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Nel tram...


di desiderio46
29.09.2018    |    40.634    |    19 9.3
"Era un lamento strano che non avevo mai sentito da lei prima di allora: lungo, monotono, ininterrotto, all'inizio quasi impercettibile poi sempre più forte..."
Io e Marta iniziammo a litigare uscendo dall'aula, alla fine della lezione, e continuammo a farlo attraversando i cortili della facoltà. Quando arrivammo alla fermata del tram non ci rivolgevamo più la parola. Marta era la mia fidanzata, mi piaceva, riferendomi a lei, utilizzare proprio quel termine desueto per sottolineare l'importanza del nostro legame. Stavamo assieme dal secondo anno delle superiori ed essendo entrambi ad un passo dalla laurea cominciavamo già a parlare di matrimonio. Era, ed è tuttora, una bella ragazza mora; una "gran bella topa", come ammise di aver pensato Pietro quando, prima di diventare mio amico, ci provò con lei. Il nostro litigio era nato da una sciocchezza: mi rimproverava di fare il cretino con la "contessa", una bionda appariscente che si dava arie da donna di gran classe. In realtà era proprio quest'ultima a farmi il filo. Io mi limitavo solo ad essere. gentile. Avevo cercato inutilmente di spiegarle il mio punto di vista; poi il battibecco era degenerato. Arrabbiati, mentre aspettavamo il tram della linea tre sulla pensilina, ci ignoravamo. Ripensandoci, i veri responsabili del nostro nervosismo erano stati il caldo e l'afa di quella giornata già decisamente estiva. Ogni tanto la guardavo di sfuggita per vedere se accennasse a voler far pace. Era proprio bella. Indossava quel vestito di cotone leggero da zingarella che mi piaceva tanto: stretto in vita, morbido sotto e lungo fino alle caviglie. Aveva come unico difetto quello di nasconderle le belle gambe, però le metteva in risalto il seno. Finalmente il tram arrivò. Salimmo dalla parte posteriore e poiché come al solito non c'era posto a sedere, ci mettemmo proprio in fondo, contro il finestrino, in modo da osservare la città scorrere dietro di noi. Alla fermata successiva una marea spaventosa di gente era in attesa proprio del nostro tram. Questo si riempì in un attimo tanto che non tutti riuscirono a salire. Qualcuno lottava per non rimanere nella zona di chiusura delle porte e spingeva contro l'ormai compatta muraglia umana. Ci ritrovammo stretti nel nostro angolo contro il finestrino. Sentivamo la folla premere dietro di noi. C'era in particolare un signore molto distinto, sulla cinquantina, che si era messo proprio alle spalle di Marta, alla mia destra. Le stava letteralmente appiccicato. La cosa mi diede fastidio ma pensai che non era certo il caso di fare scenate di gelosia dato che il tram si era trasformato in una scatoletta di latta e noi in tante sardine. Lo giustificai pensando che la sua posizione fosse forzata. Ero convinto però che, volendo, avrebbe potuto stare almeno un po' più staccato. Se non fossimo stati arrabbiati avrei certamente detto a Marta di cambiare posto con me. Non lo feci. Decisi comunque di controllare quell'uomo. Indossavo i miei inseparabili Ray-Ban neri e lo scrutavo con la coda dell'occhio mentre, tenendo la testa dritta, fingevo di guardare fuori. Era un bell'uomo, non tanto alto ma elegante. Negli occhi scuri aveva però qualcosa di malvagio. Ebbi la netta sensazione che le stesse premendo con i genitali contro i glutei. Effettivamente doveva essere successo proprio qualcosa del genere perché lei, chiaramente infastidita, si girò e lo guardò con disappunto. Per un attimo incrociò il suo sguardo: era profondo, magnetico, misterioso. Marta ebbe una reazione molto strana: Arrossì violentemente e si voltò di scatto per tornare a guardare fuori dal finestrino. Lui non si era minimamente scomposto. Quell'uomo cominciava ad innervosirmi. Pensai ad un pretesto per attaccare lite. Teso, continuavo a tenerlo d'occhio, come un gatto che cura il topo certo che, prima o poi, azzardi ad uscire dalla tana.
Non dovetti aspettare molto. L'uomo infilò la mano sinistra in tasca. Aveva eseguito il movimento con disinvoltura, fingendo di cercare qualcosa; ma io ero certo di sapere quale fosse il suo vero fine. I miei sospetti si rivelarono subito fondati: vidi la tasca gonfiarsi sotto la pressione delle sue dita che, tese, andarono a sfiorare i glutei di Marta. Il primo istinto fu quello di partire con un destro ma qualcosa mi bloccò. "Calma!" Mi dissi. "Prima devo essere assolutamente certo". In effetti non potevo rischiare di prendere a cazzotti un uomo che magari stava solo cercando il suo fazzoletto. Non stava cercando il fazzoletto! Vidi le sue dita - o meglio, la sua tasca - compiere un movimento rotatorio sulla parte più sporgente del morbido gluteo di Marta. Era un massaggio metodico e delicato. Fino ad allora mi ero preoccupato solo di controllare l'uomo ma non avevo ancora visto la reazione della mia fidanzata. Senza voltarmi direttamente verso di lei, cercai di scorgere il suo viso. Non volevo infatti che capisse che mi ero accorto di quanto stava accadendo. Non so perché. Forse non volevo metterla in imbarazzo: magari lui si sarebbe allontanato di li a poco ed avremmo evitato una penosa scenata. Marta era visibilmente imbarazzata. Le sue gote erano infiammate. La vidi chiaramente deglutire in preda all'agitazione senza accennare però a nessuna reazione. Pensai, giustificandola, che forse aveva fatto il mio medesimo ragionamento: forse pensava che l'uomo si sarebbe fermato da solo e subito, senza che fosse necessario gridare al maniaco. Ma lo sconosciuto continuava a massaggiarla con sempre maggiore decisione ed il fatto che lei non reagisse era per lui sicuramente motivo di incoraggiamento. Ero confuso ed indeciso sul da farsi. Attesi troppo. Vidi l'uomo togliere la mano dalla tasca. In un primo momento pensai con sollievo che forse, soddisfatto, avesse deciso di fermarsi. Rimasi perciò di sasso quando lo vidi, con movimento rapido, nascondere la mano tra lui e Marta, tenendo il palmo rivolto verso il sedere di lei. Non potevo vederlo chiaramente, ma intuivo che aveva cominciato a palparla con decisione. Era troppo! Al colmo dell'agitazione stavo per esplodere quando, ancora una volta, mi fermai: "Troppo comodo!" Pensai. "Io adesso prendo a sberle questo schifoso e lei se la cava così?! Magari facendo finta di non essersi accorta di nulla?! Eh no! Deve essere LEI a reagire! Deve essere LEI a dimostrarmi di non essere una zoccola!". Per alcuni secondi (che mi parvero eterni) attesi che si voltasse e prendesse a sberle il molestatore. Pensai vigliaccamente che, a quel punto, avrei potuto recitare io la parte dell'ignaro, fingendomi giustamente indignato e traducendo l'enorme tensione accumulata in una sacrosanta ira punitiva. Ma lei non reagì. Era incredibile! Con la coda dell'occhio saltavo continuamente e nervosamente dal suo viso all'osceno movimento che avveniva dietro di lei, sperando che da un momento all'altro accadesse qualcosa che interrompesse quell'insopportabile situazione. Lei aveva un'espressione strana: fissava un punto nel vuoto oltre il finestrino come incantata. Il suo viso tradiva comunque una forte tensione. Per un istante ebbi la fastidiosa sensazione che stesse provando piacere. Con orrore pensai che forse si stava eccitando. Cercai disperatamente di convincermi che il suo era solo un modo per vendicarsi del litigio di prima. Forse mi voleva far capire che, qualora avessi fatto ancora lo stupido con un'altra, per lei sarebbe stato estremamente facile trovare qualcuno con cui farmela pagare. Ora me ne stava dando semplicemente ampia dimostrazione! Ma il ragionamento non reggeva: lei non sapeva di essere osservata! Il pensiero mi rimbalzò improvvisamente nella testa e mi ferì per la sua crudeltà: "Lei. Lei pensa che io non mi sia ancora accorto di nulla!". Fui richiamato alla realtà da un movimento improvviso dell'uomo. Si era leggermente staccato da Marta ed ora potevo chiaramente vedere la sua mano che si apriva e si chiudeva in un modo strano. Non la stava più palpando! Ogni volta che si chiudeva quella mano guadagnava qualche centimetro di stoffa. Le stava sollevando piano il vestito! Fu a quel punto che mi accadde quella cosa stranissima. Non credo che proverò mai più niente di simile: alla vista del vestito di Marta che saliva e delle sue belle gambe che cominciavano ad offrirsi allo sguardo di quello sconosciuto, mi eccitai in maniera folle. Non era un'eccitazione normale: aveva in se qualcosa di insano, malvagio, terribilmente sporco eppure devastante per intensità emotiva. Sentii la salivazione aumentare. Le mie gambe cominciarono a tremare al punto che dovetti stringere la presa sul passamano per non sbilanciarmi. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quella mano avida e dal suo lento e metodico lavorare. Dovetti fare uno sforzo per ricordarmi di tenere la testa dritta mentre continuavo a guardare di lato, sempre per far credere di non essermi ancora accorto di nulla. Ormai avevo abbandonato ogni proposito di intervenire. Ero morbosamente curioso di vedere lo sviluppo della situazione. La sola idea che di li a poco quell'uomo avrebbe toccato, con le sua luride dita, l'intimità più sacra della mia fidanzata mi pervadeva di una libidine folle. Volevo che lo facesse! Che la toccasse! Sperai addirittura che Marta non decidesse di ribellarsi proprio in quel momento. Non lo fece. La mano raggiunse l'orlo e rapida sparì sotto il vestito. Questo ricadde tutto intorno al braccio ricoprendo nuovamente le gambe. Il tram si era fermato ad un semaforo; nonostante il ritmico e caratteristico rumore del motore elettrico al minimo dei giri ed il vociare della gente, mi sembrava di essere immerso in un silenzio angosciante. Il tram ripartì. Ora non potevo vedere cosa stesse facendo quella mano la sotto, ma lo immaginavo facilmente. Sicuramente si era già fatta largo tra i glutei. Aveva raggiunto le mutandine ed ora, da sopra di esse, doveva aver iniziato a massaggiare la vulva o forse l'ano. Probabilmente entrambi. Successivamente pensai che lo sconosciuto avrebbe potuto osare di più ed infilare le dita sotto l'elastico, in modo da raggiungere la vagina ed entrare un poco in lei. Però, perché la cosa fosse possibile, Marta avrebbe dovuto tenere le gambe divaricate; ma ricordavo perfettamente di aver notato che i suoi piedi erano uniti. Fui preso da uno strano presentimento. Abbassai rapidamente lo sguardo giusto in tempo per vedere i piedi di Marta che lentamente si distanziavano tra loro. Non volevo crederci: stava allargando le gambe! La vidi anche inchinarsi leggermente in avanti e contemporaneamente protendere un po' il bacino verso lo sconosciuto per offrirsi più facilmente. L'eccitazione in me, per quanto fosse ormai insopportabile, crebbe ancora di più. La volli constatare. Infilai la mano sinistra nell'ampia tasca dei miei comodi pantaloni di cotone e tastai il pene: raramente l'avevo sentito così duro. Era incredibile: la mia Marta si stava concedendo ad uno sconosciuto, su un tram, in mia presenza! Ma la cosa più assurda era che io trovavo tutto ciò eccitatissimo. Stavo vivendo un incubo terribile eppure non volevo assolutamente svegliarmi. Senza rendermene conto avevo iniziato a masturbarmi. Fui colpito dalla vista delle mani di Marta: erano livide per la tensione e lo sforzo con le quali erano serrate alla barra di sostegno. L'uomo stava ignobilmente frugando dentro di lei con le dita. Lo potevo capire guardandola di sbieco: era arrossita fino alla radice dei capelli e deglutiva frequentemente e rumorosamente. Il suo viso si era trasfigurato in una maschera di tensione e vergogna, ma anche di piacere. Sudava. Notando questo particolare sorrisi amaramente. Infatti ero solito prenderla in giro, dicendole che era fatta di plastica, proprio perché normalmente non sudava mai, neanche d'estate. Per tutto il tempo, mentre svolgeva diligentemente il suo "lavoretto", l'uomo non aveva mai tradito la minima emozione ed era rimasto sempre e perfettamente imperturbabile. Mentre riflettevo su questo raggelante particolare, incrocia senza volerlo i suoi occhi. Per un attimo cercai di sostenere quello sguardo duro ed ipnotico, poi, imbarazzato, cedetti e tornai a guardare in avanti. Mi arrabbiai con me stesso. Adesso lui sapeva che io sapevo! Peggio! Voltandomi ed evitando di reagire gli avevo in pratica accordato il mio assenso a quanto stava facendo. L'uomo doveva aver pensato esattamente la stessa cosa. Lo vidi infilare anche la mano destra sotto il vestito di Marta. "Non ha proprio limiti!" pensai con rabbia, ed immaginai che avesse fatto ricorso all'altra mano per penetrarla contemporaneamente in ogni suo orifizio. Invece vidi l'uomo armeggiare diversamente ed in maniera strana. Inizialmente non capii. Poi intravidi le sue mani, attraverso il rigonfiamento del vestito, che scendevano lungo le gambe di Marta e compresi. Le stava abbassando le mutande. Pensai con eccitante ribrezzo che volesse agire in maniera sfacciatamente più comoda. Ma le sue mani non si erano ancora fermate: scesero esageratamente, calando le mutandine di Marta fin quasi alle ginocchia. Poi improvvisamente lo sconosciuto tolse le mani da sotto il vestito. Non capivo. Pensai che si fosse stancato o che, più semplicemente, fosse sopraggiunta la sua fermata. Non aveva molta importanza: il gioco era finalmente terminato. Stavo già tirando un sospiro di sollievo quando fui raggelato da un dubbio atroce. Andai rapidamente con lo sguardo a cercare le sue mani. Le trovai là dove avevo immaginato, intente ad abbassare la cerniera dei pantaloni. Di colpo cominciò a girarmi la testa ed a farmi male lo stomaco. "No! quello no!" pensai disperatamente. Guardai terrorizzato ed implorante l'uomo. Ancora una volta non ressi il suo sguardo freddo e prepotente. Ancora una volta tornai a guardare dritto davanti a me. Lo sentii sollevare il vestito di Marta velocemente, con entrambe le mani, senza più preoccuparsi di non farsi notare. Disperato abbassai lo sguardo. Feci appena in tempo ad intravedere il grosso pene scuro prima che sparisse sotto il vestito assieme alle sue mani. Ero paralizzato dal terrore e dall'eccitazione. Cercai rabbiosamente di trovare l'orgoglio per reagire e le forze per oppormi. Fu inutile. Io volevo che lo facesse! Allora guardai Marta. Sperai che trovasse lei quella forza per ribellarsi che non ero riuscito a trovare io. Ma anche lei rimaneva immobile, come ipnotizzata. Aveva gli occhi spalancati in una espressione spaventata di angosciosa attesa. Vidi il suo viso contrarsi in una smorfia di dolore nel momento in cui lui la penetrò. Cercò inutilmente di trattenere un flebile lamento. Ero sconvolto. Mi stavo per sentire male ma l'unica cosa che feci fu aumentare la velocità del movimento della mia mano nella tasca. L'uomo la stava montando lentamente, con colpi brevi ma potenti. Doveva essere entrato completamente in lei, limitando al minimo l'escursione del pene affinché le sue spinte non fossero troppo visibili. Il viso di Marta si era finalmente rilassato in un'espressione di godimento. Aveva socchiuso gli occhi e dalla bocca leggermente aperta faceva quasi capolino la lingua. Ormai mi stavo masturbando selvaggiamente, assolutamente incurante di essere notato. Pensai con vergogna che la gente intorno a noi si fosse ormai accorta dell'indecente spettacolo che stavamo offrendo; forse non il signore dietro di me, perché lo ricordavo volgermi le spalle, ma quasi certamente il gruppo di ragazzi extracomunitari dietro lo sconosciuto. Sghignazzavano tutti in maniera strana. Ormai la cosa non aveva più molta importanza. Marta stava per cedere e gettare la maschera. Si era inchinata ancora di più in avanti ed ormai aveva appoggiato la fronte al finestrino. Iniziò a gemere. Era un lamento strano che non avevo mai sentito da lei prima di allora: lungo, monotono, ininterrotto, all'inizio quasi impercettibile poi sempre più forte. Ormai non aveva più alcun senso fingere. Marta girò il capo verso di me. I nostri sguardi si incontrarono. Non dimenticherò mai la sua espressione di supplica. Mi supplicava di perdonarla per quanto stava accadendo, per non essere stata capace di opporsi ed essere arrivata fino a quel punto, per il tradimento che stava compiendo. Ma contemporaneamente mi supplicava di darle in qualche modo la mia approvazione per vivere appieno quella situazione irreale ed eccitante. Mi supplicava di concederle di godere senza più freni ed inibizioni, senza vergogna, senza limiti. Mi supplicava ed aspettava con gli occhi una mia risposta mentre continuava a sobbalzare sotto le spinte dell'uomo. Notò il furioso movimento della mia mano nella tasca dei pantaloni. Non potevo darle risposta migliore! Nei suoi occhi apparve un'espressione di gratitudine. Il suo respiro divenne affannoso, i suoi gemiti imbarazzanti. Anche l'uomo perse il controllo. La schiaccio brutalmente contro il finestrino aumentando la frequenza e la potenza delle sue spinte. Ora la montava con più foga. Marta dovette staccare le mani dalla barra ed appoggiarle aperte contro il finestrino per contrastare la spinta dell'uomo ed evitare di schiacciarsi il seno. Continuava a guardarmi. Il suo viso era intrappolato tra il finestrino e la testa dello sconosciuto. Questi portò la bocca vicino al suo orecchio e lo leccò con voluttuosità, poi le mormorò qualcosa, sogghignando crudelmente. Allora lei cominciò a gemere più forte ed al ritmo dei colpi che riceveva. Stava per venire. Conoscevo molto bene quell'espressione quasi di sofferenza che assumeva prima di
raggiungere l'orgasmo. E venne infatti; ed io con lei. Sentii improvvisamente il mio sperma caldo scorrere sulla pelle imbrattando indecentemente la mia biancheria. Marta ebbe un orgasmo ben più lungo del mio: gemeva senza più ritegno; i suoi lineamenti erano deformati da una smorfia di insopportabile e doloroso piacere che la rendeva quasi brutta. L'uomo sembrava aver aspettato volutamente di sentirla godere. Le diede ancora alcuni colpi violenti, poi si bloccò, schiacciandola con ancor più forza contro il finestrino e rimanendo silenziosamente paralizzato dietro di lei. Stava venendo. Nella mia mente potevo vedere il suo pene eiaculare in lei. Rimase così, immobile per alcuni secondi, quindi ebbe un ultimo spasmo e spinse ancora convulsamente un paio di volte, quasi ad assicurarsi di depositare il suo seme il più profondamente possibile dentro di lei. Poi tutto finì. L'uomo uscì frettolosamente. Il vestito ricadde. Per un attimo rividi il grosso pene violaceo: era ancora eretto e reso lucido dal suo sperma e dagli umori della mia Marta. Si ricompose goffamente, respirando con affanno. Non sembrava più la stessa persona. La sua espressione superba era scomparsa assieme ad ogni aria di mistero. Neppure gli occhi erano più gli stessi. Mi guardò con preoccupazione, quasi spaventato. Approfittando della fermata del tram, si fece largo spingendo tra la folla e raggiunse rapido l'uscita. Un attimo dopo era sparito. Io e Marta rimanemmo immobili ed ammutoliti: non riuscivamo più a guardarci. Penosamente raggiungemmo le nostre case senza dirci una sola parola. Impiegai due settimane per trovare il coraggio di chiamarla. Spesi molto più tempo per convincerla che la colpa di quanto accaduto era stata per la maggior parte mia, perché avevo visto tutto fin dall'inizio ma non avevo fatto nulla per impedirlo, stregato, come lei, da quell'uomo malefico. I test per l'HIV che Marta fece in seguito risultarono fortunatamente negativi. Ancora adesso mi arrabbio con me stesso per non aver pensato in quel frangente al rischio di un'infezione. Quel pensiero sarebbe stato la molla, inutilmente cercata, per scattare, reagire ed impedire che tutto ciò accadesse; per svegliarmi dall'incubo. Ma si sa: le persone come Marta e me, che hanno una vita sessuale tranquilla, fedele e - diciamolo pure - un po' monotona, sono le ultime a pensare a "quella" eventualità e sono quindi le più impreparate. Marta ed io ci siamo sposati due anni fa. Non abbiamo mai più parlato dell'accaduto. Però ancora adesso, quando facendo l'amore con lei mi capita di essere un po' svogliato o annoiato, mi basta pensare allo sconosciuto per eccitarmi come un animale. Sono sicuro che anche lei faccia la stessa cosa. Marta una sera mi disse molto seriamente che, ad eccezione di quella volta, non mi ha mai tradito e mai mi tradirà. Io le credo…
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