Prime Esperienze
il trattamento terza parte

23.01.2025 |
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"Sentiva ancora la propria passera bagnata, piena di umori degli altri due..."
Dopo l'annuncio il suo compagno si staccò e la sua mano rimase a carezzare le lenzuola. Alzò gli occhi, ma nel buio vide solo un ombra muoversi. Silenzio. Delusione. E curiosità. Le era piaciuto. Dopo il primo decisamente sotto dimensionato, quello lì, normale, assolutamente normale, le era sembrato fatto apposta per lei.L'aveva riempita il giusto. Fino in fondo, senza dolori, con sazietà.
E ora?
Sul letto qualcuno si sdraiò. Tastò meglio, girandosi in quella direzione per cercare di vedere qualcosa in quel buio. Era più in là. Bastava allungarsi un po’. Le dita lo sfiorarono, seguendo le scanalature delle costole. Non era lui. Ne era sicura. Questo era molto più peloso. E muscoloso. Ritirò la mano, timorosa. Una ventata di profumo maschile la avvolse. Pungente, secco, duro. Di nuovo, l’odore di prima sparito. Era troppo stanca per chiedersi cosa e come facessero. Anche la musica era cambiata. Questo era Lou Reed, ne era sicura.
L’uomo senza muoversi, da sdraiato, le ordinò: “prendimi”.
Si girò e vide il contorno del viso, la mascella, le labbra. Poi di nuovo tutto scomparso. “Prendimi” ripetè secco e lei riconobbe la voce. Era quello dell’altoparlante. Il primo, quello che le aveva ordinato di spogliarsi, quello che aveva detto al primo di iniziare e aveva spiegato le regole. Quello con la voce uguale a quella dell’attore americano. Era lui amantesapiente?
Cercò di guardarlo di nuovo, ma ogni cosa era sparita nel buio più assoluto. Doveva essere lui, il capo, amantesapiente.
Lei era stanca, soddisfatta, solo curiosa. Non sentiva più molta voglia, se non quella di vedere come andava avanti quella cosa.
Di nuovo la voce disse: ”Prendimi”
Obbedì, allungando stancamente la mano nella direzione della voce.
Incontrò quello che dopo un po’ capì essere un fianco. Lo seguì. Le ascelle. Cambiò verso e scese, lentamente, fino all’inizio della coscia. Era magro e muscoloso. Sotto la pelle avvertiva ogni muscolo, ogni tendine, caldo, teso, sodo, muscoloso. Girò verso l’interno seguendo il solco dell’inguine. Quanto amava quel particolare del corpo maschile! Quando il fianco si apre come in una ferita, in un solco verso l’interno delle cosce. Sembrava un gradino, tanto era in rilevo. Si fermò a giocare più volte a salire e scendere da quel gradino, indugiando sull’addome peloso e piatto, completamente piatto, duro, per poi tornare alla pelle liscia e glabra delle cosce. Poi proseguì verso il pene e c’arrivò.
Lo toccò solo con la punta di due dita. Su e giù. Non era eretto. Era sdraiato su una gamba ed era, era enorme.
Alzò gli occhi cercando al buio il viso dell’uomo. Le sembrò di vedere due occhi che la osservavano.
Prendendolo in mano si disse che non ne aveva mai visto uno così. Meglio toccato, preso. Carezzandolo il cazzo si irrigidì un pochino. Lo afferrò e lo sollevò. Pesava un quintale. La cappella le si piegò verso la mano. L’aveva sentito dire che quelli grossi, veramente grossi, hanno difficoltà d’erezione. La curiosità di vederlo pronto le fece tornare le forze.
Prese a massaggiarlo, su e giù, partendo dai testicoli e tirando su la mano finché poteva.
Intanto con la lingua prese a fiorettare sulla punta della cappella, infilandosi le buchetto, che date le dimensioni generali dell’attrezzo, era ben più che un buchetto. Intanto che quello lentamente si rizzava fu felice di non essere più vergine da un pezzo e fu anche contenta che l’avessero preparata, per così dire, a quell’incontro. Sentiva ancora la propria passera bagnata, piena di umori degli altri due.
Per il momento lo voleva solo dritto da poterlo toccare. Non poteva dire che le facesse voglia. Troppo grosso, dai. A forza di menarlo il cazzo si stava indurendo. La sua mano chiusa sull’asta riusciva a mala pena ad superare la metà dell’attrezzo. Gli strinse intorno entrambi le mani. Cercò di mettersi la cappella in bocca- Aperte le labbra più che poteva iniziò a sentirne il sapore forte di maschio, un sapore inequivocabile, di cazzo, eccitato, di sventra passere a tradimento. Quel sapore le fece tornare definitivamente la voglia. Prepotente. La sua figa si bagnò ancora di più. I propri umori, abbondanti, si mischiavano a quelli degli uomini che l'avevano appena presa. Lei continuava a leccarlo e ad andare su e giù con le mani. Ormai era pronto. Cercò di osservarlo al buio. Da sdraiata gli si mise sotto con la testa, alla base, col mento poggiato su quei due grossi mandarini maturi. Il cazzo le finiva di poco oltre la testa. Allungò la lingua, aperta, larga, e iniziò a leccare di nuovo l’asta, seguendolo su, su, su, ancora, per finire di nuovo a mangiargli la cappella. Uscivano succhi in continuazione. Erano salati, densi, se ne sentiva la bocca ricolma, tutta salata, densa. Maschio. Maschio. Lo desiderava. Enormemente.
Avvertì il rumore di una porta che si apriva. Immaginò altra gente entrata a vederla, o, meglio, a sentirla godere sotto i colpi di quell’arnese. Sussurrò che voleva rimanere sola con lui, ma quelle parole si mischiarono ai baci che continuava a dare a quel magnifico cazzo come impazzita e si persero in un rumore senza senso. Leccandolo così, tutto, per un attimo si chiese se era mai riuscito ad metterlo nel sedere a qualcuna quel coso. Alla sola idea si sentì svenire dal piacere e dal dolore.
L’aveva fatto una volta sola e nonostante il dolore alla fine le era piaciuto. Si era sentita piena come non mai. Ma con quello non serviva. Figuriamoci. Questo qui non ci entra! Al solo pensiero di farlo entrare, si sentì debole, femmina. Iniziò ad agitarsi ancora di più. Lui glielo tolse quasi a forza dalla bocca e lei si sentì sola e abbandonata. Delusa. Per un attimo. Per poco. Lo sentì muoversi. Velocemente.
Lui le andò davanti, le allargò le gambe al massimo e posò la punta proprio davanti alla figa, iniziando un ballo lento, lento, come quei balli al buio da ragazzini, intanto che la cappella si faceva posto tra le labbra di lei. La figa le si allargava obbediente. “Che troia che sono” pensò lei. E ancora: “Cazzo, mi sfonda. Cazzo mi sfonda”
Fortunatamente i succhi di lui erano talmente abbondanti che favorivano la penetrazione e poi, poi, lui non entrava, stava lì, lì davanti, continuando a ballare agitando il bacino e muovendolo intorno alle sue labbra. E la sua figa si bagnava ancora e ancora. Ormai la cappella era dentro. Enorme. Calda, Si sentì già presa, completamente. Già soddisfatta. Sensazione strana, perché lo sentiva che non era fino in fondo. Ma le piaceva, come quando qualche amante le infilava dentro prima due dita, poi tre, poi quattro. Strano, ma piacevole. Solo che questo era caldo, liscio, tondo, di carne dura, soda, elastica, carne di cazzo, di uomo, uomo vero, vero.
Lui smise di ballare in tondo ed iniziò un leggerissimo vai e vieni. Man mano, secondo dopo secondo, spinta dopo spinta, centimetro dopo centimetro sentiva il cazzo avanzare, sempre di più, sempre di più, lei. Lei strabuzzava gli occhi e agitava le mani. Afferrò una mano di lui e la strinse. Lui si fermò. Non era arrivato. Stava fermo. Lei si mosse come a tirarlo dentro si sé. Lui ricominciò la discesa. Piano, piano, lentamente, centimetro dopo centimetro. Poi si fermò. C’era. Era dentro. Tutto. Cazzo. Fino in fondo. Impossibile, Eppure lo sentiva bene giù in basso. La fine. Giù in basso. Sensazione di pienezza assoluta. Da far mancare il respiro. Era completamente dentro di lei. Fermo. Immobile. A riempirla. Sentiva solo il cazzo muoversi leggermente quando si induriva e si rilassava un poco e questa sensazione la faceva bagnare ancora di più. La sosta durava una eternità. Non ce la fece più e cercando di sollevarsi almeno un poco sui gomiti gli disse: ti prego, scopami”
Fu un momento, un attimo, qualcosa che non riuscì neanche a capire, un terremoto, un maremoto, un treno che ti passa di fianco in galleria, una folata di vento, vento del deserto, caldo, forte, pieno di polvere. Lui si sfilò di colpo (improvviso risucchio, fiato che esce, vuoto, vuoto, vuoto) e poi rientrò di colpo, in un unico colpo, fino in fondo, potente, forte, senza riguardi, e il suo cervello, il suo cervello le andò completamente in pappa, era tutta e solo cazzo, solo cazzo, femmina che se lo prende, che ne è estasiata, rapita, travolta, senza respiro, solo cazzo, mai provato, così grosso, così potente, lungo, come fosse vergine, di nuovo, ancora, vergine, una vergine, una verginella, o che cazzo, cazzo, cazzo, cazzo!
Lui continuò senza fermarsi a fotterla a quel modo, a colpi forti e decisi, fino in fondo, su, fino in fondo, all’utero, in cima e lei dopo poco, dopo poco, pochissimo, venne, venne con urlo belluino, una liberazione, come un fiume in piena. Mollò la mano e alzò le braccia e stese le dita, aperte, più aperte, a cercare il petto e il viso dell’uomo, di quell’uomo, del padrone di quel benedetto coso e quando lo toccò, quando lo prese e lui si infilò le dita di lei in bocca e gliele mangiò, caldo, bagnato, lei urlò ancora, a squarcia gola, come le brave bambine non fanno, tutto, tutto, ancora.
Poi lui la girò. Era talmente fuori che si lasciava muovere come fosse un paccoo. La mise sdraiata sulla pancia, le sollevò il sedere mettendole un cuscino sotto e poi, dopo averle penetrato per un attimo il culo con le dita, glielo appoggiò e con un colpo secco, entrò. Il respiro le mancò. Gli occhi le si chiusero. Non si era mai sentita tanto presa. Le sembrava impossibile, ma quello prese a fotterla, divinamente, anche nel culo. Urlò di nuovo. Cazzo!! Dopo che venne, sentì quell'arnese uscire e dopo poco il caldo sulla schiena.
Alla fine, quando la luce si accese nella stanza c’erano solo lei e un signore completamente vestito e profumato, in piedi, lontano dal letto. Non poteva essere lo stesso, Era molto più mingherlino. Le disse di seguirlo perché il trattamento era finito. Lei lo seguì, si lavò, si rivestì, ritrovò l’amica furente. “Ma quanto cazzo ci hai messo?” Lei non rispose. Era assente. Assorta. Stanca. L’amica ne ebbe pietà e senza dire una parola la riaccompagnò a casa.
L’altra, l’amica, rimase lì, delusa, a guidare e a guardarla, senza capire, un po’ ferita. Sere dopo le chiese di nuovo, ma lei disse solo quel che le avevano detto sulla rete: “dipende. Può piacere molto o per niente” “Ma a te? Quella sera eri sconvolta. Che è successo?” “Niente. Un trattamento per sole signore. Nient’altro”. “Ma piacevole?” “Dipende” “Ma lo consiglieresti?” “Non a tutte. Bisogna essere pronte."
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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