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Gay & Bisex

Il giardiniere


di Membro VIP di Annunci69.it GSAwNSA77
23.04.2017    |    28.007    |    16 9.5
"Mi fece ballare la confezione davanti agli occhi e commentò “Adesso facciamo quello che dico io”..."
Puntuale alle 08.00 suonò il campanello. Aprii la porta e rimasi sorpreso nel non vedere Ernesto, il giardiniere che aspettavo e che da quasi cinque anni veniva regolarmente a potare la siepe e le piante del giardino di casa mia. Mi trovai davanti un ragazzo poco più che ventenne massiccio e grosso come un armadio a due ante. Si presentò educatamente con un leggero accento straniero "Buongiorno, mi chiamo Goran, sono qui per il giardino. Ernesto si scusa ma ha avuto un contrattempo". Ci misi un attimo a riprendermi dal fascino e dall’imponenza di quell'uomo dalle chiare origini slave. "Salve! Capisco, spero che non sia successo niente di male a Ernesto. Lei sa già cosa deve fare?" gli chiesi. "Certo, non si preoccupi, Ernesto sta bene e mi ha spiegato tutto quello che devo fare. Se per lei va bene, mi metto subito al lavoro" disse dirigendosi verso il capanno degli attrezzi. “Se ha bisogno di qualsiasi cosa io sono a casa tutto il giorno" gli urlai dalla porta mentre si allontanava nella speranza di poter proseguire la conversazione e godere ancora un po' della sua bellezza balcanica. Guardando quel marcantonio alto due metri andare verso il giardino pensai che sarebbe stato difficile concentrarsi sul rapporto che avrei dovuto preparare per il capo entro il giorno dopo.

Erano trascorse un paio di ore e il sole si faceva sempre più caldo. Ogni tanto spiavo il ragazzo dalla finestra mentre lavorava con le cesoie, stavo attento a non farmi notare nascondendomi dietro le tende. Quando tolse la maglietta e la usò per asciugarsi il sudore dalla fronte e dal petto ebbi un sussulto. Il suo corpo muscoloso e sudato brillava sotto i raggi del sole. Aveva un fisco perfetto, come se fosse scolpito nella roccia: bicipiti, spalle, pettorali e addominali torniti dal duro lavoro quotidiano.
Ero abituato a quel genere di uomini ma solitamente li ammiravo sullo schermo del computer quando mi segavo e averne uno in giardino a pochi metri di distanza me lo fece diventare duro. Stavo per farmi una sega quando con la coda dell'occhio vidi avvicinarsi a lui qualcuno. Era la mia vicina di casa che gli stava portando una lattina di birra. Alla vista di quella zoccola mi si ammosciò all'istante e l'eccitazione lasciò spazio alla delusione. Ero veramente incazzato. Avrei dovuto pensarci io, sarei dovuto esserci io lì con lui e non quella puttana sposata. Lo sapeva tutto il vicinato che quella la dava a tutti tranne che a suo marito, povero cornuto che lavorava giorno e notte per permetterle una vita agiata.
Osservai attentamente la scena e pur non sentendo niente riuscii a immaginarmi cosa si dicevano “Mmmmh le sai usare proprio bene quelle cesoie e sono così... grandi. Quando hai finito qui anche la mia aiuola avrebbe bisogno di una spuntatina e adesso che ci penso dovrebbe anche essere annaffiata”. Rabbrividii al pensiero di tutti i doppi sensi e le allusioni con cui probabilmente lo stuzzicava. Mentre lei faceva la civetta, lui non staccava gli occhi dal suo decolté che non lasciava spazio all'immaginazione. Cominciò a palpargli i pettorali belli sudati e misurare i bicipiti in tensione dal pesante lavoro. Li osservavo frustrato e pieno di invidia. Quando sembrava che lei stesse per slacciargli i pantaloni per prendere altre misure, feci un passo indietro e accidentalmente calpestai la coda di Miao il mio vecchio gatto persiano che cercava un po’ di attenzioni. Povero Miao, gli feci proprio male e cacciò un verso che attirò l'attenzione dei due. Prontamente mi scansai dalla finestra per non rischiare di farmi vedere. Non mi videro ma interrotto l'idillio, lei gli diede un bigliettino che teneva custodito tra i due enormi seni (immagino il numero di telefono dato che anche lei aveva un giardino che necessitava di cure), lo salutò e se ne andò ancheggiando. Lui dopo aver studiato quel fondoschiena che si allontanava, infilò il biglietto in tasca, si sistemò il pacco che mi sembrava avesse preso una bella forma e si rimise al lavoro.

Dopo essermi distratto un attimo per vedere come stava il gatto che era scappato impaurito, tornai a guardare fuori dalla finestra e vidi che Goran non era più al suo posto; le cesoie erano abbandonate sul prato affianco alla sua maglietta e alla lattina. Guardai dalle altre finestre ma di lui neanche l'ombra. Decisi di andare a controllare, feci il giro di tutto il giardino ma non lo trovai. "Vuoi che quella puttanella della mia vicina..." mi tolsi subito quel pensiero dalla testa. Non poteva essere vero, sarebbe veramente stato troppo anche per una come lei.
Dopo aver fatto un paio di giri intorno alla casa, sentii un rumore provenire dal capanno degli attrezzi, mi avvicinai e per avere una conferma accostai l'orecchio alla porta. Era chiusa ma udivo dei lamenti sommessi che provenivano dall’interno. Anche se un po' preoccupato di ciò che avrei potuto trovare dietro la porta, decisi comunque di spiare dal buco della serratura. La scena che si presentò mi lasciò senza fiato. Ci misi un attimo per mettere a fuoco il corpo muscoloso di Goran illuminato dalla tenue luce dell'unica lampadina nel capanno. Era a torso nudo e aveva i pantaloni calati fino alle ginocchia. I suoi occhi erano chiusi, la testa rivolta verso l'alto e stava chiaramente fantasticando su qualcosa che lo eccitava parecchio (facile immaginare cosa). Era solo. Mentre con una mano si massaggiava e tirava delicatamente le palle con l'altra si menava vigorosamente l'uccello. Aveva un cazzo di dimensioni notevoli soprattutto per la lunghezza, la mano che lo teneva saldo copriva meno della metà di quella mazza durissima. Alla vista di quello spettacolo sentii crescermi l’eccitazione tra le gambe e iniziai a massaggiarmi il pacco che sentivo esplodermi nei pantaloni. Lo vedevo gemere sempre di più, da lì a poco avrebbe sicuramente sborrato, dovevo assolutamente inventarmi qualcosa per approfittare di quell’occasione imperdibile. Mi venne un’idea.

Ripetei un paio di volte nella testa le battute che mi ero preparato, schiarii la voce e di scatto entrai in scena spalancando la porta che mi separava da quel gran pezzo di uomo. La luce del sole invase la stanza e accecò per un attimo il povero sprovveduto che preso dallo spavento imprecò per l’imbarazzo e d’istinto si coprì il cazzo con mani e braccia. Gli mostrai un’espressione stupita (cercando di essere il più credibile possibile) e in tono seccato gli dissi “Ma che cazzo stai facendo? È per questo che ti sto pagando? Non credo proprio”. Preso dal panico il ragazzo si tirò su mutande e pantaloni e balbettò mille scuse senza trovare le parole “Scusi tanto, io non volevo… ma sa… una pausa… la vicina… quelle tette… non ho capito più niente”. “Non trovare scuse. Questo non è un comportamento professionale. Aspetta che lo sappia il tuo capo, vedrai che provvedimenti…” incalzai. Mi interruppe supplicandomi di non dire niente “No, la prego. Mi licenzierà e io ho bisogno di questo lavoro, devo mantenere la mia famiglia. La prego. Le farò tutti i lavori del giardino gratis. Farò tutto quello che vuole”. A quelle parole mi scappò un sorriso perché avevo già chiaro in mente quelle che volevo, ma lui non ancora. “Quello che voglio?” pensai ad alta voce fissandolo in mezzo alle gambe. “Fammi vedere cosa stavi facendo” dissi allungando una mano sul suo pacco. Offeso da quel gesto avventato indietreggiò e allontanò la mia mano con un gesto di stizza “Hey, non sono mica frocio. Cosa crede di fare?”. “Niente, speravo di risolvere questa questione imbarazzante in maniera amichevole, ma non mi lasci altra scelta che informare il tuo superiore” risposi voltandomi per uscire dal capanno. Lui mi fermò afferrandomi per un braccio, “No, non lo faccia. Farò quello che vuole, tutto quello che vuole…” disse in tono sommesso. Ormai aveva capito cosa avevo in mente. “Ma deve promettermi che non lo racconterà a nessuno, nel mio paese la reputazione è la cosa più importante per un uomo e se la mia famiglia lo venisse a sapere ne morirebbe” concluse rassegnato alla prima esperienza gay della sua vita.

Mi sentivo una carogna per il vile ricatto ma allo stesso tempo ero troppo eccitato da quella situazione: l’avevo in pugno, potevo fare di lui quello che volevo. Un uomo su cui ho sempre solo fantasticato era nel mio capanno degli attrezzi a mia completa disposizione. Sembrava di vivere in un film.
Lo feci appoggiare contro dei sacchi di torba e iniziai ad accarezzare quei muscoli giovani e sodi. Mi guardava contrariato con occhi pieni di disprezzo, ma non mi lasciai condizionare dai suoi pregiudizi e affondai la mia bocca su un capezzolo che a contatto con la mia lingua si indurì subito. Prima di passare all'altro capezzolo gli feci passare la lingua sui pettorali fino al collo assaporando la sua pelle salata dal sudore. Aveva il corpo liscio e un sapore forte che mi stuzzicava il palato. Mentre scendevo con la lingua a leccargli i muscoli dell’addome, con le mani gli slacciai i pantaloni e senza sfilarli del tutto li abbassai insieme alle mutande fino alle caviglie. Ebbe un leggero sussulto quando mi soffermai con la lingua sull’ombelico. Presi il suo cazzone ancora moscio disteso lungo le cosce e lo appoggiai sul palmo aperto della mia mano. Anche da molle era molto grande e faceva sembrare piccola la mia mano. Mi avvicinai con la bocca e al contatto con le mie labbra chiuse gli occhi pieni di rancore ed ebbe un altro sussulto. Lo accarezzai delicatamente con la punta della lingua partendo dalla cima fino all’attaccatura del pube. L’odore di maschio che emanava mi riempiva le narici e mi inebriava la testa. Sollevai l’asta e me la portai alla bocca, poi con le labbra socchiuse gli spinsi completamente indietro il prepuzio e mi lasciai scivolare in bocca la cappella. Ancora un altro sussulto. Sotto il tocco esperto della mia lingua, la cappella si ingrossò e tutta la mazza prese consistenza. Il ragazzo stava cedendo, non riusciva più a trattenere l’erezione e con gli occhi chiusi e la bocca semi-aperta si lasciò andare in soffocati rantoli di godimento. Come tutti i ragazzi della sua età non ci mise molto a raggiungere la massima erezione, era ancora più grande di come l’avevo visto un attimo prima da dietro la porta. Ce l’aveva duro come un tronco e la mano che lo sosteneva non era più necessaria, svettava in aria in balia della mia bocca. Lo succhiavo con gusto avvolgendolo con le labbra inumidite di saliva e lo stimolavo con la lingua. Lo prendevo fino in gola, muovevo la testa su quel cazzone per dargli il massimo del piacere. Lui godeva in silenzio a occhi chiusi, combatteva contro la sua vergogna. Lo osservai per un attimo e gli dissi “Non è poi così male, non credi?”. Non mi rispose ma aprendo gli occhi mi lanciò uno sguardo diverso, più accondiscendente, più complice e molto molto eccitato.
Volevo che mi scopasse, sentivo un bisogno irrefrenabile di averlo dentro di me e il mio buco fremeva dal desiderio. Non sapevo come chiederglielo, non avrei voluto che desse di matto un’altra volta o che avessi dovuto ricorrere di nuovo al ricatto. Mi sarebbe dispiaciuto rovinare l’atmosfera che si era creata. Mentre ero intento a pensare cosa potevo fare o dire, fu lui a prendere l’iniziativa: staccò la mia testa dal suo cazzo che ormai ci era avvinghiata come una sanguisuga ed estrasse dalla tasca dei pantaloni un preservativo. Mi fece ballare la confezione davanti agli occhi e commentò “Adesso facciamo quello che dico io”. Rimasi piacevolmente sorpreso dalla sua intraprendenza e senza perdere tempo mi spogliai completamente mentre lui si preparava a penetrarmi.
Successe tutto molto in fretta. Sopraffatto dall’eccitazione si alzò in piedi, mi prese con forza e come se fossi un fuscello mi scaraventò sui sacchi di torba. Mi girò e mi fece mettere a pecora con il busto appoggiato sui sacchi. Con due colpi di piede mi divaricò le gambe, mi allargò le chiappe con le mani e sputò un paio di volte sul buco. Quando sentii la pressione della sua cappella spingere sul buco, presi un profondo respiro e rilassai tutti i muscoli in particolare quelli del culo immaginando che non sarebbe stato delicato. Infatti mi infilzò entrando di scatto fino alle palle e nonostante fossi abbastanza allenato, un bruciore mi risalì lungo gli intestini fino allo stomaco. Chiusi gli occhi, strinsi i denti e lasciai che le mie viscere si abituassero alle dimensioni di quel cazzo che pompava il mio buco con foga. Mi martellava il buco in maniera incalzante, mi sbatteva come una furia, come se volesse riversare dentro di me tutta la sua rabbia insieme all’eccitazione. Mi teneva saldo per i fianchi e colpo dopo colpo mi spingeva il cazzo negli intestini. Avanti e indietro, senza mai fermarsi. Ringhiava come un animale parole di disprezzo “Lo senti troia? È questo che volevi, rottinculo di merda? Te lo faccio vedere io come si trattano le cagne in calore come te”. Agli insulti alternava una serie di schiaffi sulle chiappe che si erano arrossate. Non avevo mai goduto così tanto. Rispondevo a ogni affondo con urla di piacere. Volevo che anche quella zoccola della vicina mi sentisse godere. Più io urlavo, più lui si eccitava e mi scopava di gusto.
Sottomesso alla sua mascolinità, mi sentivo schiavo del suo piacere e la cosa mi esaltava. Avevo il cazzo duro come il marmo. Ero talmente eccitato che non ci misi molto a sborrare la prima volta ma lui non sembrava intenzionato a fermarsi. Lo spingeva dentro fino in fondo e lo estraeva del tutto picchiettando la sua cappella sul mio buco in fiamme per poi rientrare di nuovo. Ogni tanto si soffermava ad ammirare la voragine che si era creata nel mio orifizio, ci sputava dentro e ci infilava quattro dita con estrema facilità. “Hai il buco più slabbrato di una figa. Che puttana sei? Scommetto che neanche quella della tua vicina è così larga” mi disse sbattendomi di nuovo il cazzo in culo.
Scopò il mio buco ancora a lungo prima di estrarlo definitivamente e farmi inginocchiare davanti a lui. Stava per venire. Con una mano mi teneva per i capelli immobilizzandomi la testa mentre con l’altra si masturbava per raggiungere l’estremo piacere. Mi sputò un paio di volte in faccia dandomi della troia. Io senza dire niente leccavo via la sua saliva che mi colava sulle labbra e lo guardavo con aria sottomessa. Lo invitavo a darmi il suo nettare con occhi e bocca spalancati mentre continuavo a masturbarmi anch’io. “Beccati il mio succo, te lo sei meritato, troietta” disse riempiendomi la faccia di abbondanti schizzi. Mentre lui urlava di piacere, sentivo inondarmi di schizzi e il calore dello sperma scivolarmi sulla pelle. Non ci misi molto a esplodere in un secondo più contenuto orgasmo che gli finì sulla scarpa. Prima di rivestirsi mi fece ripulire la cappella e la scarpa... entrambe con la lingua. Che scopata!
"È stato fantastico!" gli dissi stremato sul pavimento. Lui non commentò l'esperienza ma disse con tono sicuro "Dimenticati di Ernesto, da oggi il giardino te lo faccio io e non solo quello... cerca di non dimenticartelo. E al mio capo, come a nessun altro, non dirai mai niente. Hai capito bene?". Annuii impressionato dalla sua determinazione. Adesso era lui ad avermi in pugno: il suo cazzo aveva lasciato un segno indelebile in me. Senza aggiungere altro uscì dal capanno, raccolse le sue cose e se ne andò. Sporco di sborra restai sdraiato sul pavimento a fantasticare su tutti i lavori che avrebbe potuto fare nel mio giardino e non solo…
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