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Siamo pitturate con l'uniforme del "Slave Farm"


di maktero
22.11.2023    |    2.799    |    2 6.0
"Poi il bruto si avvicinò all'uscita spense la luce e ci augurò sarcasticamente la buona notte..."
Siamo nude in un angolo dello squallido fabbricato dove ci ha portato la schiava che ci ha detto di chiamarsi Gioia.
Lei ci dice di metterci con la faccia verso la parete, poi ci spiega che i padroni hanno un particolare feticismo, si eccitano vedendo le loro schiave colorate.
Questo è il motivo per cui lei come le altre schiave e schiavi che incontreremo nella fattoria sono colorati.
Mentre ci parla ci accorgiamo che lei aggeggia con certi apparecchi probabilmente necessari presumiamo alla nostra colorazione.
Gioia ci spiega che i padroni prediligono il grigio scuro, il colore con cui è colorata lei; noi dovremo essere colorati nello stesso modo.
Ci viene spiegato che il colore è perfettamente compatibile con la pelle e non provoca problemi, è tuttavia un colore molto persistente e saremmo rimasti colorati a lungo.
Intanto sentiamo un ronzio alle nostre spalle, probabilmente un compressore per spruzzarci il colore sul corpo.
Gioia dopo qualche minuto di silenzio dove avvertivamo che aveva aggeggiato con il colore e l'apparecchiatura di spruzzo, ci disse "Siete pronte?"; noi accennammo di si scuotendo il capo.
Dopo un istante sentii arrivare un flusso fresco sulla schiena, che si estendeva verso verso tutte le mie parti del corpo.
Di tanto in tanto Gioia mi chiedeva di muovermi per favorire la pitturazione delle varie parti del corpo.
Mi fece rigirare e mi pitturò la faccia, chiedendomi di chiudere gli occhi, mi chiese di scappellarmi per colorare anche la mia cappella.
Mi chiese di alzare i piedi per colorarmi anche le piante, mi chiese di mostrare le mani, i palmi per colorare anche quelli.
In poco tempo ero colorata completamente in ogni centimetro del mio corpo.
Mi guardavo e mi piaceva lo spettacolo del mio corpo colorato; mi eccitai e cominciai a masturbarmi mentre Gioia pitturava Serena.
Anche a lei quel trattamento doveva piacerle molto perchè si toccava continuamente.
Solo quando Gioia dovette pitturarle la figa, Serena allontanò le mani dalla sua figa, ma continuando a gemere di eccitazione mentre Gioia le spruzzava il colore nella figa.
Terminato il suo lavoro Gioia, ci guardò con uno sguardo di soddisfazione per il lavoro fatto e poi ci disse "Adesso siete membri degni della fattoria".
Io e Serena ci guardavamo, guardavamo i nostri corpi colorati e ci masturbavamo; Gioia ci disse che era normale che i nuovi arrivati fossero eccitati dalla visione del loro corpo colorato.
Io non ne potei più e penetrai Serena nella sua figa che era già pronta, per accogliere il mio cazzo.
Pompai Serena facendola godere mentre Gioia ci guardava e si masturbava.
Quando finimmo anche Gioia godette.
Quando ci rilassammo Gioia tecnicamente ci disse che il cazzo e la vagina avrebbero teso a scolorirsi con l'uso e che di tanto intanto sarebbe stato necessario riprendere il colore.
Poi Gioia ci disse che doveva avviarci alla nostra attività come schiavi della fattoria; noi eravamo un pò curiose.
Gioia prese delle manette di cuoio unite a delle corte catenelle con cui imprigionò i nostri polsi.
Poi prese altre manette di cuoio sempre collegate da catene che allacciò alle nostre caviglie, poi ci disse di avvicinarci all'uscita, noi un poco impacciate dai quei legacci ci avviammo.
Presso l'uscita ci disse di prendere le zappe appoggiate vicino all'ingresso; noi ubbidimmo e Gioia ci disse di seguirla fuori verso il campo, eravamo curiose su cosa ci aspettasse, anche se evidentemente qualche idea avevamo cominciato a farcela.
Camminammo arrancando per i legami che limitavano i nostri movimenti.
Seguimmo Gioia per molte centinaia di metri, finchè arrivammo in un campo in cui c'erano alcune persone uomini e donne anche loro pitturate di grigio e legate come noi che con le zappe lavoravano il terreno.
Gioia ci disse che anche noi come gli altri schiavi dovevamo darci da fare per lavorare il terreno.
Si avvicinò ad un tizio dall'aspetto brutale ed armato di frustino e gli disse che eravamo le nuove lavoratrici.
Poi Gioia se ne andò senza rivolgerci una parola.
Evidentemente il suo compito era finito e noi non le interessavamo più.
Il bruto si rivolse a noi e ci disse rudamente "Voi nuove merde dovete dissodare il terreno, vi faccio vedere il vostro settore".
A spintoni il bruto ci portò verso un lato del campo e ci disse di cominciare a lavorare di vanga e cominciò a spiegarci le regole del lavoro.
Noi cominciammo a zappar;
Il bruto ci disse che che il nostro lavoro sarebbe continuato fino a che c'era luce.
Durante il nostro lavoro avremmo avuto diritto a bere dell'acqua e ci indicò un lercio secchio, posto al lato del campo.
Per bere avremmo dovuto chiedere il permesso, se avessimo avuto di pisciare e defecare avremmo dovuto chiedere il permesso.
Queste erano le regole per il resto avremmo dovuto lavorare duramente, aggiunse che siccome eravamo nuove ci avrebbe trattate con delicatezza.
Noi continuammo a lavorare di zappa, sotto lo sguardo attento del bruto che ci guidava nel nostro lavoro e correggeva i nostri errori nel lavoro con delle frustate ed urlacci.
Così come faceva anche per quegli altri "grigi" che lavorano chini e mogi.
Dopo alcune ore di lavoro io e Serena eravamo sfinite solamente le frustate e le urla del bruto ci stimolavano a continuare nel nostro lavoro.
Chiedemmo più volte il permesso di bere, di urinare, il bruto ci indicava dove andare per i nostri bisogni; un punto all'esterno del campo pieno di escrementi e puzzolente.
Arrivò il tramonto ma finchè ci fù un filo di luce il bruto continuò a farci lavorare.
Poi quando finalmente il buio impediva qualsiasi lavoro il bruto con un fischietto richiamò tutte noi schiave che ci avviammo verso un fabbricato della fattoria.
Il bruto ci fece entrare e ci fece allineare verso una sorta di mangiatoia in legno sporca e dall'odore putrido; dopo qualche minuto arrivarono delle donne; riconobbi tra loro Gioia.
Le donne riversarono nella mangiatoia un pappone grigiastro e puzzolente.
Vidi gli altri schiavi e schiave buttarsi nella mangiatoia ad ingozzarsi di quel pappone; io ero affamata, distrutta dalla giornata di lavoro, e pur guardando con disgusto quel pappone mi avventai su quel cibo come un animale come gli altri.
Quello schifo di pappone era indecente ma affamata com'ero ingoia tutto quanto potevo fino a riempimi la pancia come una bestia.
Più in là c'era un contenitore di latta pieno di acqua dove vidi che gli altri schiavi si abbeveravano, come feci anch'io.
Sarebbe stata quella la mia vita alla fattoria, un abbruttimento bestiale.
Oramai sazia cominciai a riflettere sulla condizione in cui ero costretta e cominciai ad eccitarmi perchè mi piaceva.
Il bruto ci ordinò di buttarci su un lato del fabbricato, capii che lì sul duro pavimento avrei dovuto dormire e cominciò a picchiare con il suo frustino quelli e quelle che come me si stavano masturbando.
Poi il bruto si avvicinò all'uscita spense la luce e ci augurò sarcasticamente la buona notte.
Ero sfinita, ma sazia, la prospettiva di quella vita mi eccitava.
Ricominciai a masturbarmi, mi accorsi dai rumori che altri stavano facendo lo stesso.
Provai ad allungare una mano e sentii un corpo di uomo; feci scivolare la mano verso il suo pene e mi accorsi che si stava masturbando.
Allontanai la sua mano ed avvicinai la mia bocca al suo cazzo e poi affondai la mia bocca sulla sua verga.
Lo sconosciuto rimase piacevolmente sorpreso dalla mia iniziativa e si lasciò fare uno stupendo pompino.
Io assaporai appieno quel cazzo.
Lo feci arrivare nella mia bocca e continuai a masturbarmi finchè no arrivai anch'io.
Oramai sfinita mi addormentai su quel ruvido pavimento in mezzo agli altri schiavi.
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