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Gay & Bisex

L'attor giovine 7 la prima


di Ettoreschi
09.07.2009    |    5.732    |    0 8.2
"Lo avvertii “Stai attento perché ci saranno parecchi marpioni e marpione che cercheranno di accaparrarsi un bel manzo come te!” “Eh ma non mi faccio mica..."
Quando il mio vestito fu pronto ci fu un consulto tra Max e Giannina e il regista decise il numero di cambi per me e per Andrea, dei vestiti, dei perizomi, dei reggi petti (che volle color carne), delle camicette che sostenevano le tette finte, dei reggicalze, delle giarrettiere, delle calze e delle scarpe. Da quel momento in poi cominciarono le prove con i costumi. La scena più provata fu quella del matrimonio fino a che non si raggiunse la forma definitiva. Mentre fuori Capuleti e Montecchi cercavano lo scontro invano fermati dalla nutrice e dal frate, su un soppalco illuminato da un solo faro e contenente solo una chaise longue molto larga e piena di cuscini, Romeo e Giulietta consumavano il loro matrimonio. Lui si avvicinava alle spalle di lei che aspettava con le braccia incrociate sul davanti, la baciava sul collo poi scostandole le braccia si impossessava delle sue tette, quindi la girava e la stringeva a se baciandola. Le sue mani facevano risalire le gonne fino a mettere in luce il culo della fanciulla che a questo punto veniva deposta sull’elemento di arredo mentre Romeo estraeva dalla calza maglia il suo arnese e, posandosi sopra di lei, cominciava ad andare su e giù. Le luci sul resto della scena si affievoliscono e anche i rumori all’esterno della stanza si attenuano fino a che rimane acceso solo il faro e Giulietta arriva ad urlare il suo primo piacere mentre Romeo continua il suo su e giù (che dovrebbe essere un dentro e fuori). Il tutto doveva durare un paio di minuti circa poi anche il faro si spegne e cala il sipario. Le prove erano puntigliose perché Max voleva la perfezione nei gesti, nella cadenza delle voci e degli urli, nel ritmo e nei tempi. Provammo in tutte le combinazioni possibili, io fui Giulietta con Max ma anche con Goffredo e anche Andrea ebbe la medesima sorte. Confesso che molte volte trovarsi bardato come Giulietta con un maschio che sfregava il suo batocchio contro il tuo cazzo creava delle reazioni imponenti a vedere in entrambi i protagonisti. Ma la cosa più stuzzicante era che queste prove erano come un aperitivo, un eccitante per il sesso che facevamo poi la sera a casa di Max. L’unico motivo per cui non volle che lo facessimo ancora con i vestiti di scena era la paura che Giannina si incazzasse. Ma nonostante questo a volte succedeva che non arrivassimo nemmeno a casa ma che ci chiudessimo in camerino e scopassimo come ricci arrapati.
Fortunatamente dopo queste performances Max si calmava e, spesso, la mattina dopo si concedeva volentieri ai miei desideri maschili e lasciava che lo penetrassi e lo sbattessi a fondo come una troia. Era sorprendente il cambiamento cui avevo assistito nel mio regista, nonché mentore, nonché amante. Io lo attribuivo alla tensione per l’arrivo della prima perché eravamo tutti su di giri e sembravamo delle molle caricate che non vedevano l’ora di saltare. L’ultima settimana facevamo ogni giorno due prove complete senza interruzione come se fossero spettacoli veri e propri e così facendo ci preparavamo agli spettacoli della domenica che erano due (il meridiano e il serale). Telefonai ai miei per sentire se volevano esserci alla prima, ma mi dissero che preferivano vedermi quando sarei venuto in tournee in Umbria. Allora chiamai i miei zii. Furono sorpresi per l’invito ma capii che erano un po’ imbarazzati perché lo spettacolo terminava tardi e non c’erano autobus a riportarli indietro. Li pregai di venire promettendo che avrei dato loro anche i soldi per ritornare con il taxi e allora accettarono. Mi promisero anche la presenza dei cugini, uno dei quali, Matteo, stava svolgendo un corso molto impegnativo per poter entrare nell’esercito e quindi aveva una stanza poco lontano dal mio teatro e che quindi non sarebbe tornato con loro a casa. Chiesi se volessero venire a trovarmi in camerino dopo lo spettacolo, ma declinarono l’invito perché sarebbero stati stanchi per le fatiche della settimana, però si impegnarono perché almeno Matteo venisse a trovarmi. Quindi ripetei le istruzioni perché potessero trovare i biglietti in omaggio e il pass per il mio camerino. Ci salutammo ma anche questi preparativi non facevano che aumentare la tensione. E venne il giorno della prima. Ero nudo nel mio camerino, con i capelli già raccolti in due trecce e fissavo il mio volto da truccare nello specchio. Ripensavo alla fame e alle umiliazioni subite quando ero al paesino, alla mia determinazione per volermi staccare da una vita che non capivo né condividevo e di cercare di perseguire il mio grande sogno: recitare. A cosa ero disposto a fare e a cosa avevo poi fatto, sia di piacevole che di spiacevole. Al piacere che avevo ricevuto e che avevo dato, ai sentimenti che mi avevano animato in questo periodo. Feci un respiro profondo, mi dissi che tutto questo non andava perduto e cominciai la vestizione e il trucco. Ero teso come una donna prima di un matrimonio, volevo che tutto fosse perfetto, il vestito, il seno, le calze. Ripassai tutto almeno due volte, quindi uscii dal camerino e mi presentai nelle quinte dove tutti erano pronti, ognuno seguendo una propria personale scaramanzia.
Si alzò il sipario ed entrarono in scena, dopo che era stata trasmessa la voce del coro, gli attori che interpretavano Sansone e Gregorio. Io attesi perché non entravo in scena prima della terza seguendo con attenzione lo svolgersi dello spettacolo che scivolava perfettamente come non potevamo sperare di meglio. Finalmente viene il mio turno e un blocco alla gola mi prende, ma quando faccio il primo passo per entrare in scena tutto sparisce e comincio la mia parte. Tutto procede come deve e si avverte l’attenzione del pubblico tutto che segue con attenzione l’evolversi del dramma fino a che non si giunge alla scena più provocatoria e simbolica di tutta la rappresentazione. Quando le mani di Romeo mettono in luce il mio culetto si avverte quasi palpabile la tensione del pubblico che si ferma con il respiro in gola a seguire le evoluzioni dei due amanti. Nel momento in cui vengo deposto sulla chaise longue e Romeo estrae il suo randello già bello turgido, si avverte qualcuno deglutire poi il silenzio segue i nostri appassionati gesti. Quando la luce si spegne e cala il sipario scoppia un applauso liberatorio che mi scatena un brivido che percorre la schiena fino a farmi venire la pelle d’oca. Max mi sorride “E’ andata! Il resto è in discesa!”. Non era vero perché c’erano ancora scene importanti e dense di emozioni ma l’elemento di novità era stato accettato dal pubblico. Con la giusta tensione la rappresentazione continuò sul filo della tensione e della ripetizione maniacale di quanto avevamo provato e riprovato in tutti questi mesi. Finalmente quando il Principe pronunciò la frase “Questa mattina è foriera di una pace che rattrista; il sole pel dolore non mostrerà la sua faccia. Andiamo via di qui, a ragionare ancora di questi dolorosi avvenimenti; a qualcuno sarà perdonato ed altri sarà punito; poiché non ci fu mai storia più pietosa di questa di Giulietta e del suo Romeo.” E calò finalmente il sipario mentre un caloroso applauso iniziava a salire dalla platea e dalla galleria del teatro. Ci preparammo tutti in fila, io al centro vicino a Max, e quando si riaprì il sipario facemmo un passo avanti per ricevere il tributo del pubblico. Era una standing ovation, tutti in piedi che si spellavano le mani. Avevo il cuore in gola e la pelle d’oca e, conscio anche del mio travestimento e del piacevole contatto con la seta del vestito sul mio culo e le mie gambe, mi stavo eccitando. Sperai che l’erezione che stava crescendo non increspasse troppo il mio abito ma assaporai fino in fondo quell’insieme di emozioni e sentimenti che rappresentano il desiderio e il traguardo di chiunque reciti in teatro.
Finalmente ci potemmo ritirare, ma prima ci abbracciammo tutti, anche con i tecnici e coloro che lavoravano dietro le quinte. C’era una soddisfazione palpabile e soprattutto la tensione che ci aveva sostenuto durante tutta la rappresentazione si stava sfogando. Max aveva organizzato una festa per tutti nella buvette del teatro per un’ora circa dopo l’uscita degli spettatori. Mi portai nel camerino e mi sedetti davanti allo specchio e mi guardai nuovamente allo specchio. Non credo ci sia droga capace di darti una simile sensazione come quella che mi aveva dato la mia prima esibizione come attore professionista sul palco di un grande teatro. Ero immerso nei miei pensieri e non avevo ancora iniziato a struccarmi quando sentii un timido bussare alla porta del camerino. Andai ad aprire e trovai mio cugino Matteo timidamente in attesa. Mi buttai con le braccia al collo e lo baciai con trasporto sulle guance. Cominciai con un effluvio di domande “Ti è piaciuto? E ai tuoi? Quale scena di più? E il pubblico come reagiva, cosa diceva? Ecc. … “ mentre senza staccarmi da lui lo portavo dentro il camerino chiudendo la porta. Matteo mi rispose timidamente e anche con un certo imbarazzo e solo dopo un po’ mi resi conto che questo disagio era causato da un principio di erezione che cominciavo ad avvertire nel basso ventre del mio parente. Non so era la tensione accumulata o la particolarità della situazione in cui ci trovavamo ma mi sentii troia e cominciai a sedurlo, come avrebbe fatto una qualsiasi velina davanti ad un bel figo, e lui in effetti non era male. Gli chiesi allora “Oh Matteo mi aiuteresti a togliermi il vestito?” E senza aspettare risposta cominciai a slacciare i nastri nei fianchi dell’abito voltandogli le spalle, poi alzai le braccia e gli chiesi “Lo tiri su per favore. Ma fai piano altrimenti la sarta mi spara!” Questo lo costrinse a muoversi con circospezione e soprattutto ad allungare il tempo di vestizione e quindi la possibilità di rimirare il mio culetto coperto solo di un perizoma interdentale e le mie gambe depilate arricchite da calze e giarrettiera. Mi chinai leggermente in avanti con la scusa di dare un’occhiata davanti e mormorai “Hai visto come mi hanno combinato?” Lo sentii deglutire a fondo prima di rispondermi “Eh si!” Sentivo la grossezza del suo pacco che cresceva a contatto con le mie chiappe, sculettai un paio di volte poi, una volta liberata del vestito, che riposi religiosamente, mi voltai verso di lui con il mio cazzo che sbucava malandrino dal sacco del perizoma. Io fissai il rigonfiamento che lo imbarazzava e, come una donna di strada consumata, lo afferrai e gli sussurrai strusciando le mie tette contro di lui “Ho combinato un malanno! Come posso fare per rimediare? Io un idea ce l’avrei …” Nel frattempo gli tirai giù la zip e sfoderai il suo arnese dalle mutande e lui finalmente respirò l’aria di cui bisognava per esprimersi nel modo più consono ai sentimenti che attanagliavano il suo padrone. Lo feci stendere sul divanetto del camerino e imboccai la sua asta bella turgida.
Lo sottoposi al trattamento di lusso, succhiando, leccando, imboccando, riempiendo di saliva ogni millimetro del suo batacchio, peraltro proprio ben messo. Nel frattempo gli tolsi completamente calzoni e slip strusciandomi ogni volta con le mie “tette” sulle sue gambe. Oramai Matteo era partito e non si poneva più remore morali ma stava cercando solo di rincorrere il suo piacere inatteso. Decisi allora di cominciare ad approfittarne e, con la mano libera, accarezzai le chiappe, poi mi insinuai nel solco, infine cominciai l’assedio lungo e paziente al suo buchino. Lo sentii fremere quando la lingua si staccò dalle magnificenze del suo uccello per succhiare e titillare il bocciolo di rosa che presidiava l’accesso al paradiso inesplorato. Avevo la pomata a portata di mano (in quel periodo ne consumavo a chili sia per me che per gli altri!) e cominciai con un dito a snervare le difese e al contempo a preparare la strada per l’ingresso trionfale. Lo sentii agitarsi perché sull’orlo dell’orgasmo e mi fermai a toccare il bastone che era sul punto di esplodere ma continuando il lavorio posteriore. Gli detti un morso leggero alla punta e per un po’ l’erezione regredì così da concederci minuti in più di piacere mentre il mio ditino era stato affiancato dal suo fratello. Gli dissi “Rilassati, come se stessi per cagare, non opporre resistenza e, vedrai, ti farò morire!” Mugolò qualcosa di incomprensibile ma avvertii che i tessuti erano più rilassati. Quando ero dentro non mi accontentavo di fare su e giù ma andavo circolarmente a lubrificare le pareti intestinali creando in Matteo la sensazione che avevo imparato a conoscere e apprezzare di sentirsi stimolati a volersi far riempire il condotto, nonostante lo sfintere fosse fastidiosamente dilatato. Dopo svariati minuti di questo trattamento allargato a tre dita, lui era pronto a tutto con il cazzo che gocciolavo di liquido prostatico. Gli chiesi “Matteo, vuoi venire alla grande?” “Si, dai, fammi venire” mi implorò. Allora portai le caviglie sulle mie spalle e mi posizionai all’imboccatura della strada che avevo or ora finito di preparare per la mille miglia del piacere. “Rilassati e non temere. Quando vuoi dammi tu il tempo” Avvertii prima le contrazioni di paura che serravano l’imboccatura prima violata, poi il desiderio intestinale di sentirsi pieno ebbero il sopravvento e lui schiuse il buchino perché potessi fiocinarlo con la mia cappella. Mi arrestai subito dopo aver fatto passare l’orlo del glande e attesi che il trauma della penetrazione passasse. Gli accarezzai il torace e mi soffermai sui capezzoli, circondati da una folta peluria, titillandoli per poi passare allo stomaco.
Quando lo sentii pronto avanzai lentamente fino a che la base del mio cazzo non raggiunse il suo anello sfinterico e le mie palle sbatterono contro le sue chiappe. Anche adesso aspettai, feci alcune rotazioni con il bacino quindi estrassi lentamente il palo che lo stava fiocinando. Fu quasi con sorpresa che si sentì svuotato dell’ospite che aveva ravanato le viscere e non gli diedi il tempo di ricomporsi bensì mi infilai nuovamente nel suo antro umido. Se qualcuno fosse entrato in quel momento avrebbe visto una ragazza con le trecce, due tette da terza, calze legate con giarrettiere che stava pompando il suo legittimo uccello nel culo di un bel maschione moro di quasi un metro e ottanta, ben messo, che mugolava, dilaniato fisicamente dal palo di carne che lo apriva ad ogni colpo, e attraversato da sensazioni contrastanti, il fastidio quando lo sfintere veniva forzato dal movimento penetratore, il piacere che a colpi di fulmini gli attraversava la schiena quando la prostata veniva stimolata, il godimento nel sentire gli intestini placati nel loro anomalo prurito. Sapevo che oramai era giunto quasi al punto di non ritorno, ma volli regalargli la sensazione di essere lui protagonista e gli chiesi “Matteo vuoi che ti sfondi il culo?” “Oh si, dai sfondami il culo, spaccamelo, sfasciamelo!” e così via fu il rantolo implorante che si levò dalla sua bocca mentre la testa veniva scossa a destra e a sinistra. Era quello che volevo. Mi sistemai un attimo meglio come possibilità di spinta e via, gli mollai le ultime randellate, non prima di aver portato la sua mano a impugnare la base del suo cazzo. Bastarono pochi colpi perché l’orgasmo lo prese e, mentre il suo uccello eruttava una quantità di sborra veramente notevole avvertii le contrazioni anali che fecero scatenare anche il mio orgasmo. Non so quanti minuti ci vollero perché i respiri si normalizzassero e i tessuti riprendessero le normali dimensioni ma, quando questo avvenne mi accoccolai vicino al mio cuginone e gli dissi “Grazie Matteo, spero di averti fatto godere, anche se forse non te l’aspettavi!” “Oh non me l’aspettavo no ma …” “Ti è piaciuto?” “Beh ecco … io …” “Matteo, non sentirti in colpa. E’ normale provare piacere quando si viene stimolati in quel modo e non vuol dire che si è recchioni! Quindi goditela e così sai che quando vuoi, hai un altro pezzo del corpo che può darti un piacere indimenticabile” “Forse hai ragione Giulio, il fatto è che non mi aspettavo di farlo con un … beh con uomo, anche se vestito da donna!” Su questa battuta l’atmosfera di era ristabilita amichevole e io allora lo pregai di farmi compagnia mentre mi spogliavo e mi toglievo il trucco. Parlando mentre svolgevo queste incombenze, lo invitai alla festa che ci sarebbe stata nella buvette. Lo avvertii “Stai attento perché ci saranno parecchi marpioni e marpione che cercheranno di accaparrarsi un bel manzo come te!” “Eh ma non mi faccio mica inculare un’altra volta!” esclamò. Scoppiai a ridere “No, no, questa volta sei tu che devi fare il culo a loro. Hai capito come si deve fare perché la lubrificazione è la cosa più importante per poter godere tutti e due” Gli regalai un tubetto di pomata mezza usata e, dopo una doccia veloce, ci rivestimmo ed eravamo pronti per la festa della prima. Raccolsi i capelli a coda di cavallo, ora non c’era niente di femmineo nel mio vestire e nel mio aspetto se non forse il bel culo che mi contraddistingueva.
La festa era appena cominciata ed era un indescrivibile coacervo di voci, risate più o meno isteriche, pacche sulle spalle, abbracci, baci e tutto quello che avviene di norma. Passai in rassegna tutti i presenti salutando, baciando, abbracciando, ricevendo complimenti da tutti, ricambiando se erano colleghi della troupe, ringraziando se erano giornalisti o ospiti. C’era una fauna variegata ma dominava la tipologia di persone di cui amava circondarsi Max. Fu quando incontrai un produttore cinematografico grassottello e un po’ calvo che, dopo i convenevoli mi additò Matteo chiedendomi “Ma è il tuo nuovo ragazzo? Ma non stavi con Max?” Scoppiai a ridere “Oh no è mio cugino che è venuto a fare il tifo per me! Vuole che glielo presenti?” Guardandolo come una bambina ammira una bambola di Barbie che non è ancora sua “Oh con grande piacere!” Feci le presentazioni e vidi il commendatore attaccarsi a Matteo come una sanguisuga. Poiché era notoriamente passivo, pensai che il mio cuginone poteva rifarsi se lo desiderava. Gli strizzai l’occhio e mi allontanai. Fu con grande sorpresa che trovai Barbara ***, l’attrice di cui mia madre era una fan sfegatata. Mi abbracciò con trasporto e mi sommerse di complimenti “Sei stato bravissimo e ti confesso che sono anche stata gelosa del tuo portamento!” Ridemmo della battuta poi, visto che non mi lasciava e si strusciava con le tette, le chiesi “Mia madre è appassionatissima di lei. Credo che se tornassi a casa con un suo autografo mi potrebbe perdonare di aver lasciato il paesello per inseguire il sogno di diventare attore!” “Oh ma caro Giulio non c’è problema. Vieni andiamo di là che ho lasciato la borsetta con una mia foto” “Grazie mille signora ***” “Ma scherzi? Devi assolutamente chiamarmi Barbara perché ti sono amica, veramente” e così dicendo, visto che mi aveva preso sotto braccio continuò a strusciare le sue tettone. Mi dissi che questa sera correvo il rischio di fare l’en plein! E non sbagliavo. Non appena fummo lontani e fuori dalla vista degli altri, lei si attaccò a me cominciando a slinguazzarmi in bocca per farmi capire che era pronta a sciogliersi per me. Anche a lei dedicai il mio numero migliore. La portai in un palchetto e ci spogliammo. Poi, dopo averla baciata a lungo, le sussurrai “Vorrei leccarti tutta!” “Oh sì! Leccami tutta!” Presi a scendere fermandomi prima alle tette che cominciavano a perdere la forma ma che restavano al tempo stesso consistenti, poi scendendo arrivai fino ai piedi e quindi risalii fino a cominciare a succhiarle il clitoride. Le infilai un paio di dita nella figa che gocciolava degli umori tipici mentre con l’altra mano le palpavo le tette tirandole i capezzoli che si ingrossavano e si indurivano per il piacere. Continuando a leccarla la lavorai per bene nella passera fino a che non avvertii il peculiare rantolio che preannuncia l’orgasmo. E questo arrivò potente e si trasmise alla mia mano che lentamente si arrestò placando così la sete di goduria della donna. Le lasciai un minuto poi mi sedetti su una sedia e la feci accomodare sul mio uccello di fronte a me. Era impalata con le tette all’altezza del mio viso e io non mi feci attendere e mi ci gettai. Con le mani intanto le allargavo le chiappe e le accarezzavo il buchino. Quando la sentii pronta affondai un dito e, con gran sorpresa, non venni respinto ma anzi accolto come un liberatore. La faccenda si faceva proprio stimolante! Lei era travolta dal piacere, si stringeva le tette con le mani per portarle alla mia bocca che vorace le percorreva tutte, leccando, titillando, succhiando, mordicchiando. Dimenando il bacino favoriva il mio lavorio al foro posteriore che iniziava a presentare un allargamento interessante. Quando la ritenni pronta, le chiesi “Barbara, vuoi farmi godere?” “Oh sì Giulio!” allora la sollevai dal mio palo e la sistemai a pecora sul bordo del palchetto. Mentre le allargavo per bene le chiappe e le lavoravo per le rifiniture il buchetto, la pompai un po’ nella passera in modo da raccogliere i suoi umori e così rendere ben lubrificato il mio batacchio. Glielo posai all’ingresso e cominciai a spingere chiedendole “Lo vuoi” “Oh sì” e dopo neanche un minuto l’avevo impalata fino in fondo. Mi soffermai un po’ ma lei era scatenata e cominciò a muovere il bacino per farsi inculare fino a fondo. Le misi una mano sul clitoride ma mi accorsi che non ce n’era bisogno poiché lei stessa si era già infilata due dita nella figa. Pensai a questo punto solo al mio piacere che montava ad ogni colpo stimolato dalle urla della donna. Era una sorpresa sentirla chiedermi di sbatterla, di spaccarle il culo, di farla la sua puttana e per un attimo la rividi in una intervista televisiva quando proclamava il suo amore eterno all’attuale marito. La accontentai e diedi fondo alle mie energie sbattendola contro il parapetto fino a che le nostra urla di piacere non si fusero come il rantolo di un animale preistorico ferito.
Quando fummo calmi e mi tolsi infine da lei, mi guardò con uno sguardo attraversato da una pace celestiale “Giulio hai un uccello e una lingua che mi fa impazzire! Ma sei ancora l’amante di Max?” “Credo di sì” le risposi e lei “Che peccato! Comunque per qualsiasi cosa, chiamami, non ti preoccupare di chiedere!” Le ricordai “L’autografo!” “Ma te ne faccio cento di questi autografi, torello!” Quando ritornammo verso la buvette dove la festa impazzava, cogliemmo vari rumori inconfondibili da altri palchetti. In particolare le parole che venivano da uno di questi mi colpirono e rimasi ad ascoltare: erano inequivocabilmente il produttore con mio cugino che scopavano con Matteo che urlava rantolando “Ti spacco il culo troia!” e l’altro che arrapato rispondeva “Si! Sfondami tutto! Sono la tua puttana, sbattimi come sai fare!” Sorrisi tra me e me e pensai che forse il mio parente avrebbe guadagnato qualcosa in più dell’aver capito come si gode di culo. La festa proseguiva e, poiché io ero, almeno ufficialmente, il legittimo amante dell’anfitrione, rimasi fino alla fine. Max era sparito per un quarto d’ora con un ragazzino biondo ma d’altra parte io avevo fatto le mie cose, la nostra era una coppia molto aperta e comunque quella sera era indimenticabile per moltissimi motivi ma soprattutto perché mi avevano consacrato come attore. Quando arrivammo a casa eravamo distrutti e ci buttammo sul letto senza neanche la forza di baciarci. Verso l’una del giorno dopo lentamente si svegliammo e Max mi chiese “Vai a prendere i giornali!” “Ma le edicole saranno chiuse! Aspetta che mi vesto” “non serve perché ho chiesto al giornalaio di portarmeli tutti e di lasciarli fuori della porta sullo zerbino. Fu così che nudo mi affacciai e raccolsi il consistente pacco di quotidiani. Ci mettemmo sul letto sfogliandoli assatanati alla ricerca delle critiche dello spettacolo. Erano quasi tutti entusiasti con qualche stroncatura feroce “Me l’aspettavo perché sono giornali cattolici vicini alla curia romana” Ma le altre parole che leggevamo erano inebrianti e ce le raccontammo a vicenda, poi ci passavamo i giornali e li leggevamo con i nostri occhi e così via ad inebriarci. Quando stanchi li buttammo via dal letto guardai Max negli occhi e gli chiesi “Come festeggiamo allora?” Lui sornione si avvicinò con la leggerezza di un felino e mi sussurrò mordicchiando il lobo “Come vuoi festeggiare? Oggi sono la tua donna. Vediamo cosa sai fare per farmi godere! Voglio urlare per il piacere che mi sentano fino ai Parioli!”. Lo accontentai lavorandomelo per bene con lingua e mano per poi, quando oramai era fuori di testa dal desiderio di sentirsi riempito, metterlo a pecorina e pomparlo per bene. Poi, mentre era arrivato sull’orlo dell’orgasmo, mi fermai e aspettai che si calmasse, lo misi di schiena e lo inforcai inchiodandolo sul materasso. Gli gonfiai gli intestini con il mio uccello infuocato e lo riportai al confine del piacere estremo. Giocavo con lui come il gatto con il topo, tanto che Max che subiva tutto questo scuotendo la testa da una parte all’altra e urlando frasi sconnesse, si decise e mi scaricò mettendosi lui a cavalcioni e, dopo essersi conficcato nel culo il mio cazzo duro come il marmo e caldo come lava bollente, cominciò a galopparmi sulla pancia. Si alzava e si abbassava con frequenza sempre maggiore e avvertivo, sia nel mio uccello che nelle sue viscere squarciate dal movimento inconsulto, l’avvicinarsi dell’agognato premio. Non resistetti all’idea di non essere protagonista di questa splendida inculata e ripresi il controllo scalzando il povero Max. Lo rimisi prontamente a pecorina perché anche per me ogni istante di attesa era sprecato e lo sbattei con forza mentre lui implorava di essere percosso come la più laida delle bagasce. Sotto i miei colpi feroci se ne venne schizzando sborra dappertutto e le sue contrazioni intestinali scatenarono anche in me l’agognato orgasmo.
Quella sera la recita fu meno brillante della prima sera ma procedette senza particolari intoppi perché la tensione e l’adrenalina caricata nelle lunghe settimane di prove ci sostenne tutti ma il risultato fu che quasi tutti, una volta a casa, si fiondarono sotto le coperte e presero sonno nel giro di un minuto. Iniziò allora un particolare periodo scandito dalle recite serali, e da quella pomeridiana nei giorni festivi, dalla pausa del lunedì e che durò fino a quando restammo a Roma, ossia per un paio di mesi. Max iniziò a rilasciare interviste, a partecipare a trasmissioni televisive e a talk show. Spesso era al centro di attacchi per l’audacia delle scelte registiche, ma era un animale di spettacolo e l’audience dei programmi che l’ospitavano cresceva. Era inoltre impegnato con il prossimo spettacolo teatrale e con il progetto del suo primo film. Spesso veniva a mancare alle recite e veniva sostituito nella parte di Romeo da Goffredo. A volte, quando mi trovavo tra le sue braccia e lui si sfregava con l’uccello contro il mio, avvertivo una carica di sessualità che desiderava erompere e che trovava conferma nelle parole che mi sussurrava all’orecchio talvolta “Vedrai che prima o poi mi darai il tuo prezioso culetto!” Era arrivato anche ad affacciarsi al mio camerino e, guardandomi con un sorriso sardonico, mi aveva detto “Guarda che non sarai sempre protetto da Max e sei ancora l’attor giovine, quindi prepara il tuo buco per il mio uccello” Io avevo riso e l’incidente era chiuso lì. Alla prima occasione chiesi a Max cosa dovevo fare se Goffredo avesse avanzato le sue pretese su di me, magari durante la tournee che avremmo fatto in tutta Italia successivamente. Lui restò pensoso e dilaniato da sentimenti contrastanti poi risolutamente mi disse “Sei l’attor giovine e non posso cambiare le regole per te. E inoltre aiuterà la tua sensibilità recitativa” Fu anche per questo motivo che, una mattina in cui Max si era dovuto alzare presto per incontrare un produttore e possibili finanziatori, me ne rimasi un po’ nel letto a pensare alla mia storia sessuale e sentimentale.
Sessualmente avevo trascorso un periodo molto intenso dove avevo provato di tutto. Mi piaceva molto andare con le donne, ma la goduria che ti dava l’inculata ad un maschio era per me la gioia suprema. Dovevo però confessarmi che spesso, quando Max o altri cominciavano a carezzarmi il buco del culo, i miei intestini fremevano dal desiderio che un bel cazzo nodoso li sfrucugliasse per bene. Mi piaceva anche portare le mie tette e sentirmi “donna” anche se nell’intimo sapevo che era un ruolo che mi piaceva interpretare ma non era quello mio naturale. Ebbene ero diventato bisessuale e la constatazione che pochi mesi prima mi avrebbe sconvolto e turbato, mi trovava ora sereno e pronto a bere da tutte le fontane che potevano dissetarmi, anche se una di quelle acque era la preferita. La partita si complicava se pensavo all’aspetto sentimentale. Vivevo in quel periodo con Max, ma non mi nascondevo che era una cosa destinata prima o poi a finire. Vuoi perché lui si sarebbe stancato e avrebbe voluto cimentarsi con nuove prove, vuoi perché già adesso la nostra relazione era molto libera e lasciava spazi di indipendenza a entrambi, sicuramente a Max che si doveva essere inculato tutti gli attori assunti appositamente per questa rappresentazione e che non avevano esperienze professionali precedenti. Spesso mi era capitato di percepire, al ritorno da una festa o anche quando lui aveva degli impegni di lavoro, il classico odore di sesso che gli conoscevo. Devo riconoscere che vivere con Max era una opportunità unica per me povero ragazzo di provincia, bastava la sua presenza e tu imparavi qualcosa di nuovo, ma rimaneva il fatto che sapevo nel mio intimo che i nostri caratteri sarebbero prima o poi entrati in contrasto. Avrei cercato di ritardare il più possibile il momento del distacco perché il rapporto con lui mi era molto utile ma prima o poi sarebbe successo e mi preparai a non soffrirne più di tanto. Inspiegabilmente, mentre facevo questi pensieri, mi venne alla mente Andrea. Impulsivamente lo chiamai al telefono e cominciammo a parlare come se fosse la cosa più naturale. Le vicissitudini che avevamo passato ci avevano legato in modo particolare ed era spontaneo parlarci delle questioni più intime. Alla fine di questo piacevole sfogo lo salutai dicendogli “Andrea fatti crescere i capelli!” “E perché mai?” “Perché così mi piacerai di più!”. Riattaccando pensai che Andrea era un vero amico e forse anche qualcosa in più ma che lo avremmo potuto scoprire solo più avanti.

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