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Prime Esperienze

Layla - parte I


di velvetMorgana
02.07.2018    |    6.354    |    17 7.1
"E mentre i loro bambini, e le loro bambine, giocavano nei cortili, al crepuscolo, maschi infoiati avrebbero riversato la loro voglia aliena in bocche, ..."
Layla, you've got me on my knees.
Layla, I'm begging, darling please.
Layla, darling won't you ease my worried mind.
(Eric Clapton)

Aveva ventitre anni, si faceva chiamare Layla; conosceva il sesso ma non ancora il peccato.

L'esistenza del piacere l'aveva intuita fino da bambina, imparando ad esplorare i meandri del proprio corpo durante il frastagliato interregno fra infanzia e adolescenza.
Mani minute, le sue, percorrevano la sua pelle abbandonando l'autoconsolazione per rincorrere un brivido elettrico e discontinuo quando le dita lunghe, da pianista, sfioravano il seno appena abbozzato. Un presagio, una promessa: aveva dieci anni, era una crisalide.

A dodici anni, il suo corpo di piccola donna esplodeva negli abiti da bambina che la madre la costringeva ad indossare, nella speranza che maglie vezzose e toni pastello difendessero la sua creatura dagli sguardi lunghi, sguardi la lupo, di certi maschi adulti.
Seduti ai tavolini del bar, in piedi all'angolo della strada, padri di famiglia la scrutavano passare, fissando apertamente quella miniatura di donna, quell'ondata fresca di sensualità innata e inconsapevole.
Un corpo rotondo, proiettato verso l'età adulta, che conservava la grazia dell'infanzia.
E l'odore, il suo odore. Di muschio, di donna, di sottobosco fertile in cui sarebbe stato bello affondare le mani.
Gli onesti padri di famiglia, al bar per sorseggiare un bianco prima di tornare a casa, si eccitavano al passaggio della donna-bambina.
Fiorivano erezioni prepotenti e improvvise che, talvolta, li avrebbero spinti a casa, travolti dall'urgenza. E allora si sarebbero avventati sulle consorti, strappando loro di dosso gli abiti, lacerando asole, in un impeto da animale in calore.
E mentre i loro bambini, e le loro bambine, giocavano nei cortili, al crepuscolo, maschi infoiati avrebbero riversato la loro voglia aliena in bocche, fiche e culi stupiti e, in fondo lusingati, di tanta rinnovata veemenza.
Al mattino, le donne si sarebbero risvegliate canticchiando.
I loro uomini, invece, nel radersi il volto avrebbero esitato nel guardare lo specchio, bestemmiando un Dio qualunque e gettando la croce della colpa su di un nome di donna.

Ma Layla camminava innocente, ingobbendo solo un poco le spalle in avanti, a nascondere quel peso che la intralciava e basta, quando ancora saltava alla corda in cortile.

A tredici anni, invece.

Lui era lo zio G., anche se di sangue in comune non ne aveva nemmeno una goccia. Non erano parenti e neppure affini; era un amico del padre, uno che l'aveva vista nascere. Muovere i primi passi.
Quella fu un'estate elettrica, diversa dalle altre. Il caldo opprimente rallentava i riflessi di uomini, donne e bambini. In spiaggia regnava una calma irreale. Calata dentro al suo striminzito bikini turchese, Layla compitava a fior di labbra le risposte alle parole crociate. Stesa sulla sabbia, persa nel suo mondo, a pochi metri dagli adulti, smarriti in un sonno madido di sudore irrequieto.
Lo zio G. non dormiva. Ma non era neppure pienamente vigile. Sdraiato sulla sua salvietta, sul fianco sinistro, la fissava a occhi socchiusi. La mano destra dello zio, abbandonata sul grembo, accarrezzava lenta un rigonfiamento nel costume. Quasi una danza, un rituale ipnotico.
Layla distolse lo sguardo, confusa. Uno strano calore le fiorì sulle guance e inizio ad irradiarsi lungo tutto il suo corpo. Restò immobile, con gli occhi chiusi.
Li aprì, poco dopo, e la danza della mano continuava, più veloce ora. Gli occhi dello zio erano chiusi, ora, e dalla sua bocca aperta sembrava arrivare un piccolo gemito.
Poi soffocò un grido e lei vide, distinto, sbocciare un fiore scuro sugli slip slavati.
Lui aprì gli occhi e cogliendo il suo sguardo la incenerì con un'occhiata mista di desiderio e disprezzo.
Fu in quell'attimo che Layla scoprì di avere un potere, sugli uomini.
Anche se lei ancora non sapeva cosa farsene, quella consapevolezza si fece strada fra le sue gambe e, alzandosi in piedi, le sue labbra, vergini, si separarono producendo un piccolo, flebile rumore umido.
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