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Gay & Bisex

Quella volta, ...a Poggioreale (1)


di masogay1
15.03.2011    |    31.351    |    2 8.3
"Rispondo, ma dall’altro lato, con fare villano mi dicono: ”Carabinieri! Apra!”..."
QUELLA VOLTA A POGGIOREALE… (1)


E’ stato qualche anno fa, allora avevo poco più di trent’anni.

Una sera di un caldissimo luglio, venerdi, ero da poco tornato a casa dal lavoro, e stavo per mettermi comodo, fare una doccia, e prepararmi qualcosa per cena, poiché ero solo in casa, essendo mia moglie già in vacanza, non avendo figli, e quindi nemmeno particolari incombenze da sbrigare.

Avevo deciso di raggiungerla ad Ischia l’indomani, poiché mi ero liberato troppo tardi ed avevo perso l’ultimo aliscafo. Ero infatti molto impegnato in una direzione dei lavori complessa, che effettuavo dopo aver redatto un progetto molto importante. L’impresa esecutrice era in odore di Camorra, e moltissime erano le pressioni politiche volte a recuperare un po’ di soldi in giro.

Fu allora che squillò il citofono: pensai: “chi sarà a quest’ora?”. Rispondo, ma dall’altro lato, con fare villano mi dicono: ”Carabinieri! Apra!”.

In pochi minuti, la mia vita divenne un incubo: ricordate il film con Alberto Sordi: “Detenuto in attesa di giudizio?”. Il tempo di guardare dalla finestra, la strada pullulava di lampeggianti blu, almeno sei auto, e nel frattempo il capannello di curiosi si estendeva a macchia d’olio.

Bussano al campanello, apro. Mi si para davanti un Maggiore, circondato da due agenti in divisa, e c’erano altri quattro agenti in borghese, tutti, tranne il graduato, poco più che ragazzi.

Mi venne esibito un foglio, con un decreto di perquisizione, ed ecco che tutti si sparpagliavano, come cavallette, nella mia casa, rivoltandola come un guanto. Tempo un quarto d’ora, tutto era compiuto: la casa in uno stato pietoso come quando visitata dai ladri, diversi faldoni di carte del mio studio pronti per essere portati via.

Ad un ordine del maggiore, i due in divisa prendono i faldoni e vanno via. A quel punto, la frase da me più temuta: “Lei è in stato di arresto, cinque minuti per preparare una borsa con un po’ di biancheria. Mi consegni il cellulare, da questo momento non può avere contatti con nessuno. Provvederemo a contattare per lei l’avvocato che ci indicherà”

In trance buttai qualche mutanda e camicia in una borsa… pochi istanti, mi guardo intorno ed esclamo: “sono pronto!”

In maniera brusca uno dei ragazzi (all’epoca non pensavo ancora alla omosessualità), mi agguanta e con fare esperto mi ammanetta: così da vicino, frastornato, notai un gran pacco sotto i jeans, ed un forte profumo di uomo. Perplesso, restai incuriosito, ma immediatamente venni trascinato via, in strada, circondato dagli agenti.

Attraversai l’ingresso del palazzo, ed all’uscita dal portone, mostrato come un trofeo, rabbrividii di vergogna: tutte le persone richiamate dal clamore mi guardavano; tutti mi conoscevano. Strattonato, attraversai due ali di folla che mormorava e fui fatto salire su un’Alfa 156, circondato da due degli agenti che mi avevano prelevato, che sgommando, partì a sirene spiegate.

Non riuscivo a parlare! Stretto fra i due, sentivo il calore dei loro corpi che mi circondava, e l’odore di uomo che emanavano che mi penetrava nelle narici, ma non riuscivo a rendermi conto di cosa accadesse!

In pochi minuti, era sera tardi, la gazzella attraversò la città, e si fermò ad attendere davanti ad un grande portone che si doveva aprire. Sull’architrave c’era un cartello sinistro: “Carcere di Poggioreale…”

La vettura entra in un cortile, il portone si richiude alle spalle. Vengo fatto scendere e condotto in una specie di ingresso: Un orologio segna un orario che non scorderò mai: 23,45.

I ragazzi che mi stavano vicino mi conducono in un atrio, con un bancone. Un cancello conduce nei meandri del carcere.

Uno dei due, Fabio, così lo aveva chiamato il collega, ventiquattr’anni al massimo, era lui che mi aveva ammanettato a casa, parla con l’agente di Polizia Penitenziaria preposto a bassa voce: i due ogni tanto mi guardano. Il mio sguardo è interrogativo. Firma dei fogli di ricevuta e, finalmente, mi libera dalle manette: non me ne ero accorto, ma già si era materializzato dal nulla, affianco a me, un agente di polizia penitenziaria.

Poche formalità, Fabio sta per andare via… mi ero abituato alla sua presenza… un attimo di panico… ho paura di restare solo, di essere abbandonato nelle grinfie di persone che non conosco. Ormai avevo fatto l’abitudine a Fabio e gli altri, anche tanto carini!

Un ultimo sguardo fra noi, quasi con tenerezza mi sorride ed esclama: “buona fortuna, fatti coraggio!”

Va via, sono solo con i miei nuovi carnefici!

Ero ancora vestito come al ritorno dal lavoro: giacca, cravatta, elegante, insomma!

L’appuntato (un uomo avanti negli anni, sgarbato e repellente), mi ingiunge di depositare i miei effetti personali, orologio, catenina, portafogli e quant’altro. Mi lascia soltanto le sigarette.

Compila un elenco e chiude tutto in una busta, che fa sigillare con la mia firma. “la riavrai quando esci!”.

Mi fanno passare in un altro ambiente, oltre il cancello: un cartello recita: “immatricolazione”.

Inizia la sequela delle procedure: impronte digitali, foto segnaletiche… altra stanza!

Un altro orologio, a parete, segna le 01,45.

Un altro, dal fare equivoco e dietro un bancone mi ingiunge: “Spogliati!”

Consegno i miei vestiti, mi danno una specie di jeans ed una camicia fuori taglia; mi restituiscono le mie scarpe prive dei lacci.

Mi scorre qualche lacrima. Un altro agente, molto giovane mi dice: “ ‘A primma vota eh? ‘ncjè fa ‘o callo!” (prima volta? Devi farci l’abitudine!). E’ molto carino, quasi distinto, nella sua divisa, su cui porta un camice bianco.

Sono affidato a lui, mi conduce in un altro ambiente, con un arredo quasi sanitario: lettino, scrittoio, ecc. Lo vedo indossare dei guanti di lattice: lo osservo quasi con curiosità. Con un sorriso enigmatico, ma anche con gentilezza mi ingiunge: “Spogliati! nudo!”.
Lo guardo con fare enigmatico, non capisco!
“Niente!” risponde “è ‘a perquisizione!”
Cerco di rifiutarmi, ma lui si irrigidisce:
“faje ‘ampresso!” (fai presto) “o passi nu’ guaio!”

Rassegnato ubbidisco, mi rispoglio, e resto nudo come un verme davanti a lui, come alla visita di leva! Inizia a palparmi; non comprendo cosa volesse trovarmi addosso; mi controlla attentamente sul pube, alla probabile ricerca di parassiti; poi mi porta verso il lettino e mi invita a sdraiarmici sopra col petto, restando in piedi. Non posso vedere, ma sento che armeggia con qualcosa: sento toccarmi sul culo, sempre più giù: qualcosa di umido, freddo ed appiccicoso mi sfiora il buchino! Aveva applicato della vaselina sulle dita e si apprestava ad ispezionarmi, come per una visita prostatica! Mi sento umiliato, ma, inesorabile il dito mi penetra, sguazza nel mio ano. Dico: “ma non ho niente, indosso!”
E lui: “Statte zitto, ca te piace! Ricchiò!”

Una sensazione mai provata! Ma per nulla spiacevole! L’ispezione continua, mi rialza, mi palpa le palle! E’ inevitabile, mi viene duro!
“Te l’avevo detto ca te piaceva! Ricchiò!” mi dice con un sorrisino strano. In quel momento, una voce dall’ambiente vicino urla: “Haje finito cu chillo nuovo?” Il ragazzo risponde “Si, superiò, è pulito, tutto a posto!” Mi ordina di rivestirmi, e mi guarda con un sorriso enigmatico: “so’ l’infermiere”, mi dice” l’aggi’a fa! Aggi’ pacienza!”.
Indirizzandomi verso l’uscita mi strizza l’occhio e soggiunge: “cerco di unire l’utile al dilettevole! Se sarai gentile e remissivo, potrò esserti utile” e mi guida verso l’uscita. Ho dolore al culo, sono spaventato e sudato, ma ho tanto freddo dentro di me. Tante esperienze e sensazioni nuove in così poco tempo! Però, carino l’infermiere!
Mi avvio verso il cancello di ferro…..
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