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Gay & Bisex

Il Novizio 5


di honeybear
16.06.2019    |    13.182    |    5 9.6
"Il suo indice disegnò la sagoma dei miei capezzoli per poi correre veloce lungo la linea dell’addome..."
I giorni seguenti furono un incubo. Dopo quanto accaduto nell’ufficio del priore avevo paura a muovermi tra le mura dell’abbazia. Mi sentivo gli occhi di chiunque addosso: anche solo salutare i confratelli nei corridoi mi disturbava. Avevo l’impressione che ognuno di loro si sentisse autorizzato a chiedermi prestazioni sessuali in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo.
Non che la cosa mi sarebbe spiaciuta. Ed era questo stato d’animo a devastarmi psicologicamente: non riuscire a stabilire un confine tra la mia fede e la mia libido.
“Siamo tutti concordi nel ritenere che sia il caso che ti prenda un periodo di riposo e riflessione – come sua abitudine il Priore unì le punte delle dita mentre mi parlava con la sua solita pacatezza - Soprattutto in vista del momento solenne della tua definitiva consacrazione. È deciso: partirai con fratel Ettore per il nostro eremo!”
Accettai di buon grado quella risoluzione, sebbene mi preoccupava la scelta di accompagnarmi al mio padre spirituale. L’intimità che si era instaurata tra noi, unita alla chimica che si innescava al solo sfiorarci era molto più che pericolosa. E all’eremo saremmo stati soli. Soli e liberi. Ma quelli erano gli ordini e non si potevano discutere.
Un sole caldo accompagnò il nostro arrivo alla modesta architettura, in parte scavata nella roccia che dominava un paesaggio mozzafiato a picco sul fiume che scorreva a tratti placido tra la fitta vegetazione.
Due sagome ci si fecero incontro.
Guardai incredulo Ettore che mi aveva taciuto il fatto.
Sorrise prima di spiegare: “Devi sapere che la custodia e la manutenzione del luogo avvengono a rotazione tra i discepoli dell’ordine dei vari conventi sparsi nel Paese. Dunque prima o poi sarebbe toccato anche a noi: abbiamo solo fatto di necessità virtù!”
Le due sagome mi parvero la nostra fotocopia. Erano a torso nudo. Le spalle curve sotto il peso delle ceste che portavano, delineava perfettamente la cesellatura dei muscoli allenati dal duro lavoro che certamente stavano compiendo. Anche il petto teso da cui il sole rapidamente asciugava le gocce di sudore, rivelava le fatiche quotidiane.
Il più maturo dei due appoggiò il suo peso a terra per abbracciare la mia guida.
“Che piacere poter ritrovare in un luogo tanto caro a Dio un beneamato fratello!”
“Sandro… Il piacere di rivederti è reciproco!” le mani ruvide di Ettore accarezzarono i lineamenti forti del frate per poi stringersi con veemenza. I baci sulle guance conclusero la ritualità del ritrovarsi di due amici a lungo lontani.
“Questi è Bruno – si affrettò a presentarci Fratel Sandro – Come immagino il tuo discepolo, è venuto quassù a cercare il conforto necessario ad affrontare con serenità l’ultima parte del percorso che condurrà entrambi alla Gloria dell’Altissimo!”
La calorosa stretta di mano al taciturno giovane, concluse le presentazioni.
“Bando alle ciance dunque! Vi mostreremo le vostre celle così potrete sistemarvi!”
“Perfetto. Posiamo le poche cose che abbiamo portato con noi e veniamo subito ad aiutarvi!”
“Il solito irruento! Guarda l’orologio fratello. – disse Sandro sorridendo - È ormai l’ora sesta. Vi aspettiamo nel refettorio per lodare e ringraziare Nostro Signore! Solo dopo potrete dedicarvi alle attività lavorative.”
“Lascia almeno che ti aiuti a portare questa… - feci per sollevare il cesto colmo di frutta ma la mano forte di Bruno mi fermò all’istante – Avrai tutto il tempo per farlo!” mi sorrise da dietro gli occhi scuri come il resto del pelo mentre le nostre braccia si sfioravano.
Ci avviammo.
L’interno dell’eremo era piacevolmente fresco.
Una lunga e stretta scala in pietra conduceva alle celle.
Mi venne mostrata la mia da Ettore.
L’ambiente era spoglio. Solo lo stretto necessario, per non cadere in tentazioni: sotto la piccola finestra un semplice giaciglio con il comodino accanto, più in là un inginocchiatoio di fronte ad uno specchio. Lo fissai a lungo.
“Sorpreso?” Fratel Ettore si posizionò alle mie spalle mentre osservavo il nostro riflesso.
“Affatto!” risposi prontamente. Le sue mani agirono rapide nello sbottonarmi la camicia lasciandola volare a terra.
“Bene…” mi cinse al petto facendomi arretrare per far aderire meglio il mio corpo al suo.
“Dal libro della Sapienza. – iniziai a recitare - Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio…”
“Continua…” la stoffa del suo saio pungeva tremendamente la pelle liscia della mia schiena.
“…Allora… - I miei pensieri cominciarono ad annebbiarsi, concentrati com’erano sulla sua lingua che prese a lambirmi l’incavo del collo. - …Allora invece vedremo faccia a faccia...” fissai la nostra immagine deglutendo.
“Molto bene…” Mi abbandonai completamente a lui. Sbuffai mentre la sua mano scivolava lungo l’addome piatto infilandosi nei pantaloni. Allentò delicatamente la cintura e li sbottonò per calarli insieme agli slip. Con un calcio li allontanò.
“Continua…” sussurrò.
“…Ad… Adesso conosco in modo imperfetto… – faticavo a mantenere la concentrazione: le carezze a livello del pube mi rendevano tutto maledettamente difficile - …Ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto…”
Ero totalmente in sua balia. Sua e del desiderio peccaminoso che pervase entrambi, sadicamente replicato dalla lastra di cristallo.
Sospirò tra i miei capelli accarezzandoli mentre soppesava il sacco scrotale.
Delicatamente mi scappellò. Indugiò con le mani sul prepuzio per tormentare poi il sottile filo del frenulo. Mi dimenai per il fastidioso piacere provato mentre vedevo le sue mani impiastricciarsi del liquido filamentoso che sgorgava dal piccolo orifizio in cima. Poi la mano corse lungo l’asta accarezzandola a lungo.
“Assaggia… - due dita forzarono le mie labbra ad accoglierle per farmi assaggiare il sapore dolciastro del mio liquido prespermatico - Senti com’è duro…” bisbigliò continuando a limonarmi.
Non capivo a quale dei due uccelli in tiro si riferisse… Semplicemente ero lì. Inerme a guardare il suo lavoro di mano, incapace della minima reazione. Ci pensò lui.
Si spogliò velocemente del saio e dell’intimo esibendo fiera anche la sua enorme erezione.
La mia mano venne indotta ad afferrarla dall’alto. Scese dapprima lentamente verso la radice perdendosi tra i peli caldi per risalire più veloce e bagnarsi sul suo glande umido. Ci massaggiammo per pochi istanti: “Lascia… - i suoi sospiri si fecero sempre più affannati - Finisco io!”
Prima di sentirlo esplodere nell’urlo liberatorio del piacere mi ritrovai con i gomiti appoggiati all’inginocchiatoio. Il ruggito che placò definitivamente l’animale fu accompagnato dalla violenta lacerazione del mio buchino inerme e per nulla lubrificato. La penetrazione tanto rapida quanto inaspettata, riversò nelle mie viscere tutta la sborra che i pochi perversi attimi di piacere gli avevano regalato.
Lo vidi accosciarsi. Non aveva ancora finito. Mi tormentò dapprima con le dita. Raccolse il seme che non ero riuscito a contenere per spingermelo dentro. Il resto lo spalmò con la cappella prima di penetrarmi ancora e ancora. Quando si fu saziato a sufficienza di me, mi si parò davanti: “Leccalo per bene!” ubbidii. Lo sentii ammosciarsi nella mia gola mentre l’odore acre del suo umore si mischiava alla mia saliva.
Un lungo bacio suggellò la fine dell’amplesso.
Ci ritrovammo nel refettorio. Il tempo del pranzo fu scandito dalle preghiera di sesta.
Aiutai Bruno a rassettare. Non scambiammo che poche parola riguardo le regole che governavano la conduzione dell’eremo. I suoi occhi scuri e indagatori mi radiografarono per tutto il tempo. I miei credo fecero lo stesso: non era semplice sottrarsi al fascino emanato da quella figura di ragazzo per bene che pure...
Ed io?
Paragonato a lui potevo tranquillamente considerarmi le meretrice dell’Apocalisse, non certo la Maddalena la cui fede in Cristo riuscì a redimerla...
“Cosa ti turba?” mi chiese in tono gentile apprestandosi a porgermi la zappa per sistemare le zolle nell’orto.
“Pensieri...”
“Buoni o cattivi?” gli occhi scuri mi parvero brillare maliziosi.
“Preferisco non rispondere” e presi a zappare.
“Capisco. Come capisco il fatto che, se come me sei stato invitato a raggiungere questo posto, la tua fede non è salda…” mi fermai appoggiandomi al manico di legno.
“Io… Io…” mi sorrise bonariamente protendendosi verso di me. Lascai cadere l’attrezzo.
Eravamo uno di fronte all’altro. Ci guardammo intensamente.
La sua mano scivolò per prima sul mio petto. Il suo indice disegnò la sagoma dei miei capezzoli per poi correre veloce lungo la linea dell’addome. Uncinò l’elastico dei pantaloncini allargandoli leggermente. L’altra mano frizionava rapida il rigonfiamento che tendeva la stoffa dei suoi.
“Noi… Noi non…”
“L’unica cosa che so di noi è che vogliamo conoscerci… Che importa se cominciamo dalla carne invece che dallo spirito?”
Lo lasciai fare. E mi lasciò fare. In un attimo lo privai del poco che indossava e mi inginocchiai di fronte al suo uccello duro. Strinsi la grossa bisaccia pelosa nella mano tirandola verso il basso e presi in bocca il resto. Lo scappellai con la lingua, subito inondata dal suo umore dolciastro.
Mi affannai su quella minchia a lungo, strappandogli mugolii e spasmi che si persero nella campagna calda e assolata con il frinire delle cicale.
Mi sollevò dolcemente e mi condusse verso un albero.
Due scopate in meno di due ore… Un record.
Mi fece appoggiare saldamente al tronco dopo avermi fatto curvare leggermente in avanti.
Chiusi gli occhi pronto a ricevere anche quel secondo inaspettato regalo.
Sentii invece tirare il mio uccello durissimo verso dietro. Il dolore dell’erezione costretta a piegarsi si mischiò con il piacere offertomi dal suo lavoro di lingua che massaggiava cappella e frenulo, e dal pollice che, scivolando lungo il solco peloso, giunse alla meta ambita.
Sentii il mio buco eccitarsi nuovamente e contrarsi sempre più velocemente. Mi voltai in cerca del suo sguardo che incontrai fiero mentre il mio cazzo scopava la sua gola. Il suo dito riuscì infine ad aprirmi il culo: al pollice si sostituirono indice e medio che, metodici, sollecitarono a lungo la prostata già seviziata.
Sbuffai ansimando. Avrei voluto non smettesse mai.
Invece si fermò per montare sopra di me.
Non mi penetrò. Al contrario si limitò a simulare una scopata. Il suo cazzo scivolò lungo il perineo sbattendo sulle palle. Si muoveva lentamente.
“Mi piace sentire i tuoi peli che massaggiano la mia cappella… - mi bisbigliò in un orecchio prima di mordicchiarmelo - …Ma dobbiamo pensare anche a te!”
Lo sentii afferrare il mio glande e scappellarlo con forza.
“Posso fare a meno di sputare sulla mia mano! – mormorò sorridendo - …Gronda umore come non ho mai visto fare!”
Le sue dita, ben lubrificate dall’abbondante libagione, non ci misero molto a farmi venire.
Bruno fece appena in tempo a farmi voltare appoggiandomi al tronco. Non ebbi neanche la necessità di toccarmi. Uno spasmo violento mi squassò nel momento esatto in cui i getti caldi gli inondarono il ventaglio scuro sul petto.
Rimase a lungo a giocare con il mio glande bagnato: lo strizzò per mungergli fino all’ultima goccia di sperma prima di infilarselo in bocca.
“Devo… Devo pisciare…” ansimai.
Non si mosse. Accolse nella sua bocca le prime gocce calde per poi sfilarsi rapidamente lasciando che la pioggia dorata lambisse il suo petto mischiandosi a quanto già avevo rovesciato sopra.
Continuando a masturbarsi si godette fino all’ultima goccia dell’urina che lo bagnò. Il rigagnolo che si era formato a terra tra i suoi coglioni venne alimentato dallo sperma caldo che sgorgò dal suo orifizio seguito a ruota dal piscio caldo che, ovviamente, non mancò di farsi scivolare addosso.
Gli detti una mano ad alzarsi.
Ci avviammo verso la cisterna dell’acqua per darci una ripulita veloce. Riprendemmo a lavorare in silenzio meditando, ancora una volta, su quell’ennesima giornata di perversione e spiritualità…
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