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Prime Esperienze

Come tutto è iniziato


di SalBsx
24.02.2024    |    56    |    1 6.0
"Stavo quasi per buttarla via, ma la sensazione entusiasmante che aveva scatenato mi portò invece a stirarla, stenderla, ripiegarla per bene e dato che non..."
Una sera, mentre le mie Peccatrici se la stavano gustando e io cercavo di decidere a quale delle due metterlo in culo per prima (la scelta è poi caduta su Messalina ma solo perché essendo quella sopra, era la più comoda), ha cominciato a girarmi in testa una domanda che poi mi si riproponeva ogni volta che, vuoi dal mio cliente, vuoi dal cuoco runner, vuoi mentre rispettavo uno dei miei “contratti a chiavata”, ero io a prenderlo. La domanda era questa: quando avevo cominciato ad appassionarmi al cazzo? Mi veniva sempre spontaneo rispondermi: al liceo! ma, dato che circa 25 anni fa c’era stato quel maledetto incidente che mi aveva fatto perdere o confondere molti ricordi, sapevo bene che non era la risposta corretta ed infatti, quando un giorno mi è capitata tra le mani una vecchia fotografia con un me fresco tredicenne seduto nella cabina di un trattore, mi sono accorto che il dubbio era lecito e tutto mi è tornato in mente all’improvviso. Fin da bambino passavo le mie vacanze nella “fattoria” di certi lontanissimi parenti, assieme ad un ragazzo di pochi anni più grande che pur non essendolo, per me era sempre stato mio Cugino. Conoscevamo ogni angolo, giocavamo e scorrazzavamo tutto il tempo in quell’enorme proprietà e ci bastava solo essere sempre assieme che i “non Zii” ci lasciavano andare ovunque volessimo. Una volta però, mentre lui doveva ancora finire di fare i compiti, io presi la bici e andai da solo a fare un giro. Ero quasi arrivato in cima ad una collinetta quando qualcosa attirò la mia attenzione, saltai giù e quando aprii la palla di carta colorata che avevo raccolto, vidi da un lato l’immagine di un uomo tutto nudo e dall’altro, il primissimo piano di un Coso (era così che chiamavo il cazzo a quei tempi). Stavo quasi per buttarla via, ma la sensazione entusiasmante che aveva scatenato mi portò invece a stirarla, stenderla, ripiegarla per bene e dato che non avevo tasche, ad infilarmela nelle mutande. Pedalai con l’idea fissa di andare a nasconderla in quello che consideravo il posto più sicuro che conoscessi ed imboscata la bici, convinto che nessuno mi avesse visto tornare, andai in fondo alla vecchia legnaia dove guardai e riguardai quella pagina stropicciata fin quando, non appena infilata la mano dentro gli slip, me la vidi sottrarre sentendomi dire che per fare ciò che volevo fare, era molto meglio tirar giù anzi via, tutto. Cercai di negare l’evidenza e di giustificarmi inventando balle di ogni tipo ma il mio “non Cugino” mi zittì dicendomi che non c’era nulla di cui vergognarmi perché essendo io maschio, stavo solo facendo una tipica cosa da maschio ma poi mi rimproverò aggiungendo che, essendo noi due amici ed entrambi maschi, avrei dovuto dirgli che volevo fare quella classica cosa che facevano spesso i maschi. Mi spiegò che per i maschi era normale fare assieme ad altri maschi, quella cosa da maschi che volevo invece fare da solo, mi disse che tra amici maschi era molto meglio fare le cose da maschi assieme ad altri maschi piuttosto che da soli e ribadì più volte, che essendo noi due sia amici che maschi avrei dovuto dirglielo anzi, che si aspettava che glielo dicessi perché essendo noi due maschi…due maschi, certe cose da maschi era un classico, anzi era anche doveroso, farle insieme ad altri maschi specialmente poi se quei due maschi erano due amici e anche due maschi! Frastornato da quel fiume di….maschi, non ebbi neanche il tempo di capire cosa stesse dicendo davvero che tutto mi finì tra le dita e mi si sparse nelle mutande in meno di un attimo. Alzando gli occhi al cielo, mi compatì dicendo che mi ero proprio meritato ciò che mi era appena successo che cosi imparavo, ma dopo avermi assicurato che non era arrabbiato con me, mi promise che una volta o l’altra mi avrebbe spiegato lui come funzionava la “Faccenda” di quella cosa da maschi che era meglio fare assieme ad altri maschi poi stracciò quel residuo di rivista, che bruciò nel camino, e per quell’anno tutto finì li. L’estate successiva ci ritrovammo e anche se eravamo cresciuti entrambi, lui più di me, ricominciammo subito a comportarci come fossimo ancora due bambini. Un giorno, mentre eravamo in giro in bici, ci sorprese un temporale assurdo che ci costrinse a rifugiarci, bagnati fradici ed infreddoliti, in un vecchia ed inutilizzata casetta dove lui, che come diceva sempre ci sapeva parecchio fare in quelle cose, riuscì ad accendere il camino. Steso un filo tra due sedie si spogliò, e dopo aver appeso i suoi vestiti si girò verso di me col Coso (ancora lo chiamavo così) impettito e mi chiese se non fosse meglio un maschio nudo dal vivo piuttosto che uno in fotografia. Ribadendo che non c’era nulla di cui vergognarsi perché stare nudi tra maschi era una cosa normale che tra maschi si faceva, prima mi suggerì di chiudere la bocca altrimenti ci sarebbero entrate le mosche, poi mi invitò a vestirmi come mamma mi aveva fatto e quando alla fine fui nudo anche io, mi rifece la domanda. Avendo finalmente ricevuto una risposta, peraltro positiva, mi ricordò della promessa che mi aveva fatto l’anno precedente, quindi mi disse di stare bene attento e fare esattamente come faceva lui. Irretito e senza mai togliergli un solo istante gli occhi dall’uccello (cominciai finalmente a chiamarlo cosi anche io), fu quel giorno che imparai a farmene una come si deve e se me le faccio così ancora oggi, è solo grazie a lui. Chiesto e ottenuto dopo un ovvio sopralluogo del “non Zio”, il permesso di pulire, sistemare e usare quel piccolo fabbricato semi nascosto tra le vigne, passammo le tre settimane successive a lavorarci. Iniziavamo a petto nudo per poi finirci rapidamente del tutto e va da sé che vista l’età, le soste per le Faccende da maschi da fare assieme ad altri maschi, erano piuttosto frequenti. Un giorno, dopo esserci scambiati la solita occhiata che voleva dire che la Faccenda andava sbrigata urgentemente, presi fiato e coraggio e gli proposi quell’idea a cui ormai pensavo da tempo e lui, semplicemente, mi prese la mano e se la mise sull'uccello. Fu così che ne toccai un altro per la prima volta e che cominciammo a scambiarci quello che da quel momento in avanti diventò “il Favore”. Organizzammo un piccolo rinfresco a base di caramelle, patatine, mini panini e bibite super gasate ed inaugurammo la casetta proprio il giorno in cui venne scattata la foto col trattore poi, non appena i “non Zii” furono fuori vista e a distanza di sicurezza, salimmo di corsa sul terrazzino dal quale facemmo la gara a lanciare il più lontano possibile tutto ciò che indossavamo. Per verità storica occorre ammettere che vinse lui, in quanto le sue mutande finirono sulla siepe giù sotto mentre le mie, per colpa di un inesistente ma forte vento che ovviamente non c’era mai stato, caddero miseramente sulla ringhiera ancora fresca di vernice. Entrambi, ma più io in verità, non vedevamo l’ora di farci un Favore ma dato che per una giornata cosi speciale occorreva qualcosa di altrettanto speciale, mi chiese di pazientare. Scese giù e ritornò col suo zainetto biancazzurro dal quale tirò fuori una rivista ancora incellofanata, che chissà dove come e quando si era procurato e manco a dirlo, ci buttammo immediatamente e avidamente a sfogliarla e fu proprio dopo aver…letto diverse pagine che candidamente gli chiesi se non facesse male ma soprattutto, cosa avrebbero fatto quei tipi dopo essere rimasti senza uccello visto che gli era stato appena mangiato. Lui scoppiò a ridere e senza aspettare che mi venisse in mente di dire qualche altra scemenza delle mie, si mise a fare “Merenda” ed essendo già esperto (me lo confidò però più avanti), mandò anche giù ed io, per non essere da meno e più che certo che facesse solo bene (me lo confidò invece immediatamente), feci lo stesso poco dopo. Per tutto il resto di quell’estate, per capirci l’un l’altro, ci dicevamo che c’era la Faccenda di fare i compiti, ci chiedevamo il Favore di darci una mano a ripassare; ovviamente non matematica o geografia ma bensì anatomia applicata; e a quella povera ingenua della “non Zia”, che felice di saperci così studiosi non immaginava che in verità, avevamo già incorporato tutto quello che ci serviva, chiedevamo sempre di prepararci la Merenda. Una sera, dopo una vittoriosa partita a carte, andammo ognuno nella propria stanza ma io, quasi già sapessi, non indossai il pigiama e mi rannicchiai sul fianco sinistro obbligandomi a non dormire e non appena al piano di sotto, iniziò il concerto delle motoseghe lui entrò, si infilò sotto al lenzuolo ed incollandosi a me già nudo, mi fece sentire cosa succede sempre poco prima che inizi la Faccenda. Mi chiese se mi stesse dando fastidio e alla mia risposta negativa, il suo uccello mi finì dentro gli slip e mi si adagiò proprio nella riga esattamente, ma non certo inavvertitamente, come era già successo una settimana prima quando mi raggiunse sotto la doccia per insegnarmi ad usare il rasoio senza poi dover dare a tutti l’impressione che avessi le pulci nelle mutande. Mentre la sua mano destra cercava e trovava facilmente ciò che desiderava trovare, mi domandò sottovoce se mi ricordassi di quella pagina in cui… Mi schiarii la voce e senza nemmeno farlo finire, gli dissi che la “Questione” andava sistemata già prima ma che volendo, andava bene chiuderla anche in quello stesso momento. Rise tantissimo, ma in silenzio, del mio azzardo poi spostò il lenzuolo, mi fece un Favore e dopo essersi gustato la Merenda di mezzanotte, ma prima che finissi di farla anche io, mi spiegò bene che cosa bisognava fare per risolvere quella Questione. L’indomani mattina rubammo mezzo panetto di burro e pedalando come pazzi per non farlo sciogliere, arrivammo alla casetta. Chiusa la porta e buttati i pantaloncini; la maglietta era già volata via dopo la prima curva mentre le mutande, come da accordi notturni, erano rimaste direttamente nei cassetti; salimmo affannati ed eccitati sulla piccola terrazza dove, dopo aver studiato attentamente tutti i capitoli del nostro libro mastro, facemmo bim bum bam al meglio delle tre e la regola fu: chi perde...vince. Persi abilmente io perché sapevo bene quali “numeri” era abituato a giocare e anche se il burro si era ormai sciolto quasi del tutto, prima di pranzo riuscimmo comunque a dirimere l'annosa Questione. Dopo aver ripassato certi capitoli che quel mattino ci erano risultati piuttosto ostici, da quello stesso pomeriggio e fino all’ultimo secondo utile di quell’anno meraviglioso, di Questioni ne sbrogliammo altre, e poi altre e poi molte altre ancora e fu così, che chiaramente ben prima del famoso giorno del diploma cercai, colsi e sfruttai l’opportunità e l’occasione di fare “Esperienza”. Quando ci salutammo mi fece gli auguri per il liceo (che per me sarebbe iniziato di li a pochi giorni), mi disse di studiare, di trovarmi nuovi amici e magari anche una bella fidanzatina e strizzandomi l’occhio mi raccomandò di non lasciare mai nessuna Faccenda in sospeso, di non rifiutarmi mai di fare Favori, di fare spesso Merenda, di risolvere sempre le Questioni che mi si sarebbero presentate e di non dimenticarmi mai di fare quanta più Esperienza mi fosse possibile. Passammo assieme anche l’estate successiva che però purtroppo, fu l’ultima (si era appena diplomato, prima di fine anno trovò lavoro e fidanzata e non venne più) ma che per fortuna fin dal primo giorno, fu anche piena di normali Faccende e Questioni da maschi da fare con e tra maschi. Fu il mio “non Cugino” ad insegnarmi a dormire nudo e ad odiare peli e mutande, fu lui a spiegarmi che non c’era nulla di male o di sbagliato a “Questionare” sia con le femmine che con i maschi facendo sia il maschio che la femmina stessa e che interpretare di volta in volta o magari anche nella stessa occasione, sia un ruolo che l’altro era normale e anzi, più che giusto, imparai da lui che stare davanti o dietro, sopra o sotto (io però preferivo e preferisco ancora essere quello che sta sia sotto che davanti), era lo stesso e che essere in due andava bene ma che se si era di più era anche meglio. Fu lui a svezzarmi e se oggi sono quello che sono e faccio quello che faccio, lo devo solo a lui e non certo a quell’arrogante stronzo del mio ex compagno di classe che fu solo un ripiego ma che invece, ancora oggi, continua a credere di essere stato il primo ad iniziarmi a certi piaceri.
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