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La prima volta con Emma.


di Honeymark
25.12.2020    |    29.686    |    5 9.8
"La feci sedere, le diedi l’ammazzacaffè che non avevamo ancora preso e, dopo il primo sorso, le feci vedere una cosa che avevo fatto lì per lì..."
1.


La storia tra me e Emma era cominciata proprio quando era finita. Uno scambio di messaggi pesanti su WhatsApp aveva posto fine a una relazione mai cominciata. E invece, come spesso accade, fu proprio quella scazzottata dialettica a farci capire che avevamo parecchie cose in comune. Le strade erano distanti, ma non parallele. Bastava evitare le buche più dure.
E difatti non occorse aspettate l’infinito – dove, si sa, le parallele si incontrano – ma bastò la condivisone di alcuni aspetti fondamentali per cercare di leggere oltre le divisioni.
Insomma, i nostri subconsci avevano intuito che eravamo entrambi interessanti e ci hanno spinto fuori ad annusarci. Riprendemmo i tentativi di approfondimento e in breve iniziammo a parlare anche delle nostre intimità, dove io cercavo di capire lei in profondità e lei voleva capire dove avessi messo le mie trappole.
Proseguimmo per approssimazioni successive, finché arrivò il mio compleanno. La invitai a cena con me; lei rifiutò ma mi promise un regalo. E il regalo fu stupendo: un selfie del suo augusto sedere.
Aveva capito cosa mi piaceva delle donne (beh, non sono certo l’unico...) e lei aveva voluto distrarre il mio interesse sentimentale con quello carnale. Un atto di femminilità pura che non dimenticherò mai. Insomma, questa era la mia impressione: rischiava meno a mostrarmi il culo che a mostrarmi il cuore.
Ma devo dire che nel cambio ci guadagnavo comunque, perché non mi aspettavo che le sue natiche fossero così belle, tonde e lisce, così alte e solide, così arricchite dalle piegoline di base che sembravano un invito all’azione. E appartenenti a una donna dai mille interessi, dal carattere effervescente, dalla cultura funzionale, dall’umorismo interattivo.
Merito - aveva riposto ai miei complimenti sulle natiche - della vitamina C. Non perdeva un colpo per portare avanti le sue idee.
Comunque non mi aspettavo che ci sarebbero stati approfondimenti, dato che non aveva accettato l’invito a cena, ma - si sa - solo da cosa può nascere cosa. Mai dire mai.
E infatti fu proprio il suo regalo a farmi proseguire sulla strada del sesso, virtuale s’intende. Però da lì riuscimmo a scoprire le nostre carte e presentarci come eravamo veramente dal punto di vista sessuale. Il che estendeva lo scenario alla sua anima. Un culo è interessante solo se appartiene alla persona giusta. E a ben vedere sembravamo più che affini: complementari.
Sarebbe stato un delitto non andare avanti, anche se lei sembrava inespugnabile. Mi avevano avvisato che non mi avrebbe dato neanche la mano perché, come molte altre donne, avrebbe avuto la forza di dire di no anche se lo desiderava con tutte le sue forze.
Finché non si presentò anche il suo compleanno. Naturalmente era improponibile che io le inviassi un selfie mio, anzi mi venne da ridere alla sola idea che mi mettessi allo specchio a fotografarmi come un adolescente. Preferii tornare a invitarla a cena.
E questa volta disse di sì.

Restammo d’accordo che ci saremmo trovati al ristorante specializzato in pesce, perché preferiva venire con i mezzi suoi. Un margine classico di sicurezza.
Quando la vidi entrare nel locale sembrava la stella cometa dei Re Magi, tanto era bella. E in più indossava una gonna, cosa rarissima per lei.
Mi alzai, le andrai incontro e le baciai la mano, cosa che ormai faccio solo alle mie modelle quando posano nude, per metterle a loro agio. Ma lei apprezzò il gesto galante.
- Sei bellissima in gonna. – Le dissi facendola accomodare. – Avevi detto che quando la indossi porti le autoreggenti. Posso chiederti se le porti anche stasera?
- Scordatelo, – rispose fiera di sé. – Devi scoprirlo da solo.
Un diniego e un invito.
Però una volta accomodati a tavola, si mise in modo da mostrarmi la fine delle calze.
Feci per accarezzarla, ma abbassò subito la gonna.
- Ma... – le sussurrai agitato. – Sei senza mutandine o porti un tanghino?
- Ah, caro mio, anche questo devi scoprirlo tu!
Passò a leggere il menù e poco dopo ordinammo la cena. Vennero a metterci i bavaglini e ci portarono i tagliolini con gli astici e quel punto mangiammo avidamente senza parlare.
Poi, con calma chiacchierammo evitando gli argomenti che ci avevano diviso e diffidando da quelli che ci avevano avvicinati. Avevamo paura di rompere tutto.
- E come va col tuo amico pompiere? – Le chiesi stupidamente.
Mi aveva detto che la stava corteggiando, ma che per motivi di lavoro non voleva mandarlo al diavolo. Voleva farlo con classe.
- Ho le mani legate, – mi disse.
- Eh no! – Protestai. – Le mani voglio legartele io!
Avevo giocato sul doppio senso dell’idea del sadomaso che ci aveva avvicinati.
Scoppiata a ridere.
- Ora ci facciamo il caffè. – Le dissi alla fine. – Ma ti propongo di bere l’ammazzacaffè a casa mia.
Non commentò ma, quando saldai il conto, saltò sulla mia auto e la portai a casa mia.


2.


Entrati in casa ci mettemmo in libertà, accesi una musica di sottofondo e pensammo da dove cominciare. Ma lo sapevamo entrambi.
Mi inginocchiai davanti a lei e infilai le mani sotto la gonna in tutta libertà, ora che nessuno poteva vederci. Mi lasciò fare e le mani seppero fare un ottimo lavoro: portava le mutandine piccole piccole.
A quel punto provai una splendida eccitazione d’avvento, ma probabilmente la provò anche lei, perché ci spogliammo di una rapidità unica. Una volta nudi, mi saltò alla vita e mi abbracciò con le gambe e le braccia. Io le misi le mani al culo e la portai così in camera da letto. La sdraiai e la baciai. Ci baciammo, il che non era scontato se voleva solo fare sesso. Poi scesi col viso al pube e le baciai il monte di venere. Si schiuse un po’, ma poi girò pancia sotto. Ecco sua maestà il culo che avevo tanto ammirato in foto. Le misi una mano sulla coscia e andai a morderglielo. Leccai le piegoline alla base, godendomi quello che avevo sognato a lungo. Ma doveva averlo sognato anche lei, perché cominciò a mugugnare. Ma ancora una volta si girò e si mise pancia sopra per accogliermi
Pian piano i corpi iniziarono a cercarsi e in breve la penetrai nella posizione base, faccia a faccia. Poi però la girai e rigirai secondo le mie abitudini e lei mi assecondò in piena sintonia. Finalmente la presi da dietro mentre stava sdraiata pancia sotto, godendomi il culo che avevo tanto studiato in foto. Le sue natiche trasferivano al mio basso ventre quel calore che desideri trovare in una donna. E, quando avvertii che stava per venire, diedi il via al mio uccello e gli permisi di inondarla di sperma.
Ci rilassammo, restando abbracciati. Io continuavo ad accarezzarla. Ovviamente non era finita lì, quelli erano solo i preliminari, peraltro doverosi in quanto una prima volta la si ricorda sempre. Ma poiché la seconda è molto migliore, pensai a come andare avanti.
Ma mi prevenne lei.
- Abbiamo fatto conoscenza carnale, – disse coprendosi con un cuscino. – Di solito, passati i primi 5 minuti, gli uomini vogliono mettertelo in bocca o nel culo... he he. Tu no.
- Erano preliminari, – Dissi felice.
- Adesso, come vuoi procedere?
Aveva paura che il rapporto divenisse sentimentale.
«Se mi fossi innamorata – mi aveva scritto una volta, – mi sarei sposata.»
«Ma io non voglio sposarti!» – L’avevo rassicurata ironicamente come sempre.
Dunque era vero, pensai. Voleva davvero il sadomaso. Lo volevo da matti anch’io. Ne avevamo parlato un sacco e, almeno a parole, volevamo farlo. Ma la sottile linea rossa che separa il sesso normale da quello sadomaso viene a cadere solo dopo una lunga attività di sesso tradizionale sfrenato, istintivo e consapevole. Bocca e culo compresi
- Spero di non dovermi rivolgere a un pompiere! – Aggiunse ridendo, per sollecitarmi.
La storia del pompiere... ah ah... Il bastone e la carota.
Decisi allora di agire subito. Mai perdere l’attimo. E d’altronde, mi ero preparato il tutto a sangue freddo, pur sapendo che i piani con una donna sono come le operazioni militari: nulla va mai come previsto.
La parte sentimentale del primo approccio stava lasciando felicemente posto alla seconda fase.
- Alzati! – Le ordinai, assumendo il tono da padrone.
Si alzò, mettendosi sull’attenti e assumendo il ruolo di schiava. Per gioco s’intende. Sapevo che il più delle volte il sadomaso emerge più facilmente alle donne manager, quelle che sanno sempre cavarsela nella vita, quelle che non mollano mai, che comandano perché sanno che ordini impartire, che combattono per i propri ideali. Per loro il sadomaso è il riposo del guerriero.
Io ho sempre avuto anche il sadomaso che albergava tra i miei vizietti, peraltro tutti presenti in maniera armoniosamente equilibrata. Ma quando una donna amava il sadomaso, l’uccello suonava le campane a gran festa. E difatti il mio uccello si mise a scaldare i motori, nonostante la scopata appena fatta.
Emma si alzò e mise le mani sopra la testa, come se volessi perquisirla. E la perquisii anche se era nuda. Una palpata alle tette, una carezza all’interno delle cosce, la vulva presa in mano come una spugna. E il culo: così sodo e liscio che non seppi trattenermi dall’infilarle un dito tra le natiche fino a toccare il buco del culo. L’uccello ebbe un po’ di invidia e mi tirò per la giacca, virtualmente intendo dire perché ero nudo. «Impara ad aspettare» gli ordinai. La abbracciai palesando il cazzo sul suo ventre.
Era pronta per l’immediato consumo.
- Non ti dirò cosa intendo fare, – le dissi severo. – Qualche raccomandazione prima di cominciare?
- Solo una: usa il buonsenso. Per il reso hai carta bianca. Alla peggio questa sarà l’ultima volta.
- Rimettiti sul letto. – Le dissi. – A quattro zampe, culo in su e testa in giù.
Salì sul letto prima con un ginocchio e poi con l’altro. Quindi abbassò la testa e alzò il culo. Allargò le gambe, anche se non glielo avevo chiesto.
Andai in bagno e presi il grosso clistere blu che avevo preparato, lo riempii di acqua a 38 gradi e andai da lei, che era sempre in quella posizione, in trepidante attesa.
Mi portai a lei, le accarezzai il solco del culo, le presi la vulva col palmo della mano e lei si rasserenò.
- Se ti lamenti ti imbavaglio, – le dissi.
Non rispose.
Tenendomi dolcemente per la vulva, le appoggiai la cannula al buco del culo e, con savoir faire, iniziai a inserirla nel buco del culo. Dapprincipio strinse le natiche come per impedire l’accesso, ma poi le allargò sospinta dal piacere. Quando arrivai in fondo e sbattei la pera sull’ano, ebbe un piccolo sobbalzo e emise un gemito. Guardai la scena e la trovai perfetta, con le rotondità violate del culo e la rotondità operativa della pera. L’uccello gradiva molto vedere quella sodomizzazione funzionale; al mio cazzo sarebbe sempre piaciuto potersi guardare quando entrava nel retto delle mie amiche. Edonista e narcisista. E maiale.
Iniziai a spingere dentro il liquido e la vidi rilassarsi e godere la sensazione del liquido che le accarezzava il retto. Lo iniettai con lentezza e la passera iniziò a bagnarsi. Gliela accarezzai con una salvietta per asciugarla, provocandole un piccolo colpetto premonitore. Quando svuotai la pera, la lasciai a dimora e mi allontanai quanto bastava per godermi la vista. Era un capolavoro: ora che era vuota stava su a perfezione. Presi il cellulare e fotografai il particolare circonfuso di erotismo.
Poi sfilai la pera piano piano tenendomi nelle intimità, godendomi le sue natiche che stringevano la cannula, quasi per impedirle di uscire. Togliendola la asciugai con una salvietta. Lei si sdraiò in avanti unendo le gambe e io le lasciai la salvietta sulla figa.
- Con calma – le sussurrai, – quando te la senti, vai in bagno. Liberati, lavati e asciugati senza fretta. Io ti aspetto qui per la seduta vera e propria.
Si alzò quasi subito e scomparve in bagno. In realtà anche quello era solo un gioco, ma decisamente utile per quello che le avrei fatto.

3.


Quando uscì, indossava il mio accappatoio bianco. La abbracciai. Cazzo, mi piaceva proprio. La sua anima esaltava il suo corpo all’ennesima potenza.
- Ora i farò passare il pene dell’inferno, – le annunciai con il mio solito gioco di parole.
- Fai quello che vuoi – mi rispose dopo una lunga pausa, – ma non lasciarmi segni che durino più di un paio di giorni...
- Dai, almeno tre giorni...
- Va bene.
Erano battute, ovviamente, ma apprezzai la risposta. Nel sadomaso consapevole è bene verificare sempre tutto.
- Forza! – Dissi, accompagnandola al mio lettino da massaggi. – Spogliati e mettiti a cavalcioni.
Lasciò cadere l’accappatoio e, con il mio aiuto, salì sul lettino e si mise a cavalcioni. Spontaneamente si appoggiò sulle mani davanti, per coprire il sesso. Allora presi dei cordini di cuoio, le portai le mani dietro la schiena e gliele legai. Le misi un collare e la piegai in avanti fino a farle appoggiare la testa al lettino. E le bloccai il collare in basso per tenerla ferma.
Da dietro era tutto disponibile per me. La guardai tenendole le mani sulle natiche per palesare il mio dominio, poi alitai sulla fessura per palesare la mia presenza viva e attiva. Era bellissima a vedere. La foto che mi aveva mandato era di una femminilità erotica impagabile, ma vederla da vivo in quella posizione mi agitava come una pentola a pressione. Guardare le sue intimità mentre non poteva proteggerle né con le mani né stringendo le gambe - con il suo permesso s’intende - mi dava il senso del potere. Sapevo che a molte donne piace essere guardate in quella posizione, proprio come a noi uomini piace guardarle. Sperai che anche a lei piacesse quanto a me. Poi decisi di non pensare più a lei ma solo a quello che volevo farle io. Sarebbe funzionato per entrambi.
E difatti andai a prendere un cero da 3 centimetri di diametro per 30 di lunghezza, facendo in modo che lei vedesse cosa stavo facendo. Lo scartai, lo unsi con olio lubrificante, mi portai al culo e poggiai il cero al buco. Indugiai a lungo, in modo che assaporasse l’imminenza dell’azione. Non disse nulla. Perfetto. Allora spinsi un po’ il cero, che allargò l’orificio anale. Sentendo una certa resistenza lo ritirai per poi spingerlo nuovamente. Il buco del culo si allargò di più e pian piano la punta conica del cero trovò alloggiamento in pieno. Sapevo che l’ano doveva adattarsi alla presenza dell’ingombro, per cui aspettai a vedere che si rilassasse. E quando le natiche si allargarono come per invitarmi a proseguire, spinsi dentro il cero con forza, ma con studiata lentezza. Godeva sia per la sollecitazione all’ano che per il massaggio all’interno del colon. Riconoscendo le reazioni, ne fui contento. Giunto in fondo al retto, sistemai bene il cero in modo che non provocasse danni all’anello anale. Ma era tutto a posto. Allora andai a prendere la mia stecca da biliardo, mi portai dietro di lei e iniziai a colpire il cero con l’impugnatura della stecca, cioè la parte più grossa. Col puntale avrei potuto sbagliare il cero. Al primo colpetto, lei ebbe un forte sussulto perché non se lo aspettava. Provò anche girare la testa per guardare cosa facevo, ma non riuscì a vedere. Ripetei i colpetti, sempre piano. Ogni volta sobbalzava sbattendo le gambe che restavano allargate. La scena era inebriante. Il culo allargato con il cero a dimora e io che lo colpivo... Sapevo cosa provava. Un centinaio di colpi così, leggeri ma continuativi, l’avrebbero fatta venire analmente senza freni.
Ma smisi di proposito dopo una ventina di colpi per passare alla fase successiva.
Le sbloccai il collare, le presi le caviglie e le tirai in avanti fino a metterla a sedere sul cero, in modo che se lo spingesse dentro piano. Si lamentò che in quella maniera si sfondava e allora le chiusi la bocca con un grosso adesivo.
- Ora starai zitta. – Le dissi. – E se vuoi sospendere, devi scrollare la testa per dire no: fermerò tutto. Ma non corri rischi, credimi.
Infatti sapevo che non era pericoloso. Avevo comperato quelle candele da una cereria della città, che avevano il pregio di ammorbidirsi subito col calore del corpo. Per esempio non potevi tenerla in mano. Per la cereria il prodotto era cannato, non andava bene, ma io ne feci scorta proprio per quello: nel culo andava benone, perché pian piano si adattava alla curva del sigma.
Per la sottoposta l’impressione era di venire impalata, per il dominante c’era la goduria del suo corpo che si agitava facendo entrare di più il cero. Anzi, c’era un modo ancora più efficace per farla autosodomizzare. Andai a prendere le mollette da bucato e gliele piazzai con delicatezza ai capezzoli, alle grandi labbra e al clitoride. Subito non fa male, ma dopo un minuto diventa insopportabile e la vittima si contorce come un serpente incantato.
Però devi smettere dopo qualche minuto e allora, in attesa che si autosodomizzasse, mi preparai per la terza performance.
Quando mi parve che si fosse sodomizzata abbastanza col cero, la riportai orizzontale pancia sotto e la fissai nuovamente al lettino. Lei si era rilassata e cominciava a godere della profonda impalatura. Allora pesi un fiammifero e accesi lo stoppino alla base del cero che fuorusciva. La fiamma prese vigore presto e fece colare pian piano la cera lungo la candela fino a coprire il buco del culo prima e a la vulva poi. La cera bollente scottava, ma era più che sopportabile. Alle prime scottate Emma aveva contratto i glutei, poi aveva lasciato che la cera calda si consolidasse su altra cera. La lasciai così per un po’, accarezzandole le natiche facendo in modo che la cera a andasse a ricoprire bene le sue intimità. Forse si domandava cosa avessi per la testa, forse no. Ma le piaceva.
Quando mi parve il momento giusto, lasciai la fiammella accesa, presi la cera che si era consolidata, gliela staccai con attenzione e andai a portarla in bagno. Poi tornai da lei.
- Tutto bene? – Le domandai.
Annuì frastornata.
- Bene. – Commentai. – Allora adesso posso divertirmi a spegnere la candela.
Presi una specie di lungo calzascarpe e mi portai davanti a lei, in modo che il mio cazzo fosse vicino alla sua faccia. La presi per le tette e la tirai verso di me in modo che fosse in grado di prenderlo in bocca. Capì cosa avrei fatto, ma non avendo intuito come, me lo guardò con una certa apprensione. Le tolsi l’adesivo e le chiusi il naso, così dovette aprire la bocca per respirare. Lo presi in mano e lo spinsi dentro con attenzione; lei dovette spalancare la bocca perché è piuttosto grosso. D’altronde, lo aveva provato a letto. Volevo spingerlo oltre la gola, ma questo potevo farlo solo alla fine, quando venivo. Invece impugnai bene quella specie di mettiscarpe e lo usai come frustino, cominciando a frustarle le natiche.
Sciaack! Sciaaaaack!
- Sto cercando di spegnere la candela, – le spiegai. – Spero di farcela, altrimenti ti scotta.
Lei aveva sobbalzato a entrambi i colpi, agitando la lingua per espellere il cazzo. Avrebbe voluto gridare, ma l’ingombro orale glielo impediva e quello era il bello.
Ovviamente le colpivo le natiche perché lo volevo io, non perché sbagliassi la mira alla candela.
Sciaaaack! Sciaacck! Sciaaaaackk!
- Mhhh...! Mmmm! Hmmm!
Sobbalzava come un’anguilla e muoveva la lingua come una pompinara tailandese. In breve mi portò alla polluzione e, poco prima di venirle in bocca, diedi un colpo secco alla candela e la spensi. Ebbe un conato e ne approfittai per infilare del tutto la canna oltre la gola. Venni a fiotti e subito dopo la lasciai a riprendere fiato. Ma visto che non sono uno stronzo, mi portai al culo e misi una mano alla figa. Presi il clitoride tra il police e l’indice piegati e la tenni così delicatamente. Dopo pochissimo tempo, iniziò a venire sbattendo il bacino come un cane in calore. Per completare l’opera, sempre tenendola per di là, avvicinai la bocca alle piegoline inferiori del culo, diedi un morso e una leccata con la saliva calda, sia a destra che a sinistra. Riprese a sbattere e dopo un po’ diminuì il ritmo. Attesi così che il suo orgasmo si placasse. Un’ultima slenguazzata la esaurì e allora la avvisai.
- Ora ti sfilo il cero, perché da sola potresti non farcela. Ma ti piacerà, te lo assicuro.
Sapevo come fare e armeggiai un poco, ma presto la liberai e gettai la candela nel cestino.
- Vai in bagno a rinfrescarti, – le dissi slegandola. – Poi vieni qui che ti mostro una cosa.
Saltò giù dal lettino e scattò in bagno sulle punte dei piedi. Le guardai il culo, non mi bastava mai.
Quando uscì, avevo finito la sorpresa che volevo farle vedere.
Le andai incontro e l’abbracciai, facendole sentire il mio calore.
- Tutto bene? – Le chiesi.
Annuì, incerta. Poi annuì più forte.
- Sei sempre così focoso nelle tue sedute sadomaso? – Disse dopo un meditato silenzio.
- No, – risposi. – Di solito sono più duro, ma solo quando il rapporto si consolida nel tempo.
Mi appoggiò la testa al petto.
- Volevo farti vedere una cosa, – le dissi.
Mi guardò come per chiedermi cosa volessi ancora.
La feci sedere, le diedi l’ammazzacaffè che non avevamo ancora preso e, dopo il primo sorso, le feci vedere una cosa che avevo fatto lì per lì.
Era un oggetto in gesso di una decina di centimetri, con un piccolo piedistallo che lo teneva in piedi.
- Cos’è? – Domandò senza troppa curiosità.
- Sei tu. – Risposi.
- Io?
La guardò con maggiore attenzione, poi le venne un colpo.
- Non dirmi che... Che questa...
- Esatto, questa è la tua figa. – Risposi fiero di me. – La cera ha preso lo stampo. Poi l’ho immersa in un bagno di gesso preconfezionato per scultori, quindi ho sciolto la cera. Ed ecco ti qui.
- Dio mio! – Esclamò. – Mi fa senso!
- Va bene, – commentai. – Vuol dire che la terrò io.
- È meglio che la butti via!
- Non ci penso neanche...!
- Ma... E quante ne hai di... sculture così?
- Una decina, – risposi. – Ma lo sai solo tu che ho questa raccolta.
- Sei un lurido pervertito? – Mi domandò finta scandalizzata.
- No, – risposi serafico. – Non uccido le mie vittime.
Posai la scultura e la abbracciai.
- Ti è piaciuto? – Le domandai.
- Non te lo dirò mai.
OK, pensai. Le era piaciuto. Ma non sapevo se sarebbe venuta ancora con me.
- Ti accompagno o vuoi passare la notte con me?
- Vado a casa. – rispose sicura. – Ho bisogno dei miei problemi quotidiani.
La accompagnai all’auto davanti al ristorante e poi la seguii con l’auto per essere sicuro che andava tutto bene. Mi fece un cenno di saluto con la mano.
Tornato a casa, accesi il portatile. Avevo una mail. Era di lei.
- Hai scoperto una mia debolezza, – aveva scritto. – Dovrò ucciderti!
Poi ne arrivò un’altra sempre da lei.
- Ma nel frattempo possiamo continuare un bel po’.

Fine
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