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Gay & Bisex

023 CARNE DA MACELLO


di CUMCONTROL
09.05.2022    |    6.090    |    2 6.3
"Chiesi al mio gruppo checcazzo stava succedendo, ma uno di loro mi afferrò di nuovo per una recchia e mi trascinò verso i furgoni..."
CARNE DA MACELLO

LIBRO QUARTO – “HUNGARIAN RHAPSODY”


Quando aprii gli occhi vidi dalla feritoia della tenda che albeggiava ancora sul greto del fiume. Fuori cantavano gli uccelli della notte, e dalle acque esalavano i freddi vapori del fiume.
Ero avvolto dal sacco a pelo e alle mie spalle alitava un ragazzo che come un bambino dormiva e mi teneva stretto stretto tra le sue braccia
Sentivo nella bocca il pastoso della sborra. Fu li che ricordai della gang bang della sera prima.
Poi mi si smossero le viscere che presero a gorgogliare, e fu lì che realizzai che ero stato ubriaco e quel ragazzo che mi teneva stretto mi infondeva calore, protezione e chi sa, forse amore.
Lentamente cercai di liberarmi da quelle braccia e sbucai dalla tenda, poiché il gorgogliare del mio addome mi sollecitava a liberarmi della massa di sperma che mi era stata rilasciata dal branco di cui ricordavo poco, per aver bevuto troppo.
Faceva freddissimo, ero peraltro nudo di sotto, ma indossavo la felpa che era tutta sborrata. Indossai il mio giubbotto col cappuccio che non so come mai era tutto pregno di urina.
Forse il branco si era lasciato andare in pisciate tumultuose sul mio povero indumento che era stato lasciato vicino al fuoco per tutta la notte.
Tuttavia avevo freddo alle gambe. Il mio cazzo poteva già dirsi un “Non più cazzo”, piccolo com'era.

A mia madre divertiva chiamare il mio genitale, “La fagiolina”, come soleva definirlo di solito quando da ragazzo praticavo con lei dell'insano nudismo alle Baleari.
Mia madre aveva diversi corteggiatori alle Baleari, ma col suo spirito li sapeva tenere a bada, e teneva a bada pure i miei.
Alle Baleari molti bramosi signori solevano girarmi attorno. Loro avrebbero pagato per ficcarmi due dita smaniando di svitarmi la fava come si fa col tappo del Prosecco.
Mamma diceva sempre. "Tieni a bada la tua fagiolina e fai della tua fava cacante uno scrigno, se non vuoi tornare a casa zoppa".
Mamma non era mai stata gentile con me. Ma si, è acqua passata, pensai.

Fatto sta che infreddolito corsi sui ciottoli perché il mio pancino ribolliva di tanto sperma, e chinatomi finalmente a riva, sparai la brutale massa sull'acqua che si increpò' di brutto dopo l' orrenda scorreggiona.
Fu bello e giocondo, e nel silenzio prima dell'alba, mi lasciai andare in scorreggioni tuonanti, che i volatili della notte, frusciarono via dagli alberi poco più in là.
Coi miei rumori richiamai l'attenzione di un bruto individuo del branco, che poverino si era svegliato per causa della mia molestia, e che si era messo a pisciare. Pisciava nella mia borsetta variopinta, dove già a quel tempo, mettevo le mie cosine carine, perché la borsa mi dispiace dirlo, è comoda.
Chi lo ha detto che la tracolla fa cula. È comoda invece, per gli occhiali, le chiavi, il cellulare, la tinta spray per il ritocco della barba; e in Francia, mio erudito lettore, ho visto pure nelle borse dei comodi stick di colore bianco che corregge - pensate - la sgommata cattiva per le mutandine.
Mo’ quelli so francesi, je serve.

Dove ero rimasto?
Ah, al bruto che mi stava a piscia' nella borzetta.
Terminata la scollatura della minchia, il signore si è rivolto a me. Naturalmente non vedevo na mazza, poiché la bruma era cosi tanta, e siccome non mi dispiaceva stare acquattato a pelo d'acqua perché mi stavo a rilassare, vidi l'uomo venirmi in contro tenendosi ben salda la minchia nel pugno.
Si trattava di un segno inequivocabile che il bruto signore mi aveva riconosciuto come la pecorella smarrita alla quale fu data la minchia da tutti gli esimi signori della banda.
Giuntomi dinnanzi, io gli ho prima guardato la minchia, poi ho alzato gli occhietti teneri sul suo volto torvo.
Il mio sguardo, vai a capire, suscitò nell’uomo una qualche indulgenza. Infatti si sollevò con le punte, mi prese per le orecchie e mi inforcò la gola con la sua minchia.
Ebbe cura di sfasciarmi il cavo orofaringeo che io sbroccai un poco. La minchia sapeva ancora della sera prima. E forse sapeva anche di culo. Il mio.
Si udiva lo stormire degli uccelli e io trovai suggestivo quel bocchino praticato in silenzio al termine della notte. Stavo col culo nell'acqua facendomi fottere la gola e tenendomi alle sue ginocchia.

Poi.. che dire… l'individuo si accorse che io, povera stellina che stava sottomessa allo stupro orale, stavo pure mezza sommersa di culo nell' acqua gelata del fiume.
E allora, vuoi mosso da buone maniere, vuoi che non gli garbava affatto che il mio povero culetto stesse nell'acqua, mi prese come si prende una sirenetta ferita. Io feci quello a cui per l’emozione cedevan le ginocchia e ricaddi. Dovetti comunicargli molta tenerezza.
Ma egli, accecato dal desiderio animale dell’amore, mi trascino via tenendomi dal cappuccio, che io mi grattugiai coi ginocchi sui ciottoli. Fui trascinato per metri.
Giunti al cospetto di un tronco morto adagiato sul greto dalle piene, l'individuo, con voce gutturale e arcaica, mi comandò di soggiacere di pancia sull’albero mutilato, per essere con ogni evidenza chiavata da lui con molto comodo.
Mi disposi di pancia sul tronco, sempre col giubbotto pisciato sopra, e culettino in sù e gambe nudissime.

Postomi in posizione del tipo micina in calore, quello mi penetrò con due dita così, decise, torve e dirette dritte su per il culo.
Accortosi però della mia larghezza slabbrata, egli non esitò di ispezionarmi la passera con altre due dita. Si badi bene che io non disponevo di lubrificante, e pertanto mi feci bastare quel liquame di sperma che ancora trattenevo in corpo.
Poi ci tirò tre sputi che io rimasi perplesso, nel senso che non seppi capacitarmi su come un individuo possa avere così tanta biascia in bocca di primo mattino.
Lo sputo caldo mi infuse piacere, visto che fuori sul tronco tutto era umido e avevo la pelle d’oca sulla chiappine.
Poi fu la volta della cappella sozza ed entrò così, a cazzo, che io subito mi misi a strillare per fargli capire quanto mi poteva piacere la sensualità di cacarella vietata e di prostata ammaccata.

Insomma. Adeguatamente chiavata sulla necromassa - intendendo come tale ogni forma vegetale morta - sono stata acciuffata per il cappuccio, e sbattuta cosi per bene che quasi me ne stavo andando a peritonite. Per lungo tempo stetti sotto di lui, sotto i suoi 90 kg o forse di più, e ricordo che mi sopraggiunse d’un tratto un desiderio di fa’ na puzzetta ma come si poteva fare? Me la tenni. Tutto fa, anche l’aria accresce quel senso di negazione degli intestini che è immanente nel bottom.
Vorrei sottolineare che il bruto gentiluomo s'era però rotto il cazzo di chiavarmi a pecorina, sempre su sto cazzo di tronco. Cosi mi ribaltò, mi tenne le gambe all'aria, fui chiavata a femmina mentre tutt’attorno gli uccellini cinguettavano giocondi per l’arrivo del nuovo giorno.
Ricordo che di tanto in tanto, sbattendomi con foga, lui mi fissava il pistolino rattrappito dal freddo, e credo che mi ritenesse un subumano.
Ma dalla mia avevo però la mia bella fava, e non importa se mia madre carica di disprezzo soleva definire il mio buco del culo una Fica Cacante.

Trovai incoraggiante quel suo sputarmi sul cazzino ma ciò che trovai davvero degno, fu quel suo sputarmi ripetutamente in faccia mentre mi teneva stretto alle caviglie.
Eccitata come nessuna mi appagai della maschera di racchia, e rapita dalla lussuria aprii mio giubbottino tutto pisciato della notte prima, e gli mostrai con orgoglio come si strizza le tettine una vera sniacchera.
Poi, proprio quando mi misi a storcere gli occhi al sopraggiungere di quello splendido senso di cacarella, lui compì un atto terribile…

… Non so se si possono scrivere certe cose su A69…
Io credo però che certe cose non possono restare nell’omertà.
La gente deve sapere...
Ecco lui...
Lui...
Dio come è difficile...
Lui sfilò la nerchia dalla fava, ok?
Ecco…
Poi..
Ora lui si chinò... Dio mio.. Annusò il mio pisello infreddolito, poi aprì la bocca e ….
Si mise a ciucciare.
No vabbè.
Io vidi tutta la vita davanti, fu come morire, capito?
Manco più tra i maschi dell’est ci si poteva aspettare più il maschio alpha.

Mio erudito lettore, hai presente quando abbordi un motociclista, maschio, virile, possente e quello si gira si cala le mutande e ti mostra il buco del culo???
La mia psichiatra che mi tiene in cura, e alla quale ho riferito questi eventi impossibili della mia vita, è rimasta così esterrefatta pure lei, che non ha saputo trattenersi dal cavar fuori la tetta per inzupparla nell’inchiostro, e timbrare tutte le mie cartelle cliniche, strillando come una pazza che Litz Taylor è ancora viva e dobbiamo cercarlaAAAAAAAAAAAAAA!!!!!
Quello mi succhiava, mi ruttava sul cazzetto, mi stringeva le palline come se stringendo le palline mi si tirasse su il cazzo.
Albeggiava. La mia minchia non veniva dura e ci mancava solo quello. L'individuo si stava a spazientire.
Io per carità non sapevo come fare, e d'un tratto…
Ecco, sono arrivati due compagni.
Menomale guarda.
Capii subito che presto sarei stato scopato in massa. Il bruto avrebbe ripreso a fare il maschio, e io, Abbella proprio, sorrisi sorniona alla sorte, pregna direi di licenziosi piaceri suini.
Non persi tempo. Afferrai immediatamente le mie tettine e le mostrai sudiciona standomene a cessa sdraiata sul tronco.

Quelli?
Quelli tolsero il bruto dal mio pistolino, e va bene, poi mi presero per la recchia, e mi fecero subito scendere dal tronco se no mazzate. Le maniere proprio.
Poi fui trascinata alla tenda, dove a calci in culo fui invitato a vestirmi. Mi vestii tra calci, sputi e qualche schiaffo.
Il ragazzo che sotto la tenda mi aveva tenuto stretto stretto tra le sue braccia, s’era appena svegliato. Io gli sorrisi mestamente mentre mi stavo infilando la tuta, e quello più di tutti mi tirava i calci ridendo insieme agli altri.
Ripeto, ma checczz’ di maniere proprio.
Io piagnucolavo. Io volevo tornare a casa. Io giurai che mai più mi sarei esposta. Avrei trascorso la mia vita serena, tranquilla, con ora del tè e amiche finocchie con cui commentare l’ultimo abitino della Bertè. Mai più cazzi. Solo bamboline di pezza da pettinare, e al massimo, sfogliare con liturgico rispetto l’ultimo numero di Grazia.

Però il sole sbucava dai colli. Udii un gran frastuono di motori e di una guida da pazzi. Alzai gli occhi e vidi a breve distanza dei furgoni, che sollevavano sulla riva del fiume un gran polverone.
C'era un casino. Si udivano delle grida pazzesche che io credevo si trattasse di una marea di balordi sborni, ma quando buttai l'occhio vidi dai furgoni aperti, dei bruti ceffi uscire che trascinavano giù dei ragazzi che picchiavano e gli urlavano.
Chiesi al mio gruppo checcazzo stava succedendo, ma uno di loro mi afferrò di nuovo per una recchia e mi trascinò verso i furgoni.
Feci osservare che ero perfettamente in grado di camminare nonostante la fava spampanata.
Quello non capiva un cazzo della mia lingua, ma capii che dovevo stare zitta perché mi tirò du pizze sui labbroni che me li fece a zampogna.
A cessa fui trascinata per la recchia, e sapeste quanto mi doleva, tanto che dovetti chiedergli del burro cacao.
Io certamente pigolai un “per favore” ma lui niente, allora pigolai “pietà” ma quello non capiva, pigolai quindi un “coccodè” ma un cazzo.

Finalmente giungemmo al cospetto dei furgoni e di tutti quei corpi strillanti e malmenati.
Quello che vidi da vicino mi sconvolse.
C'erano sloveni e ungheresi, brutti, che ti poso dire, dei ceffi. Tutti grassi, tipo bear come quelli che da noi vestono da boscaioli e si strafogano negli street food al centro commerciale tra una vetrina e l'altra, solo che questi non avevano la borzetta, nessun occhiale da sole, e nu me pare andassero ai concerti di Lady Gaga.
No.
Quelli erano dei maneschi individui che a ceffoni facevano scendere ragazzi e qualche ragazza, tutti malconci e terrorizzati. Nella calca qualche orco stava ultimando la stuprata di qualche ragazzo nel furgone ma non si capiva gran che.
Io misi la manina sul cuore e non mi vergognai affatto se il mignolino stava per aria.
Nell' angolo negletto di un furgone, vidi uno di questi maneschi individui, di schiena, coi calzoni lerci calati alle cosce, bel culo va detto, che schiacciava, stordiva e soffocava di minchia la gola di un povero giovanotto sfiancato da un lungo viaggio.
Il giovanotto era di possente complessione fisica, si direbbe che fosse uno sportivo. Eppure, stava arreso alle ingiurie del suo aguzzino, avvinto dalle botte e dalla sua grossa minchia confitta nella gola.
Non tutti devo dire…. Voglio dire, non tutti questi aguzzini parevano gradire l'arbitro del loro sesso a danno di questi ragazzi.
Molti di questi aguzzini potevano dirsi omosessuali. Più che omosessuali sembravano drogati.
Altri di loro invece erano chiaramente eterosessuali, più sobri, perché si astenevano dal praticare ingiuria sui corpi di quei poveri ragazzoni e si limitavano a percuoterli soltanto.

Continuavo a chiedermi il senso di ciò che stava accadendo sulla riva di quel fiume di confine, il Mura, tra Slovenia e Ungheria.
Sembrava una mera deportazione. Si ma a che fine? Erano forse quegli infelici dei ragazzi prelevati a ovest e dirottati all’est nei bordelli di regime? Ma davvero io, piccola creatura senza un perché, davvero io stavo vivendo la Storia? C’erano mani che gestivano questo traffico? Ero diretto anche io in qualche luogo freddo dell’est, io che di buona famiglia stavo finendo in un tritacarne? E i miei genitori, potevano centrare in quanto i miei occhi stavano vedendo?
Forse ero in preda alla paranoia.
Ma poi pensai… Ma Checcazz’ me ne fregava a me. In fondo mi bastava che mi fosse servita la mia razione giornaliera di cazzo. Il cazzo era tuffo quello che io chiedevo dalla vita, e fa niente se potesse saper di pesce, di caciotta, o di piscia, o che io fossi in un bordello. Io mi sarei divertito comunque.
Quindi, non capivo perché tutti quei ragazzi piagnucolassero. Va bene, erano malmenati. Ma voglio dire, se solo avessero fatto con mitezza ogni cosa loro richiesta, magari in malo modo, certo… avrebbero però scoperto qualcosa di diverso.
Gli eterosessuale sanno essere molto noiosi in fatto di gusti.
Avrebbero scoperto che leccare una fica magari fosse poca cosa al cospetto di un gran cazzo che ti schizza in bocca; che la formaggia non è poi così dissimile dal taleggio.
E poi, una fica ti premia forse meglio di una bella litrata di sperma?
Quante storie. La sborra è sborra, fa bene alla pelle e in culo combatte la stitichezza.

Ad ogni modo torniamo a quel caos tra i furgoni, le urla e le cinghiate.
I ragazzi furono sospinti dai furgoni alla riva, mentre io stavo a vedere come soffriva tra i singhiozzi un bel ragazzo virile che sussultava tutto muscoloso alle spinte in gola di una bella minchia. Il ragazzo pareva talmente annientato da parere un corpo morto.
Ora, va bene tutto. Al ché, non sopportai la sofferenza di quel povero diavolo, peraltro preso per i capelli schiaffeggiato e schiacciato di minchia sulle lamiere di un furgone.
Presi coraggio, perché anche se alcuni lettori mi considerano una frocia, io sono anche intriso di coraggio e capace di compiere gesti eroici.
Dissi...


- Se... Senta lei... Ehm, scu.. Scusino, dico a lei! Signore mi ascolta??? Ma tu guarda questo filibustiere…. Senta signor Maleducato, è ora di smetterla di importunare il ragazzo sa? Non ce l'ha una mamma?? No, dico.


Al che, sincrono diciamo, sono stata afferrata dal cappuccio del mio giubbino, che ricordo ai più distratti era ancora tutto bello che pisciato, e fui trascinata via da mani cattive che nel frattempo erano sopraggiunte a fermare la mia protesta sindacale.
Feci in tempo a vedere il ragazzone stanco vomitare sborra, e poi vidi che fu preso in altrettanto malo modo e strascicato giù dal furgone.
Entrambi fummo condotti a riva in mezzo a tutti gli altri che poveretti si schermivano seminudi dalle cinghiate, dagli schiaffi e dagli sputi di tutti quegli aguzzini che secondo me erano pure drogati non per dire.
Mi impressionò soprattutto la grande quantità di ragazzoni, sicuramente eterissimi, non come voi che andate all’ Eurovision.
No.
Eterissimi, sul serio.
Ma dicevo… ciò che mi impressionò tantissimo fu vedere quei loro abiti strappati, e quasi tutti recavano lividi e contusioni.
Personalmente fui presa pure io a cinghiate, tanto che ruotai i polsi da genuflessi a tesi come per dire la prego la smetta.
Na cinghiata mi arrivò dritta sulla faccia, perché mi voltassi e seguissi il gruppo di infelici che nel frattempo venivano imbarcati su tre barconi sopraggiunti dall'altra parte della sponda.

Mi predisposi al gate della seconda barca, e attendevo il mio turno anche se mi spazientivo non poco perché tutti strillavano e ci percuotevano con fusti di gomma e cinghie.
Io cercavo di stare più in mezzo al gruppo ed ero prossimo all'imbarco, ma la calca era tanta, dovevamo fare in fretta, e a mi veniva pure da scorreggiare.
Sparai la puzzetta, tanto cazzo me ne fotteva a me. Chi poteva udirla?
Tanto, voglio dire, se stavano a strilla' tutti...
E poi era una puzzetta, gentile e....
Silenziosa!
E bene, tra le urla tipo film di guerra, esalò tra le botte, come dire, una sincera loffia di pecorino, di verza, fagioli e cozze.
Benissimo.
Dovettimo immergerci fino alle ginocchia per salire su ste cazz’ di imbarcazioni.
Dunque tentai l’imbarco.
A mazzate mi fu ingiunto di salire subito, ma io, Abbella proprio, con le manine diedi a intendere che il bordo scafo era alto ed io ero troppo basso di statura se non avessero provveduto a chiamare un addetto del servizio di prelevamento passeggeri per l’imbarco.
Un tale mi sbraitò sulla faccia, che io a perplessa feci cìn cìn con gli occhietti, come per dire stia calmo.
Mi permisi di far rilevare che non era colpa mia se ero un po’ bassino, e che mia madre soleva infatti chiamarmi Brutta Nana Demmerda, quando alle Baleari mi appartavo dietro gli scogli per succhiare i vecchietti.
Vuoi che gli aguzzini ci avessero capito qualcosa?
Fui presa per ginocchia, ascelle e braccine. Fui elevata su tutti come una Material Girl qualunque tipo 'a Ciccone proprio, e fui rovesciata a cessa in fondo allo scafo, come una busta di umido di un ristorante di quelli brutti dove vanno a ingozzarsi i bears con la barba ritinta.
Le maniere proprio.
Comunque nella barcaccia fui sommersa da altri corpi che urlavano sempre e mi stavo proprio a spazientire.
Come una gattona tutta di pelle nera ho comunque raggiunto il bordo scafo e mi sono seduta a tribordo con aria stitica e infastidita ma insomma un po’ di decenza.
Forse inopportunamente, in mezzo a tutta quella bolgia, chiesi se qualcuno di quei poveri ragazzi desiderasse un bel pompino. Non so, tutti laceri li trovavo sexy.
Ora, mi scusai preventivamente se la mia fiatella potesse sapere di caciotta morta, ma tranquilli non desideravo di essere baciata, ma il coito interrotto dell'alba mi aveva suscitato quel desiderio malsano di minchia funestamente incompiuto.
Nessuno mi cacò di pezza.
Poi finalmente salpammo e le tre imbarcazioni si diressero verso la sponda ungherese, e lì vidi altri furgoni e altri individui vestiti da cacciatori.
Benissimo.
Vuoi che fra loro non ci fosse qualcuno che mi prendesse mi portasse con sé tra le frasche?
Chi sa, magari il tempo era vicino per una sana chiavata nel faggeto.
Ebbi un brivido di aspettativa, e il mio culetto fremeva impaziente.
Chi lo sa, magari tra loro c'era l'uomo della mia vita.
Un etero finalmente. Chi lo sa. Magari di me sarebbe andato pazzo.
Magari mi avrebbe portato a casa sua, mi avrebbe presentato la moglie e mi avrebbe messo subito alla prova davanti ai fornelli. Io avrei cucinato meglio della moglie, avrei dato i piaceri del mio culo felice che la moglie stessa gli negava..
Avrei strofinato le fughe della cucina, gli avrei leccato le pantofole. Al fiume avrei strofinato a dovere le sue belle mutande selvagge.
E lui? Lui avrebbe ritenuto inutile mantenere la moglie perché io avrei sempre detto si alle sue voglie di culo da spampanare. Avrebbe cacciato sta moglie cacacazz’ a calci nel culo, e mi avrebbe serbato per i suoi innaturali piaceri, fottendomi tutte le notti.
E se avesse trascorso poverino tutto il giorno a malmenare sventurati? Magari stanco si sarebbe ritirato nel villaggio ma io lo avrei atteso.
Poverino, troppo stanco per le troppe cinghiate date si sarebbe astenuto dal chiavarmi, ma di me avrebbe avuto cure amorevoli, cedendomi agli altri compagni del villaggio, perché io non patissi l'assenza del cazzo.
Ovvio che tutti i maschi del villaggio avrebbero sgomitato per chiavarmi nel canalone, si sarebbero letteralmente presi a mazzate per avere il privilegio di martellarmi il buco del culo.
Le mogli del villaggio avrebbero protestato, ma pure loro a calci in culo le avrebbero cacciate tutte per chiavare me, solo me. La bella e la Bellissima.
Non vedevo l'ora.
Se non che, mi resi conto che stavo galoppando troppo con la mia fantasia.
Vidi che gli uomini che ci attendevano sulle foglie morte del bosco erano assai impazienti e quando le tre barcacce guadagnarono la riva, loro ci vennero in contro.
Riprese la baldoria degli schiaffi, sputi e insulti e la mia barca prese a rollare male sull'acqua.
Piano piano furo trascinati tutti giù.
Quando fui il mio turno, porsi la mia manina al personale sotto la barca incaricato di farci scendere dalla barca.
Fu lì che per non prendere altri schiaffi, chiesi sommessamente se non avessero una scaletta, sottolineando però che anche un predellino qualunque sarebbe andato benissimo, visto che in quelle circostanze voglio dire che ti metti a chiedere ‘na scaletta?
Un tipo mi fece segno da sotto che non capiva, mimando che era sordo. Poverino.
Quindi mi abbassai alla portata del suo orecchio per dirgli della scaletta, ma due ceffi mi afferrarono per le recchie e fui subito tuffata in acqua.
Certe maniere.
Ripresa per le recchie fui ancora trascinata alla vicina riva, presso gli altri infelici che sempre a mazzate venivano indirizzati ora in quel furgone, ora in quell'altro.
Non per dire, ebbi però un trattamento speciale. Quando si dice che certe virtù balzano all'occhio.

Non so se perché appena mi vide gli scoppiò il cazzo nelle mutande, ma il capo dello squadrone, un mastino dall'aria torva, vestito da cacciatore, pacco grosso e stivali sporchi di letame e di fango, mi venne in contro.
No vabbè pensai, vuoi vedere che ha scelto me per ius primae noctis?
Mi afferrò il braccio, mi condusse con sé che voglio dire ero così emozionata.
Presa per il polso passavo sotto le fronde secche e misi la manina sul cuoricino tanto stavo emozionata. Guardavo gli altri e con la mano feci pure ciao ciao.
Isolatami dal gruppo mi voltò verso di lui.
Bello e cattivo. Caddi sulle mie stesse ginocchia. Poi chiusi gli occhi e senza parlare mimai la parola ConcOrdo.
Si, uno dice, ma perché hai detto concordo?
La gente non lo sa, ma noi finocchi amiamo dire Concordo perché nel dire Concordo tu fai vedere come sai fare bene la “O” coi labbroni. Concordo.
Mica dici che so.... Hai ragione.. no, tu dici, Concordo. E’ un codice muto, metalinguaggio, che significa Guarda che io di bocca so' sempre pronta!!
Lui però non capì il senso ma si limitò ad agganciarmi le narici così, con due dita, che me li ficcò dritte su per il naso come fossi un porco, e mi rimise in piedi.
Io pigolai la mia supplica ripetendo Concordo ma non ci fu verso.
Poi chiamò un tale, un seviziatore del clan, e io mi abbassai la tuta giusto per far capire che anche una melanzana sul per il culo andava bene comunque anche se non era più stagione.

Stavo iniziando a sentirmi male. Non si lasciano le persone senza cazzo.
Ma il capo disse qualcosa al sopraggiunto, e il sopraggiunto si sfilo la cinghia e prese a percuotermi le chiappine con così malagrazia che io fui costretta a saltellare strillando quanDi uccelli, quanDi ucceeelli.
Fui spinta dritta verso un furgone tutto per me.
Fui buttata dentro, feci giusto in tempo a voltarmi verso il bruto ed egli mi mise una busta in mano. Poi chiuse la portiera.
Fuori udivo ancora il trambusto.
Posai gli occhi sulla lettera. La aprii. Riconobbi la calligrafia.
Era quella di mia madre.


HUNGARIAN RHAPSODY
Autobiografia di un libertino.

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