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Lui & Lei

Dalle otto alle otto per ventiquattr'ore - Capitolo 14 - dalle 21 alle 22


di Parrino
14.11.2022    |    928    |    1 7.6
"Sollevo la testa come per darmi un tono..."
La cameriera ci saluta con cortesia, posando i menu al centro del tavolo in legno scuro e guardandomi a lungo prima di tornare in cucina.
«Chi è?», chiedi in tono freddo, osservando l'esile figura vestita di nero allontanarsi ancheggiando leggermente e scomparire dietro le porte in stile saloon che separano gli ambienti del locale.
«Cosa vuoi che ne sappia? Non vengo qui da una vita».
«Mi sembrava ti guardasse in modo troppo insistente per essere una sconosciuta».
«Si, anche a me. Ma proprio non la ricordo. Davvero».
Annuisci, intanto che la biondina con i capelli legati in una coda di cavallo torna verso la panca alla quale siamo seduti armata di tovagliette e tovaglioli di carta, posate d'acciaio e bicchieri di vetro. «Quando siete pronti per ordinare potete chiamarmi», dice in tono affabile guardando quasi esclusivamente me.
«Io la sgozzo quella gallina», ringhi appena si allontana nuovamente.
Il tuo tono mi strappa una risata. «Ma dai».
«Ma dai un cazzo, cos'ha da guardare?».
«Che vuoi farci - ironizzo - sono i rischi di accompagnarsi ad uno stallone come me. I miei feromoni si spandono nell'aere senza controllo e le giovani pulzelle non possono fare a meno di crollare inermi e indifese ai miei piedi».
Mi guardi torva, poi una risata sfugge dalla tua bocca. «'ste cazzate fanno parte di un repertorio, o le inventi sul momento?».
Sollevo la testa come per darmi un tono. «Per chi mi hai preso? Non diciamo baggianate. Questa è pura improvvisazione, baby».
«Chi me l'ha fatta fare...», sospiri prima di afferrare uno dei menu e iniziare a scorrerlo.
Io faccio lo stesso, ma la tua voce mi interrompe già durante la lettura della prima pagina. «Uccelletti? Cos'è, mangiate colibrì da queste parti?», chiedi attonita.
Rido di gusto. «Ma no! Sono scamorzine avvolte nella pancetta e cotte in forno quel tanto che basta a farle filare. Se vuoi provare la vera puccia tradizionale, ti consiglio di metterceli».
«E sia! Se non volessi darmi un contegno, starei già sbavando al solo pensiero», dici chiudendo il menu e riponendolo al centro del tavolo.
«Questa tua frase mi fa venire in mente qualcosa di ben poco consono ad un luogo pubblico», replico facendo lo stesso e rivolgendo alla cameriera un cenno con la mano.
«Non l'ho detto con quell'intenzione!».
«Può darsi - dico, sporgendomi verso il tuo orecchio e abbassando il tono della voce - ma ora ho in mente solo il tuo mento gocciolante di saliva e il mio cazzo piantato nella tua gola».
Hai ancora il respiro mozzato quando la biondina arriva al nostro cospetto. «Avete scelto?», chiede candidamente con un palmare in una mano e un pennino resistivo nell'altra.
Sorrido per il tuo lieve imbarazzo e ordino per entrambi lo stesso tipo di panino, qualche snack fritto che so essere di tuo gradimento e due bibite. La cameriera, diligente, segna tutto, poi riprende a guardarmi ancora una volta. «Non ti ricordi di me, vero?».
«Dovrei?», replico confuso.
«Toglimi questa divisa e immaginami con un grembiule e un cappello bianchi».
Rifletto per un istante, poi un'immagine riaffiora dalla mia memoria. «Ah! Ma certo! Ehm...», tentenno non ricordando il nome.
«Floriana», riprendi.
«Si, giusto. Scusa, con i nomi e le fisionomie sono una frana. Ecco perché non ti vedevo più in salumeria!».
«Già. Quel contratto è scaduto. Lavoro qui da quasi un anno, ormai».
«Mi sembra che te la cavi bene».
«Si, dai, è un bell'ambiente. E poi, ho anche ritrovato il mio cliente preferito! Torno fra un po' con la vostra ordinazione».
«Fai pure con calma, baldracca», sibili tra i denti quando la ragazza è abbastanza distante da non poter udire le tue parole, dopo che, per l'intera conversazione, non hai distolto lo sguardo da lei.
«Dio, quanto mi ecciti quando sei incazzata».
«Quindi, se la trascinassi in bagno per i capelli e la riempissi di botte non ti disturberebbe?».
«Dipende... prima o dopo che ci porta le pucce?».
«Dopo. Ho una fame...».
«Allora accomodati pure».
Ridiamo insieme. «Comunque, seriamente, non hai di che preoccuparti. E' un po' ochetta, ma è innocua».
«Ma si, figurati se mi spaventa quella mazza di scopa slavata. Solo che tu sei roba mia», dici avvicinandoti al mio viso con i tuoi occhi fissi nei miei. Mi sporgo per baciarti, ma ti allontani prima che le nostre labbra si sfiorino.
«No - sussurri con un sorriso malizioso - ora si fa come dico io».
Le decine di minuti seguenti trascorrono rapide e piacevoli, gustando del buon cibo e con tue piccole provocazioni e carezze che non fanno che eccitarmi e aumentare la mia voglia di te, già naturalmente non lontana dai livelli di guardia. Quando ci alziamo per dirigerci alla cassa, non puoi non notare la mia erezione premere contro il tessuto dei jeans. La sfiori con una mano e mi guardi fiera. «Tutto questo da vestita... pensa tra un po'...», dici languida.
Mentre Floriana prepara la fattura con la testa chinata sul bancone, ti avvicini a me fino a che i nostri corpi non aderiscono. Alzi gli occhi per guardarmi, e passi seducente la lingua sulle labbra. Non resisto oltre. Senza curarmi di quanto abbiamo intorno, ti serro la nuca e ti attiro a me per divorarti le labbra, facendomi largo con la lingua tra i tuoi denti per stritolare la tua. Per qualche decina di secondi che sembrano un'eternità, restiamo in apnea l'uno ad annegare nel respiro e nella saliva dell'altra. Ci stacchiamo solo una volta che siamo entrambi in grave debito d'ossigeno. Ansante e superba, ti rivolgi alla cameriera che, intanto, ha ottemperato al suo compito e ci osserva sorpresa. «Scusa, ma il tuo cliente preferito bacia da dio», le dici. Basita, la ragazza mi porge il conto. Pago e salutiamo, come se nulla fosse.
Voltati verso l'uscita, mi rivolgi un sorriso trionfale e mi prendi la mano, per districarci fra tavoli e clienti come fossimo un inscindibile tutt'uno.
Dopo qualche istante siamo di nuovo all'aperto, pronti a navigare in un mare d'asfalto sotto un rigoglioso giardino di stelle.
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