Gay & Bisex
030 CIAO DANNY VIENI A GIOCARE CON NOI?
di CUMCONTROL
21.10.2024 |
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"La donna pareva s’aspettasse del mio arrivo..."
Con un calcio in culo fui scaraventato sulla strada. I tre furgonisti non brillavano certo di cortesia. Uno dei tre però ebbe cura di farmi un lieve sorriso e mi consegnò tra le mani un biglietto.
Sul biglietto era riportata l’esatta geografia del luogo e indicazioni in mappa di dove avrei dovuto dirigermi dopo che se ne fossero andati. Io salutai in conformità alla mia buona educazione e loro non mi cacarono manco di pezza. Una sgommata e via, una nuvola di polvere e tanti saluti al cazzo.
Feci spallucce. Ormai ero abituato alla scortesia di quella gente. Dispiegai il foglio e risalii il colle come da precise indicazioni di mappa.
Salendo, non senza fatica per il freddo, mi passai una mano sul mio pisello, che stava dormendo sotto la mia tuta felpata. Era unto e appiccicaticcio.
Volevo annusarmi. Volevo capire che odore ha l’interno di un maschio chiavato qualche ora prima. Uno dei tre furgonisti s’era sollazzato alle prese con il mio pisello ed io non avevo mai avuto esperienze simili prima.
Annusai. Una zaffa violenta di cesso mortuario mi fece stendere dal ribrezzo. Salivo a fatica e mi chiedevo se anche io potessi sapere di fogna morta dopo la chiavata. Poi compresi che un maschio vero, che di tanto in tanto vuol levarsi via il prurito dal culo, è del tutto inconsapevole dell’esistenza della peretta. Il maschio vero, crede di potersi concedere così, senza cura alcuna di ripulire la trippa come si deve. Il maschio vero è così, ingenuo.
Ma poi mi dissi che io ero nato per prenderlo, non per darlo.
Quindi, mai più avrei chiavato culetti se non costretto, come l’esperienza che m’era appena toccata in sorte.
Dunque risalii il colle con i suoi tre tornanti, e giunsi dinanzi ad una grande magione su tre piani che mi parve così sinistra da sembrare uscita da una fiaba brutta per bambini.
Suonai. Dio santo faceva un cazzo di freddo là fuori.
La porta si aprì. Mi accolse una donna austera, sulla sessantina, tutta secca.
Era altissima. Maaaaagra come una zanzara. Aguzza. Tutta nera, con abito lungo e colletto bianco.
La donna pareva s’aspettasse del mio arrivo. Blaterò qualcosa in lingua ungherese e con un indice della mano m’indicò la camera d’aspetto presso cui avrei dovuto accomodarmi.
Entrai nella camera con aria circospetta e con i cinque polpastrelli della mano sul mio petto. Quindi mi voltai e accennai a un inchino fuori luogo a quella donna, la governante.
Andai a infossarmi dentro una larga poltrona da autentica baldracca lituana e mi guardai intorno.
Quella camera era più alta che larga. Tutto era alto: le finestre, i quadri di antichi avi dall’aria torva, e le statue di marmo raffiguranti duchesse e marchesi. Tutto.
Poi sopraggiunse una zaffa. Subito mi annusai l’ascella ma l’ascella non era. Quell’odore sapeva di broccolo, di verza secca stufata, il tutto miscelato in una atroce scorreggiatrice ad aria e propagata in casa praticamente ovunque.
Quella casa era come pregna di scorreggia. Ma poi realizzai che in tutte le case ungheresi v’era quell’odoraccio, poiché la verza e il broccolo sono ortaggi di largo consumo fra quei popoli, e la consuetudine di scorreggiare in privato è un qualcosa che a loro reca molto conforto nei lunghi meriggi grigi di campagna.
Quindi ammetto che mi stavo un tantino a scoglionare poiché nessuno arrivava a dirmi un cazzo e sinceramente non capivo le ragioni di tanta attesa.
Ora però, si dà il caso, che standomene seduto in quella sala d’aspetto, sprofondato nella poltrona da baldracca lituana, mi stavo un tantino a scoglionare, poiché era quasi trascorsa un'ora buona e dalla porta nessuno veniva a dirmi un cazzo.
Ammazzai il tempo scaccolandomi con cura monumentale, ma poi mi alzai per sgranchirmi le gambe e fu così che di là dalle vetrate proveniva un vociare virile che mi sorprese.
Dunque in quella casa non eravamo soli e così accostai alla tenda. Ciò che vidi mi impressionò tantissimo. Sul prato c’erano operai che si davano un gran daffare a sistemare una staccionata di legno e alcuni di loro trascinavano dei caproni dentro una baracca di legno.
Un quadretto fiammingo, pensai. I ragazzoni avevano tutti pantaloni piuttosto larghi e pure si potevano ben riconoscere le loro chiappe sode. I cazzoni erano qualcosa che facevano mancare l’aria poiché ballavano letteralmente sotto quei tessuti lisi e slavati.
Qualcuno di loro mi vide e richiamò gli altri indicando me.
Me, capisci?
Me che ero appena arrivato in quella grande magione e già destavo la curiosità di tutti quei maschioni? Qualcuno di loro mi sorrise tenendosi il pacco e fu così che capii che scherzavano su di me.
No, ma non ci potevo credere. Cioè, tutti quei maschi volevano me? A me proprio? No vabbè mi lisciai i capelli e arrossii non poco. Quindi in quella casa non ero finito per caso. Mica si vedeva che mi piaceva il cazzo e pure tutti quei nerboruti agognavano me. Me, capisci?
No vabbè, ma chi aveva ordito tutto questo? Era stata forse mia madre?
Mia madre? Che da sempre mi riteneva una “fica cacante” non senza sprezzo? Allora non mi disprezzava? Forse alla fine aveva capito che mi piaceva il cazzo, e che non c’era modo per pensare ad altro, e aveva organizzato tutto questo per rendermi finalmente felice lontano da papà?
La mia mente fece dei cerchi in quella stanza e già mi vedevo, io, la castellana, la debuttante che entrava nel grande salone delle feste.
Tutta quella plebaglia ben vestita coi cazzoni irti, si sarebbe presa a pugni pur di avere una notte con me. No vabbè.
Magari tutta la massa del villaggio sarebbe accorsa e mi avrebbero svestita, palpata, baciata, spampanata sulla tenda, chiavata sulla tavola, ridotta a vera cagna dopo la mezzanotte, magari china nel ripostiglio delle scope a mangiare croccantini con una bella mazza da baseball su per il culo.
E le mogli del villaggio? Mi avrebbero disprezzato perché tutti quei maschioni avrebbero presto ritrovato la verve e con loro manco più si sarebbero accorti di essere sposati con certe ciccione.
Vaneggiavo, mi voltai chiudendo la tenda e misi i cinque polpastrelli sul mio seno ansimante.
Sennonché, un boato pazzesco mi fece saltare in aria per lo spavento.
Quella donna aveva spalancato la porta, guardandomi dall'alto della sua ossuta statura.
Mi fece capire che dovevo seguirla.
Procedemmo per un ampio salone che sembrava il set di Titanic.
Io le stavo dietro.
Salimmo per uno scalone elicoidale ed io quasi ebbi le vertigini, perché salendo, girava con noi un gigantesco lampadario di cristallo. Poi ancora un corridoio e sul fondo, due figure che mi fecero sobbalzare.
Davanti a noi, impalate, c’erano due nane. Entrambe mi guardarono fisso e mi chiedevano se non avessi voglia di “giocare con loro”.
La governante mi fece segno di non badare e di seguirla, ma le due nane avevano un’aria torva e lasciva.
Mi dissi che era un incubo. Abbassai gli occhi e feci qualche passetto più rapido per superare le due figure e star dietro all’ossuta governante.
La signora Rottenmeier bussò alla porta che stava in fondo al corridoio, introdusse la testa dopo l’uscio, disse qualcosa in ungherese e fui alla fine invitato a entrare.
Entrai. Un uomo calvo, gonfio, con vocione da trombone e per giunta vestito con un pigiama bisunto, mi fece cenno di entrare. Aveva l’aria gioviale, non un dente apposto, ma gioviale.
- Che piacere rivederti CUM. Hai fatto buon viaggio?
- Si grazie, abbastanza.
- Certo che ti sei fatto un bel giovanotto. Accomodati. Non ti ricordi di me?
- Dovrei?
- Io sono Edgardo, ero presente al tuo diciottesimo compleanno, sul panfilo di famiglia, ricordi?
- Non ricordo.
- E te lo ricordo io. Oh, che pompino maestoso a tuo padre. Un vero campione. Il tuo ingresso nella maggior età. Un vero trionfo. Non è così CUM?
- Ehm, si.
- Mi sono sempre chiesto se sul panfilo non ti avesse recato disturbo farlo in mezzo a tutti quegli invitati.
- Un po’.
- Beh a dire il vero eravamo imbarazzati anche noi, ma fu così eccitante. E poi tua madre seppe intrattenerci nel mentre passando col vassoio dei drink. Ricordi? Una gran donna.
- Ehm..
- Tu devi avere un gran cazzo!
- Come dice scusi?
- hehehe. Ti prego di perdonarmi CUM . Tu sai perché sei qui?
- Non esattamente
- E te lo dico io. E’ per il volere di tua madre che sei qui da noi.
- Da voi?
- Tua madre ora ha deciso di dire basta, e mi ha pregato di porgerti le sue più sentite scuse. Si sente in colpa, per averti allevato come una femmina. Ma tua madre è stata una vittima.
- Mia madre una vittima?
- Vedi. Tuo padre voleva una femmina fresca, e tua madre gli ha fatto un figlio maschio. Tua madre ha ceduto alle voglie malate di tuo padre. Pur di non avere in casa una concubina, ha pensato di gettarti presto tra le gambe di tuo padre. Come se tu fossi la sostituta sessuale di mamma. La versione meno nobilitata di tua madre, e più sgualdrina.
- A me andava bene così.
- Tua madre assisteva?
- Delle volte.
- Tuo padre...
- Mio padre?
- Ti faceva male?
- Godeva di più, se sanguinavo.
- Cucciolo. Ora però è tutto passato.
- In che senso?
- Mamma è afflitta. Ti chiede scusa. Ora vuole ammogliarti.
- Sposarmi?
- Un’altra vita CUM. Qui, in Ungheria. Lontano da quei luoghi di sofferenza. Mamma sarebbe felice, anche perché in Italia la gente mormora, e sai quanto tua madre badi alla sua e alla vostra buona reputazione.
- Ma io non voglio sposarmi. Fotte sega della reputazione. Io non so nemmeno come sia fatta una fregna e poi a me piace il cazzo. E poi lei cosa c’entra con me e la mia famiglia. E mia madre!!! Dio, mia madre!!!! Dovrebbe dimenticarmi, per sempre. Per sempre.
- Non dire così CUM. Voglio un gran bene a tua madre. Lei mi procurava i ragazzi in oratorio e siamo amici da quando eravamo ragazzi.
- Come? Anche a lei?...
- Anche a me piacciono gli uomini. Vedi CUM, io e te costruiremo qualcosa di grandioso. Tu sposerai una delle mie due figlie…
- No
- Ascolta. E’ poca roba, una chiavata al mese e sarà a posto. In realtà, tu, bel giovanotto, farai ginnastica su di me.
- Come dice scusi?
- Ti chiedo scusa… Ame!!!!!
- Ame????
- Ametista!!! Porcobue, Ametistaaa!!!!
- Chicazz’è Ametista!
Sicché mi voltai, e vidi entrare con aria trionfale la nana. Ametista!
La nana entrò con ampie falcate, fiera e compiaciuta, con il mento incassato e un sorriso da demente, e quando mi fu di fianco, in espressione calabro ungherese disse al padre:
- Papah!
- Eh.
- Quant'è bello. Papà mi piace. Me lo pozz’ portà in camera?
- A suo tempo tesoro, ora vai di là che devo parlare con questo ragazzo
- No papà, ora!
- Amore ti ho già detto che devo ultimare la mia conversazione con questo giovanotto e poi quante volte ti devo dire che non devi entrare nello studio quando sono impegnato in conversazione con altri uomini.
La nana lo fissava stupita, reclinando il viso ora da una parte ora dall’altra. Mentre reclinava, prese a pisciare per terra.
Maccheccazz’è, l’esorcista???
Sicchè il padre si inalberò, fece il giro della scrivania e fu li che mi accorsi dell’elastico che gli cedeva mostrando un mezzo culo flaccido.
- Ma brutta pezza di merda, ti ho detto vai di là. Cacacazza!
Così l’uomo prese a botte la figlia. La riempii di schiaffi e la scaricò dall’ufficio con tanti calci in culo. Dalla moquette fu raccolta dalla governante, che evidentemente era accorsa richiamata dalle urla di quella demente.
Poi l’uomo mi guardò, mi sorrise e mi disse.
- Tieni. Queste sono le chiavi della tua stanza. Si trova giusto di fianco alla mia. Vai di là, riprenderemo il discorso un’altra volta. Ora sono stanca.
- Stanca?
- Vuoi prendere ste cazzo di chiavi si o no?
- Ah scusi. Grazie Edgardo.
- Quando siamo soli io e te, mi devi chiamare Pupa.
- Pupa??
- Pupetta. Si Pupetta, è meglio. Ora và, levati dal cazzo. Prrrrrrrrr
- Ma... Ma ha scorreggiato!?!
- Sono stanca....Stanca e felice. Perche da oggi ci sei tu.
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Questo racconto è tratto dalla saga
HUNGARIAN RHAPSODY
Autobiografia di un libertino.
CUMCONTROL 2024
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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