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Lui & Lei

Dalle otto alle otto per ventiquattr'ore - Capitolo 13 - dalle 20 alle 21


di Parrino
11.11.2022    |    856    |    1 9.2
"«In sostanza - riprendo - è un grosso panino tondo fatto con un impasto simile a quello della pizza..."
«Lo so», rispondo con un filo di voce dopo svariati secondi di silenzio.
Quando faccio per continuare ti sporgi verso di me, sollevandoti sulla punta dei piedi e premendomi l'indice sulla bocca. «Ehi. No. Non oggi. Non di nuovo. Godiamoci questa giornata e basta».
Sospiro, non resistendo alla tentazione di piegare le labbra per baciare il tuo polpastrello.
«Me lo prometti? Ti prego», insisti.
Distolgo gli occhi dai tuoi guardandomi intorno come un naufrago alla ricerca di un appiglio, poi torno a fissare l'infinito nel tuo sguardo. Annuisco in modo quasi impercettibile, con una fatica tale che ho l'impressione possa segnarmi il volto.
«Grazie», sussurri sfoderando un sorriso malinconico.
Con la mano sinistra ti accarezzo la guancia, scosto i tuoi lunghi capelli fin dietro le orecchie e quasi riesco a racchiudere la tua testa nel mio palmo. Ti sollevi ancora, occhi sempre fissi nei miei, e mi sfiori le labbra con le tue. Non ti permetto di allontanarti, stringendoti la nuca e costringendoti a restare incollata a me. Tu fai lo stesso intanto che le nostre bocche smettono di sfiorarsi e si aprono per cercarsi ancora di più. Come una piccola scintilla dalla quale divampa all'istante un incendio inestinguibile, il nostro bacio diventa sin da subito feroce, bagnato, un'oscena battaglia di lingue.
Ti sollevo di peso prendendo a camminare alla cieca, svoltando l'angolo con le tue braccia avvinghiate al mio collo e una delle mie a sorreggerti cingendo le tue natiche. Ti metto a sedere sulla sporgenza ricavata dal muro perimetrale di uno dei mille palazzi del centro e risalgo con la mano lungo il tuo corpo sino al viso. Quel piccolo ovale dai grandi occhi sembra quasi scomparire avvolto tra le mie mani. Nel momento in cui il tuo corpo va a cercare il mio, aderendovi, riprendo a martoriare le tue labbra piene e tumide. Avverto il tuo bacino muoversi e il frutto tra le tue cosce cercare sollievo approfittando della mia eccitazione ormai più che evidente.
Siamo come in una bolla, con centinaia di persone che ci sfrecciano accanto a pochi metri lungo il corso principale e nessuno che faccia caso alle nostre figure accese di passione nella penombra d'una traversa qualsiasi.
Cerco il tuo seno, lo trovo, lo stringo, insinuandomi sotto la maglia e godendo della tua nuda carne a contatto con la mia. Mi nutro di te, del tuo respiro, del tuo sapore, del tuo corpo. Ora più che mai, ora che posso guardarti, toccarti, averti, mi rendo conto di quanto tu sia la passione, la vita, l'amore, un'oasi di totale appagamento nell'arido deserto delle emozioni. Vorrei che questo momento, unico, perfetto, durasse per sempre. E leggo nel tuo sguardo languido lo stesso desiderio. Ma non è così, non potrà esserlo. Possiamo solo suggerne ogni goccia, coglierne ogni aspetto e sfumatura, viverlo a pieno affinché resti indelebile nelle nostre menti. I tuoi sospiri paiono quasi assordanti alle mie orecchie e rendono il caos cittadino niente più che un appena percepibile brusio di fondo.
«Ti voglio, cazzo, ti voglio ancora», ansimi sfregando con veemenza il tuo sesso contro il mio.
«Abbiamo tutta la notte», sussurro senza staccarmi dalle tue labbra.
Deglutisci tra i sospiri, afferrando con forza i miei capelli con entrambe le mani, per mettermi a tacere e richiamarmi nuovamente a te.
«Mangiamo qualcosa - dico appena allenti la tua morsa - poi ti porto a casa e, fino a domattina, potrai anche dimenticare di aver portato dei vestiti».
«Sei sicuro che ne abbia portati per la notte?», ghigni.
Col palmo della mano ad accarezzarti la guancia sinistra, allungo il pollice per passarlo sulle tue labbra da mordere. «Mi auguro proprio di no».
«Allora credo che resterai soddisfatto», replichi con un sorriso birichino.
Ti prendo la mano e mi allontano di un passo, per permetterti di saltare giù dalla sporgenza in muratura sulla quale sedevi. Ti guardo fisso intanto che volti all'indietro la testa e, per pulire il pantalone da eventuali residui di intonaco, percuoti debolmente la stoffa all'altezza dei glutei.
«Che c'è?», mi chiedi sorridendo appena ti rendi conto dei miei occhi su di te.
Mi avvicino ancora, afferrando e stringendo con la mano libera la tua natica destra. «Avrei preferito pulirti io», dico sornione prima di mollare la presa per rifilarti, nello stesso punto, uno schiaffo tanto forte da farti sobbalzare.
«Ehi!», squittisci.
«Cosa c'è? Non ti piace?», chiedo a un soffio dalle tue labbra.
«No», rispondi senza smettere di sorridere.
«Ah, no? Davvero?», incalzo stando al gioco.
Scuoti il capo, accompagnando il movimento con un secco mugolio. E scoppi in una risata quando mi sporgo per tentare invano di bloccare tra i denti il tuo labbro inferiore.
«Magari riprendiamo il discorso più tardi a casa...», stuzzichi.
«Oh, si, questo è poco ma sicuro», concludo mimando un'espressione di sfida.
«Dove mi porti?», domandi mentre, mano nella mano, ci immettiamo in un fiume di gambe e volti sconosciuti.
«Sai cos'è una puccia?», ti chiedo.
Mi guardi perplessa, incerta sulla risposta da dare.
«In sostanza - riprendo - è un grosso panino tondo fatto con un impasto simile a quello della pizza. E farcito con qualsiasi cosa ti venga in mente».
«Sembra... interessante - rifletti ad alta voce - si, decisamente interessante. E puccia sia!», concludi soddisfatta.
A causa della calca, impieghiamo svariati minuti per attraversare quel che resta del centro cittadino e raggiungere il lungomare. Grazie al cielo terso, la luna quasi piena si riflette sull'acqua, e i palazzi dalle finestre illuminate sembrano assistere come muti spettatori a quell'incredibile spettacolo offerto dalla natura.
Percorriamo senza fretta gli ultimi metri che ci separano dalla meta: uno dei pub più rinomati della zona per la qualità della sua cucina che, per nostra fortuna, quella sera non sembra particolarmente gremito. Superiamo i pochi avventori intenti a chiacchierare davanti alla porta e attraversiamo la soglia, individuando subito un tavolo libero abbastanza in disparte per non essere disturbati dal viavai di clienti e personale. Pochi secondi dopo esserci accomodati, una sorridente cameriera, menu alla mano, si dirige verso di noi.
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