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Gay & Bisex

La piscina 1


di ettoreschi
04.04.2008    |    32.743    |    0 8.6
"“Sì dai scopami! Daiiii Siiiiiiii” gli dico e cerco contemporaneamente di aumentare la frequenza delle mie contrazioni, finché gli ultimi frenetici colpi del..."
Ah che palle la piscina! Ma non ho alternative. Sono un po’ soprappeso e se non voglio avere troppa pancetta devo sottopormi alla tortura, più mentale che fisica, di un’ora di nuoto libero un paio di giorni a settimana. Poiché faccio il libero professionista ho tempo quando capita e devo quindi trovare delle piscine libere un po’ a tutte le ore del giorno. La scelta è caduta su una piscina termale annessa ad un albergo che consente l’accesso, in numero limitato, anche a persone non ospiti della struttura.
La cittadina termale dove sorgono questi alberghi, non è lontana da dove abito ed ospita sempre molti tedeschi e austriaci, per lo più anziani, che godono delle varie cure di natura termale che vengono offerte.

La piscina è bella larga, ci sono sei corsie ed è lunga 25 metri; l’acqua è termale e quindi ci si nuota molto bene; il fatto è che ci si annoia. Su e giù, pausa, su e giù, pausa, e così via finché l’orologio non ti informa che sei riuscito a nuotare una buona oretta.

L’altro giorno sono riuscito ad andarci a metà mattina. C’erano poche persone, quattro o cinque vecchiarde di lingua tedesca e, oltre a me tre maschietti. Ho trovato posto in una corsia occupata da uno dei tre maschi, un tipo di poco più alto di me, più slanciato e con qualche anno più di me (intorno ai quaranta), capelli brizzolati.

Un paio di volte ci eravamo toccati incrociandoci e lui aveva biascicato uno “scusa” con un leggero accento tedesco. “Un altro crucco” pensai. Sentii parlare gli altri due maschietti e anche loro erano tedeschi e scherzavano su qualcosa che era capitato ad una delle vecchiarde. “Cazzo!” pensai “Stai a vedere che sono l’unico italiano!”.

Mancavano pochi minuti allo scadere dell’ora che mi ero prefissato per nuotare, quando gli altri due maschi lasciarono la piscina e andarono negli spogliatoi. Nuotai ancora per cinque minuti poi anch’io uscii seguito quasi subito dal brizzolato tedesco compagno di corsia.
Negli spogliatoi mi presi tutto l’armamentario per fare la doccia e mi avviai a lavarmi. Al locale si accedeva tramite una porta, tipo saloon, di vetri smerigliati e sui due lati c’erano quattro docce parte per parte. I due tedesconi stavano finendo di fare la doccia e continuavano a ridere e scherzare tra di loro. Passai in mezzo ai due e mi sistemai nell’ultima doccia in fondo, tolsi il costume da bagno e aprii l’acqua calda lasciando che scorresse sopra di me, poi regolai la temperatura e mi girai a guardare gli altri due. Il mio sguardo corse verso i loro piselli . Erano diversi, uno era lungo e un po’ incurvato, l’altro era grassoccio e più corto. Li guardai a fondo e mi nacque il desiderio di prenderli in mano e di toccarne la consistenza fino a sentire che crescevano sotto il mio controllo; ma cercai di cacciarlo perché un po’ mi faceva venire alla mente ricordi della mia adolescenza, ricordi che avevo accantonato.
Anche allora avevamo trascorso il pomeriggio in piscina. Era una giornata d’estate e la piscina era ancora considerata un lusso, tanto è vero che nella nostra città ce n’era solo una e per raggiungerla dovevamo prendere ben due autobus. Io e Fausto, il mio miglior amico, avevamo terminato il secondo o il terzo anno delle superiori e avevamo deciso di passare un pomeriggio in modo diverso dall’andare a zonzo per le campagne della periferia alla ricerca o di un po’ di fresco lungo i fossi, o di qualche gruppo di stacanovisti del pallone per una partitina a calcio. Alla fine ci si faceva la doccia ma con il costume addosso, poi la cabina. Per fare in fretta tutti e due assieme dentro. Poi un po’ di imbarazzo perché ci rendiamo conto che ci dobbiamo spogliare, ci voltiamo le spalle per toglierci i costumi, poi non ricordo se fui io o Fausto a dire “Beh visto che siamo tutti e due uomini possiamo anche guardarci”. Ci giriamo, io guardo il suo uccello, i suoi peli ricci fitti fitti e un po’ rossicci, lui guarda il mio. E tutti e due crescono, piano piano ma l’eccitazione diventa ogni istante più evidente. Lo prendo in mano, me lo prende in mano, abbiamo tutti e due credo un groppo in gola per la somma di tanti sentimenti contrastanti: la tensione, il piacere, la paura di essere scoperti, il timore di commettere qualcosa di enormemente grave contro . . tutto e tutti.
La mano si sofferma, soppesa, stringe e poi, prima timidamente, poi con maggior decisione inizia a scorrere, scappellando l’uccello. I movimenti sono sincronizzati: quello che faccio a Fausto lui lo fa a me e viceversa. Ma ad un certo punto ci fermiamo. Forse non siamo pronti per accettare in un colpo solo la rivelazione, forse sarà stato qualcuno che cercando di aprire la porta ci ha distratti, fatto sta che tacitamente smettiamo, ci infiliamo le mutande e ci rivestiamo. Poi, per scacciare tutti i fantasmi, all’edicola vicino alla fermata, ci compriamo una rivista porno quasi a voler ribadire la nostra “normalità”. Ma poi ci sarebbe stato un seguito . . . .
Ed ora sono di nuovo in una piscina e il mio sguardo indugia sugli uccelli dei due tedeschi che non si sono accorti di nulla e che dopo qualche ultima risciacquata se ne vanno dal locale doccia. Guardo anche i loro culi e mi scopro a guardare le loro forme come di norma apprezzo una bella figa. Che mi sta succedendo? Entra il tedesco brizzolato e si sistema proprio nella doccia di fronte a me, apre l’acqua, la fa scorrere fino al punto giusto, si toglie il costume e si mette sotto il getto proprio di fronte a me. Ha la testa leggermente rovesciata all’indietro, gli occhi chiusi e la lingua con lentezza scorre lungo le labbra. Lo fisso e poi ancora il mio sguardo corre giù, ma lentamente questa volta quasi a voler immaginare quale piacere ci sarebbe a carezzare o a leccare quella pelle, i capezzolini, il ventre coperto da una sottile linea di pelo che parte dall’ombelico e scende giù fino ad allargarsi in un boschetto di peli neri e ricci su cui svetta un uccello lungo e sottile con una punta completamente scappellata diretta verso il basso.

Torno a guardare il viso e i suoi occhi mi fissano, “avrà visto che gli soppesavo l’uccello con la mente?”, un piccolo sorriso increspa e . . . “Scusa, tu potere passarmi sapone su schiena che io non arrivo?”. La domanda mi sorprende, vorrei dire di no, ma mi sento in colpa perché lo stavo guardando e quindi riesco a biascicare solo “Sì, anche se non sono molto bravo”. I suoi occhi si illuminano un attimo di un lampo furbesco mentre girandosi dopo avermi passato il suo bagno schiuma mi dice “Si potere imparare tutto!”. Mi ritrovo così con la mano piena di sapone liquido, devo accarezzare la schiena di quest’uomo e non so da dove cominciare e soprattutto come fare. Parto dalla base del collo, sono un po’ impacciato e il mio movimento non risulta fluido, la mano corre prevalentemente lungo la spina dorsale e poi parte a fare dei giri ora a destra, ora a sinistra. Mi sono messo non proprio dietro di lui (anche perché temevo che vista la posizione il mio uccello tradisse un visibile compiacimento) ma un po’ di lato e di tre quarti dietro la sua chiappa sinistra in modo da permettere alla mano destra di muoversi. Il “mio” tedesco si lascia fare e intanto le sue mani si muovono sul davanti del corpo, il torace, il ventre, le gambe. Ho un attimo di groppo in gola quando la sua mano sinistra passa ad insaponarsi la chiappa e tocca due o tre volte la punta del mio uccello. La situazione mi sta creando dei seri problemi: una parte di me vorrebbe fuggire, piantare tutto lì anche a costo di fare una figura da pirla davanti al tedesco, l’altra invece vuole andare avanti, non solo ma vuole anche provare a superare i confini. . .
“Io mi chiamo Helmut, e tu?” “Io?. . . Ettore. . . . Ehm va bene così?” “Certo, molto bene hai delle mani dolcissime!”. Il complimento mi fa arrossire e mi spinge ad applicarmi con maggior lena alla mia opera pulitrice. Ormai sono arrivato alla base della schiena dove c’è l’incavo prima delle chiappe. Cosa devo fare? Vado avanti ma dove? Lungo il solco oppure sulle chiappe? Poi come devo stringere? Sono indeciso su come proseguire mentre la mia mano ritma lentamente su e giù lungo la spina dorsale. Poi succede qualcosa, ad Helmut cade per terra (volutamente?) la bottiglia dello shampoo e lui piega la schiena in avanti inarcandola e (ora noto) con le gambe leggermente divaricate e piegate, il tutto per recuperare il prezioso contenitore. Non ci penso due volte e accompagno il movimento di Helmut facendo che la mano scorra lungo il solco quasi fosse una prosecuzione involontaria del movimento precedente dovuta alla nuova posizione. Mi aspetto una reazione, un irrigidirsi dei muscoli e invece no, Helmut indugia un po’ troppo forse a raccogliere la boccetta di shampoo, poi lentamente si raddrizza e continua a insaponarsi e risciacquarsi come niente fosse successo. La mia mano torna sulla schiena ma ancora ho nelle dita la sensazione del suo solco, la consistenza della sua carne, la delicatezza della pelle, la dolce increspatura del suo buchino. Helmut si gira e mi fa “Grazie. Vuoi che ricambiare?” Mi guardo intorno per timore che possano arrivare altre persone, ma eravamo gli ultimi uomini in piscina e questo vuol dire che per un bel po’ non entrerà nessuno. Non rispondo ma mi giro superando una paura ancestrale. Anche Helmut si mette di tre quarti per poter insaponare meglio la mia schiena, solo che lui mi passa le due mani cercando anche di produrre un massaggio. Si sofferma all’altezza delle scapole, va su e giù alcune volte, poi preme più forte e dice “Qui fare male, Ettore, tu devi rilassare muscoli!”. Lui ha lodato le mie mani, ma le sue sembrano nate per massaggiare o per carezzare perché a volte la sua pressione si allenta. Io continuo ad insaponarmi e risciacquarmi il davanti del corpo, poi, memore del fugace toccamento di prima, comincio ad insaponarmi le chiappe. La mia mano sinistra lo tocca in punta due o tre volte nel corso del suo movimento e mi sembra di avvertire che lui si avvicina di più quasi a favorire il fortunato incontro. Io continuo e allargo un po’ di più le gambe. Penso se devo ripetere il giochino di prima, quando lui ha fatto cadere la boccia di shampoo. Non c’è tempo, Helmut deciso infila la sua mano lungo il solco come se fosse la cosa più naturale di questa terra e la fa scorrere su e giù. Poi il movimento da lineare comincia a essere circolare intorno al mio buchino. Ho delle contrazioni involontarie, ma Helmut prosegue con lentezza e dolcezza esasperanti. Sento che le contrazioni rallentano di frequenza e intensità e che si alternano ad allargamenti spontanei dei muscoli di ingresso del mio tesoro più profondo. Lui si è avvicinato e il suo uccello che si sta gonfiando sempre più ormai mi sta proprio addosso. Lo prendo in mano ma non mi giro a guardarlo. Lo stringo e la mia mano scorre a scoprire tutte le vene e increspature di quel cazzo che mi sembra meraviglioso e immagino quanto piacere hanno dato quei rigonfiamenti irregolari. . .
“Ettore, io ho una stanza sopra. Vuoi venire a cambiarti da me?”. E’ chiaro cosa intende il suo invito ma ha ancora voluto salvare le apparenze. “Vorrei ma non so bene come si fa!”. Che cazzo di risposta! Ma Helmut ha capito. Non è che non so come cambiarmi d’abito, non so come fare l’amore con un uomo. Con un sorriso sulle labbra ripete “Ettore lo sai che si potere imparare tutto!”.

Ci leviamo allora frenetici il sapone di dosso, spegniamo l’acqua e ci avvolgiamo negli accappatoi asciugandoci velocemente. Recuperiamo i borsoni, le ciabatte e, anziché andare verso l’uscita, lo seguo verso il corridoio che porta alle stanze d’albergo. Aspettiamo impazienti, e almeno io un po’ preoccupato, l’ascensore, ma finalmente arriva e saliamo su fino al quarto piano. Giriamo a sinistra e siamo nella sua stanza. E adesso? Adesso non posso più barare, non posso limitarmi come facevo con Fausto nei fossi durante l’estate a tirarci delle grandi seghe. Adesso il gioco si fa serio. Helmut capisce che sono preoccupato e mi sorride, prima con gli occhi e poi con la bocca. “Non temere. Anche io non molto esperto e faccio molto piano”.
Mi fa spogliare e lui si toglie l’accappatoio. Ci stendiamo sul letto nudi ed Helmut comincia ad accarezzarmi il torace dicendo “Prima cosa rilassare muscoli. Chiudi gli occhi e pensa che bella persona ti sta accarezzare”.
Chiudo gli occhi e i sensi si moltiplicano a cogliere le sensazioni di piacere che Helmut sa suscitare in me. Accarezzandomi su tutto il corpo le sue labbra cominciano a tormentare i miei piccoli capezzoli, prima uno poi l’altro. La sua lingua scende sul torace e si sofferma dolcemente sull’ombelico mentre le sue mani mi accarezzano le cosce. Risalgono poi sulle chiappe, le fanno loro e cominciano a stringerle come fossero le tette di una donna. Mi piace e apro gli occhi. Davanti a me vedo l’uccello di Helmut che ora si trova disteso sul fianco. Lo prendo in mano e accarezzo a lungo la sua erezione fino a che non resisto e provo timidamente a leccarglielo. Prima la punta poi tutto il lungo gambo bitorzoluto, infine le palle. E’ strano neanche con Fausto eravamo mai arrivati a leccarcelo. Addento un pochino la sua cappella poi torno a leccargli l’asta e con le mani cerco di ripetere i suoi movimenti. Anche Helmut mi sta succhiando il mio cazzo, mentre con una mano dilata lo spazio tra le due metà del culo e con l’altra, opportunamente riempita di vaselina, sta frizionando circolarmente l’ingresso del mio buchino. Mi guardo intorno e vedo il tubetto di vaselina, me ne approprio e inizio anch’io a ripetere sul buco di Helmut quello che lui sta facendo sul mio. Sono più impacciato ma ripeto gli stessi movimenti. Helmut è molto dolce e il suo movimento circolare ha calmato le mie contrazioni involontarie e avverto che è il culo stesso che adesso dice “penetrami”. E lui lo fa, progressivamente introduce un dito cosparso di vaselina e applica il movimento circolare all’interno del mio sfintere. Mi sento cedere le gambe da questo piacere sottile che penetra il mio corpo e tutte le mie terminazioni nervose che piano piano si stanno concentrando tutte lì, nel mio culo. Adesso voglio proprio provare anche se la paura continua a sussistere. Riesco solo a mugolare per dare il mio gradimento ed Helmut capisce, mi prende i fianchi e mi mette carponi. Lo sento armeggiare un po’ e gli dico “Fai piano” “Tu seguire miei consigli!” mi risponde. Dopo che gli ho visto infilarsi un preservativo sento le sue mani piene di vaselina allargare lo spazio fra le chiappe e qualcosa che mi sembra enorme appoggiarsi al buco e poi spingere lentamente. In un colpo entra la cappella e non riesco a fermare una contrazione e un grido che è quasi un riflesso condizionato. “Ora prova a spingere in fuori come se tu cagare”. Obbediente spingo “Bravo! Ora contrai i muscoli come per ricevere qualcosa”. Obbediente eseguo e sento il suo uccello farsi largo. Il dolore c’è ma non è così drammatico come pensavo. “Ora continuare così, prima spingi, poi riprendi”. Eseguo un po’ a fatica ma progressivamente migliorando e ad ogni colpo l’uccello mi penetra sempre di più, sembra non finire mai e non voglio che finisca. Mi sento riempire come non mai. Helmut si ferma “Prova a stringerlo con i tuoi muscoli” Mi sento proprio pieno. “Ora spingi fuori” Il suo cazzo comincia una retromarcia che mi lascia un vuoto che non vedo l’ora di colmare. Helmut capisce quando sono pronto e mi spinge di nuovo la nerchia nelle budella, prendo il ritmo e il mio culo diventa ad ogni colpo più elastico. Mi sembra di impazzire, vorrei toglierlo e finire ma al tempo stesso quando comincia ad uscire mi sento vuoto e voglio farmi scopare. E’ una sensazione incredibile quella di accogliere un cazzo nel proprio corpo, sembra quasi di aumentare i confini del proprio essere e aprirsi a nuovi orizzonti. Avverto una tensione crescere in Helmut e il suo respiro farsi più affannoso. “Sì dai scopami! Daiiii Siiiiiiii” gli dico e cerco contemporaneamente di aumentare la frequenza delle mie contrazioni, finché gli ultimi frenetici colpi del mio tedesco mi causano un po’ di dolore. “Ya Ettore! Yaaaaaaaaa!” urla. Si ferma, il suo cazzo dentro di me a riempirmi ancora. Il mio sfintere è un susseguirsi di contrazioni nervose, le pareti toccano da ogni parte l’uccello che si sta lentamente sgonfiando e finalmente riacquistano le dimensioni iniziali. Ci stendiamo sul letto. Mi sento un coacervo di sensazioni piacevoli e no, ma con le prime che dominano di più. Ho il buco del culo dolorante, ma al tempo stesso percorso da uno strano prurito che dice quasi “Dai ficcamelo ancora dentro”. Mi giro verso Helmut e sorridendo gli dico “Grazie! Sei stato molto delicato. Per me era la prima volta” Sorridendo si avvicina a me e mi bacia sulla bocca. La sua lingua mi penetra dentro cercando la mia mentre con la sua mano mi accarezza il volto e cerca di giocherellare con il lobo dell’orecchio. “Ora toccare a te!” Quando finisce il bacio è questo quello che mi dice. Lo guardo un po’ perplesso “Anche mio buco volere sua parte!” Capisco allora cosa vuole da me, e il mio cazzo che prima si era un po’ afflosciato, riprende di colpo vigore al pensiero che è arrivato il suo turno di godere.
Helmut mi porge un preservativo e il tubetto di vaselina, poi si mette a carponi. Ora sono più attento al suo culo che riprendo a massaggiare circolarmente con le due dita piene di vaselina. Mi sembra che ceda più facilmente di quanto abbia fatto il mio buchino, e passo presto a lubrificarne le pareti interne. Sento Helmut mugolare e questo fa diventare il mio cazzo sempre più grande e sempre più duro. Mi infilo il preservativo e lo cospargo ancora di vaselina. Mi porto dietro ad Helmut, con una mano gli dilato le chiappe, con l’altra gli punto la cappella giusto sul buco. La spingo e con un colpo solo sparisce dentro fino alla sua fine. Mi fermo e cerco di sentire le sue contrazioni e cerco di regolare su di esse i miei movimenti. E’ bravo e con pochi colpi l’ho infilato tutto fino alla radice. Mi fermo e sento i suoi muscoli interni contrarsi e stringermi il cazzo quasi a volerlo fare proprio e ad afferrarne tutte le sfaccettature. “Ya Ettore, Ya” Lo sento ansimare, il mio cazzo non ne può più e allora comincio a spingere e a tirare fuori, più forte sempre più forte. Gli stringo i fianchi con le mani quasi a volerlo possedere tutto a farlo mio e intanto gli sbatto il cazzo nel culo. Le palle battono sulle cosce per la violenza con cui lo sto scopando. Sento il mio uccello contrarsi e poi espellere nel serbatoio del preservativo la sua crema biancastra. Accidenti! Se dovessi fare una classifica, non saprei proprio dire se mi è piaciuto di più offrire me stesso ad una profonda penetrazione o incularmi selvaggiamente Helmut.

Anche Helmut si gira con uno sguardo soddisfatto e mi dice “Mi hai scopato come toro!”
Ci abbandoniamo sul letto, poi Helmut si avvicina a me e mi dice “Tu stasera cosa fai? Potremmo andare a cena fuori e poi vederci da qualche parte.”
“Ma non è che mi farà male prenderlo così più di una volta nello stesso giorno?”
“Allora vediamoci domani in piscina!” “D’accordo!”
Un bacio suggella la promessa.

-continua-
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