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Lui & Lei

La nuova fiamma - Capitolo 1 - Si va in scena!


di Parrino
24.11.2022    |    3.324    |    1 9.6
"E della festa, alla quale insistette perché io partecipassi, offrendosi di accompagnarmi per darmi man forte..."
‘E tu muori dietro a quella lì da cinque anni? Quella?!’, mi chiese Valentina in tono sarcastico. Nel farlo, non si curò neppure di mascherare i suoi sguardi di disapprovazione all’indirizzo della ragazza che le indicai appena entrati nell’ampia sala addobbata.
‘Si’ perché, cosa c’è che non va?’, le risposi a bassa voce, temendo che l’oggetto dei miei desideri potesse intercettare qualche scampolo della nostra conversazione.
‘C’è tutto che non va. E’ scialba. Una ragazzetta insulsa. Come può piacerti così tanto?’.
‘Ma se neanche la conosci, come fai a dire che è insulsa!’.
‘Si vede lontano un miglio! Tra lei e il fidanzato’ una coppia che sarebbe noiosa anche per una soap argentina!’.
Non replicai ulteriormente, ma i miei occhi si persero a guardare Vittoria che, stretta al suo ragazzo, pochi metri più in là, conversava, comodamente seduta su uno dei divanetti, con alcuni dei nostri ex compagni di classe invitati a quella festa. La vedevo sorridere, con la sua folta chioma castana a coprirle in parte in volto. E la voglia di avvicinarmi, scostarle i capelli dal viso e baciarla profondamente montava in me come la lava di un vulcano in eruzione.
A distogliermi da quei pensieri fu la festeggiata, che si fiondò incontro a me e Valentina, accogliendoci con un ampio sorriso. ‘Ciao!’, squittì come al suo solito, dandomi i canonici due baci sulle guance. ‘Ciao! Tanti auguri!’, replicai, allungandole il piccolo pacco contenente il regalo che le avevo comprato per l’occasione. Mi ringraziò, dopodiché i suoi occhi si posarono sulla mia accompagnatrice. La osservò per un istante. Una volta assodato di non conoscerla, guardò me con aria interrogativa, in attesa delle presentazioni. ‘Lei è Valentina’, dissi, senza scendere in particolari. Le due si strinsero la mano, poi la festeggiata dovette allontanarsi, chiamata dal deejay per concordare gli ultimi dettagli sul palinsesto musicale della serata. ‘Sedetevi dove volete!’, ci disse ad alta voce mentre si recava verso la console.
Io restai impalato per alcuni secondi, indeciso sul da farsi. I rapporti con Vittoria, al di là della mia venerazione per lei, erano sempre stati ottimi. Fino a due mesi prima non avrei avuto problemi a sedermici vicino, pur sapendo di dover ingoiare bocconi amari alla vista delle effusioni che si sarebbe inevitabilmente scambiata col suo lui. Eravamo stati compagni di banco per quasi tutto il liceo, ormai la nostra confidenza era assoluta. O meglio, lo era stata fino a quel giorno. Quel maledetto ultimo giorno di scuola, quando la possibilità più che concreta di poterla non rivedere per chissà quanto tempo, mi indusse a confessarle il mio amore. Da allora, cominciò ad ignorarmi completamente. Neppure durante gli esami di maturità mi rivolse una sola parola. Non mancando, tuttavia, di farsi accompagnare ogni mattina a scuola dal suo ragazzo, quasi a volermi sbattere in faccia la solidità della loro relazione. L’ultimo giorno di test ero atterrito al pensiero del distacco definitivo da lei. E quella sera, sapendo di rivederla alla festa, un misto di sensazioni contrastanti si alternavano dentro di me: dalla rabbia per come ero stato trattato, alla voglia di rivederla, al timore che quella cotta non mi sarebbe mai passata.
Se avevo trovato il coraggio di partecipare a quell’evento, così importante per la mia amica, che proprio quel giorno compiva diciannove anni, lo dovevo soltanto alla biondina che si era offerta di accompagnarmi e di cui, fino alla mattina precedente, non sapevo neppure dell’esistenza. Valentina, in poco più di ventiquattr’ore era riuscita a conquistarsi un posto speciale nella mia vita. Nonostante il suo carattere difficile, lunatico, esuberante e così tanto diverso dal mio, mi ero molto affezionato a lei nel poco tempo trascorso insieme.
Il giorno prima della festa, alle nove di mattina di un caldo venerdì di settembre, arrivò a casa mia sollevando una valigia nella quale sarebbe comodamente potuta entrarci per intero. Mia madre si era offerta di ospitare per un paio di giorni una sua cara amica, da qualche anno residente in un’altra città, che avrebbe dovuto sostare nella nostra zona per il fine settimana. A me, nonostante non brillassi per ospitalità, la notizia aveva fatto un gran piacere. Con quella donna ci ero praticamente cresciuto, per lunghi anni della mia infanzia ero andato ogni pomeriggio a casa sua a giocare con i suoi figli, ed ero ben felice di rivederla dopo tanto tempo. Con lei si presentò, però, anche un’altra sua amica a me sconosciuta: Valentina, appunto. Quando la vidi entrare in casa, non potei fare a meno di ammirarla. Un peperino di poco più di un metro e mezzo, con lunghi e mossi capelli biondi e vispi occhi castani, un grazioso nasino all’insù, un seno di un’abbondanza che spiccava decisamente sul suo esile corpicino e un culetto che, fasciato in jeans aderentissimi, sembrava disegnato col compasso. Scoprii, chiacchierando, che aveva una decina d’anni più di me, e mi stupii non poco di ciò: se me lo avessero chiesto, non gliene avrei dati più di ventidue o ventitrè.
Volendo lasciare le due amiche di vecchia data a scambiarsi confidenze per quel poco tempo che avrebbero potuto trascorrere insieme, io e Valentina passammo l’intera giornata praticamente in simbiosi. Ci raccontammo tutto delle nostre vite. Quella sera, facemmo le ore piccole a parlare sul divano. E, nel mentre, io non disdegnavo di osservarla, avendo cura di non far notare il mio sguardo insistente sulle sue gambe, lasciate quasi completamente scoperte dalla corta camicia da notte che indossava, né sul suo seno che, libero da costrizioni, traspariva attraverso il sottile velo di cotone bianco che lo ricopriva. Potevo distintamente indovinare, sotto il tessuto, l’abbronzatura che ancora colorava quelle succose montagnole, e i due capezzoli, larghi e prominenti, che le impreziosivano. Passai qualche ora in dolce compagnia insomma, celando con braccia e cuscini la maestosa erezione che il panorama che avevo davanti riusciva a causarmi.
Scoccate le tre, quando gli sbadigli iniziarono a farsi più numerosi delle parole, cedemmo alla spietata corte di Morfeo e decidemmo di andare a dormire, ciascuno nella propria stanza.
La mattina successiva, però, riprendemmo senza esitazioni da dove avevamo interrotto. Le parole fluivano naturalmente tra di noi, senza imbarazzi o reticenze. Avevo la sensazione di conoscere Valentina da chissà quanto tempo, tanta era la confidenza creatasi tra noi.
Tra le altre cose, naturalmente, le parlai anche di Vittoria. E della festa, alla quale insistette perché io partecipassi, offrendosi di accompagnarmi per darmi man forte. Ed ora eccomi qui, con questa vivace ed energica nanerottola bionda che mi trascina verso uno dei divanetti liberi del locale, mentre io mi lascio trasportare dalla sua mano e dai miei pensieri.
Accomodatomi, mi resi subito conto che Valentina non aveva lasciato al caso la scelta della nostra seduta. Ci trovavamo dalla parte opposta della sala rispetto a dov’era collocata Vittoria. Il nostro divanetto puntava verso la pista da ballo, mentre quello della mia amata era rivolto nella nostra direzione. Insomma, grazie all’oculata scelta effettuata dalla mia accompagnatrice, Vittoria ci avrebbe avuti davanti agli occhi tutta la sera, senza che, a mia volta, io potessi guardarla, se non voltandomi apposta nella sua direzione. Cosa che, naturalmente, avrei dovuto evitare di fare, nonostante la tentazione fosse fortissima.
‘Bene’, disse Valentina, sorridendomi mentre prendevamo posto fra i cuscini rosso scarlatto in pelle sintetica, ‘E ora facciamo passare una serata di merda a quella smorfiosa’.
La guardai con espressione interrogativa. Prima che potessi chiederle spiegazioni, lei afferrò il mio braccio e se lo portò attorno alle spalle, stringendosi a me.
‘Vuoi farla ingelosire?’, le chiesi a bassa voce, con un sorriso imbarazzato dipinto in volto.
‘No”, replicò lei, ‘Voglio farla schiattare d’invidia!’, sottolineò, sporgendosi e schioccandomi un tenero bacio a pochi millimetri a lato della punta delle labbra.
Restai imbambolato per un momento, frastornato dal sentire il calore del suo corpo abbandonato sul mio e la morbidezza delle sue labbra sul mio volto. Poi mi riscossi. Le sorrisi, arrossendo appena. ‘E sia!’, le dissi, mentre con la mano che stringeva le sue spalle, quasi senza pensarci, iniziai ad accarezzarle i capelli e lei strofinava dolcemente il pollice sul mio viso, per rimuovere i residui di rossetto lasciati dal suo bacio.
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