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Passione sfranta: in ospedale. (Passione lui&lui - quarta parte)


di Membro VIP di Annunci69.it GSAwNSA77
16.02.2017    |    6.701    |    3 9.4
"Un’altra faccia della passione..."
Sono le nove passate di lunedì mattina e tanto per cambiare sono in ritardo. Mi sono appena svegliato tra le braccia dell’uomo che sogno da tutta la vita e di cui fino a pochi giorni fa non immaginavo neanche l’esistenza. Controvoglia devo rinunciare a questo puro momento di piacere per andare a lavorare. La vita ogni tanto è proprio ingiusta. Su suggerimento di Guido, ieri notte trasportato da momenti di estasi indescrivibili, ho addirittura considerato la possibilità di darmi malato, ma non posso proprio farlo. Mi sentirei troppo male nei confronti dei miei colleghi; l’ospedale è strapieno e anche parte del personale è fuori combattimento per una brutta influenza.
Senza perdere troppo tempo, dopo un frettoloso bacio del buongiorno a colui che non mi ha fatto chiudere occhio, mi butto sotto la doccia, pregandolo di darmi un asciugamano e preparami un caffè. Mentre mi concedo un attimo di relax sotto il getto d’acqua calda, sento l’aria umida del bagno riempirsi dell’aroma di caffè. Giro la testa verso la porta e vedo Guido entrare con una tazza di caffè bollente in mano: lo sguardo perso sul mio culo e la sua asta già sull’attenti in un glorioso alza bandiera mattutino. Ma non può essere vero, è insaziabile “Guido, sono in ritardo, mi hai scopato quattro volte ieri notte, sei… sei…” non trovo le parole per terminare la frase e lui, ignorando il mio tentativo di dissuaderlo, apre la porta della doccia e si fionda su di me. Senza troppi preliminari, me lo infila nel culo e mi scopa (ancora). La mia eccitazione, anche se non palpabile, si accende all’istante. Come sempre, il cazzo di Guido mi trasporta in una dimensione parallela, mi fa vivere in una magia. Con una mano mi appoggio alla parete e con l’altra mi allargo una chiappa, lui dietro di me fa la stessa cosa con le mani opposte, la sinistra sulla parete e la destra allarga l’altra chiappa. Mi scivola avanti e indietro nel buco insaponato e bello aperto. Non ne sono sicuro, ma credo che il suo bastone stia rimescolando il suo stesso seme rimasto dentro di me dall’ultima eruzione di qualche ora prima. La sento colare dal buco insieme al sapone profumato. Dopo gli ultimi cinque colpi decisi e ben affondati in cui sento sbattere le sue palle contro le mie, lo sfila, mi porta la testa al suo cazzo tirandomi per i capelli ed ecco la colazione dei campioni, due densi schizzi di sborra diritti in bocca. Chiaramente non ne è rimasta molta dopo la nottata insonne. La vecchia sborra che mi cola ancora dal buco dilatato, quella fresca che ingoio avidamente, il sapone alle mandorle e l’aroma di caffè danno all’aria densa di vapore un profumo che mi inebria. Quanto vorrei trascorrere la giornata con Guido, ma purtroppo la mia diligenza non me lo permette. Ci sciacquiamo i nostri peccati di dosso e ci lasciamo andare in un intenso bacio sotto l’acqua tiepida.

È quasi mezzogiorno, ho appena finito il giro di tutto il reparto e distribuito a tutti i pazienti le pastiglie da prendere con il pranzo. Ho iniziato il turno meno di un’ora fa e mi sento già esausto, come farò ad arrivare fino a sera. L’ospedale è pieno e il lavoro di certo non manca. Mi siedo in sala pausa e chiudo gli occhi. Mi sarebbe piaciuto trascorrere ore con Guido sotto la doccia, ma sono contento di aver (in parte) resistito alla voglia di cazzo che normalmente prende il sopravvento. Infatti, sono arrivato in ospedale appena in tempo per il turno.
Assorto nei miei pensieri, rifletto sull’uomo che ho finalmente conosciuto. Ha un volto, un nome, una vita, non è il solito anonimo trofeo da collezione. Poi scopa benissimo. Sarò io a dargli tutta quella carica o ha sul serio bisogno di sfogare tutti gli stimoli e le fantasie repressi per anni? Non lo so, ma non m’importa (finché li sfoga con me).
Scatto sulla sedia al richiamo della capo reparto, che mi chiede di andare a lavare il paziente della 105. Non sarebbe un mio compito, ma mi spiega che sono tutti presi da un’emergenza dall’altra parte del reparto. “Vado subito.” Non ho fatto caso sul piano giornaliero che la stanza 105 è occupata. Sarà il classico vecchietto che ha avuto un malore o un ubriacone costretto a smaltire la sbornia in ospedale, in ogni caso non posso tirarmi in dietro, fa parte del mio lavoro. Poi mi viene in mente che la numero 105 è una camera singola privata che solitamente non viene mai utilizzata, se non in casi veramente eccezionali.
Senza bussare apro la porta ed entro, in fondo alla stanza vedo in contro luce la figura di un uomo affacciato alla finestra che mi dà la schiena. “Go away!” mi urla senza voltarsi, “Vai via!” ripete con un forte accento inglese. Ha una voce molto profonda e autoritaria. “Buongiorno Signore, sono qui per aiutarla a lavarsi, ma vedo che sta bene e magari ce la può fare da solo”, replico con garbo e professionalità. Incuriosito da una voce che non si aspettava, si volta e mi squadra dalla testa ai piedi come se stesse per darmi un voto a un concorso di “Miss”. E la prestigiosa fascia di “Miss Succhia Cazzi” va a… Sorrido con me stesso per quanto riesco ad essere idiota. Poi lo noto allungare gli occhi sul mio culo assolutamente senza un minimo di discrezione. Viene verso di me, adesso riesco chiaramente a distinguere i suoi lineamenti. È un uomo molto attraente, possente, tra i 40 e i 45 anni, capelli rasati e occhi neri, sguardo severo e un bel fisico ebano muscoloso e ben definito sotto il camice d’ospedale. Mi fa intendere che non ha compreso niente di quello che gli ho detto, allora con il mio povero inglese e a gesti cerco di fargli capire “Me” indicando me, “Wash” mimando l’atto del lavaggio, “You” e indico lui. Mi lancia un’altra occhiata e con aria di sufficienza mi risponde “Ok, let’s go” dirigendosi verso il bagno. Non so se ha capito, ma lo seguo.
Mentre recupero una pezzuola per lavarlo, si slaccia il camice e lo lascia cadere sul pavimento restando completamente nudo davanti a me. Un attimo di smarrimento. Si tratta di una situazione del tutto normale considerato che sono un infermiere in un ospedale che sta per lavare un paziente, se non per il suo bel cazzone già barzotto che si sta massaggiando voglioso. Ha una proboscide nera che gli arriva fino a mezza coscia, i peli pubici corti e arricciati ed è circonciso con una bella cappella scura. Mi chiedo come farò a lavorarmi questo splendore, non ho mai visto niente di simile. Sto per farmi sfondare la bocca da un uomo di colore, è la prima volta (se ben ricordo). Deve aver colto la mia titubanza, “Com’on bitch! Suck it!” e la troietta, che quando vede un cazzo così generoso perde la testa e capisce tutte le lingue del mondo, si inginocchia ai suoi piedi. Lo soppeso con una mano, ce ne vogliono due. Contemplo quel bel pezzo di carne a pochi centimetri dalla mia faccia. Quando mai capiterà ancora un’occasione del genere, me lo voglio gustare. Dev’essersi spazientito e me lo strappa dalle mani. Lo guardo come se avessero tolto il giocattolo a un bambino. Con una mano mi tiene ferma la testa e con l’altra inizia a schiaffeggiarmi con il suo bel cazzone, prima da una parte, poi dall’altra, alternando le guance arrossate con mazzate piene e ben assestate. A ogni colpo aumenta di consistenza e di spessore. Due colpetti sulla bocca mi invitano a spalancarla più che posso e inizia a scoparmela inesorabilmente. Non riesco a muovere niente, ho la lingua bloccata, le labbra completamente tese, la mandibola divaricata e le mani salde sulle sue cosce per non perdere l’equilibrio; mi sento totalmente inerme e subisco passivamente i suoi colpi. Un susseguirsi di affondi mi provoca dei conati, gli occhi iniziano a lacrimare e la saliva molto densa fuoriesce incontrollata dalla mia bocca. Nel vedermi stordito e affannato, con la colazione pronta a sboccare, si blocca “Bitch! Now I fuck your pussy ass”. Pur non parlando inglese, ho paura di aver capito le sue intenzioni. Senza aggiungere altro, mi sbatte a novanta gradi sul lavandino; da buona troietta fingo un po’ di resistenza, in fondo un cazzo così grande non l’ho mai preso davvero. Lui senza lasciarsi impietosire, mi abbassa mutande e pantaloni in un colpo solo. Non mi degna di uno sguardo, non gli interesso, per lui sono solo un buco (precisamente due buchi, siccome il primo me l’ha appena massacrato). Tenendolo saldo dal fondo dell’asta per aumentare l’erezione, mi schiaffa il suo cazzone ancora completamente insalivato nel culo. Non c’è trasporto, niente passione, solo un’anonima sottomissione e la mia inguaribile dipendenza da cazzo. Mi sfonda gli sfinteri prepotentemente e percorre le mie viscere in tutta la sua lunghezza. Sento un bruciore allucinante salirmi dal basso ventre fino alla testa. Caccio un urlo immediatamente soffocato dalla sua mano sulla mia bocca. Mi scopa senza pietà. I primi colpi mi fanno quasi perdere i sensi. Poi piano piano mi abituo alle sue dimensioni elefantesche e il dolore diventa piacere. Un piacere che sento spingersi fino allo stomaco. Mi sento come una verginella alle prese con il primo cazzo in culo. La mia eccitazione tra le gambe è al culmine e inizio a gocciolare un denso liquido pre-sborra che cade sul pavimento. Mi tiene per i fianchi con una presa rozza e mi stupra il buco ininterrottamente per cinque lunghissimi minuti. Violenza. Aggressione. Un’altra faccia della passione.
Sufficientemente soddisfatto dell’intrattenimento incluso nella tariffa della camera, lo sfila dal mio culo lasciando aperta una voragine che potrebbe tranquillamente essere riempita da un braccio. Con una minima espressione di godimento schizza il suo succo sopra la mia schiena fino a imbrattare lo specchio che riflette la mia immagine esausta. Una sborrata degna del suo pisello. Oltre ad avermi cosparso la schiena, ci sono due dense colate di sperma sullo specchio.
Con una certa arroganza, senza dire una parola, mi lancia addosso la pezzuola che avrei utilizzato per lavarlo e mi fa segno di pulire. Si volta e si infila sotto la doccia. Io, prima che la mia assenza diventi sospetta, mi ricompongo e do una pulita allo specchio e al pavimento. Lancio un ultimo sguardo a quel pisello fuori dal comune e abbandono la camera 105.
Qualsiasi altra persona avrebbe vissuto questa esperienza come un’umiliazione, una sottomissione paragonabile a uno stupro, ma non io, io ho passivamente acconsentito a questa “violenza” e ne ho goduto. Ho bisogno di queste situazioni estreme nella mia vita piatta. D’un tratto però penso a Guido e alle scosse che riesce a darmi lui in momenti di passione animalesca alternati a gesti di pura dolcezza. Non ha eguali, nessuno può reggere il confronto con lui.

Trascorro il resto della giornata fino alla fine del turno a compilare scartoffie e rispondere alle chiamate dei pazienti, tranne quelle della 105, che verso sera si fanno sempre più frequenti. Continuo a pensare a Guido, al mio Guido. Lo sconosciuto della 105 è già archiviato come uno dei tanti (nonostante le dimensioni sicuramente notevoli). Un senso di colpa mi pervade per tutta la giornata. È semplice, sono una TROIA e mi merito tutti i rimorsi che mi stanno tormentando. Non è possibile che dopo aver passato un’appassionante notte con l’uomo della mia vita ed essermi svegliato tra le sue braccia, mi fiondo sui primi 25 centimetri di uccello che vedo e mi faccio impalare rischiando di dovermi far ricucire. Vai poi a spiegare a Guido i punti di sutura intorno al mio buco. Sorrido stupidamente raffigurando l’immagine nella mente.
Guido potrebbe darmi tutto, ma io non mi accontento, voglio sempre di più. Sono uno stupido. Ho bisogno di confidarmi con qualcuno, non posso più tenermi tutte queste emozioni dentro. Devo mettere un freno alle mie voglie. Io sono meglio di così.
Sono già passate le 21.00, saluto tutti e vado a cambiarmi. Seduto sulla panchina dello spogliatoio, mi sfilo il camice bianco e mi tolgo le scarpe. Faccio tutto a rilento, come se il peso che sento dentro frenasse ogni mio movimento. Ha iniziato a piovere. Fuori è già buio, dalla finestrella noto la luce dei lampioni che risalta la fitta pioggia sotto il loro bagliore. Il lavandino gocciola ancora, non sono ancora passati a ripararlo. Sono completamente solo, immerso nel mio silenzio. L’unico collega maschio in servizio oggi è dovuto partire un attimo prima. Mi sento disconnesso con lo sguardo fisso sulle gocce d’acqua che s’infrangono nel lavabo allo stesso ritmo del battito del mio cuore. Se ne ho uno.
Il silenzio si spezza all’improvviso dal rumore della porta che si spalanca sbattendo contro la parete. Quasi mi viene un colpo. È Guido chiaramente frastornato e affannato. Deve aver corso. È bagnato fradicio dalla testa ai piedi, i capelli gli si appiccicano sulla fronte e i vestiti gocciolano sul pavimento intorno a lui fermo sulla soglia. Gli occhi sono arrossati in un misto di rabbia e tristezza. Non capisco se sul volto di Guido, mischiate alla pioggia, ci sono anche delle lacrime. Mi alzo in piedi e gli chiedo “Ma cosa ci fai qui? Cosa ti è successo?”. Senza dire una parola, richiude la porta dietro di sé, gira la chiave e mi fissa in silenzio con occhi diversi. Diversi da quelli che conosco. Chiaramente la giornata non è ancora finita.

“Dobbiamo parlare” dice con voce tremolante. Non lo riconosco. Mi sembra che abbia perso la sua sicurezza, la sua determinazione, quei piccoli atteggiamenti che gli davano un’aria quasi da sbruffone. Ho davanti a me un ragazzetto indifeso e tremolante, bagnato come un pulcino. Il suo sguardo pregno di dolore mi spaventa. “Che cosa succede?” chiedo con insistenza. Scuote la testa e senza rispondere mi carica come un toro. Cadiamo entrambi sul pavimento, uno sopra l’altro. Mi stringe forte in un tenero abbraccio e lo sento chiaramente piangere sopra di me. Sento le sue lacrime miste alla pioggia bagnarmi il collo. Non so cosa fare, sono preoccupato. Non parla, non mi dice cosa lo sta turbando.
Io vorrei parlare, capire cosa lo affligge, ma le sue intenzioni sono altre. Ancora palesemente sconvolto, mi sfila i pantaloni, apre i suoi e, alzandomi le gambe sopra le sue spalle, mi inforca. Oggi nessuno vuole avere pietà di me. Succede tutto molto in fretta. Mi scopa con molta violenza, niente a che vedere con la delicatezza di ieri notte. A ogni affondo mi guarda negli occhi senza mai smettere di piangere. Senza condividere alcun piacere ma solo preoccupazione, mi lascio fare. Mi gira sulla pancia e continua inesorabilmente a scoparmi il culo da dietro. Però non riesce più a farlo guardandomi negli occhi. Mi scopa con foga, mi fa sentire ogni colpo fino in fondo, come se volesse imprimere il suo ricordo dentro di me.
Dopo l’esplosione che ha scaricato abbondante dentro il mio buco, si lascia cadere sulla mia schiena e singhiozzando condivide infine il suo turbamento “Non possiamo più vederci” il verdetto è inappellabile. Dopo una leggera esitazione prosegue “Patty ci ha scoperti, ci ha visti dalla finestra ieri sera e oggi ha dato fuori di matto”. Alle sue parole impallidisco, ma ho bisogno di una conferma “Ma cosa c’entra Patty con noi due?”. La risposta è scontata, ma devo sentirla “Patty, la tua amica Patty”, aggiunge “Patty, la mia fidanzata Patty” mettendo ogni volta l’accento su quel nome che mi rimbomba nella testa “ci ha visti scopare!”. Mi crolla il mondo addosso. Non può essere possibile. Mi rialzo con il culo ancora grondante di sborra, mi rivesto e senza preoccuparmi di Guido, mi fiondo fuori dall’ospedale. Adesso è tutto chiaro, con questa scopata mi ha voluto dire addio.

Di corsa mi lancio nel locale di Patty urtando una coppia mentre esce dalla porta. Devo parlare con Patty, sarà sconvolta (come lo sono io). Una veloce panoramica sul locale: ci sono Tiziano e gli altri seduti al nostro solito tavolo con un’aria ansiosa, qualche altro tavolo è occupato da avventori sconosciuti e in fondo al locale dietro al bancone del bar c’è Patty abbracciata alla zia intenta a consolarla. Nel vederla resto di sasso e il mio sguardo si posa fisso su di lei e sulle lacrime che le segnano il viso visibilmente tirato. “Patty?! Io… non lo sapevo…” dico con una certa titubanza attirando la sua attenzione. Lo sfogo non si lascia attendere “Cosa ci fai qui? Che coraggio! Guido è mio! Lui vuole me, non è come te! Sei solo un frocio di merda… siete tutti uguali. Vattene, sparisci dalla mia vita! Anzi andatevene tutti!”. La gente è impietrita, un gelo totale nell’aria, tutti gli occhi puntati su di me. Le urla di Patty continuano a riempire il locale. Scoppio in un pianto isterico che sono riuscito a trattenere fino a questo momento e mortificato, senza dire niente, scappo dal bar con altri mille sensi di colpa che mi tormentano lungo tutta la strada fino a casa.

Sbatto la porta di casa dietro di me, senza neanche togliere le scarpe mi lascio cadere sul divano con i vestiti ancora bagnati, accendo la TV, mi verso un bicchiere di vino e affogo i miei dispiaceri. Sto male, com’è potuto succedere? Con tutti i ragazzi che ci sono al mondo, dovevo proprio incontrare Guido quella notte? Sarebbe potuto essere l’inizio di una storia d’amore, ma si è tramutato in un incubo…
Suona il campanello, lo ignoro, non ho voglia di vedere nessuno. Suona ancora, faccio finta di niente e resto con gli occhi fissi sullo schermo acceso a guardare il vuoto, a ripercorrere la storia della mia vita, vuota. Sento girare la chiave nella serratura, mi volto mentre si apre la porta. È Tiziano. Lui ha le chiavi di casa mia per dare da mangiare al gatto quando sono via. Vedendomi in lacrime, con aria preoccupata si precipita verso di me sul divano. "Perché non mi hai detto niente di questo Guido? Siamo amici, sai che a me puoi dire tutto". Tiziano, da buon amico, ha bisogno di sentire la mia versione dei fatti. Mi asciugo gli occhi e gli racconto tutto dall’inizio: come ci siamo conosciuti per caso quella notte, il sesso fantastico che c'è (stato) tra noi, la sua bisessualità e la difficoltà che ha da sempre avuto nell’accettare la sua attrazione per gli uomini a causa della famiglia bigotta. Tiziano ascolta tutta la storia senza interrompermi e senza esprimere alcun giudizio. "Penso di essermi innamorato”, concludo scoppiando di nuovo a piangere. Mi consola in un abbraccio fraterno e mi stringe forte a sé. “Perché? Perché? Perché proprio a me?” mi lascio cadere in posizione fetale di disperazione trovando sollievo con la testa appoggiata sul suo grembo. Cerca di darmi conforto, mi accarezza dolcemente i capelli in un silenzio che vale più di mille parole. Le lacrime mi percorrono il viso fino a bagnargli il rigonfiamento dei jeans. Noto che il suo bozzo si fa sempre più consistente a contatto con il mio viso. Gli lancio un'occhiata interrogativa. "Scusa”, mi dice imbarazzato. Ci sorridiamo timidamente. Senza aggiungere altro gli apro i pantaloni e sfilo dalle mutande il suo cazzo in piena erezione. Ha un bel cazzo, né troppo grande né troppo piccolo, un po' come il mio. Finora l'avevo solo visto a riposo sotto la doccia dopo qualche partitella di squash e non mi aveva impressionato particolarmente. È stato come fare la doccia con un fratello.
Mi lancio in un pompino alla ricerca di un po' di consolazione. Questa volta le lacrime sono amare, ma succhio il cazzo del mio amico con grande passione. I movimenti della mia bocca sono incalzanti e la lingua gli stimola glande e prepuzio a ogni boccata. Sono trasportato da un incontrollato sentimento di rabbia (contro un destino ingiusto) e dal mio solito “bisogno”. È palesemente in estasi, sembra che il suo sogno si stia realizzando. Ansima eccitatissimo, è pronto, il suo cazzo inizia a pulsare. In un attimo il suo succo esplode in un abbondante getto sulla mia faccia coprendomela per metà di sperma. Un imbarazzante silenzio cala sul soggiorno, solo il sottofondo della televisione. Non riusciamo neanche a guardarci in faccia. Ho appena fatto un pompino al mio migliore amico. Da male in peggio.
Mentre cerco le parole giuste da dire per uscire da questa situazione d’imbarazzo, metto a fuoco le immagini in TV, catturato dall’ultima hit di Madonna, in Italia in questi giorni per alcune tappe del suo tour. Stanno trasmettendo la notizia che uno dei suoi bodyguard ha finto un malore per attirare l’attenzione della diva e tanti altri gossip che li riguardano. Sono sbigottito. Riconosco il primo piano di quell’uomo, è il cazzone della camera 105 tirato a lucido. Senza indugiare ulteriormente, con la faccia ancora sporca d’incesto, guardo Tiziano e perplesso, indicando lo schermo, gli confesso “Dimenticavo di dirti… Oggi in ospedale mi sono fatto inculare dal bodyguard di Madonna". Scuote la testa, "Sei incorreggibile, ma ti voglio bene“ e scoppiamo in una fragorosa risata liberatoria.
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