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Estate 1990


di mezzasuora
04.11.2011    |    29.232    |    2 7.9
"Papino era dovuto assentarsi perché la signora Biodo stava partorendo..."
La vita, a volte, prende sbocchi diversi da quello che ci attendiamo.
In un paesino di 200 anime, includendo anche in tale numero i trapassati che popolano al cimitero, è difficile, anzi molto difficile, che ci siano dei grandi cambiamenti.
Le svolte della vita avvengono agli abitanti delle grandi città, non a quelli che vivono nei comuni abbarbicati sulle montagne!
Era un’estate tranquilla: caldo, turisti, insetti, compiti a iosa da fare per le scuole… A settembre avrei iniziato, no, lo ammetto, ricominciato (maledetti latino ed algebra!) la quinta superiore.
Papino non era molto contento dei miei risultati scolastici. Avevo passato l’ultimo anno scolastico a sognare ragazzi impossibili, irraggiungibili come Tom Cruise e ad immaginare di fare l’amore con loro. A giugno, invece, mi ero trovata bocciata in cinque materie ed ancora vergine.
Papino era dispiaciuto perché lui era il medico di base del paese. In alta montagna, tra abitanti di paesi diversi, ci si conosce. In un attimo le persone dei paesi vicini avevano saputo che “la figlia del medico è stata bocciata”.
Papino era molto addolorato per l’accaduto e, perché mi potessi applicare e fare i compiti senza distrazioni, mi obbligò a seguirlo nel suo lavoro. Mentre ripassavo nella sala d’attesa, avrei dovuto rispondere al telefono ed accogliere i pazienti. Peccato che quell’estate poche persone si fossero ammalate.
Arrivavo allo studio alle 8 con mio papino. Alle 8.05 arrivava la signora Tianaz per farsi misurare la pressione (e tutte le volte risultava a 80 la minima e 120 la massima). Alle 8.30 il signor Russo veniva a farsi controllare la vista (era convinto di perdere una diottria al giorno,poverino. Diceva che i fumi dell’Etna lo stavano accecando. Peccato fossero 70 anni che avesse lasciato la Sicilia).
Dopo le 9 difficilmente arrivava qualcuno e Papino ne approfittava per rilassarsi, se, ovviamente, non ricevevamo una telefonata.
Un mattino, me lo ricordo come se fosse ieri, arrivarono due poliziotti in sala d’attesa. Papino era dovuto assentarsi perché la signora Biodo stava partorendo. Con loro c’era una ragazzina di circa 15 anni, una zingarella piccola e magra, ammanettata e tenuta dai due uomini.
“Il dottore c’è?”, mi chiese uno dei poliziotti.
“No, non c’è. Perché?”, risposi e domandai stizzita.
“Abbiamo bisogno di lui. Tu sei la figlia?”, chiese, guardando con circospezione la sala d’attesa.
“Si, sono Marianna. Di cosa avete bisogno?”
“Non abbiamo tempo di aspettare tuo padre. Abbiamo beccato a rubare questa ladra. Abbiamo cercato tra i suoi vestiti i gioielli spariti. Non riusciamo a trovarli. Sospettiamo che li nasconda all’interno del suo corpo”
“Quindi?”, chiesi.
Il poliziotto mi guardò come se fossi inebetita “Li ha nel corpo, mi capisci? Non può averli ingoiati: erano un orologio d’oro ed una collana di perle. Dobbiamo estrarli.” Poi a voce più bassa, “Subito. Da un buco o dall’altro.”
Io ero sconvolta:”Se volete aspettare mio padre. Lo chiamo dalla signora Biodo…”
“Mmh, non se ne parla nemmeno. Lo puoi fare tu. Noi poliziotti non possiamo fare certe cose. Assisteremo all’intervento per la tua sicurezza e per garantire il ritrovamento della refurtiva”
Feci l’unica cosa che potevo fare: annuii ed accettai.
Entrammo nello studio di Papino. Aiutai la zingara a sfilarsi gonna e sottogonna, le feci togliere la camicia di lino che indossava e restai shockata perché non indossava gli slip.
“Secondo me,non parla nemmeno la nostra lingua! Ecco perché è tranquilla. Non sa cosa le spetta!”, disse il secondo poliziotto. Non l’avevo ancora sentito parlare.
“Ha un bel corpo la signorina”, disse il primo poliziotto.
La facemmo coricare al fondo del lettino (come aveva consigliato il primo poliziotto). Uno degli uomini le teneva fermo il busto, l’altro le teneva piegate le gambe, con i piedi sollevati.
“Questa è una posizione da parto”, pensai.
Adesso per me era il momento cruciale. Cosa dovevo fare?
Con la mano sinistra tenni aperte le grandi labbra della vagina della ragazza.
“Non metti i guanti?”, mi chiese il poliziotto che le teneva piegate e sollevate le gambe.
Arrossii. Aveva ragione. Potevo prendere una qualche malattia. Ma ero cocciuta, volevo dimostrare che ero in gamba.
“No, per una maggiore sensibilità”. Dissi, cercando di non guardarlo negli occhi per non ridere, e mi sentii come uscita da uno spot televisivo.
“Aspetta, e se ce l’avesse nell’intestino?”, disse uno dei due uomini.
“E’ possibile”, disse l’altro”puoi controllare prima lì?”
Fu una mazzata in fronte. Ricapitolando quello che mi avevano detto era che dovevo infilare due dita attraverso l’ano di questa ragazza e controllare l’eventuale presenza di gioielli.
Dovevo prenderla con filosofia e dovevo trovare una soluzione per la questione guanti. In questo caso mi ci volevano proprio. E poi i due signorini dimenticavano che l’ano non è lubrificato come la vagina…
“Allora sono in obbligo di mettere i guanti. Scusate un attimo, ma devo prenderli dalla scrivania di mio padre” dissi e così feci. Afferrai un paio di guanti di lattice e cercai qualcosa di lubrificante. Trovai solo una crema per le mani Glisolid e la spalmai abbondante sui guanti.
“Potete farla mettere di lato? Per me sarebbe più facile”, chiesi ed i due uomini obbedirono. La ragazza si lasciò spostare docilmente. Doveva proprio essere rassegnata…
Infilai l’indice ed il medio nell’ano della ragazza, era una sensazione stranissima. Non sentendo altro che le pareti dell’intestino della zingara, provai ad infilare anche il dito anulare.
“Potrebbe averli spinti più in su!”, disse uno dei poliziotti.
“Oppure non averceli proprio. Non posso infilare il braccio”, ribattei.
“Proviamo dalla fi… vagina, ora”, disse il secondo poliziotto.
“Ok”, risposi ed i due uomini rimisero la ragazza nella posizione ginecologica.
Mi sfilai i guanti per cambiarli e mi venne in mente che prima avevo promesso di non metterli. Non ne cercai altri. Buttai i guanti vecchi e tornai dalla zingara.
Le aprii con il pollice e l’indice le grandi labbra. Infilai il dito indice nella sua vagina. La zingara mugugnò di piacere. Infilai anche il dito medio e con il pollice iniziai a fare movimenti rotatori contro il suo clitoride. Muovevo la mano con un movimento dentro-fuori. Stavo facendo sesso con la ragazza. Poi con le due dita afferrai il cinturino dell’orologio e riuscii a tirarlo fuori integro. Riinfilai le dita e cercai di spingermi più in profondità. Cercare quella collana di perle era un’impresa impossibile.
“Ho le dita troppo corte, non ci riesco”, dissi rivolta ai poliziotti.
“Ci penso io”, mi rispose uno degli uomini e rapidamente infilò le sue dita nella vagina della zingara.
“Ma non puoi”, ribattè il suo collega, ma era troppo tardi, perché aveva già sfilato la collana e ci guardava esultante.
“La refurtiva è stata ritrovata. Noi usciamo fuori. Tu rivesti la zingara e vi aspettiamo in sala d’attesa”
I due uomini uscirono e mi lasciarono sola con la zingara. La ragazza era ancora coricata ed iniziò a toccarsi il clitoride con movimenti rotatori molto veloci. Mi avvicinai a lei ed inserii le mie dita nella sua vagina. Continuai per cinque minuti a toccarla, poi iniziai a leccarle l’ano e la vulva, a succhiarle il clitoride, finchè la ragazza raggiunse l’orgasmo. La vidi contrarre i muscoli e ad abbandonarsi al più intenso dei piaceri.
Si sedette sul lettino e mi abbracciò. Le sue labbra si appoggiarono alle mie in un morbido bacio. Iniziammo a baciarci, quando da fuori bussarono. La ragazza si rivestì in fretta e poi mi sussurrò in un’orecchia:
“Ci vediamo tra qualche giorno. Vengo qui in studio e continuiamo…”
“Ti aspetterò con ansia. Però questa volta tu dovrai far godere me….”
Ci baciammo e la ragazza andò via con i due poliziotti.
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