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Lui & Lei

La collega - Parte seconda


di Membro VIP di Annunci69.it PaoloSC
17.05.2023    |    8.747    |    3 9.9
"Rimanemmo in silenzio, senza guardarci, per quei quindici secondi di tempo per arrivare al mio piano..."
La Collega


Giorno 2 – Alle terme

Fu una breve corsa, meno di cinque minuti.
Arrivati all’ingresso, pagammo il biglietto e ci consegnarono un bracciale con la chiave elettronica abilitata alla apertura e chiusura dello stipetto nello spogliatoio, per l’erogazione dei servizi accessori e per le consumazioni al bar. Ci indirizzarono verso gli spogliatoi che erano separati per uomo e donna.
Mi spogliai e in un primo momento mi avvolsi nel telo, poi vidi altre persone che si muovevano in totale nudità con il telo portato sotto braccio o appoggiato sulle spalle.
Aprii con il bracciale la serratura della porta di accesso alla struttura ed entrai.
Inutile dire che rimasi esterrefatto dalle dimensioni dell’ambiente. Era un padiglione alto oltre dieci metri e lungo almeno cinquanta, con grandi finestre che portavano la luce esterna all’interno. Gente, tantissima gente, tutti rigorosamente nudi.

Incontrai una famigliola composta dai nonni, una coppia di genitori ed i loro ragazzi. Poi una signora anziana con il deambulatore sostenuta dalla figlia e dalla nipote. Tante coppie di ragazzi e ragazze, gruppi di ragazzi, amanti, amici. Tutti rigorosamente nudi.
Tette e pubi di tutte le dimensioni. Con pelo, senza pelo, con la striscia, con il piercing. Tatuati, glabri. Seni cadenti, perfetti, rifatti. Gonfi, sgonfi, con le areole grosse, piccole, scure, chiare.
E peni. Piselli di tutte le taglie. Lunghi, corti, grossi, piccoli. Mai visti tanti piercing Prince Albert sulla cappella… Attesi che si presentasse la mia collega quando mi toccò con una mano sulla spalla. Mi girai, era lei, completamente nuda, questa volta senza asciugamano. Le sorrisi e lo sguardo mi cadde sul suo pube, ora completamente liscio e depilato, e sulle unghie dei piedi, perfettamente curate.

Mi prese lo sghiribizzo di chinarmi per darle un bacio sulla guancia di saluto, ma lei si girò all’improvviso e le mie labbra si posarono sulle sue. Fu un attimo, ma sentimmo entrambi una scossa elettrica, al punto da portarci entrambi la mano alle labbra.

“Scusa!” le dissi.
“Scusami tu” mi rispose.
“Volevo solo salutarti” ribadii.
“Eh sì, era tanto tempo che non ci vedevamo!” disse ridendo. “Comunque, volevo salutarti anch’io” aggiunse, guardando ora in basso verso il mio pene.
“Noto che sei passata dall’estetista”, le dissi. “Allora era quello che ti stavi apprestando a fare, stamattina! Una seduta dall’estetista!”
“Si, ma hai visto? Ero indecente. Credo fossero due anni che non mi depilavo. Non hai idea di quanto ho sofferto. Volevo tenere qualcosa qui” disse indicando il pube “ma non sono riuscita a spiegarmi. Va bene, tanto ricrescono!” concluse.
“No, dovresti curarti sempre. Oggi quando sei entrata in ufficio quasi non ti riconoscevo. Sei un’altra, e questo cambiamento ha fatto bene anche al tuo umore!” ribattei.
Lei annuì e mi prese il braccio.
“Andiamo, voglio fare una sauna. E anche un coso, quello con il vapore!”
“Aufguss. Si chiama Aufguss” le dissi.
“Si, quello” confermò.
“Vuoi fare prima una sauna o un bagno turco?” le chiesi.
“Che cosa mi consigli?”
“Io ti suggerisco di iniziare con il Tepidarium, che è un bagno di vapore a 45/50 gradi, poi con il Calidarium, sempre con il vapore ma a 65/70 gradi. Poi doccia fredda e andiamo in sauna a 70° gradi per iniziare.
Poi vediamo” le spiegai
“Va bene, ti seguo.”
Seguii le indicazioni per andare verso il tepidarium. Era una struttura molto grande, tutta piastrellata. Al centro della stanza c’era una fontana che buttava piccoli getti di acqua fredda e, montate lungo le panche, una quantità di doccette. Entrammo e ci sedemmo in uno spazio libero tra una famiglia ed un paio di maschi vistosamente gay. Di fronte a noi, una teoria di persone distribuite lungo il lato curvo della struttura.
La mia collega cercava di non far caso alla nudità talvolta imbarazzante tutto attorno a lei, ma notavo che ogni tanto si fissava su qualche particolare, mentre si stuzzicava le labbra con la lingua. Dopo un poco una coppia si alzò da dove era seduta e venne a sistemarsi proprio accanto a noi, tra la mia collega e la famiglia.
Osservai attentamente le due persone e devo dire che non avevo mai visto un pisello così lungo e sottile né un piercing così elaborato attaccato ad una vagina. Il pene dell’uomo arrivava a riposo quasi a metà coscia ma era così sottile da ricordare una di quelle salsicce di luganega arrotolate a spirale. La donna invece indossava un’elaborata combinazione di catenelle e ganci attaccati a degli anelli che erano attaccati alle sue grandi labbra, che partivano da una serie di barrette sotto pelle sul pube. Entrambi avevano numerosi tatuaggi su tutto il corpo.
La mia collega era probabilmente particolarmente incuriosita, perché la vidi più volte ad osservare soprattutto la ragazza.
“Vuoi farlo anche tu?” le chiesi scherzando.
“Ma che sei matto? Potrei morire dal dolore! Naa, non è roba per me. Io ho paura degli aghi, figurati per questa roba!” rispose a bassa voce.
Poi si accostò al mio orecchio e sussurrò: “Ma hai visto che lui ha anche il coso tatuato? Ma non gli fa male?” mi chiese.
Mi voltai a mia volta verso l’orecchio per risponderle. “Non saprei, non ho idea. L’unico tatuaggio è quello che vedi qui sul mio avambraccio” e le mostrai il tattoo che feci ai tempi dell’Accademia Navale con il simbolo del mio corso.
“Ma lì… deve fare un male cane!” sussurrò indicando con il dito il mio pene.
“Ti dirò: ho fatto recentemente una iniezione nei corpi cavernosi per provocare un’erezione per poter fare una ecografia al pene” le spiegai.
“Perché, stai male?” mi chiese.
“No, beh, insomma, soffro di una patologia che si chiama sindrome di La Peironye o Induratio Penis Plastica.”
“E che cosa comporta?”
“Che quando mi si drizza, mi si storce.”
“Ah, e fa male?”
“No, di solito no, ma a lungo andare potrei andare incontro a problemi di impotenza o di disfunzione erettile”.
“Ah, ma allora …hai problemi?” mi chiese, lo sguardo fisso ad osservare l’oggetto della conversazione.
“No, giusto un po’ storto. Ma niente di grave”
“Ma storto come?”. Iniziava ad essere un po’ troppo insistente ed io non avevo piacere ad approfondire. La mia patologia, che nel tempo sarebbe diventata più impattante al punto di dover ricorrere a cure specifiche, era un qualcosa che mi provocava fastidio psicologico. Dall’altra, stavo iniziando a capire che la mia collega non aveva più alcun ritegno. Era come se si fosse rotta una diga e l’acqua stesse tracimando senza ostacoli.
“Storto a banana. Con la punta che va in su” e le feci il gesto piegando le falangi distali dell’indice e del medio ad uncino. Mi resi subito conto di ciò che il gesto poteva significare ed immediatamente intervenni spiegando “Si, insomma, come una banana un po’ più curva”.
“Capisco…”, che non era un’interiezione di compatimento, ma una affermazione programmatica. La pronunciò infatti continuando ad osservare il mio pene che nel frattempo, oggetto di attenzione inaspettata, aveva iniziato a vivere di vita autonoma ed a rispondere alla curiosità.
Mi alzai allora per andare a prendere la doccetta per raffreddare qualsiasi mio bollente spirito.
“Me ne metti un po’ addosso?” mi chiese. Il tubo era sufficientemente lungo e la bagnai sulla schiena e sul petto. Lei prese la mia mano ed indirizzò il getto verso il suo sesso, mentre apriva le gambe fino ad allora tenute serrate. Notai che si era eccitata in quanto le grandi labbra erano decisamente più gonfie e le piccole labbra stavano schiudendosi come i petali di un bocciuolo.
Durò un attimo perché con l’acqua fredda si spensero anche i bollori mentali.
“Che dici, passiamo alla prossima?” le chiesi.
“Si, va bene” rispose annuendo.
Uscimmo dalla sala e mi spostai verso le docce che erano fuori, dietro la costruzione del bagno turco.
Attesi che una coppia liberasse i getti e mi buttai sotto, sciacquandomi dal sudore il petto, la pancia, le cosce. Poi allungai le mani per sciacquarmi la schiena ed i glutei, e alla fine, decisi di strofinarmi il pene ed i testicoli proprio mentre la mia collega si girava verso di me.
Immediatamente staccai le mani e chiusi l’acqua, girandomi a recuperare il telo che avevo appeso ai ganci lì accanto; mi asciugai e mi frizionai cercando di non pensare e di disinteressarmi a ciò che sapevo stava accadendo alle mie spalle.
Alla fine mi girai e notai come la mia collega avesse i capezzoli particolarmente eretti e duri. Non avrei saputo dire se fosse dipeso dall’acqua fredda o dall’eccitazione, ma di certo non era la loro dimensione “naturale”.

La guidai con una mano sulla spalla come si fa con una bambina verso il Calidarium.
Il locale era grande circa come il Tepidarium, ma era molto meno frequentato, almeno a vedere la quantità di ciabatte ed i teli appesi fuori dell’ingresso. A mio parere c’erano al massimo quattro o cinque persone oltre a noi. Il problema era dato da una nebbia così fitta da sembrare impenetrabile. Facevo fatica a vedere dove stavo andando e fino a che gli occhi non si abituarono a quella oscurità preferii fermarmi per evitare di sbattere contro qualcosa o qualcuno. Dopo qualche secondo, riguadagnata la vista, dissi alla mia collega di avvicinarci alla panca che si trovava circa a tre metri dall’ingresso, quasi di fronte ad una delle bocche di emissione del vapore. Presi la doccetta e sciacquai la panca per lei e per me.
“Ecco, puoi sederti” e spinsi quello che credevo essere un braccio. Mi resi subito conto che era invece il suo seno.
“Scusami! Non volevo!” le dissi imbarazzato.
“Non ti scusare, con tutto questo vapore e questo buio” e alzò le braccia per indicare quel che c’era intorno e nel farlo, sfiorò con la mano il mio pisello.
“Appunto!” e sbottammo a ridere.
“Shhh” disse uno dei presenti.
“Sorry” risposi a bassa voce.
Ci sedemmo ed aspettammo di scaldarci.
“Posso chiederti una cosa?” mi chiese la collega.
“A che riguardo?”
“Alla tua… malattia”
“Non è una malattia, ma comunque, dimmi.”
“Ma ti si rizza ancora?”
“Certo che sì. Anzi, ti dirò che con quella curva funziona pure meglio perché va a stimolare la zona del punto G e sembra pure più grosso quando entra” le spiegai, volutamente fornendole particolari intimi sperando di fermare quella sorta di ossessionato interesse che sembrava stesse sviluppando nei miei confronti. Sembrò funzionare perché per i successivi cinque minuti rimanemmo in silenzio.
“Paolo, io ho molto caldo e inizio a respirare male. Usciamo?” mi chiese.
“Ok, usciamo” e mi alzai andando verso la porta, illuminata solo da una fioca luce rossa dietro il cartello con la scritta “Ausgang”.
Aprii la porta e fui quasi accecato dalla luce esterna. Grondante di sudore e di vapore, presi il telo ed andai di nuovo verso la doccia per sciacquarmi, seguito dalla mia collega.
Ci lavammo ed asciugammo in silenzio.
“Ti va una birra, o un qualcosa da bere?” le chiesi.
Le annuì, rimanendo in silenzio, e mi seguì mentre mi spostavo verso il bar.
C’era molta fila e le proposi di andare a cercare un tavolo mentre aspettavo di poter arrivare ad ordinare.
“Come la vuoi la birra? Media, piccola, grande, chiara, scura, weiß, lager…”
“Una weiß media, grazie. Anzi no, una scura media.” mi rispose, prime parole dopo qualche minuto di silenzio.
“Ok. Cerca un tavolo” e mi misi in fila. Lei partì alla ricerca di un posto libero. Guardandola da dietro notai che probabilmente, con dieci chili di meno, sarebbe stata una piacevole signora con la quale intrattenere gradevoli attività ricreative. Ma mi resi anche conto che era particolarmente interessata dalla quantità di membri maschili che incontrava, visto che spesso si girava ad osservare con attenzione quelli meritevoli di una seconda occhiata.
La persi di vista quando la coda fece una piccola curva a gomito in direzione della cassa. Mi concentrai però sull’ordine da fare al quale aggiunsi un paio di pretzel. Presi quindi i due boccali ed il piatto con i due pani e mi misi alla ricerca della collega.
Fu lei che mi intercettò. La vidi infatti sbracciarsi da dove aveva trovato posto. La raggiunsi e ci mettemmo a sedere dopo aver messo il telo sulla sedia.
“Uh che bella idea! Adoro i bretzel! Grazie! Quanto ti devo?” mi disse.
“Nulla, sei mia ospite. Ho pensato che bere alcol a stomaco vuoto potrebbe essere negativo”
“Ma la birra è poco alcolica” rispose.
“Si, ma ne bevi quasi mezzo litro. Con la debita proporzione, è come se bevessi mezza bottiglia di vino o un bicchierino di whiskey, per l’alcol che ingerisci”
“Hai ragione, non ci avevo pensato. Il vino ha 12 gradi, la birra rossa 6 o 7. Solo che di birra te ne bevi mezzo litro” concordò con me.

Chiacchierammo del più e del meno, alternando argomenti lavorativi a temi familiari, o ai problemi cogenti tipo la sua auto.
Terminate le birre ed il pretzel, mi alzai e le dissi “Dai, andiamo a fare la sauna con l’aufguss. Ce ne è uno tra dieci minuti qui accanto!”. La presi per mano e la guidai verso la costruzione accanto al bar. Ci accodammo al gruppo in attesa di entrare, composto da gente di tutti i tipi: mamme con figli, nonni, una coppia di gay ed una di lesbiche, un gruppo di olandesi mezzi ubriachi, dei russi completamente sbronzi.
Ero certo che avrebbero selezionato all’ingresso tutta quella gente, l’aufguss non è pratica da fare ubriachi.
Chiesi alla collega se se la sentiva, visto che aveva bevuto una birra abbastanza alcolica.
“Si, credo di si. Se mi dovessi sentire male, tanto, ci sei tu, no?” e mi prese di nuovo sottobraccio chiudendosi con il seno sul mio avanbraccio.
“Sempre che non sparino anche a me per averti portato!” le risposi scherzando. Non spostai il braccio, il calore del suo seno era gradevole e irradiava un altro tipo di calore al basso ventre.
Venne il nostro turno di entrare, l’aufgussmeister ci chiese cosa avessimo bevuto e gli risposi “eine bier! We only had one beer each!”.
“Only one?” ci disse ma ci fece passare sorridendo.
Ci sistemammo negli unici posti liberi sulle panche basse disponibili, quelli più vicini alla porta. Gli altri erano tutti occupati e avremmo dovuto andare al livello superiore, troppo scomodo da raggiungere per noi che nonostante tutto, iniziavamo a sentire il peso della bevuta.
Attendemmo che la sala si riempisse; poi suonò la campana ed il Meister gettò sull’enorme braciere centrale una quantità di acqua che si convertì immediatamente in vapore che sventolò proprio ad iniziare da noi. Un intenso profumo di agrumi ci avvolse. Respirammo a pieni polmoni quel vapore saturo una, due, tre volte, scandite dalla sala che contava ad alta voce “ein, zwei, drei!”.
La mia collega al terzo respiro trascolorò e si accasciò su di me. Subito la presi sottobraccio e la portai fuori, accompagnato da un inserviente che era lì ad aiutare il Meister nelle sventolate.
La mettemmo subito sotto la doccia che aprii mentre la sostenevo aiutandomi con il mio corpo e prendendola da sotto le ascelle. L’acqua gelida la fece rinvenire quasi istantaneamente, ed altrettanto istantaneamente dette di stomaco rigettando tutta la birra che aveva bevuto.
Accorsero immediatamente altri inservienti armati di secchi, spazzoloni e disinfettanti a pulire lo sporco lasciato.
Presi la mia collega, le misi il telo sulle spalle e la strinsi a me per non farla scivolare. Poi la condussi in una sala relax che avevo adocchiato a pochi passi. Era costituita da una sorta di bozzoli di tessuto all’interno dei quali c’era un materassino. Presi il primo disponibile, con l’apertura opposta all’ingresso, e ve la adagiai.
Infine mi misi seduto accanto a lei, le gambe conserte mentre la osservavo riprendere colore. Potevo osservare anche il suo sesso, visto che teneva le gambe aperte senza alcun cenno di pudore.
“Paolo, mi spiace. Non so cosa mi sia successo. Credo che mi abbia fatto male la birra” mi spiegò.
“Probabile. Ma credo che tu abbia un’avversione per gli aufguss. Anche ieri hai avuto una sorta di mancamento” le ricordai.
“Si, ma perché avevo tossito perché mi aveva dato fastidio il vapore caldo in gola!”
“E adesso come ti senti?”
“Ho freddo”
Le detti il mio asciugamano per coprirla, poi mi alzai ed uscii da quella sorta di bozzolo.
“Dove vei?”
“A cercare un altro telo, ho freddo anch’io”
“Vieni vicino a me, ci scaldiamo assieme”
Lì per lì non feci caso alle possibili conseguenze della proposta, che con il senno di poi avrei dovuto rifiutare.
Rientrai nel bozzolo e mi avvicinai a lei.
“Potresti abbracciarmi? Ho freddo. Per favore!”
Mi stesi dietro di lei, coprii al meglio lei e me con i due teli umidicci e la strinsi a me passandole le braccia sulla sua pancia.
“Grazie! Così è perfetto!” disse con tono gratificato. Nel frattempo sposò il suo sedere verso il mio inguine che avevo cercato di tenere staccato.
“Ehm, ricordati che sono nudo”
“Lo sento!” rispose.
“…e?”
“E non ti preoccupare. Io sono una donna, tu sei un uomo, siamo nudi. Se ti ecciti, lo sento, ma è naturale. Credi che non abbia mai visto un cazzo eretto in vita mia?” mi rispose con tono un po’ di sfida, e si appoggiò ancor di più, muovendosi un po’.
“Ferma! Non mi pare il caso!” le dissi in un orecchio.
Per tutta risposta allungò la mano dietro di sé e me lo iniziò ad accarezzare.
Il mio corpo rispose in maniera automatica, troppo stimolato da quel contatto, con un’erezione immediata e sostanziosa.
Lei lo prese alla base e cercò di guidarlo dentro di sè.
“Sei pazza?” le dissi. “Non si può fare qui. È vietato. Se ci beccano ci denunciano!”
“Ma chi vuoi che ci veda?”
“E secondo te, quelle telecamere che sono agli angoli di tutte le sale, a cosa servono?”

A queste parole lei mollò la presa e si girò verso di me.
“Io ti voglio. Secondo te, perché sono andata dall’estetista? Ho voglia di scoparti. È da ieri che ci penso, stanotte mi sono masturbata almeno tre volte pensando a te. Senti!” e prese la mia mano e se la passò in mezzo alle gambe. La ritrassi immediatamente, le dita bagnate di una secrezione densa e filamentosa, e non ero nemmeno entrato dentro! Immaginai cosa dovesse essere la sua vagina.
“Hai sentito?” e partì di nuovo all’assalto del mio membro che era sempre sull’attenti.
“Ti prego!”
“Non qui. Andiamo. Stai benissimo, mi pare” le dissi un po’ freddamente.
Lei si avvicinò con le labbra e le posò sulle mie, poi sussurrò “Non ti bacio perché ho la bocca cattiva, ma aspetta che arriviamo in albergo…”

Ci vestimmo, ci ritrovammo davanti all’ingresso in attesa del tassì che avevo chiamato. Erano quasi le sette e di lì a poco saremmo dovuti andare a cena con i colleghi inglesi.
Salimmo sul tassì e la mia collega mi prese la mano e se la portò alle labbra, baciandomela.
“Grazie. Ti sono veramente grata”.
Non ebbi il coraggio di toglierla, anche se la mia parte razionale urlava nella mente “Leva quella mano! Staccati! Dille che non te la senti!”. Fortunatamente arrivò in soccorso l’autista del tassì che ci disse che a causa di un guasto non poteva portarci all’albergo e che saremmo dovuti andare a piedi, circa cinque minuti di passeggiata. Ci indicò la strada e non volle essere pagato.

La mia collega mi prese sottobraccio e ci incamminammo come una coppia di innamorati, lei appoggiata a me, io che la guardavo ogni tanto per capire che cosa mi stesse turbando al punto da rendere gradevole la vicinanza di una donna per la quale non avevo mai provato alcun sentimento se non di velata antipatia.

Non parlammo, arrivammo in albergo e chiedemmo le nostre chiavi. Andammo verso l’ascensore, attendemmo che arrivasse ed entrammo.
Spinsi il tasto del secondo piano e prenotai quello del quarto per lei.
Rimanemmo in silenzio, senza guardarci, per quei quindici secondi di tempo per arrivare al mio piano.
Come il giorno prima, tenni la porta aperta con la mano e le dissi: “Allora ci vediamo giù. Ti aspetto assieme agli altri, va bene?” e mi girai volgendole le spalle con ostentazione.
Stavo cercando di far prevalere la mia parte razionale sull’assurdità della situazione che si era venuta a creare.


Giorno 2 – Al ristorante

Raggiunsi i colleghi alla reception dopo che la receptionist mi aveva avvisato che mi stavano attendendo di sotto. Mi ero messo le stesse cose che avevo indossato la sera prima, tranne il pull a collo alto, sostituito da una camicia azzura button-down.

Certo che non sarebbe stato molto caldo al ritorno, presi il soprabito e lo misi sul braccio in attesa di infilarlo prima di uscire.
Il locale non era particolarmente lontano e potevamo raggiungerlo a piedi senza problemi. Eravamo un gruppetto di sette persone, tre italiani, tre inglesi ed una francese. Quattro donne e tre uomini, di cui due italiani.
La mia collega non si era ancora presentata e le inglesi iniziavano a rumoreggiare.
Chiesi alla receptionist di chiamare la stanza. Il telefono squillò a lungo senza risposta. Decisi di andare di persona a sentire cosa fosse successo.
Chiamai l’ascensore ma quando si aprì la porta, apparve la mia collega se possibile in forma ancor migliore rispetto alla mattina. Il maglione alla coscia aveva lasciato lo spazio ad un abitino leggero, il pantacollant ad un paio di calze con riga, gli stivali a delle eleganti scarpe con tacco. Uno spolverino gettato con nonchalance sulle spalle completava l’abbigliamento. Trucco e parrucco quasi sofisticati, roba da lasciare di stucco, visto come era fino al giorno prima.
Mi guardò con un sorriso a piena bocca: “Stavi venendo da me?”.
“Si, stavo per salire da te per capire perché non rispondevi al telefono.”
“L’ho sentito mentre ero in corridoio, ma mi son detta che era inutile rispondere, sapevo di essere in ritardo ed ero certo fossi tu!”
“Va bene, muoviamoci, ci stanno aspettando”.

Mi prese il braccio sinistro infilandovi il suo ed in questo modo facemmo la nostra apparizione di fronte ai colleghi in attesa.
“Wow! Amazing? Are you sure you are our collegue? Please tell us if you killed her!” le disse il collega inglese. Anche il nostro collega di Milano, avvezzo a lavorarci assieme, le rivolse un complimento. “Non ti ho mai vista così. Non sei tu. Dove hai nascosto l’altra?”.
Lei si schernì e strinse ancor più la presa sul mio braccio.
“Paolo, digli qualcosa! Non è giusto che mi prendano in giro così!”
“E cosa dovrei dir loro? Hanno detto la verità, io pure faccio fatica a riconoscerti!” mentre la facevo uscire davanti a me cedendole il passo.

Anche la collega francese le disse che stava molto bene così vestita, e che avrebbe dovuto usare quel look sempre.
Credevo che si sarebbe accodata al gruppetto ed invece preferì rimanere al mio fianco, il suo braccio destro al mio sinistro, la borsa sulla sua sinistra, camminando fianco a fianco.
“Paolo, volevo scusarmi con te. Credo che la birra abbia fatto uno strano effetto su di me. Di solito non succede, ma non ero io”.
“Beh, non ti preoccupare. Non è successo nulla. Magari avremmo potuto passare un guaio se …” le dissi riferendomi a quanto successo nell’area relax.
“Si, hai ragione. Dovrei scusarmi anche per… averti fatto sentire la mia …eccitazione” aggiunse, “ma non ho intenzione di farlo.”
“Come? In che senso?”
“Nel senso che non mi devo vergognare di nulla. Siamo due adulti consenzienti, tu sei separato, io sono separata, non abbiamo compagni, avevo voglia di te e te l’ho fatto capire. E ho ancora voglia di te, e stasera te lo farò capire ancora” mi disse rivolgendomi un sorrisetto malizioso.
“Beh, diciamo che la cosa mi era abbastanza chiara. Ma vorrei esser chiaro con te: io non cerco relazioni né a breve né a medio termine. Il mio rapporto erotico con le donne è solo di tipo mordi e fuggi. Oggi si scopa, domani no. Dopodomani chissà. A maggior ragione se si è colleghi di lavoro. Lavoro e sesso non vanno mai d’accordo. Mai.” e mi tornarono in mente quelle relazioni pericolose che mi provocarono ferite dalle quali non mi ero ancora ripreso del tutto.
“Comunque, cara, non voglio che i nostri colleghi possano pensare troppo male di noi. Andiamo a raggiungerli e facciamo finta di nulla” suggerii. Allungai il passo e mi ritrovai alle spalle delle due inglesi e della francesina che stavano parlando tra loro.
Stavo per interromperle quando udii la parola “Paolo”. Cercai di capire cosa si stessero dicendo e, dallo spezzone di conversazione che riuscii a carpire, compresi che stavano parlando di me e del possibile rapporto con la mia collega.
“Che poi, mi sa che è piena di cellulite” disse una.
“Si… e poi avete visto che ha le tette scese?” disse l’altra.
“E le rughe? Ma quanti anni ha? Sessanta?” aggiunse la terza.
“Ahem, girls, what are you talking about?” mi intromisi fingendo di averle appena raggiunte e di non aver assistito a parte delle loro chiacchiere.
“Oh, nulla, parlavamo del tempo…” disse una.
“Si, proprio del tempo” aggiunse l’altra ridacchiando. Poi si guardarono tutte e tre e sbottarono a ridere.
“Cosa c’è che vi fa ridere tanto sul tempo?” chiesi loro.
“No Paolo, scusa, ma stavamo ridendo sul fatto che oggi in palestra uno c’ha provato con tutte e tre assieme. Voleva che lo accompagnassimo in camera sua…” inventò la francese, probabilmente la più scafata.
Lasciai perdere, era meglio far finta di nulla e fare molta attenzione.
Entrammo nel locale dove ci fecero sistemare al nostro tavolo. Non volevo stare vicino alla mia collega, anche per smorzare eventuali chiacchiere, ma riuscii solo a farla mettere di fronte a me, accanto al collega italiano da un lato ed alla francese dall’altro. Io invece ero seduto tra una delle due inglesi ed il collega britannico. Quando ci sedemmo notai che la ragazza alla mia destra indossava una gonna cortissima senza calze, che nel sedersi le era salita scoprendole del tutto l’inguine coperto solo da uno slip in pizzo nero. La mia collega, seduta dirimpetto, se ne accorse e mi fulminò con uno sguardo. Mi ritrovai a ridacchiare tra me e me: ero riuscito a far ingelosire una donna senza aver alcun tipo di relazione con lei.

La birra scorse a fiumi e mi trovai a dovermi alzare per andare al bagno. Chiesi pertanto al collega alla mia sinistra di lasciarmi passare. Lui si alzò e mi dette una pacca sulle spalle. “Prostata ingrossata?” mi chiese pensando di fare una battuta.
“No, coglioni sfranti e troppa birra!” risposi un po’ acido. Si rese conto di aver detto una cazzata e mi chiese scusa. Feci un cenno con la mano come per dire “Va tutto bene, tranquillo”.
Mi avviai verso le toilette che erano dietro una unica porta che ammetteva al locale con antibagno comune per uomini e donne. Dovetti attendere che il bagno degli uomini si liberasse.
Dopo un ulteriore minuto abbondante di attesa bussai alla porta e ricevetti una risposta abbastanza seccata: “Einen Moment bitte!”.
Me la stavo facendo sotto ed iniziavo a sentire i brividini di quando uno non riesce più a trattenere. Preso dal parossismo entrai nella porta a fianco, la toilette delle signore, e urinai attento a non sporcare nulla. Dopo una liberatoria, lunga minzione mi pulii, rimisi il pisello dentro i pantaloni e tirai su la cerniera. Mi sciacquai appena le dita ed uscii di fretta dal bagno, con la paura di essere sorpreso da una donna con l’inevitabile figuraccia e… troppo tardi! Aprii la porta e mi trovai di fronte la mia collega che stava aspettando che si liberasse la toilette.
“Paolo, ma che ci fai nel bagno delle signore?” mi chiese.
“Eh nulla, il bagno degli uomini è occupato da un’ora e me la stavo facendo sotto. Tranquilla, sono stato molto attento a non sporcare…” le dissi per tranquillizzarla ed un po’ per scusarmi.
Lei fece un gesto con la mano come per dire “Lascia perdere”, poi prese la mia mano e se la portò sotto il vestito.
“Senti? Lo senti come sono bagnata? È tutta colpa tua…” mi disse mentre si strusciava le mie dita contro la sua vagina nuda.
“Non potevo mettere le mutandine, le avrei bagnate tutte. Pensa che ho macchiato il cuscino della sedia!” mentre la mia mano iniziava ad accarezzarla.
Sentimmo il rumore del chiavistello della porta che si apriva e ci ricomponemmo. Un odore atroce di escrementi uscì dal bagno assieme ad un omone che si sistemava i pantaloni e che a mala pena si sciacquò le dita della mano dopo essersele odorate. Che schifo!
Uscimmo di corsa quasi boccheggiando. L’odore nauseabondo aveva appestato tutto l’antibagno e sarebbe presto filtrato dalla porta.
Tornai al tavolo e bloccai il mio collega che voleva anche lui andare al bagno. “Lascia perdere. Se non hai la maschera antigas non entri. C’è uno dentro che si deve essere cacato l’anima dopo dieci anni che non si esprimeva. Guarda!” e gli feci notare l’uomo che usciva camminando con passo malfermo ondeggiando da una gamba all’altra per quanto erano grosse.
Un altro signore si avvicinò per andare al bagno, aprì la porta dell’antibagno ma la richiuse immediatamente con una smorfia di disgusto.
“Hai visto? Lascia perdere” e lo feci sedere.
Anche le ragazze si erano alzate per andare al bagno, ma furono sconsigliate dalla mia collega che nel frattempo stava raccontando a cosa aveva assistito, Anche loro ebbero uno sguardo di disgusto quando raccontò il particolare dell’odorarsi le dita.
Chiamai il cameriere e gli spiegai che cosa era successo e che sarebbe stato opportuno prendere provvedimenti prima che gli altri avventori se ne accorgessero. Mi chiese chi era il maleducato che aveva combinato il disastro e gli indicai la persona che era seduta da sola ad un tavolo dalla parte opposta del locale.
Proprio in quel momento arrivò il maître che disse qualcosa all’orecchio del cameriere il quale annuì e rispose che era stato appena avvisato dell’accaduto.

Chiesi il conto, nessuno di noi aveva piacere di chiudere la serata con un tanfo così nelle narici dopo avere mangiato e bevuto piacevolmente.

La mia collega apprezzò la mia iniziativa allungando il piede nudo verso il mio inguine e dandogli una bella scrollata. Capii che la birra le aveva sciolto le inibizioni, ma fui sorpreso dalla risposta del mio membro che subito si eresse a mala pena contenuto dai pantaloni.
Mi alzai e mi allontanai dal tavolo andando a recuperare i soprabiti mio e della collega. Poi tornai indietro e glielo misi sulle spalle con un gesto protettivo. Lei mi guardò con uno sguardo languido ma all’ultimo momento decise di evitare di baciarmi, come invece avevo immaginato volesse fare.

Pagammo ed uscimmo dal locale per tornare in albergo.
La mia collega fu presa sotto braccio dal nostro collega italiano e dall’inglese mentre io facevo il cretino con le tre ragazze, raccontando loro quanto avevo visto e cercando di imitare la camminata di quell’omone, cosa che provocò la loro ilarità al punto quasi da “scompisciarsi dalle risate”.


Giorno 3 – in albergo

Giungemmo all’albergo che era ormai mezzanotte e chiedemmo le nostre chiavi al concierge. Salutai tutta la compagnia baciando sulle guance le ragazze ed augurando loro la buona notte. Presi quindi la mano della mia collega e la baciai portandola alla bocca in un baciamano tutt’altro che formale; poi, sempre tenendole la mano, la abbracciai stretta e la baciai sull’orecchio sussurrandole “Magari ci vediamo più tardi”.
Lei annuì sorridendo e si staccò da me. Ero certo di averle provocato un’ulteriore scarica di ormoni.
Presi l’ascensore e mi fermai in camera, andai in bagno e mi misi sotto la doccia per cercare di togliermi dal naso quell’odore schifoso che era rimasto scolpito nella memoria olfattiva e che credevo ancora di sentire. Mi asciugai, mi tolsi l’asciugamano che avevo ai fianchi per rivestirmi quando sentii bussare delicatamente alla porta.
“Paolo, sono io. Apri!” mi disse la mia collega.
Aprii la porta e me la ritrovai davanti chiusa in una vestaglia di raso di seta lunga fino ai piedi, che indossavano un paio di vezzose pantofoline en pendant con la vestaglia.

Mi misi dietro la porta per farla passare. Ero nudo, senza difese.
Lei mi abbracciò e mi baciò. La sua bocca sapeva di fresco, le sue labbra erano morbide e setose, la sua lingua esplorava la mia bocca e si attorcigliava alla mia.
Ci staccammo e dopo aver chiuso la porta a chiave, la condussi sul mio letto. La sdraiai e le sciolsi la vestaglia, la aprii e scoprii che sotto non indossava nulla se non le calze autoreggenti che aveva prima. Mi chinai su sul suo sesso e lo leccai. Divaricai le piccole labbra all’altezza del suo clitoride ed iniziai a suggerlo. Sentii i suoi mugolii di piacere mentre con le mani mi spingeva la testa verso il suo sesso, pregandomi muta di continuare. Inserii prima un dito, poi un altro nella sua vagina, trovandola fradicia di umori e scivolosa. Iniziai a fare avanti e indietro dentro di lei, cercando la rugosità del suo punto-G. Quando lo trovai, ebbe uno scatto all’indietro, quasi fosse stata fulminata da una scarica di piacere.

Mi concentrai quindi sul farla godere fino a quando non le provocai un orgasmo estremamente bagnato. Non fui sorpreso della cosa, se non per il fatto che non fece nulla per evitarlo quasi fosse abituata a godere così.
Ripresi ad accarezzarla ed a masturbarla mentre aumentava i mugolii di piacere. Per tacitarla, la baciai mettendole la mia lingua in bocca e cercando di silenziarla. Un’altra scarica la scosse, seguita da un’altra massiva emissione di liquido che aveva già formato una pozzetta sulla moquette ai piedi del letto.

Al terzo assalto tolse la mia mano e mi fece sdraiare sulla schiena. Si tolse la vestaglia e si inginocchiò su di me, si chinò e mi prese in bocca, prima la sola cappella, poi tutta l’asta fino alla radice, alternando così leccate, succhiate e deep throat.
Quando stavo quasi per venire, si staccò da me e mi montò sopra, prese la mia asta e se la infilò dentro di sé. La sua vagina era stretta, e faticò non poco ad accogliermi nonostante la abbondantissima lubrificazione. Poi però trovò la posizione e sfruttò la mia malformazione per stimolarsi internamente. Con la cappella sentivo quella piccola rugosità, quell’ispessimento che sapevo nascondeva milioni di terminazioni nervose la cui stimolazione la portò ad un altro rumoroso e bagnatissimo orgasmo. Continuai a penetrarla, e decisi di girarla e prenderla da dietro.
La misi in ginocchio sul letto, le feci divaricare i glutei e la penetrai da dietro. Era ancora molto stretta ma anche molto bagnata. Il mio membro scivolava dentro e fuori senza ostacoli e apparentemente privo di attrito. Il mio pollice dispettoso andò ad infilarsi nell’altro pertugio, che trovai tutto sommato pervio.
La mia collega ebbe un movimento a ritrarsi, ma poi accettò l’intrusione. Poi, al posto del pollice infilai prima l’indice e poi anche il medio, lentamente, dando modo allo sfintere di allargarsi senza traumi. Quando mi ritrovai con le dita a fondo corsa, iniziai a fare lentamente un movimento di penetrazione coordinato a quello del mio pene nella sua vagina. Dentro lui, fuori le mie dita, dentro le dita fuori il mio pene. I suoi mugolii erano sempre più alti ed intensi. Spinse la testa sul letto cercando di tapparsi la bocca mentre le sue mani artigliavano le coperte in uno spasimo di piacere.
“Ho deciso che userò il mio cazzo al posto delle dita. Preparati che ti sfondo il culo” le dissi in un accesso di libidine.
“Si… ti prego, fallo. Sfondami!” mi rispose.
Tolsi le dita ed approfittai dello stato beante del suo sfintere già rilassato per infilare il mio glande, un pezzetto alla volta.
L’operazione le provocò senz’altro fastidio perché iniziai a sentire la stretta della muscolatura attorno alla piccola porzione inserita. Mi fermai e le chiesi se stesse soffrendo.
“Ma perché ti sei fermato? SFONDAMI! ENTRAMI DENTRO! DAI!” mi rispose.
Non me lo feci ripetere. Forzai l’introduzione con una spinta continua e decisa fino a quando, superata la resistenza, mi trovai inserito fino alla radice.

Iniziai a fare su e giù dentro il suo retto, provocandole intenso piacere che esplicitava con incitamenti a continuare e ad essere anche più incisivo.
Alla fine cedetti e le venni copiosamente dentro. Lei ebbe a sua volta l’ennesimo orgasmo quando sentì le mie scariche dentro di sé.

Mi sfilai ed osservai il suo sfintere grottescamente dilatato come una bocca sorpresa, da cui colava il mio sperma non più candido.
Andai in bagno a lavarmi, poi presi della carta igienica e gliela portai, aiutandola a pulirsi.
Lei si alzò e andò a sua volta a lavarsi.
Quando tornò, era sfatta. Il trucco era colato, i capelli erano spettinati, le gote erano ancora rosse, ma gli occhi tradivano il piacere intenso a cui l’avevo sottoposta.
Mi ero disteso sul letto e lei mi raggiunse. Si chinò su di me e mi baciò dolcemente.
Poi si mise accanto a me e mi chiese “Posso dormire con te, stanotte?”
Le dissi di sì, la abbracciai stretta a me e prendemmo sonno l’uno nelle braccia dell’altro.

Paolo Sforza Cesarani
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