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Gay & Bisex

Buenos Aires


di Membro VIP di Annunci69.it Grey-Heron
10.02.2019    |    10.646    |    13 8.2
"Hai il numero diretto del banco informazioni dell’aeroporto..."

Sto ascoltando il cd dei Pet Shop Boys/Behavior. E’incredibile come la musica ti riporta indietro nel tempo. Ti porta a ricordare ogni piccolo dettaglio dei fatti vissuti, le sensazioni, anche gli odori a volte. Lo stesso album lo stavo ascoltando quella sera quasi vent’anni fa, mentre preparavo l’ennesima valigia. Il volo era per le otto del mattino successivo. Dolce la musica dei Pet Shop Boys. Li trovo eleganti, quasi sofisticati, un pò snob. I ritmi della loro musica mi hanno sempre messo di buonumore, voglia di vivere, di essere, di fare.

Che furbi questi dell’ufficio del personale. Per mandarmi a Buenos Aires mi fanno volare prima a Parigi alle otto del mattino per poi prendere il volo Parigi/Rio/B.Aires/Santiago alle undici di sera. Sono matti da legare. Ma che ci faccio io a Parigi un giorno intero all’aeroporto?

Il 747 si è appena alzato in volo di prima mattina da Rio. Sono scesi quasi tutti, solo pochi vanno a Buenos Aires e ancor meno a Santiago del Cile. Il comandante ci fa vedere la città facendo di proposito un paio di virate a dritta e a sinistra affondando le ali nel vuoto. Rio è meravigliosa anche vista dall’alto. E’ stata una bella notte tra le stelle, in compagnia dell’ovattato ronzio delle turbine, le luci basse, quasi tutti a dormire. Mi sono letto un intero testo sulla storia dell’arte per completare la giornata passata a Parigi al Museo d’Orsay. Quello che doveva essere un giorno noioso tra un volo e l’altro è divenuto invece un giorno molto interessante a godermi i maestri dell’impressionismo. Ed eccomi qui a guardare Rio dall’alto. Tra qualche ora si arriva e ancora non ho idea di ciò che mi aspetta. Ho comunque fatto bene a farmi spedire laggiù con tre giorni di anticipo sull’appuntamento di lavoro. Non sono mai stato a Buenos Aires, la Parigi del Sud America. Stanno attraversando una tremenda crisi economica e sono usciti da poco da una dittatura. Chissà come sarà? Avrò tre giorni tutti per me, io e tutto ciò che la città avrà da offrirmi.

Ho raccolto i miei bagagli, cerco il punto informazioni, devo avvisare la nostra agenzia che mi mandi una vettura a prendermi, sicuramente nessuno li ha informati che arrivo con tre giorni di anticipo. Sta dietro al banco informazioni, gli occhi sono scuri molto scuri, belli, grandi, vivi, le ciglia lunghe, la pelle chiara, i capelli folti neri come il carbone. Welcome to Buenos Aires, mi dice.
E’un bel sorriso ma molto discreto, abbassa gli occhi e li rialza come se io stessi li a mettere soggezione.

Vorrei chiamare per cortesia questo numero e far sapere che sono arrivato con tre giorni di anticipo, se possono venirmi a prendere e se hanno già organizzato un hotel per me. La ringrazio se li può chiamare e poi, gentilmente, se mi da del materiale illustrativo sulla città, qualche mappa, siti di interesse turistico, insomma le solite cose. Sorrido e ringrazio in modo fermo ma sbrigativo come se il tutto mi fosse dovuto. Ho parlato a mitraglia. Ecco, il mio solito difetto, deformazione professionale la chiamano. Devo smetterla di dare ordini invece di chiedere.

Ha fatto il numero dopo aver preso garbatamente il prestampato con le coordinate di viaggio che avevo messo li davanti. Parla nel suo spagnolo d’Argentina molto musicale.
La verranno a prendere ma solo tra un paio d’ore, mi dice, faranno subito una prenotazione per l’hotel. Lei è italiano? Rispondo mentre mi fa cenno di accomodarmi su delle poltrone a poca distanza dal coffee shop.

L’atrio dell’aeroporto si è svuotato quasi subito, c’è pochissimo movimento. Al banco informazioni non hanno nulla da fare. Il mio era l’ultimo volo dall’Europa. Silenzio. Sto leggendo per noia il retro del biglietto aereo. Sento che qualcuno si siede accanto a me. Io faccio una pausa caffè. Posso offrirgliene uno? L’attesa per la sua vettura sarà lunga, mi dice. Mi giro. Stessi occhi neri, stesso sorriso discreto, mi guarda con curiosità. Sono sorpreso. Che gentili qui in Argentina penso.
In Italia nessuno si sognerebbe di offrirti un caffè nell’attesa. Anzi una richiesta di aiuto come la mia e anche fatta in modo piuttosto perentorio avrebbe rotto i coglioni a chiunque di turno.

Grazie, accetto il caffè, rispondo. Rimanga qui, torno subito, esclama. Come se si preoccupasse del mio benessere, della mia persona. Si allontana. Osservo come muove il corpo. Con decisione, passo svelto, sicuro, contrariamente al suo sguardo che sembrava esprimere timidezza in un primo momento. Fa contrasto.

Ritorna dopo alcuni minuti con due bicchieri di caffè dolce e si siede accanto a me.
Ecco le ho rimediato anche dei depliant turistici e un paio di cartine. E’ bella l’Italia vero? Ci sono tanti italiani in Argentina, sono qui da generazioni. E’ la sua prima volta a B.Aires? Mi parla semplicemente come ci fossimo sempre conosciuti.
Bevo il caffè e mentre lo faccio mi rendo conto che questa non è la sala passeggeri di una compagnia aerea ma è l’atrio degli arrivi.. Il caffè non viene offerto qui. Lo ha pagato di tasca sua certamente. Mi sento un po’ in imbarazzato da queste considerazioni.

La conversazione si protrae sulle solite basi di cortesia comune poi mi vien da pensare che forse è in attesa di una conversazione meno formale. Cavolo,non è per caso che sta cercando di conoscermi meglio e io non me ne sono accorto subito? No, non può essere. Sono molto gentili qui, potrebbe essere anche solo cortesia professionale. Si, ma non offrono il caffè di tasca loro al primo che arriva.

Le sue mani sono molto belle. Ho un debole per le belle mani e dalle stesse capisco molto del carattere di una persona, è sempre stato così fin da quando ho incominciato ad avere coscienza di vita cioè da piccolo. Le mani degli altri a me parlano. Sono mani alle quali avrei permesso di toccarmi, anzi potrei incrociare subito le mie dita alle sue e stringerle e sentire tutte le sensazioni epidermiche nonché trasmettere e ricevere le sensazioni interiori di entrambi.

Non so se esplorare ulteriormente la possibilità di una conoscenza più personale o continuare sulla base come dire, formale. Guardo la sua figura vicino a me. Corporatura sul tipo normale, nulla di eccessivo o pronunciato, normalità più assoluta, le proporzioni sembrano essere giuste. Io sono un po’ più alto. Questo mi piace perché mi darebbe la possibilità di avvolgere il suo corpo con le mie braccia in atteggiamento protettivo. Vorrei farmi perdonare il fatto di essere stato troppo diretto poco fa, quasi arrogante. Mi piace donare un abbraccio protettivo e sentirmi in posizione dominante ma con dolcezza. Mi accorgo che vorrei la sua testa appoggiata al mio petto mentre le dita della mia mano destra passano tra i suoi capelli neri e lucidi. Il mio naso ora percepisce una leggerissimo aroma corporeo , è molto piacevole, nulla delle solite cose che ti stordiscono le narici. È un misto di profumo di pelle pulita; è un aroma forse agrumato, fresco. Siamo nella prima settimana di marzo e in queste latitudini è ancora estate, fuori fa sicuramente caldo e un profumo agrumato sulla pelle è rinfrescante. Avrà si e no venticinque anni, io ne compirò trentadue tra un paio di mesi . Che bella combinazione di età sarebbe.


Torno alla realtà da questi pensieri, scosso dalla sua voce. Mio padre, dice, è un addetto all’ambasciata olandese e viaggia spesso, a volte con tutta la famiglia. Ho la fortuna di poter usufruire di agevolazioni di viaggio anche grazie a questo lavoro con le compagnie aeree. Sto pianificando un viaggio in Olanda a giugno. Rispondo che anche io mi ritengo fortunato con il mio lavoro che mi da la possibilità di girare il mondo. Infatti da Buenos Aires farò il giro del Sud America verso il Pacifico per poi arrivare fino alle coste della California e quindi tornare in Europa.


Guardo i suoi occhi neri, il sorriso discreto. Vedo una nota di malinconia forse di delusione perché io ancora non mi lascio andare. Sta aspettando forse che sia io a condurre il primo approccio? E se poi faccio la figuraccia? Non so che dire, non so che fare. Non è la prima volta che mi sento imbranato. E’ già accaduto altre volte, troppe. In più occasioni non ho avuto il coraggio di prendere l’iniziativa e ho lasciato perdere. Pentendomene più tardi. Mi piace sentire la sua presenza qui accanto. Sento un turbinio dentro di me, le parole mi escono dalla bocca senza che io quasi me ne renda conto e dico,iIo non conosco Buenos Aires, ti piacerebbe farmela visitare, farmela conoscere?

Ora il suo sorriso è più accattivante. Certo con piacere, mi risponde e continua, è una bella città.. Io stacco alle diciasette però stasera non posso. Domani pomeriggio dopo il lavoro posso passare dal tuo hotel, ti vengo a prendere. Mi dice questo come fosse la cosa più ovvia e normale con una genuinità estrema. Questo è il numero diretto, del banco informazioni, chiama e chiedi di me se hai bisogno oppure per rimanere in contatto (non esistevano i cellulari allora). Si alza per tornare al lavoro, mi porge la mano, Piacere, ci scambiamo i nomi. Più tardi ritorna da me e mi dice, la tua vettura è arrivata e so in quale hotel ti hanno alloggiato. Alza le sopraciglia e mi sorride ammiccando, poi abbassa ancora gli occhi scuri, li rialza. A domani, sussurra.

La superstrada è larga e scorrevole, piante, alberi, verde ovunque e dal taxi vedo là in fondo che si staglia lo skyline della città. L’aria è calda e le strade sono piene di gente nel centro città, i bar sono aperti fino al mattino, chioschi di fiori e giornalai aperti tutta notte. Un popolo di gente che vaga per le strade di notte come fosse giorno. E’ ovvio che essendo appena usciti da una dittatura hanno tutti voglia di vivere. Ti senti sicuro per strada data la presenza di polizia ovunque che è comunque, un ricordo della passata dittatura. Per pochi dollari ho mangiato un enorme filetto di carne alla brace poco prima delle ventitrè quando i ristoranti iniziano a lavorare. Il fuso orario mi tiene sveglio, ma che mi importa, posso dormire il mattino successivo. Mi piace l’idea di poter rivedere chi poi mi avrebbe fatto conoscere la città, la mia guida, mi accorgo che già sto aspettando con ansia.

Sono le diciotto passate da poco quando mi chiamano dalla hall. Scendo.
I nostri occhi si incrociano, un sorriso. Ciao, ciao. Siamo un po’ impacciati. Soliti convenevoli.
Mi racconta che hanno avuto del movimento in aeroporto ma già non importa più quello di cui stiamo parlando. Ci guardiamo, ci osserviamo, alla ricerca di dettagli fisici. Ci stiamo esplorando. Il suo sentore agrumato arriva al mio naso, annuso l’aria attorno. Ecco le mani, quelle che vorrei toccare subito. Osservo la sua gola, vorrei vedere sotto l’apertura a V della maglietta azzurra. Sotto si nota chiaramente la forma del corpo, anche quella dei capezzoli. Mi si asciuga la bocca, vorrei deglutire ma la mia bocca è secca.

Mi sento osservato a mia volta. E se non passo l’esame? Ma che sto a pensare. Se è qui è perché c’è l’interesse di esserci. I suoi occhi vedo che passano velocemente quasi in un lampo sulla fibbia della mia cintura e per un decimo di secondo anche più giù sui bottoni nascosti dei miei jeans scoloriti ma ben attillati. Poi sono ancora i nostri occhi ad incontrarsi. E’ uno sguardo quello che ricevo come a chiedere scusa per aver buttato gli occhi la sotto oltre la fibbia della mia cintura.
Siamo ancora in piedi nella hall e noto che il portiere ha visto e capito tutto.

Mi dice che è ancora presto e abbiamo tempo per fare una passeggiata. Certo, possiamo andare su da me se vuoi, rispondo. Poi mi accorgo che forse l’ho detto in modo banale, affrettato. Annuisce e ci avviamo verso l’ascensore sotto lo sguardo del portiere occhiuto. Le porte si chiudono. Siamo solo noi due. Siamo vicinissimi, allungo la mia mano destra e afferro la sua mano sinistra, la stringo, ci guardiamo in silenzio. Seri e senza sorriderci. Sento che anche la sua mano risponde, mi stringe. Respira con il naso, un solo respiro, profondo. Butta la sua testa un poco indietro poi avanti sulla mia spalla. Sento l’aria calda uscire dalle sue narici alla base del mio collo, il leggero profumo di pelle agrumata è ovunque.

Non ricordo come siamo arrivati in camera mia. Ora siamo fermi in piedi di fronte. Le braccia stese lungo il corpo. Le sue mani nelle mie mani con le dita incrociate stringono e mollano la stretta a ripetizione. Ogni nuova stretta è sempre più forte, più sentita come se volesse trasmettere un messaggio, come se voler dire, io sono qui e pure io ci sono. La mia fronte è appoggiata alla sua, il mio naso sul suo. Silenzio totale, solo vibrazioni interiori come scariche elettriche. Mollo con la destra e la porto alla sua nuca, sento la forma della sua testa sotto i capelli neri, ci gioco, i miei occhi affondano nei suoi, avvicino le mie labbra alle sue. Le appoggio solo leggermente, quasi a sfiorarle. Non dura molto. Le sue cercano le mie che rispondono avidamente. Finalmente il sapore della sua bocca. Mordicchio le sue labbra dolcemente, poi bacio in profondità con decisione. Mi risponde facendo lo stesso. Sono quasi le ventidue. Siamo ancora stesi a letto abbracciati.

“Questo è molto speciale, essere qui con te, non è come essere in un altro letto” mi sussurra. E’ dolce sentire il suo corpo caldo avvinghiato al mio. C’è pace a tranquillità attorno, come fossimo chiusi in un guscio. I tre giorni sono passati, insieme, bellissimi.

Ho assunto i miei incarichi. Faccio l’ultimo giro prima della partenza. Le autorità sono già scese. I passaporti tutti registrati, li ho già fatti depositare in sicurezza, 931 anime a bordo. Due non sono arrivati, forse ci raggiungeranno più a sud. Esco al ponte 7, guardo oltre, laggiù. Hanno appena ritirato la scaletta in banchina e sento la radio che gracchia che il portellone è stato chiuso e messo in sicurezza. Il cielo è nuvoloso oggi, c’è una cappa umida e tra poco farà buio. Il pavimento mi vibra sotto i piedi, Eccole le eliche che muovono tonnellate d’acqua. Ci siamo. Buenos Aires è tutta li davanti a me e incomincia ad allontanarsi lentamente.

“Allora ci vediamo ad Amsterdam a giugno. Sarò in viaggio con i miei genitori, la mia famiglia. Se vieni ad Amsterdam ci vediamo “.
Che bella coincidenza, pure tu sarai nei dintorni. Sono felice, ci rivedremo. Hai il numero diretto del banco informazioni dell’aeroporto. Chiamami ti prego. Poi ci mettiamo d’accordo per Amsterdam. Ci rivediamo là in giugno, sarà bellissimo stare ancora insieme, mi disse salutandoci.

Buenos Aires si allontana sempre di più. Tra poco meno di tre mesi potrò baciare ancora quelle labbra, assaporare la sua bocca, sentire le forme dei suoi pettorali, annusare la sua pelle agrumata, stringerlo forte forte a me, passare le mie dita tra i suoi capelli neri, mentre i bottoni dei miei jeans premono contro i bottoni dei suoi jeans, entrambi gonfi fino a scoppiare.

Il cd dei PetShopBoys/Behavior continua a suonare.


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