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Il dolore di Anna Cap. 2


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
03.05.2025    |    1.896    |    3 7.8
"Anna urlò, il dolore che le squarciava l’ano, la carne che si apriva sotto quella pressione brutale..."
Sono passati dieci giorni da quella notte a casa di Carla, dieci giorni di silenzio che hanno scavato un vuoto dentro Anna. Ogni mattina, al Bar Aurora, si presentava con il cuore in gola, sperando in un cenno, uno sguardo, ma Carla serviva i caffè con un’indifferenza che la spezzava. “Forse si è dimenticata di me,” pensava Anna, la mente tormentata, il desiderio che bruciava ancora, un’ossessione che non la lasciava dormire. Si guardava allo specchio, i segni sul seno e sulla fica quasi svaniti, ma il dolore, quello, era ancora vivo, un ricordo che la faceva bagnare ogni volta che ci pensava. “Forse non mi vuole più,” si diceva, la voce tremante, mentre si masturbava la notte, immaginando il frustino di Carla, il suo profumo di vaniglia e cuoio.
Poi, quella sera, un messaggio su WhatsApp, chiaro, brutale: “Vacca, tu mi appartieni. Vieni a casa mia stasera, senza reggiseno e senza mutande, come una vera vacca da monta.” Anna sentì il cuore esplodere, la fica che si bagnava all’istante, un misto di paura ed eccitazione che la travolse. Si preparò con cura, tremando: una camicetta bianca aderente, i capezzoli che premevano contro il tessuto sottile, una minigonna nera che a malapena copriva il culo, niente intimo, come ordinato. Ogni passo verso casa di Carla era un’agonia di desiderio, la fica già fradicia, il vento freddo che le accarezzava la pelle nuda sotto la gonna.
Arrivata alla villetta, la porta era socchiusa. Anna bussò, il cuore che martellava, e Carla apparve, imponente, in una canottiera nera aderente e jeans strappati, i piedi nudi, sporchi di polvere, infilati in sandali logori. Non disse nulla: il suo primo gesto fu uno schiaffo, forte, che fece girare la testa ad Anna, la guancia che bruciava. “Inginocchiati, vacca,” ordinò, la voce bassa, e Anna, senza pensare, si lasciò cadere sul pavimento, la porta ancora aperta, il buio del vicolo che si mescolava alle luci del palazzo. “Lecca i miei piedi,” disse Carla, spingendo un sandalo verso la sua bocca. “Fai vedere a tutti come sei vacca.”
Anna, il viso in fiamme, la lingua che tremava, iniziò a leccare, il sapore di polvere e sudore che le riempiva la bocca, i sandali ruvidi contro la lingua, i piedi di Carla che odoravano di terra e cuoio. Carla, con un gesto lento, le tirò su la gonna, esponendo il culo nudo, la fica depilata che gocciolava. “Guarda che bel culo da vacca,” disse ad alta voce, ridendo, mentre Anna, umiliata, continuava a leccare, la lingua che scivolava tra le dita dei piedi. In quel momento, un anziano, un vicino che rientrava, si fermò sulla soglia, la borsa della spesa in mano, gli occhi spalancati. “Vai, nonno, goditi lo spettacolo,” lo provocò Carla, e l’uomo, con un sorriso storto, rimase lì, a guardare Anna, la sua vergogna esposta.
Carla, senza preavviso, alzò un piede e colpì, un calcio secco sulla fica di Anna, la punta del sandalo che affondava nella carne morbida. Anna urlò, il dolore che le esplodeva tra le gambe, la fica che bruciava, ma il grido si trasformò in un singhiozzo di sollievo: Carla la voleva ancora. “Dentro,” ordinò, spingendola in casa con un altro calcio, chiudendo la porta con un tonfo. Anna tremava, il dolore che pulsava, ma il cuore le scoppiava di gioia.
Nell’ingresso, Carla non perse tempo. “Alza la gonna, apri le gambe, spalanca la fica,” disse, il tono che non ammetteva repliche. Anna, con le mani che tremavano, obbedì, sollevando la gonna, divaricando le cosce, le dita che aprivano le grandi labbra, la fica esposta, vulnerabile. Carla la fissò per un istante, poi prese la rincorsa e colpì: un calcio dritto sulla fica, la punta della scarpa che affondava nel clitoride. Anna si piegò in due, il dolore che la spezzava, un urlo che le sfuggì mentre cadeva a terra, le lacrime che scorrevano. “Rialzati, vacca,” ordinò Carla, e Anna, singhiozzando, si sforzò di obbedire, le gambe che tremavano.
Appena fu in piedi, un altro calcio, più forte, la fibbia della scarpa che le graffiava la carne, un rivolo di sangue che colava dalla clitoride. Anna strinse i denti, gli occhi chiusi, il dolore che le risaliva fino alla testa, ma non urlò: sapeva che il dolore era la sua ricompensa, che ogni grido avrebbe portato colpi più duri. Carla si avvicinò, le asciugò le lacrime con un gesto quasi tenero, poi la baciò, le labbra morbide che esploravano la sua bocca, un contrasto che la fece gemere. Ma il momento di dolcezza durò poco: Carla si allontanò e colpì ancora, un calcio brutale che con la fibbia delle scarpe fece leggermente sanguinare al fica, la carne lacerata, il clitoride un nodo di agonia. Anna resistette, il corpo teso, i denti serrati, il dolore che la consumava ma la teneva viva.
Carla, soddisfatta, le fece cenno di seguirla in cucina. “Siediti,” disse, indicando una sedia. Anna, la fica gonfia e dolorante, si sedette lentamente, ogni movimento un tormento. Carla le sbottonò la camicetta, liberando le sue “grandi tette da vacca,” come le chiamò, e le poggiò sul tavolo, i capezzoli che sfioravano il legno freddo. Le legò le mani dietro la schiena con una corda ruvida, poi prese un cubetto di ghiaccio dal frigo, l’odore di plastica che si mescolava al suo profumo di vaniglia. Lo passò sui capezzoli, il freddo che li faceva indurire, un bruciore che preparava la tortura. “Ora vediamo quanto resisti,” disse, prendendo una piccola cucchiaia di metallo.
Il primo colpo fu secco, sul capezzolo destro, un dolore lancinante che fece urlare Anna, le lacrime che scorrevano. “Conta!” ordinò Carla, e Anna, singhiozzando, mormorò: “Uno.” Un altro colpo, sul sinistro, poi ancora, il metallo che mordeva la carne, i capezzoli che bruciavano, un’agonia che la devastava. Carla alternava il ghiaccio, che intorpidiva, ai colpi, che esplodevano, un ritmo che portava Anna al confine della coscienza. “Ti prego, basta,” sussurrò, la voce rotta, ma Carla continuò, altri colpi, i capezzoli rossi e gonfi, il dolore che la consumava. Anna sentiva la testa leggera, il mondo che si offuscava, ma Carla, mossa a pietà, si fermò.
Prese un bicchiere dal frigo, un liquido biancastro all’interno, l’odore forte che fece rabbrividire Anna. “Bevi, ti farà bene,” disse, avvicinándolo alla sua bocca, le mani ancora legate. Anna esitò, il puzzo che le dava la nausea. Carla rise, un ghigno crudele. “Ho chiesto a quel vecchio di segarsi per una settimana per prepararti questa delizia. Su, vacca, apri la bocca e manda giù.” Anna, umiliata, obbedì, il sapore denso e salato che le riempiva la bocca, la voglia di vomitare che combatteva con il bisogno di compiacere Carla. Ingoiò tutto, il disgusto che la marchiava, le lacrime che cadevano.
Carla la slegò, i polsi rossi, e le chiese, con un tono che sembrava quasi dolce: “Vuoi andare via?” Anna, il corpo devastato, la fica sanguinante, i capezzoli distrutti, scosse la testa. “Ti prego, lasciami restare,” implorò, la voce tremante. Carla sorrise, un lampo di approvazione negli occhi, e la guidò nella stanza della gogna. Abbassò la struttura di legno a terra, imprigionando Anna: la testa e le mani bloccate, il culo esposto, la fica dolorante che gocciolava. Posizionò dietro di lei un macchinario, un oggetto che Anna non riuscì a vedere, ma che presto sentì: un cazzo di gomma, enorme, almeno sei centimetri di diametro, che le entrò nel culo a freddo.
Anna urlò, il dolore che le squarciava l’ano, la carne che si apriva sotto quella pressione brutale. “Cazzo, fa male!” gridò, ma Carla rise, spingendole un piede in bocca. “Lecca, vacca,” ordinò, mentre il cazzo di gomma affondava, ogni centimetro un’agonia. Quando fu tutto dentro, Carla prese un telecomando e azionò il macchinario: un movimento lento, poi sempre più veloce, che devastava il culo di Anna. Il dolore era insopportabile, un rivolo di sangue che colava, segno che la carne si era lacerata, ma Carla non si fermava, gli occhi che brillavano di piacere. Anna urlava, il piede di Carla in bocca, ma il suo corpo, traditore, iniziava a reagire: il dolore si mescolava al piacere, un orgasmo che montava, il corpo che tremava.
Carla, percependo il momento, spense la macchina e liberò Anna dalla gogna. “Leccami la fica,” ordinò, sdraiandosi sul pavimento, le cosce aperte, la fica depilata che brillava. Anna, il culo distrutto, la fica sanguinante, si chinò, la lingua che scivolava sul clitoride di Carla, il sapore muschiato che la consumava. Carla gemette, poi urlò, un orgasmo violento che la fece squirtare, schizzi caldi che inondarono la bocca di Anna, il liquido che le colava sul mento. “Apri la bocca,” disse Carla, e Anna obbedì: un getto di piscio, caldo e salato, le riempì la gola. “Bevi,” ordinò, e Anna, singhiozzando, ingoiò, l’umiliazione che si mescolava al desiderio.
Carla la fece rialzare, il corpo di Anna un relitto di dolore. “Rivestiti e vai,” disse, la voce fredda. “A casa, se vuoi, puoi toccarti.” Anna, con la camicetta che sfiorava i capezzoli martoriati, la gonna che irritava la fica sanguinante, uscì, ogni passo un’agonia. Chiuse la porta dietro di sé, il buio del vicolo che l’avvolgeva, il desiderio che bruciava ancora, un fuoco che non si sarebbe mai spento.

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