scendere lungo la sua asta quasi fossi il suo giocattolo e il mio buco ne risente: brucia come il fuoco. Quel fuoco che sta alimentando la nostra passione momentanea. Mi sta sbattendo talmente forte da costringermi ad afferrare i lembi della camicia aperta e bagnata fradicia. Vacillo, con le dita sfioro le mostrine luccicanti per trovare infine un saldo appiglio nei suoi capezzoli turgidi.
È un poliziotto.
Ero al solito parcheggio. Tornavo da casa tua e mi sono fermato a fumare la solita sigaretta in attesa del solito incontro non programmato. L’ennesimo.
E ho incontrato lui. Non gli bastava infrattarsi dietro il solito cespuglio per lasciarsi lavorare dalla solita bocca sconosciuta.
Voleva di più. Voleva scopare.
E lo volevo anch’io. Non posso più farlo con te e stasera ho realizzato l’amara verità. Come hai fatto tu del resto. Ti hanno dimesso dall’ospedale. Stai decisamente meglio, ma lo sai, e lo so anch’io che non potrai più tornare quello di prima. Non sarò più la tua cagna. Mai più…
Così stasera c’è lui sotto di me.
Lui che sta rallentando la fottuta; lui che sta tendendo i muscoli dell’addome per trattenere lo spasmo finale. Lui che sta per scaricarmi dentro tutta la sua voglia… Quella che ora sta reprimendo mentre saluta la figlia che, malauguratamente, lo sta chiamando allo smartphone.
“No… No piccolina… Non posso attivare la videochiamata – la pietosa menzogna - …Papà sta bene… Sì, sì sta beneeehhh… È uscito a correre e la strada è poco illuminata! Con questo caldo non vado la mattina o mi scioglierei sotto al sole. – ansima come un cavallo - Va bene tesoro, sabato vengo… Sììì… Sì te lo prometto… – sento ogni fibra del suo corpo irrigidirsi quando inizia a riempirmi le viscere di sborra calda - …Vaaahhh… Va bene… Un bacio alla mamma…” e la sua bocca cerca la mia per sfogarci dentro un amore a caso...
Non vuole uscire da quella tana calda che gli ho preparato. Lo lascio lì. E lascio che il seme che non riesco a trattenere imbratti i peli delle nostre gambe appicicandoli. Mi accascio sul suo petto. Mi accarezza i capelli e inizia a raccontarmi della sua bambina e della moglie che sono in vacanza. Sono in campagna da sua sorella, dalla zia.
Ascolto in silenzio accarezzandoti il petto villoso…

Anch’io avevo uno zio…
Avevo te, zio. E ti volevo…
Ma tu non volevi me. Non subito almeno. Ho dovuto attendere due anni da che ti sorpresi a montarti il mio catechista nel capanno del tuo orto…

“Sta’ tranquillo zi’, il tuo segreto è al sicuro!” mi feci la croce sul cuore.
“So che ci sarà un prezzo da pagare per farti tacere…”
“In effetti qualcosa in cambio la vorrei… Diciamo che il mio silenzio è legato al fatto che qualche volta al posto suo… - accompagnai la richiesta con un cenno con il capo - …Ci dovrò essere io…- mi guardasti spalancando gli occhi - …Sì, hai capito perfettamente cosa voglio da te!”
“Tu devi essere impazzito! Io… Io…”
“Tu cosa!? Tu non fai certe schifezze? Non essere ipocrita! Ti ho appena visto in azione! Ti chiedo solo di fare con me ciò a cui ho appena assistito, semplice!”
“Ma… Hai solo sedici anni…”
“E noi non dobbiamo andare a confessarlo al prete! Pensaci: potrai avermi tutte le volte che vorrai!”

E ci hai pensato, appunto due anni. Due interminabili anni nel corso dei quali hai cassato ogni mia iniziativa e vanificato ogni mio tentativo se non di averti, almeno di attirare la tua attenzione...
Ci ho provato in tutti modi, rasentando persino il ridicolo.
Quando venivo ad aiutare te e papà in campagna, facevo apposta a chinarmi per sollevare quel culo che desiderava follemente di essere profanato dalla tua trivella. A fine giornata, mentre ci davamo una sistemata prima di rincasare, mi denudavo stando attento che i pantaloni (sufficientemente stretti) scendessero quel tanto che bastava a farti odorare il profumo del mio triangolino.
Nel corso delle riunioni di famiglia poi, ho cercato di appartarmi con te in mille modi, incurante della possibilità di essere scoperti…
Niente. Non c’era verso… Ma venne l’estate dei miei diciott’anni.
Come da tradizione i miei genitori mi concessero il sabato sera di baldoria con gli amici ma, fiscalissimi, pretesero di organizzare il festone ufficiale con il parentado.
La giornata torrida, trascorse tra vino, risate e abbondante cibo. Ci levammo le magliette per illuderci di non morire di caldo.
“Certo che sembra ieri che te lo tenevi in braccio come a Cicciobbello…” mio padre rise di gusto nel commentare la foto dell’album.
Se solo avesse potuto immaginare quali erano le mie fantasie su di te…
Venne l’ora dei commiati: “Riaccompagno a casa nonna. Tu vedi di non fare tardi, capito?!”
“Sì, pa’! Aiuto lo zio a sistemare e torno!”
Quando ricomparisti dopo la lunga minzione che ti concedesti, avevo praticamente finito di rassettare. Faceva ancora troppo caldo: restammo senza maglietta.
“Ce ne hai messo…” commentai mentre, sulla soglia del capanno, la tua figura possente si stagliava contro la luce del crepuscolo.
“Tanto ho bevuto, tanto ho pisciato…” commentati sistemandosi il pacco. La patta aperta lasciava intravedere un triangolo di slip bianchi. Un richiamo abbagliante nel chiaroscuro della tua sagoma, che creava un curioso contrasto con la scurissima e folta peluria che disegnava un’ampia croce nella zona tra petto e inguine.
Non solo: nella stoffa si delineava la forma del tuo pene a riposo.
“…E tanto ho mangiato… - continuò massaggiandosi gli addominali scolpiti - …Stasera digiuno!”
Ti avvicinasti continuando a toccarti. Non potei fare a meno di notare la lentezza con cui indugiasti nell’azione: c’era un che di sensuale e lascivo nei tuoi gesti.
Deglutii mordendomi un labbro mentre il mio sguardo scese ad indagare quel rigonfiamento tra le tue gambe che si stava paurosamente avvicinando. L’aria intorno a me venne pervasa da quel tipico profumo di maschio, reduce da una bollente giornata estiva.
“Ti piace quello che vedi, eh!? – divenisti improvvisamente serio, quasi astioso – Ti piace!? O preferisci metterci le mani?”
“Io…”
“Che c’è? Che hai? Paura? Vergogna? – e mi afferrasti con una mano – Non ti ricordi com’è fatto il cazzone dello zio? Tieni, palpa...”
Feci per ritrarmi, ma mi ripresi con forza: “Che c’è troia… Ti fa paura adesso? Ti disgusta forse?” una goccia di sudore freddo scivolò lungo la schiena. Ti levasti i jeans in un attimo. La tua mano prese a scorrere sulla stoffa che nascondeva la tua dotazione. L’afferrasti iniziando a soppesarla.
“Zio…” balbettai. Il mio cazzo di neo-diciottenne si stava risvegliando a sua volta: istintivamente mi toccai. Anche tu continuasti a farlo. Vedevo il tuo biscione allungarsi rapidamente nelle mutande, fino a raggiungere una dimensione che non ricordavo.
Er incredulo per quanto stava accadendo.
Sapevo che sarebbe stata una questione di attimi, e non venni deluso: anche l’elastico degli slip si abbassò e il tuo scettro svettò in tutta la sua possenza dinnanzi a me. Mi spingesti ad inginocchiarmi al suo (tuo) cospetto.
“Guardalo… Guardalo per bene… - m’incitò ridendo - …Sembri una cagna affamata davanti all’osso… Ti piace, eh, ti piace quest’osso?”
Annuii. Stavo impazzendo: l’aroma del suo pelo unito ad un vago sentore di piscio, invadeva le mie narici stordendomi.
“E adesso cosa vorrebbe fare la cagna dello zio? Magari toccarlo per sentire quanto è grosso e duro? O vorrebbe infilarselo in gola per assaggiarlo?” si mise a far ballonzolare il salsiccione davanti ai miei occhi sbarrati e alla mia bocca ora aperta per lo stupore.
Me lo appoggiò sul labbro inferiore: era caldo e bagnato.
“Toccalo cagna! - mi ordinò – Era quello che stavi aspettando da due anni… O no!?!?”
Non me lo feci certo ripetere: strinsi le mie dita intorno a quel magnifico, enorme bastone, picchiettamdomelo sulla lingua.
Sospirasti. Sospirai.
Iniziai lentamente a masturbarti mentre con l'altra mano ti afferrai i testicoli gonfi e pelosi.
“Allora, è bello giocare con il cazzone di zio? - mi domandò sarcastico Te lo ricordavi così grosso?”
Avrei voluto gridarti di sì, che me lo ricordavo perfettamente! Ma ero troppo felice ed occupato a gingillarmi con la grossa banana che finalmente mi spingesti in bocca.
Credetti di soffocare. Mi ci volle un attimo per abituarmi alla tua presenza nella mia gola.
Con un movimento rapido mi liberai dei pantaloncini rivelando anche la mia di erezione. Una grossa goccia di liquido pre-spermatico incoronava la punta della cappella. A quella vista, allungasti subito una mano per raccogliere l’aspra lacrima che portasti alla lingua.
“Sì, pare proprio che ti piaccia...” mormorasti.
Mi sfilai un attimo per osservarti. Ti sorrisi e in men che non si dica, spalancai nuovamente le mie fauci assetate di cazzo per riempirmi interamente il palato il succulento pezzo di carne che mi stavi servendo.
Sentire il tuo sapore, la tua mascolinità trasudare dalla tua pelle, mi mandava letteralmente in estasi. Emisi una tale quantità di mugolii che io stesso cominciai a credere di essere la più lurida delle cagne in calore!
“Che brava succhiacazzi che sei… Lo dirò al tuo catechista la prossima volta che viene a trovarmi!” mi staccai nuovamente dal gelato che stavo leccando e gli sorrisi malizioso.
Mi afferrasti per i capelli stringendo forte. Il dolore lo sentii appena, tale era la gioia per il regalo che mi stavi facendo. Fui costretto a lasciar andare il tuo amico perché la tua bocca reclamava la mia.
Mi baciasti furiosamente mentre mi sollevasti da terra per prenderti in braccio.
“Come a Cicciobbello…” mi schernisti mentre il tuo uccello s’infilava tra le mie chiappe strusciandosi tra i peli del mio culo.
Limonammo così avvinghiati finché non mi adagiasti sul tavolo.
Iniziasti il tuo abile lavoro di lingua. Un lavoro che avrei voluto non smettesse mai!
Che meraviglia sentirla passare tra le mie chiappe, fino a quel buchetto che iniziasti a leccare senza pietà.
“Sei proprio una cagna infoiata… - commentò sprezzante – …E so come fare godere le cagne infoiate come te!» continuò staccando le labbra dal mio ano prima di sputarci sopra e spalmare la saliva con un dito. L’intenzione di violare la mia rosellina era chiarissima!
Dopo avermi sollevato le gambe, appoggiandole sulle tue spalle, infilasti lentamente il medio aumentando progressivamente la velocità.
La saliva persa dalla tua bocca colava copiosa lungo il mio pene e le mie palle fino a mescolarsi con il sudore e i miei umori anali prima di raggiungere il suo obiettivo.
Una lubrificazione niente male davvero!
Nel giro di pochi attimi il mio ano fu pronto ad accogliere un altro dito e poi ancora un altro.
Mi ritrovai così con quattro dita infilate completamente nel culo; la velocità con cui mi stavi scopando era superiore a quella che qualsiasi cazzo avrebbe potuto raggiungere.
Io, in estasi completa, non facevo che mugolare come la grande troia che mi sentivo in quel momento.
Mantenendo le mie gambe sulle spalle, afferrasti con entrambe le mani il tuo cazzone accompagnandolo dolcemente verso il mio buco ormai ben dilatato. Lo sentii farsi strada lentamente ed inesorabilmente; l’affondo finale tradì l’ansia di sverginarlo con tutta la ferocia animale di cui fosti capace!
Il fiato mi si mozzò in gola. La vista mi si annebbiò a causa delle lacrime che mi inondarono gli occhi.
Urlai di piacere e dolore quando iniziasti a muoverti dentro di me.
Dapprima lo facesti lentamente, in maniera quasi rispettosa…
Ti sfilasti per poi rifiondarti nelle mie viscere con la medesima crudezza di poco prima. Ripetesti l’azione diverse volte.
“Nemmeno hai perso sangue…” fu il tuo unico commento guardando la tua canna bagnata.
Il dolore che avrei dovuto provare per quella profanazione così violenta, lasciò subito il posto al desiderio di essere scopato con tutta la bestiale passionalità di cui eri certamente capace.
Forse mi leggesti nel pensiero. Almeno così interpretai i grugniti e gli sbuffi che emettesti man mano che le spinte dei tuoi coglioni contro le mie chiappe crescevano di intensità. Il silenzio immoto del capanno ora risuonava del ritmo con cui il tuo pisellone mi stava pompando, riempiendomi completamente. Sentivo le tue palle solleticarmi il perineo fino quasi a fargli male, mentre sbattevano rumorosamente contro la mia pelle ad una velocità impressionante.
Reagii come mai mi sarei aspettato.
“Sì zio, così, fottimi! Sono la tua troiaaahhh… Chiavami! Chiavami tutta… - urlavo senza ritegno, felice del modo in cui finalmente mi stavi facendo godere – Non smettere… Ti prego, non smettereeehhh… Dai… Dai… Vienimi nel culo, daiiihhh!»
“Sì, troiona che non sai altro! Lo zio ti fotte il culo finché non ci sborra dentro! - mi rispose ansimando - Sentirai com'è calda la piscia con cui ti sto per riempireeehhh!»
Non so per quanto andammo avanti a scopare in quel modo gridandoci porcherie simili…
Il tempo smise di avere importanza, o forse corse troppo velocemente poiché, quando giungemmo al culmine, mi parve che tutto si stesse per esaurire troppo in fretta.
Il culo che stavi abusando, quel culo che stavi spanando per regalare ad entrambi il ricordo di quell’incredibile chiavata, presto si sarebbe dovuto separare da te. Lo capii dall'accelerazione che imprimesti alle ultime spinte e ai grugniti bestiali che soffocavi portandoti alla bocca le dita dei miei piedi.
Cercai di osservarti per tutto il tempo che m’impalasti; anche mentre, ad occhi socchiusi, mi smanettavo per provare a venire insieme a te.
Eri divino!
I fiotti del mio seme caldo inondarono il tuo petto, mentre nello stesso istante, le tue ultime spinte si fecero ancora più violente e, con la lingua che ancora venerava i miei piedi, versasti nel mio culo ormai rovente una tale quantità di sborra che arrivò praticamente ad ustionarmi la prostata, amplificando fino all'inverosimile gli ultimi istanti del mio orgasmo.
Sempre restando dentro di me, mi sollevasti abbracciandomi. Le nostre bocche si chiusero l’una sull’altra. Le lingue vorticarono in un dolcissimo bacio leggermente salato prima che la tua si apprestasse a scendere lungo il mento fino al petto per lavare ogni goccia del mio seme che riuscisti a leccare.
Il tuo uccello si ammosciò, sgusciando fuori dal suo pertugio.
“Andiamo a darci una ripulita!” mi rimetti in piedi e, con una violenta mano sulla chiappa, m’inviti e seguirti.

È la stessa cosa che propongo a te, ora che ho finito di non ascoltare quanto sarà bello, domani, ricongiungerti con la tua famiglia in campagna da tua sorella…
L’acqua tiepida lambisce i nostri corpi insaponati.
La tua voglia si riaccende in un attimo e mi fai nuovamente tuo in una sveltina che ti permette di sfogare gli ultimi strascichi di quelle voglie che una corsa all’aria aperta non avrebbe placato mai.
La conclusione della serata è una stanca replica del solito copione: un saluto accompagnato da una promessa che sappiamo perfettamente non sarà mai mantenuta. O forse sì…
Mi affaccio alla finestra per vederlo andare via. Un po’ come te zio…
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