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NADIA - Parte 2


di honeybear
27.05.2013    |    5.858    |    0 9.8
"Giulio emise un gemito leggermente più acuto reclinando il capo e mordendosi le labbra..."
Ancora pochi colpi poi Pier afferrò con decisione il mio bacino per sfilarmi il membro dal culo. Ne osservò per alcuni istanti la dilatazione e raccolse una piccola quantità del liquido prodotto avvicinandomela alla bocca per farmela ingoiare. Si leccò le dita alzandosi a sua volta e mi prese in braccio.
Frattanto Giulio aveva steso il mio telo e i suoi vestiti, sopra una delle scomode panchine in ferro a bordo vasca. Pier mi adagiò con estrema delicatezza sul dorso spalancandomi ancora una volta le gambe e facendomi poggiare i piedi a terra. Con le dita mi sfiorò la vagina fino a solleticarmi la sottile striscia di pelo.
Che strano spettacolo vederlo compiere tutti quei gesti con l’enorme uccello ancora in tiro ed un sorriso dolce e furbo nello stesso tempo. Se quella cappella rossa, quell’asta pulsante, fossero appartenute ad un altro uomo, potevo mettere la mano sul fuoco che avrebbero riversato il loro caldo contenuto su di me nel giro di pochi secondi. L’incredibile autocontrollo del mio direttore invece, aveva preferito posticipare il momento fatidico.
Anche il comportamento di Giulio mi stupì: sotto l’aspetto di mite manutentore si nascondeva un vero toro da monta.
Io stessa mi sorpresi a pensare che non m’importava granché di sapere quanto tempo fosse trascorso da che iniziammo a giocare, e quindi se la piscina di lì a poco avrebbe aperto gli ingressi, offrendo ai clienti quello stuzzicante spettacolo… Tutto sommato non mi sarebbe dispiaciuto essere oggetto delle occhiate morbose lanciatemi da corsisti guardoni e imbarazzati.
Non ebbi molto tempo di perdermi in questi pensieri: un secondo cazzo davvero enorme e duro pendeva sopra la mia testa come una spada di Damocle.
Lo fissai per qualche secondo e sorrisi: l’asta nodosa svettava dal cespuglio di peli neri e ispidi da cui nasceva culminando nel rosso della cappella ancora bagnata dagli umori che non aveva smesso di produrre nonché dalla mia saliva.
Allungai una mano interponendola tra la base del pube e la verga d’acciaio:
“Tutto in bocca…” mi venne suggerito. Ma avevo in mente altro e cominciai a dare dei piccoli colpi verso il basso in corrispondenza della cappella, che fecero sussultare e gemere il proprietario:
“Troia... Ho detto tutto in bocca…” il suggerimento suonava ora come un ordine perentorio.
Il sorriso sul mio viso divenne alquanto malizioso: allungai l’altra mano fino a stringergli dolcemente le palle, abbassandole fino a sfiorare la mia bocca. Soffiai. Giulio emise un gemito leggermente più acuto reclinando il capo e mordendosi le labbra.
Le osservai divertita mentre le giravo e rigiravo accarezzandone il vello scuro: la strizzata le aveva arrossate leggermente. Iniziai a succhiarle come fossero enormi acini d’uva. La mia saliva, facendosi largo nel folto dell’intrico di pelo nero, ne bagnava con la punta la pelle bollente, percependone al contempo la durezza e la voglia di svuotarsi del liquido contenuto:
“Sei proprio una grandissima puttana…” Giulio non immaginava neanche lontanamente quanto le volgarità che mi rivolgeva mi eccitassero. E la cosa stupiva anche me, abituata a vivere la mia sessualità e la mia intimità in maniera più tranquilla e, diciamo, tradizionale.
Più il ragazzo m’incalzava, più la mia lingua agiva in maniera decisa con l’immediata conseguenza di spingere la mia azione oltre il consentito, arrivando a leccargli la zona del perineo. Saziata la mia golosità, decisi di tornare a dedicarmi all’uccello. Feci per ingoiarlo ma Giulio inaspettatamente si spostò lasciando il posto a Pier.
Ripresi il trattamento anche su di lui, producendo analoghi risultati e riuscendo finalmente a soddisfare la mia voluttà con la nuova verga. Succhiai e leccai quell’asta marmorea con rinnovato vigore, senza trascurare di annegarla nella saliva (a ben pensarci, un controsenso per un assistente bagnanti ed un istruttore di nuoto) mentre la lingua di Pier, tra un sussulto e l’altro, si dedicava a strapazzare i miei capezzoli e, più in generale, il mio seno più turgido che mai. La sentivo scorrere decisa nel solco per risalire fino all’attaccatura e da lì scivolare ora su una mammella ora sull’altra finendo a succhiare e mordere i capezzoli come un neonato al momento della poppata.
L’effetto combinato alla medesima azione da parte di Giulio, ma più in basso, fu quello di sentirmi nuovamente bagnata. I succhi prodotti dalla vagina tuttavia non riuscivano a colare tra le cosce: la lingua di Giulio li raccoglieva prontamente per lubrificarmela. Scesi con una mano per aiutarlo a massaggiarmi ma, nel medesimo instante, afferrai qualcos’altro che era pronto ad avvicinarsi alla mia fessura: il suo membro.
Iniziò a farlo scorrere fermandosi ad indugiare prima sul clitoride e poi sull’ano.
Io, continuando a bagnarmi, iniziai ad ansimare di piacere, fremente di godere appieno della sua presenza dentro di me.
I miei gemiti aumentarono quando la punta dell’uccello iniziò ad allargarmi le labbra. Entrò, seguito dal resto dell’asta. Dapprima Giulio iniziò a farlo scorrere lentamente senza arrivare fino in fondo. Il movimento era lento ma implacabile: ogni volta un po’ di più fino a che le sue palle non arrivarono a sbattere sui miei glutei, solleticandoli con i peli.
Cominciò così un gioco di ingresso e uscita che, ad ogni affondo, mi costringeva ad inarcare la schiena portandomi a godere come la vacca che mi sentivo. Lo pregai di non smettere. Mai. A malapena riuscivo a vedere il suo ghigno, e gli scambi d’intesa con colui che stavo spompinando, mentre i colpi si facevano via via più serrati. Venni. Una, dieci, cento volte… Non così i due maschioni che, nuovamente, si arrestarono.
Credendo d’intuire i loro nuovi piani, provai ad anticiparli. Mi alzai massaggiandomi le tette, nell’istante stesso in cui Pier si sdraiò sotto di me. Pronta a dedicarmi nuovamente a quel cazzo glabro, mi piegai a novanta pensando così che Giulio riprendesse a scoparmi. Mi sbagliavo.
“Adesso io te lo metto nel culo e Pier di scopa la figa…” mi sussurrò il ragazzo solleticandomi la schiena con il petto villoso mentre le mani tormentavano i capezzoli duri.
Assentii e mi preparai a quella che, ero certa, sarebbe stata un’esperienza sconvolgente.
Mi posizionai dunque sopra Pier e, piegandomi sulle ginocchia, scesi su di lui a smorza candela infilandomi completamente quel meraviglioso cazzo svettante: lo sentii spalancarmi le labbra, solleticarmi il clitoride mentre, fiero, si faceva strada dentro di me. Iniziai a muovermi a mio piacimento, decidendo anche fino a che punto farmi penetrare: salivo, scendevo, roteavo il bacino stropicciandomi il seno, in un turbine di emozioni che difficilmente sarei riuscita a descrivere ma che, speravo, avrei conservato nella mia memoria infinitamente.
Poi le mani di Pier mi afferrarono il bacino, guidandomi fin quasi a farmi sdraiare sopra di lui. Iniziò un vorticoso gioco di lingue: splendido diversivo in attesa del numero finale.
Il mio desiderio cresceva ed io ero sempre più stupita di me stessa mentre intrecciavo la mia lingua con quella di Pier.
Ancora una volta gli eventi mi distolsero da quei pensieri. Sentii le dita Giulio raccogliere i miei umori dalla figa per ungermi il buco del culo:
“Non male...” sogghignò.
Il primo dito entrò con facilità (del resto dopo la penetrazione anale di Pier un minimo di dilatazione doveva essersi mantenuto), seguito dagli altri due che, come in precedenza, servirono a distribuire il lubrificante raccolto:
“Brava, così… Rilassati… E vedrai quanto ti faremo godere”.
Mi girai strizzandogli l’occhio: non vedevo l'ora. La sua libidine si esaltò ancora di più!
Percepii il suo cazzo appoggiato al mio sfintere. Iniziò a premere. Dapprima lentamente. Le pareti del fragile anello di carne cedevano, allargandosi progressivamente. Sentii i tessuti tendersi, spaccarsi quasi, in un incredibile mix di dolore e piacere. La cappella entrò per intero. Lentamente, ma perentoriamente seguita dal resto. Ancora dolore. Ancora piacere.
Gemetti. Ansimai continuando a muovermi sopra Pier.
I miei movimenti facilitarono così l’accesso definitivo del secondo membro dentro me. Ci fermammo un attimo: dovevo abituarmi a quelle sensazioni. Niente più dolore. Ora solo piacere.
Mi sentivo in estasi, come ubriaca: un poderoso uccello riprese a scorrere tra le pareti della figa estasiandomi, mentre un secondo, produceva un effetto altrettanto stordente, all’interno delle mie viscere spingendosi fino al retto.
Non riuscivo a smettere di mugolare. Credo che iniziai addirittura a gridare:
“Te l’avevo detto che avresti goduto come la troia in calore che sei… Una troia con i fiocchi. Davvero!”
Senza reticenza né pudore, incalzata dalle parole di Giulio, li esortai a darmi il massimo del piacere: “Così! Più forte! Continuate…”
Li vidi scambiarsi l’ennesima occhiata d’intesa compiaciuta: stavano facendo un lavoro egregio. Niente da dire!
Continuarono quel gioco di spinte feroci e decise a lungo; al culmine del godimento sentii la mia passera iniziare a contrarsi in maniera così violenta da provare quasi un senso di fastidio nel mantenere l’uccello di Pier dentro di me: era come se mi stesse prima troppo stretto per diventare subito dopo, troppo largo. Erano semplicemente le sue pulsioni che, all’interno del mio canale di donna, si amplificavano come l’eco in una caverna: mi annunciavano che quel gioco piacevolmente perverso stava per concludersi. La stessa sensazione me la comunicava l’uccello che mi stava impalando.
Io stessa non avrei retto a lungo: la durezza dei seni e dei capezzoli, in alternanza ostaggio delle mani di Giulio, della bocca di Pier o di entrambi, me lo indicavano.
Al culmine del piacere, nell’istante di massimo godimento reciproco, sentii giungere la prima scarica. Contrassi leggermente l’ano e strinsi le sue chiappe contro di me:
“Ma checcazzo… - sentii imprecare da dietro. Una risata sommessa – Sei davvero una gran mignotta…”
Non volevo perdere la sensazione che si prova nel sentirsi inondare le viscere da un fiume caldo ed incredibilmente ricco, quale quello che, violento, si rovesciò in me. Giulio ruggiva come un leone mentre, dando gli ultimi colpi, finiva di svuotarsi.
Fu poi la volta di Pier che, sfilando proditoriamente l’uccello, pensò bene di completarne la masturbazione tra le mie tette. I fiotti di sborra uscirono così violenti che mi schizzarono totalmente il viso, accecandomi:
“Pulisci tutto con cura, troia!” mi ordinò asciugandosi con la mano il sudore che gl’imperlava la fronte. Diligentemente ubbidii dissetandomi di quella crema ancora tiepida e dal sapore acre: la raccolsi a piene mani che leccai infilandomi tutte le cinque dita in bocca. Con lo sguardo cercai la sua approvazione: sorrise.
Venne infine il turno degli uccelli. Me li avvicinarono entrambi ed in questo modo fui costretta a prenderli in bocca, lavandoli con una generosa insalivata. Li estrassi per dedicarmi infine alla pulizia di ciascuno. La leggerezza con cui eseguii il compito assegnatomi, fu ricompensata da baci e carezze estremamente piacevoli.
Fu così che mi accompagnarono fino al corridoio degli spogliatoi dove ci separammo. L’ennesima serie di scurrilità accompagnò l’invito ad unirmi a loro, ma davvero non potevo: i miei pazienti mi aspettavano ed il pomeriggio sarei stata nuovamente lì, sul piano vasca, questa volta con la mia bella divisa blu addosso.
“Buona giornata allora!” mi salutò Pier strizzandomi l’occhio.
“Beh, se il buongiorno si vede dal mattino, sopportare Andreoli sarà un gioco da ragazzi quest’oggi” e sorridendo scomparii.
- CONTINUA -
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