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incesto

Mia sorella, musa proibita, 2


di ElegantiInsieme
28.06.2025    |    213    |    4 9.4
"” Cristina si mise a sedere, le lenzuola che le scivolarono giù fino all’ombelico, lasciando i seni nudi alla luce del mattino..."
Cristina si fermò a un passo da lui, così vicina che Federico poteva sentire il calore del suo respiro, il profumo inebriante della sua pelle mescolato alla vaniglia e a qualcosa di più profondo. Lo guardò da sotto le ciglia incurvate, le labbra leggermente socchiuse, lucide, un invito muto.
“Oggi mi sento diversa.”
E quella differenza Federico la percepiva con ogni senso: nella voce, nei gesti, nello sguardo che sembrava spogliarlo. Una tensione elettrica gli accarezzava la pelle, scivolava sotto la camicia come dita invisibili.
Si schiarì la gola, cercando di ristabilire un equilibrio ormai precario. “Ok. Iniziamo.” Indicò il letto con un cenno. “Siediti lì. Prova a giocare con i capelli, guarda l’obiettivo, qualcosa di semplice.”
Cristina si mosse con lentezza, come se galleggiasse. La seta della vestaglia scivolava sulle curve con un fruscio sommesso, ipnotico. Si lasciò cadere sul letto con grazia naturale, appoggiandosi su un gomito, lasciando che una spalla nuda emergesse dalla stoffa, rivelando la curva languida del collo e un accenno di pizzo nero.
“Così?” chiese, sollevando una ciocca e lasciandola cadere lentamente, gli occhi fissi nell’obiettivo, affilati come lame sottili.
Federico scattò. Il clic della Nikon sembrava troppo forte nella quiete carica di tensione.
“Perfetto,” disse, ma la voce gli tremava.
Cristina non si fermò. Ogni posa era una trasformazione. Si inginocchiò, lasciando che la vestaglia si aprisse, rivelando la pelle come un dono segreto. Poi si sdraiò, inarcando la schiena, le labbra socchiuse in un sospiro trattenuto, i capelli che si spargevano sulle lenzuola come inchiostro.
“Dove hai imparato a muoverti così?” chiese Federico, scattando in rapida successione.
Lei sorrise, mordendosi piano il labbro. “Ho guardato qualche video,” disse, la voce un sussurro umido. “Ma soprattutto, mi piace sentirmi guardata. Da te.”
Quelle parole lo trafissero. Il sangue gli pulsava nelle tempie.
La stanza vibrava al ritmo del cuore di Federico, ogni battito un’eco sorda che si fondeva ai bassi vellutati della musica in sottofondo. Le luci soffuse danzavano sulla seta nera delle lenzuola, creando riflessi dorati che trasformavano il letto in un santuario di desiderio. La Nikon scandiva il tempo con i suoi scatti regolari, il clic secco e cadenzato simile a un respiro meccanico, testimone silenzioso del crescendo. L’aria era satura, quasi liquida, impregnata del profumo dolce e carnale di Cristina, e di quel calore magnetico che emanava dal suo corpo troppo vicino, troppo reale, per fingere che tutto questo fosse ancora solo una messa in scena.
“Cristina, concentriamoci,” Tentò un respiro profondo. “Facciamo qualcosa di più intenso. Slaccia la vestaglia, guarda verso la finestra. Deve essere, vibrante.”
Lei annuì, le dita scivolarono sul nodo con lentezza teatrale. Il tessuto si aprì, lasciandola avvolta nel pizzo nero. Si voltò, il sole accese la sua pelle di riflessi dorati, la schiena nuda che si tendeva come un’arpa sensuale.
“Meglio così?” sussurrò, la voce una carezza rovente.
Federico scattò. Il cuore gli batteva furioso. Ogni gesto di Cristina era un’escalation con una delicatezza sfacciata.
Federico era immobile, il respiro corto, mentre Cristina lo avvolgeva con la sua presenza. Era inginocchiata sul letto davanti a lui, la vestaglia di seta blu scivolata sul pavimento, lasciandola in quel completino di pizzo nero che sembrava disegnato per tormentarlo. Le sue cosce, appena divaricate, sfioravano le sue, e le sue dita, leggere come piume, tracciavano cerchi lenti sul suo petto, sotto la maglietta ormai sgualcita. Il suo sguardo, incandescente sotto le ciglia lunghe, lo inchiodava, sfidandolo a distogliere gli occhi.
“Cristina,” La voce di Federico era un sussurro spezzato, un tentativo disperato di afferrare un’ancora di razionalità. “Non dovremmo, questo è troppo.”
Lei inclinò la testa, i ricci che le accarezzavano le spalle nude, e sorrise, un sorriso lento, pericoloso, che sembrava promettere tutto e nulla.
“Troppo?” sussurrò, la voce vellutata che gli scivolava sulla pelle come seta. “È solo una posa, Fede. Solo arte.”
Ma le sue mani raccontavano un’altra storia, scendendo lungo il suo torso, sfiorando l’orlo dei jeans con una leggerezza che lo fece rabbrividire.
Federico chiuse gli occhi per un istante, cercando di riprendere il controllo, ma il calore del corpo di Cristina, il suo profumo, il modo in cui si muoveva – tutto lo trascinava verso un precipizio che non voleva nominare.
“Sei mia sorella, dai!” disse, più a se stesso che a lei, la voce incrinata dal peso di quella verità.
“E se facessimo una foto insieme?” La sua voce era bassa, avvolgente. “Non volevi posare anche tu?”
Federico esitò. “Non so se,”
“Dai, Fede, È divertente” Gli montò lentamente sopra, il pizzo che gli sfiorava la pelle. “È solo arte. Fidati di me.”
“Divertente?” Federico la guardò, incredulo. “Cristina, no, è sbagliato. Sei mia sorella. Come facciamo a ?”
Impostò la Nikon in autoscatto, sedette accanto a lei cercando di restare distante. Ma ogni respiro cancellava quella distanza.
Cristina gli si appoggiò, il corpo caldo contro il suo. “Così è più vivo,” mormorò, sfiorandogli il collo con le labbra, le dita che scivolavano sotto la sua maglietta.
“Cristina, cosa stai facendo?”
“Sto posando,” lo interruppe, muovendosi lenta su di lui, con intenzione. “È solo per le foto.”
La macchina scattava, catturando la combustione.
“ Sei mia sorella, non possiamo,” sussurrò lui con la voce spezzata.
“Non ora. Ora sono la tua modella.”
Le mani di Cristina scesero lentamentee lungo la sua cintura, le dita che sfioravano il bottone con una malizia morbida, quasi innocente. Gli si avvicinò, il corpo che sembrava sciogliersi contro il suo.
“Cristina… fermati,” mormorò Federico, ma le sue mani già cercavano i fianchi di lei, affondando nel pizzo caldo come brace, incapaci di trattenersi.
Cristina sorrise, quel sorriso languido e pericoloso che sembrava sciogliergli ogni resistenza. Muovendo il bacino con un’eleganza sensuale, lasciò che il seno gli sfiorasse il petto, morbido, caldo, vivo.
“Non vuoi davvero che mi fermi, vero?” sussurrò, avvicinandosi ancora.
Lo abbracciò con una lentezza studiata, seducente, e le sue labbra si posarono sulle sue. Un bacio lento, umido, profondo, pieno di promesse non dette ma chiarissime.
Scoppiò come una scintilla trattenuta troppo a lungo. Era un bacio famelico, inevitabile, carico di desiderio accumulato e finalmente liberato.
Federico la condusse sul letto, con movimenti gentili e affamati. Le mani gli tremavano mentre le slacciava il reggiseno, le dita che scorrevano sul pizzo come se stessero sfogliando un segreto. Quando il tessuto cadde, rivelandone i seni tesi e delicati, Cristina si inarcò sotto di lui, offrendosi con naturalezza, e i suoi gemiti – bassi, liquidi, sensuali – gli percorsero la schiena come una corrente elettrica fatta di carne e voglia.
“Non fermarti ora,”
La Nikon continuava a scattare, testimone silenziosa del loro crollo. Pelle contro pelle, lingua contro lingua. Cristina lo baciò in bocca con lentezza feroce, e lui si perse.
Poi lo guidò dentro di sé. Le gambe lo strinsero, il corpo lo accolse. Ogni movimento era una preghiera profana.
Dopo, nudi tra le lenzuola stropicciate, Cristina gli accarezzava il petto, un sorriso soddisfatto.
“Stai bene?”
“Appena.”
Lei rise. “È stato, perfetto. Ma anche solo l’inizio.”
Federico sorrise appena. La linea era stata attraversata. E ormai, non esisteva più ritorno.
Federico attivò l’autoscatto, cercando di convincersi che era davvero solo arte. Si sedette accanto a lei. Ma lei non lasciò spazio. Gli montò in grembo, le gambe attorno ai suoi fianchi. Il pizzo aderiva al suo jeans come una promessa non mantenuta.
“Così è più, vero,” sussurrò lei.
Federico annaspava. La sua erezione era già evidente. E Cristina la sentiva. La cercava.
“Cristina, cazzo, fermati, sei mia sorella!”
Lei si chinò, le labbra a un soffio dal suo collo. “No. Ora sono la tua modella. E mi vuoi. Lo vedo. Lo sento.”
Le sue mani si posarono sulla sua maglietta, la sollevarono. Le dita fredde sulla pelle calda. Ogni tocco una scintilla. Ogni respiro un’esplosione.
La Nikon scattò ancora. Un clic. Poi un altro. Federico non ricordava nemmeno più di averla impostata.
Cristina si strofinò contro di lui, lo baciò sotto l’orecchio, poi scese sul collo. I suoi capelli lo avvolgevano come una tenda di seta.
“Non vuoi fermarmi,” sussurrò. “Perché mi desideri da tempo. Solo che non l’hai mai detto.”
Federico chiuse gli occhi, le mani che ormai la accarezzavano senza più difese. Il pizzo nero sotto le sue dita sembrava scomparire. La pelle di Cristina era un inferno dolce, e lui stava precipitando.
Il tempo sembrava essersi liquefatto. Nella stanza aleggiava un silenzio denso, interrotto solo dal clic ritmico della Nikon che scattava in autoscatto, immortalandoli in una sequenza di immagini sempre più intime, sempre più cariche. Il profumo di Cristina, un misto dolce di vaniglia e pelle calda, saturava l’aria come un incantesimo. Le luci soffuse avvolgevano il letto in un bagliore ovattato, facendo brillare la seta nera delle lenzuola e accarezzando le curve di lei come dita invisibili.
Federico era immobile, seduto con la schiena leggermente curva, le mani che ancora cercavano invano di non stringerla troppo. Cristina era in grembo a lui, le gambe avvolte attorno alla sua vita con naturalezza sensuale, come se quel posto le fosse sempre appartenuto. Ogni movimento del suo bacino contro i jeans di lui era lento, misurato, ma carico di intenzione.
Il reggiseno di pizzo nero non nascondeva nulla: i suoi capezzoli, duri come perle, premevano contro il tessuto sottile e trasparente, rispondendo al contatto del corpo di lui con un’ardita confidenza. Lo slip era ormai solo un simbolo, una striscia di tessuto lucido che si perdeva tra le sue cosce. Ogni respiro che lei prendeva sembrava accendersi sulla pelle, ogni sfioramento diventava una miccia.
Cristina affondò il viso contro il collo di Federico, passandogli le labbra lungo la linea del mento, con un bacio lento, umido, trattenuto, che gli fece rizzare la pelle lungo la schiena. La sua lingua disegnava linee invisibili, il fiato caldo gli scompigliava i pensieri.
“Sei teso,” mormorò contro la sua pelle, senza smettere di muoversi piano su di lui, “ma non dici nulla, perché?”
Federico avrebbe voluto rispondere, dire che sì, era sbagliato, che erano fratello e sorella, che stavano giocando con il fuoco, ma tutto ciò che uscì fu un sospiro, un gemito strozzato.
Cristina si staccò appena, quel tanto che bastava per guardarlo. I suoi occhi, sotto le ciglia lunghe e incurvate, bruciavano.
“Guarda cosa fai, solo con le mani sul mio corpo,” sussurrò.
Poi prese le sue dita, e lentamente le portò sul proprio seno, guidandole attraverso il pizzo.
“Lo senti? Lo senti quanto ti voglio?”
Federico tremava. La sua mano si chiuse attorno alla curva piena del suo seno, lo strinse con delicatezza e desiderio, il pollice che sfiorava il capezzolo attraverso il tessuto ormai tiepido, umido. Il gemito che uscì dalle labbra di Cristina fu profondo, sincero, il suono di chi si sta abbandonando.
Lei si sfilò il reggiseno con un gesto fluido, lasciandolo cadere a terra senza nemmeno guardarlo. Rimase lì, a petto nudo, il seno morbido e teso che si sollevava ad ogni respiro affannato. Poi abbassò lo sguardo e iniziò ad aprire la cerniera dei jeans di lui, lentamente, con le unghie appena graffianti, lo sguardo fisso nei suoi occhi come una sfida.
Federico non la fermò. Non riusciva a fermarsi a questo rapporto incestuoso.
Il suono della cerniera fu assordante nella quiete della stanza.
Lei infilò la mano dentro i boxer, afferrando il suo membro con sicurezza, con un gesto che non lasciava spazio all’interpretazione. Lo accarezzò prima con delicatezza, poi con una stretta più decisa, facendo sussultare Federico sotto di sé.
“È arte, vero?” sussurrò, con la voce impastata di desiderio. “Stiamo solo, creando qualcosa di bellissimo, fratellone.”
Scese lentamente dal suo grembo, inginocchiandosi tra le sue gambe con movimenti felini, la pelle nuda che sfiorava il tessuto delle lenzuola. I suoi capelli, scuri e ribelli, gli sfioravano le cosce, e il contrasto con la sua bocca calda fu un’esplosione di piacere quando lo prese tra le labbra.
Federico sussultò. Un gemito profondo gli salì dal petto. Le mani affondarono nei capelli di lei senza nemmeno rendersene conto. Cristina lo stava prendendo in bocca con una maestria che non si aspettava. Lentamente. Profondamente. Alternando movimenti languidi a piccole suzioni che lo facevano impazzire.
Quando si fermò, lo fece solo per salire nuovamente sopra di lui, a cavalcioni, gli occhi che brillavano come due lame. Con un movimento fluido e deciso, si sfilò lo slip, lasciandolo scivolare lungo le cosce. Poi, con un gesto sicuro, prese il suo membro tra le dita, stringendolo delicatamente, e si abbassò con estrema lentezza, controllando ogni centimetro del movimento. Con precisione, lo guidò dentro di sé, accompagnando il contatto con un ritmo volutamente misurato.
Federico trattenne il fiato, il petto stretto da un’aspettativa febbrile. L’ingresso di Cristina fu un’agonia deliberata, un calore umido e pulsante che lo avvolse con una stretta possessiva, quasi primordiale. Lei socchiuse gli occhi, un gemito roco e profondo le sfuggì dalla gola mentre accoglieva ogni centimetro di lui, stringendolo dentro di sé con una lentezza che bruciava, un misto di sensualità feroce e controllo spietato. I suoi muscoli si contrassero, vibrando attorno a lui, mentre un fremito elettrico le attraversava il corpo, facendola inarcare leggermente.
“Senti com’è nostro, Federico?” sussurrò, la voce intrisa di un desiderio crudo, quasi selvaggio. I suoi fianchi presero a muoversi in cerchi lenti e provocanti, ogni rotazione un’implacabile danza di piacere che lo inchiodava a lei. “Non c’è nulla di sbagliato, qui. Solo due corpi che si sono cercati nelle viscere del tempo, bruciando per trovarsi, anche quando il mondo ci voleva ciechi.”
Il loro ritmo si intensificò, divenendo una forza travolgente e inarrestabile.Cristina si muoveva su di lui con una grazia selvaggia, ogni affondo intriso di una passione bruciante. Ogni movimento un’onda di pura brama, i suoi seni pieni e turgidi che oscillavano sotto il peso di un desiderio crudo, quasi animalesco. Le sue mani, artigliate sul petto di Federico, affondavano nella carne, lasciando segni rossi come marchi di possesso. I loro gemiti, gutturali e spezzati, esplodevano nella stanza, un’eco primordiale che vibrava contro le pareti. La Nikon, dimenticata su un treppiede, scattava senza sosta, rubando frammenti di quella frenesia: il bagliore del sudore che colava lungo la curva tesa del collo di lei, i muscoli di lui che si contraevano sotto ogni colpo, la loro unione feroce e incontenibile, un amplesso che sembrava divorare il tempo stesso.
Federico si sollevò appena, baciandole il collo, il seno, la bocca. Cristina lo accolse con un’intensità che gli fece capire una cosa chiara: non era più arte. Non era più un progetto. Era puro desiderio. Pura lussuria. E qualcosa, dentro di lui, si stava già spezzando.
Quando vennero, lo fecero insieme. Un’onda che li attraversò e li piegò l’uno all’altro, in un’unione che sapeva di eccesso, di pienezza, ma anche di qualcosa che forse non avrebbero mai potuto più ignorare.
Restarono abbracciati, immobili, sudati, nudi. Il cuore ancora in corsa, i respiri scomposti.
Cristina si staccò lentamente, baciandolo sulla bocca con una tenerezza improvvisa. “Adesso, abbiamo le foto, fratellone!” sussurrò, ridendo piano.
Federico non rispose. Guardava il soffitto. E nel suo sguardo c’era tutto. La vertigine. L’estasi. E l’inizio del crollo.
Il giorno dopo
La luce filtrava dalla finestra con un’intimità diversa. Non era più quella morbida dei faretti da set, ma la chiarezza impietosa del giorno dopo. Un sole timido accarezzava i pannelli bianchi ancora montati, e il letto sfatto al centro della stanza sembrava raccontare una storia che nessuno dei due sapeva come rileggere.
Federico era sveglio da almeno un’ora. Nudo, disteso accanto a lei, gli occhi fissi sul soffitto. Le lenzuola di seta nera erano scivolate a metà, lasciando scoperti i suoi fianchi, mentre Cristina dormiva rannicchiata su un fianco, le gambe intrecciate alle sue. I capelli arruffati le ricadevano sulla guancia, la bocca leggermente socchiusa, un respiro lento e profondo che gli sfiorava il petto.
Il suo corpo era ancora caldo, ancora profumato. Il pizzo nero era finito in terra, accanto alla Nikon. Le immagini scattate durante la notte – sapeva – erano ancora tutte lì, dentro la memoria della macchina. Un’intera sequenza di fotografie che, a riguardarle, forse, avrebbe faticato a credere reali.
Cristina si mosse piano, stirandosi con lentezza. Uno sbadiglio appena accennato, poi aprì gli occhi. Incontrarono i suoi. Nessuno dei due parlò subito.
Poi, con una voce roca e bassa, lei mormorò: “Stai pensando, vero?”
Federico la guardò, gli occhi pieni di domande che non avevano ancora un linguaggio. “Non so neanche da dove cominciare.”
Cristina si mise a sedere, le lenzuola che le scivolarono giù fino all’ombelico, lasciando i seni nudi alla luce del mattino. Non si coprì. Non ne aveva bisogno. Il suo corpo era rilassato, la pelle chiara segnata qua e là da piccoli rossori, morsi, mani, momenti che non potevano essere cancellati.
“Ti stai pentendo?” chiese lei, con un’espressione più seria di quanto lui si aspettasse.
Federico esitò. Poi scosse la testa. “No. Ma sono confuso. È stato, troppo. Troppo forte, troppo vero. E non so come gestirlo.”
Cristina sorrise piano. Si piegò in avanti, baciandolo sul petto, proprio sopra il cuore. “Nemmeno io lo so. Ma non voglio far finta che non sia successo.”
Federico si alzò, nudo, e andò alla scrivania. Prese la Nikon. Esitò un istante. Poi la accese. Lo schermo si illuminò, mostrando la prima immagine: lei, inginocchiata sul letto, i capelli scompigliati, le labbra dischiuse, gli occhi che lo bruciavano. Scattò alla seconda: lui dietro di lei, le mani sui fianchi, le dita che affondavano nella sua pelle. Alla terza si fermò. I loro corpi uniti. Lei che lo guardava da sopra la spalla, gli occhi accesi di qualcosa che non era solo desiderio.
Cristina lo raggiunse in silenzio. Si fermò dietro di lui, sfiorandogli la schiena con il mento. Guardò anche lei.
“Le stamperai?” sussurrò.
Federico non rispose. Ma sapeva che alcune di quelle immagini erano troppo belle per restare imprigionate in una scheda SD. Erano arte, sì. Ma erano anche confessioni. Di corpi. Di desideri. Di un confine superato senza alcuna possibilità di ritorno.
Cristina si voltò, lo guardò con un’espressione che non aveva nulla di malizioso, né di colpevole. Solo lucida. Presente.
“Io non mi vergogno, Fede. Non farlo nemmeno tu.”
Federico la fissò, poi si passò una mano tra i capelli. “Non è vergogna. È paura. Paura che non sia stato solo sesso. E paura che, sia stato molto di più.”
Cristina si avvicinò, gli passò le braccia attorno alla vita e si appoggiò al suo petto. Il contatto della pelle contro la pelle lo fece rabbrividire. Ma era un brivido dolce, avvolgente.
“È stato anche di più,” disse. “Ma non significa che dobbiamo definirlo adesso.”
Federico si lasciò andare. Le strinse le spalle, la baciò sulla fronte. Le dita le scorsero lungo la schiena nuda, fermandosi alla curva dei fianchi.
La tensione erotica non era scomparsa. Si era solo acquattata sotto la superficie, in attesa. Cristina lo baciò sul collo, piano, come a ricordarglielo. “Se vuoi, potremmo rifare qualche scatto. Con calma. Magari stavolta, provo io a dirigere. Tu posi.”
Federico rise, e il suono gli sembrò quasi incredibile, dopo tutte le domande che lo divoravano. “E io sarei il tuo modello?”
Cristina lo guardò. Il suo sguardo tornò quello della sera prima. Caldo, consapevole. Predatorio.
“Non solo. Saresti la mia tela. Da esplorare, da accendere. Un corpo nudo che racconta quello che non dici.”
Federico avvertì un calore montargli dentro. Non era ancora pronto a darle un nome. Ma sapeva che non voleva tornare indietro.
Non più.
Di nuovo davanti all’obiettivo
Il pomeriggio era tiepido, immobile, e dentro la stanza sembrava di galleggiare in un tempo sospeso. I pannelli riflettevano ancora una luce morbida, dorata, e la Nikon riposava sul letto come un animale addormentato in attesa di essere risvegliato.
Cristina sedeva al centro del letto, con addosso solo una camicia maschile – quella che Federico aveva indossato la sera prima – sbottonata quanto bastava per lasciare scoperti i fianchi, il ventre e una parte del seno sinistro. I capelli sciolti le cadevano sulle spalle, disordinati ma sensuali, come appena uscita da un sogno torbido. Incrociò le gambe, una piegata sotto di sé, l’altra distesa con noncuranza. Aveva negli occhi qualcosa di nuovo: una calma pericolosa, una femminilità consapevole che pareva nata in una notte sola.
“Tocca a te, adesso,” disse. La voce bassa, calma. In controllo.
Federico, in piedi davanti a lei, la osservava con un misto di timore e eccitazione. Indossava solo un paio di boxer neri. Le luci lo accarezzavano, scolpendo i muscoli definiti del petto, la linea sottile che scendeva dai fianchi all’inguine, dove la tensione era visibile e viva.
“Sei sicura?” chiese lui, senza riuscire a togliere gli occhi da lei.
Cristina annuì, sorridendo. “Voglio vedere cosa succede quando sei tu a essere guardato. Quando sei tu la cosa bella, da toccare con lo sguardo.”
Prese la Nikon, la sistemò sul treppiede. Si avvicinò a lui con la macchina in mano per regolare l’inquadratura, sfiorandogli appena il fianco con la pelle calda della sua coscia. Il contatto lo fece sussultare.
“Fermati così,” mormorò, spostandosi dietro la lente. “Gambe leggermente divaricate. Spalle rilassate. Guarda verso il basso, ma non abbassare la testa. Esatto,”
Clic.
Il primo scatto fu puro controllo. Il secondo, un respiro. Il terzo, già tremava.
Cristina gli girò attorno come un’artista. Si avvicinò, gli sistemò una ciocca bionda dietro l’orecchio. Le dita gli sfiorarono la mandibola, poi il petto, una carezza lenta e distratta che sembrava casuale, ma non lo era affatto.
“Hai i muscoli tesi, Fede. Lasciati andare. Non devi essere un uomo che posa. Devi essere un uomo che si lascia guardare.”
Federico deglutì. Cristina si inginocchiò davanti a lui, fece scorrere le dita lungo la linea dei suoi boxer, seguendo il profilo in erezione con un tocco che era più uno sfioramento dell’aria che della pelle. Lo sguardo di lei si alzò, lo trafisse.
“Sembri trattenere tutto. Non farlo.” Sollevò appena il bordo dell’elastico con due dita. “Posso?”
Lui annuì, incapace di parlare.
Cristina lo liberò, lentamente. Il sesso di Federico si alzò, teso, veemente, lucido di desiderio. Lei non lo toccò. Lo guardò. Lo contemplò con una calma quasi mistica. Poi tornò dietro la Nikon.
“Tieni lo sguardo su di me.”
Click.
Federico tremava. Nudo, completamente esposto, la pelle percorsa da brividi, sentiva ogni molecola dell’aria contro di sé. Cristina lo stava studiando con la lentezza di chi vuole ricordare ogni dettaglio. Il torace che si sollevava al ritmo del respiro, le vene sulle braccia tese, il sesso che pulsava a vista. Era vulnerabile. Ed era, eccitante.
Cristina si avvicinò di nuovo. Gli passò la lingua sul petto, lentamente, come per assaporare il sale della sua pelle. Poi si abbassò, fece scorrere le labbra lungo la linea dei suoi addominali, sfiorandolo con la punta del naso senza toccarlo davvero.
Federico emise un suono strozzato. Le mani le andarono ai fianchi.
“No,” sussurrò lei. “Adesso comando io.”
Cristina prese la macchina fotografica in mano. Si sedette davanti a lui, le gambe divaricate, la camicia che si apriva del tutto, lasciandola completamente nuda. Si leccò il dito indice con lentezza, lo portò alle labbra e lo fece scivolare giù, tra i seni, fino al ventre.
Federico era ipnotizzato. Guardava. Respirava. Non toccava.
“Adesso siediti,” ordinò lei.
Federico obbedì, sedendosi sul bordo del letto.
Cristina lo raggiunse. Gli montò sopra a cavalcioni, la pelle umida e calda contro la sua. Si accoccolò sopra di lui, il sesso bagnato che premeva contro la sua erezione, senza ancora accoglierlo dentro.
“Sai cos’è il vero potere, Fede?” mormorò, baciandolo sul collo. “Farti impazzire, senza nemmeno muovermi.”
E iniziò a farlo. A muoversi. Lentamente. Con quel modo in cui le donne sanno distruggere un uomo: senza fretta. Come una danza lenta e rovente, i fianchi che ondeggiavano contro di lui, il sesso che si sfiorava, si cercava, si negava.
La Nikon scattava. Federico non sapeva nemmeno più se era acceso lui o la macchina. Ma le immagini continuavano a susseguirsi. Il suo volto rapito. Il corpo di Cristina che si fondeva al suo. I morsi, le mani, gli occhi socchiusi, le labbra dischiuse.
Quando lei si abbassò lentamente, e lo prese dentro di sé, lo fece senza un suono. Solo uno sguardo. Uno sguardo che diceva: “Ti ho preso. E non ti lascio.”
L’amplesso fu lento, crudo, primordiale. Cristina si muoveva sopra di lui con grazia animalesca, il seno che ondeggiava, le mani sulle sue spalle, la schiena arcuata come una corda tesa. Federico la guardava, e in lei vedeva qualcosa che non aveva mai visto prima: una donna completa, potente, irresistibile. La sua modella, sì. Ma anche la sua ossessione.
Quando vennero, fu con un grido soffocato e un abbraccio che sembrava volerli fondere.
Cristina restò sopra di lui, il viso poggiato contro il suo collo.
“Sei bellissimo, sai?” sussurrò. “Volevo vederti così. Senza difese. Nudo. Reale.”
Federico non parlò. Le passò una mano nei capelli, baciandole la tempia.
E in quel momento, capì che non avrebbe mai più potuto fotografare nessun’altra allo stesso modo.

(CONTINUA)
P.S. Grazie per aver letto il nostro racconto, spero che vi sia piaciuto e vi abbia ispirato! Lasciate pure un commento e un like se vi va, ci fa sempre piacere ricevere il vostro feedback! A presto, con il prossimo episodio. Alberto & Laura (coautori)
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Voto dei Lettori:
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