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Il mio primo giorno di lavoro al Sado hotel


di maktero
01.09.2023    |    6.183    |    10 8.2
"Risposi di sì, lei prese due carote, una cominciò a mangiarla lei e l'altra me la porse, io la agguantai prepotentemente e cominciai a mangiarla avidamente..."
Quando il "simpaticone" fù soddisfatto dal pompino che gli avevano fatto le ragazze, si approssimo ad un cassetto dove prese dei soldi che porse a Luisa come anticipo per il mio servizio.
Le ragazze avevano gli occhi scintillanti alla vista di quel denaro, lo misero da parte e si avviarono verso l'uscita.
Passandomi accanto mi disserro non farci sfigurare, contiamo su di te.
E uscirono senza altra parola.
Il Simpaticone mi disse di alzarmi e di seguirlo; l'uscimmo dall'ufficio e ci avviammo nel corridoio, lì ricominciai a sentire i lamenti ed i gemiti che avevo avvertito al mio arrivo.
Mi resi conto che quei rumori arrivavano da stanze senza porte.
Il Simpaticone mi porto in una cucina, lì c'era la schiava che avevo visto all'ingresso; sfoderando un largo sorriso disse alla ragazza che era arrivato l'aiuto.
Lei guardò lui e poi mi squadrò da capo a piedi, soffermandomi sul mio pene.
Poi si espresse, dicendo era ora, non cela facevo più a fare tutto lei.
Il tizio disse che doveva tornare al "lavoro" e chiese alla ragazza di spiegarmi tutto.
Una volta soli io e quella ragazza rimanemmo per un attimo in silenzio, mentre lei stava trafficando con cibi e attrezzi di cucina.
Poi interrompendo il silenzio la ragazza disse che stava preparando il pranzo per i padroni, che erano il tizio che mi aveva accolto e sua moglie.
Mi disse di cominciare a darmi da fare e di mettermi alle pentole a rimestare mentre le finiva le ultime cose.
Mi spiegò che quello era il pranzo per i padroni; che doveva essere prelibato; vidi infatti in cottura ed in preparazione nelle mani della ragazza delle pietanze appetitose che mi facevano girare la testa per la fame che avevo.
Poi lei mi indicò un secchio pieno di un liquido dall'aspetto indefinibile dicendomi che quello era il pasto degli schiavi, quella roba nel secchio mi attraeva di meno, ma intuivo che forse sarebbe stata il mio pasto.
Lei disse che per quanto ci riguardava avremmo potuto nutrirci degli avanzi dei padroni, o di quello che recuperavamo in cucina; poi mi chiese "hai fame?".
Risposi di sì, lei prese due carote, una cominciò a mangiarla lei e l'altra me la porse, io la agguantai prepotentemente e cominciai a mangiarla avidamente.
Mentre mangiavo la tizia mi disse di pormi ai fornelli per rigirare le pietanze affinchè non bruciassero.
Mentre io ero intenta ai fornelli seguendo le istruzioni della ragazza, lei mi chiese se sapevo dove mi trovavo (aveva compreso, che ero completamente persa in una situazione che non conoscevo).
Io risposi di no!
Le dissi che le mie padrone mi avevano portato là; mi avevano venduta, ma non mi era stato detto niente.
La ragazza interrompendo per un attimo la sua attività di cuoca, prese un mestolo di legno sporco di grasso, si avvicinò a me e con nonchalance me lo infilò nel culo.
Mi piaqque quell'atto, mi faceva sentire sottomessa più che mai, ero alla mercè della schiava della casa.
Con il mestolo nel culo continuai ad occuparmi della cura delle padelle.
Intanto la tizia cominciò a raccontarmi di dove eravamo.
Mi spiegò che quel luogo ospitava masochisti e masochiste particolari, ovvero gente che amava subire il " letto di contenzione".
C'erano due stanze con quattro letti per locale, i letti erano coperti da legno con un buco in corrispondenza dei genitali per consentire le escrezioni.
Gli schiavi o le schiave venivano legati mani e piedi alle estremità del letto e passavano in quella posizione il loro tempo.
Mi spiegò che in genere i clienti pagavano molto bene per questo trattamento, che in genere durava un paio di giorni, e per i più masochisti qualcosa di più.
Poi c'era un trattamento speciale per quelli che volevano più sofferenza.
Questi venivano prelevati la mattina e seviziati per tutto il giorno per tornare alla sera al loro letto di contenzione.
Il nostro compito era quello di assistere gli schiavi per curare loro le eventuali piaghe di decubito, nutrirli con quello schifo che avevo visto nel secchio, pulire il loro vomito che era frequente per la continua sofferenza.
Cucinare per i padroni e per gli schiavi ed imboccarli in quanto loro perennemente legati ai letti non potevano nutrirsi per conto loro.
Poi dovevamo svotare i secchi posti sotto il letto di contenzione; ma questo doveva avvenire solo quando uno schiavo/schiava finiva il suo turno.
Per tutto il tempo della permanenza ogni schiavo/schiava dove convivere con la puzza dei suoi escrementi.
Datomi queste informazioni essenziali la ragazza mi disse che il pranzo dei padroni era pronto e riempimmo dei piatti con le prelibatezze che avevamo confezionato.
Con dei vassoi carichi delle prelibatezze che avevamo preparatoci ci avviammo nel corridoio per entrare poi in una sala da pranzo dove i padroni erano in attesa del loro pasto.
Percorrendo il corridoio i gemiti e i lamenti degli schiavi riempivano le mie orecchie.
Servimmo i padroni che cominciarono a mangiare.
La moglie che non avevo visto prima, si complimentò per il nuovo acquisto; cioè per me, poi notò il mestolo che mi usciva dal culo e me lo sfilò; mi disse di aprire la bocca ed me lo infilò dentro.
Brava ragazza mi disse, ero contenta di un simile complimento.
Ci venne detto di portare da mangiare agli "ospiti", ritornammo in cucina prendendo il secchio colmo del liquido ignobile e due mestoli.
Chiesi alla ragazza cosa ci fosse in quel secchio, ma lei mi disse solo che dovevamo nutrire gli schiavi.
Arrivammo in una stanza dove c'erano quattro donne legate al letto, la stanza puzzava di merda, urina, sudore e sofferenza.
La ragazza pose il secchio a terra, presso il primo letto, rimestò il mestolo all'interno e ne trasse il liquido, avvicinandolo alla bocca della masochista posta su quel letto.
Disse alla troia di aprire la bocca, questa agitandosi ubbidii e aprendo la bocca ed ingurgitò il pasto.
Continuò ad agitarsi con una smorfia di disgusto, ma evidentemente affamata ingoiò quanto le veniva offerto.
La ragazza mi disse di provvedere alle altre ospiti, io presi l'altro mesto e cominciai ad ingozzare le altre schiave.
Si agitavano continuamente per la sofferenza che le provocava la loro posizione; ingoiavano quel pastone disgustoso offerto a forza con difficoltà.
La cosa mi stava eccitando molto ed il mio cazzo si era eretto.
Lo misi in bocca ad una schiava mentre le versavo in bocca il pastone; probabilmente lei nella confusione della sofferenza, della colatura dello schifo che la nutriva non comprendeva che aveva un cazzo in bocca.
Perlomeno all'inizio, perchè poi guardandomi negli occhi cominciò a succhiarmi il cazzo; sembrava veramente contenta perchè i suoi occhi pieni di sofferenza un attimo prima si erano fatti luminosi.
Io arrivai e le riempii le bocca di sperma, poi aggiunsi una altra mestolata della sbobba che lei ingoiò con ribrezzo.
Io e la ragazza finimmo di nutrire le troie in quella stanza e passammo alla successiva.






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