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Una storia incasinata


di remida67
24.10.2012    |    13.064    |    0 8.7
"Sospirò: quanto avrebbe voluto toccarlo, accarezzarlo, fino a fargli venire i brividi dal piacere..."
I protagonisti di questa storia sono un gruppo di amici alle prese con il sesso e le trasgressioni, e curiosi di sperimentare un po’ di tutto. Ma andiamo a conoscerli un po’ più da vicino...

Erika, 18 anni, la protagonista principale della storia, frequenta il liceo scientifico e, pur non essendo una gran bellezza, è arrapante e provocante come nessuno, una gran troietta aperta a qualsiasi esperienza sessuale. Proprio durante gli anni del liceo, Erika scopre un lato fino allora oscuro della sua personalità: si accorge di provare un intenso piacere nel comportarsi da provocatrice, buttandosi addosso a chiunque e facendo la puttanella. Col tempo, poi, affina le sue doti, diventando l’autentica porca che è adesso. Su di lei corrono voci d’ogni tipo, tutt’altro che positive: nave scuola, maiala, depravata, puttana, ninfomane, pervertita. Pensando a lei, mi viene in mente una canzone di De Andrè: “...c’è chi l’amore lo fa per soldi, e chi l’amore lo fa per noia, Bocca di Rosa né l’uno né l’altro, lei lo faceva per passione”. Già a 15 anni, Erika ha spompinato tantissimi ragazzi della sua scuola, e, mantenendosi vergine, li ha fatti venire su di lei, con pompini, seghe e strusciamenti vari, compreso il giovane professore di italiano, corrotto alla fine dell’anno a suon di pompini. Ora Erika ha sperimentato ogni pratica sessuale, quanto più si potrebbe chiedere da una scopata (e non solo...), ha più esperienza di Selen e ormai una più che vasta scelta di bei ragazzi dei quali può felicemente disporre per soddisfare i suoi pruriti; si gode la vita, insomma. Dall’episodio del professore, possiamo ben dedurre che la ragazza è anche molto astuta e non esita a sfruttare a suo vantaggio queste sue speciali attitudini. Il sesso però è sempre il suo chiodo fisso. È sempre alla ricerca di nuove esperienze, e non le basta mai. Un ciclone del materasso! Non ha torto chi la definisce ninfomane: Erika è sempre calda, non si fa mai mancare niente, la perversione è la sua filosofia di vita e non disdegna alcuna pratica sessuale che dir si voglia: sesso saffico, anale, orgiastico, sadomaso... la ragazza non ha pudori o pregiudizi. È molto ochetta e sfida i suoi compagni di scopate a vere e proprie gare all’ultima perversione. Ma l’imbattuta reginetta dell’orgia è lei! Erika è alta 1.75m, è molto magra, con delle gambe esili ma belle lunghe, carnagione chiara, lunghi capelli castani leggermente mossi, degli occhietti scuri e maliziosi e una boccuccia a cuore (una vera bocca da pompino, a detta di molti). Il vero punto forte è il suo fantastico culetto prominente a forma di mandolino, che non esita a mettere in mostra fasciandolo in microgonne inguinali e pantaloni strettissimi e a vita molto bassa. Il suo stile è incredibilmente sexy, appariscente e alla moda: tacchi a spillo, maglie e camice con generosissime scollature, e l’immancabile tanga a vista.

Il protagonista maschile, Francesco, 19 anni: è il dongiovanni per eccellenza, classico puttaniere rock scanzonato che non mette mai la testa a posto. È un vero bastardo, interessato a tutto ciò che riguarda il sesso. Conoscendo questi suoi limiti, si potrebbe persino dire che agisce in maniera “saggia”: non volendo far soffrire qualche povera ragazza innamorata (in fondo un cuore ce l’ha anche lui), lui che mira esclusivamente a soddisfare le sue fantasie erotiche e la sua inappagabile sete di sesso, evita accuratamente di buttarsi in storie serie che non è capace di intraprendere e gestire, e stringe relazioni con gente del suo stesso stampo. Maiale di prima categoria, come poteva non nascere una strategica amicizia con la puttanella Erika? I due si conoscono dalla prima liceo, e sfogano l’uno su l’altro le proprie voglie, condividendo esperienze sessuali e momenti di solenne perversione. Nonostante ciò, il maschilista Francesco si ostina a dichiararsi per nulla attratto da Erika: la considera niente più che una troia, maiala, squallida, volgare, non la trova per niente bella: a detta di lui, l’unica sua attrattiva è rappresentata dalla sua immensa fica sempre aperta e disponibile. Ma la realtà è un’altra: non lo ammetterebbe neanche a sé stesso ma anche lui, suo malgrado, è inconsciamente rapito dal fascino esplicito e apertamente troneggiante della sexy-seduttrice. Invano cerca di spiegarsi perché non riesca a togliersela dalla testa. Anche Francesco, come Erika, fa della perversione la sua filosofia di vita, assetato com’è di sesso; è sempre aperto a qualunque esperienza, fino al fatto imprevedibile: si scoprirà attratto dal suo migliore amico. Non se ne farà certo un problema... Francesco, oltre che puttaniere e affascinante, onore al merito, è anche un bel ragazzo: 1.80m di muscoli asciutti, occhi scuri e profondi, labbra sensuali, lineamenti perfetti, capelli scuri e lisci lunghi fino alle spalle.

Il suo amico, Francesco (i due amici sono pure omonimi, oltre che entrambi puttanieri), detto Fra, ha 18 anni, ed è a dir poco sensuale: biondo, capelli lunghi, occhi azzurri, sguardo da gatto, lineamenti delicati; un viso dolce e un po’ effeminato, e un corpo da dio greco, armonioso e provocante. Fra è un bel puttaniere, lascivo, ambiguo e assetato di sesso. I suoi atteggiamenti languidi fanno pensare che sia uno che si sottomette facilmente alle donne, assecondandole in qualunque desiderio pur di godere. Ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze... Il biondino sa quel che vuole e ha capito come ottenerlo. È una vera gattamorta al maschile. Anche lui è accomunato con i suoi amici dalla totale mancanza di pregiudizi e freni inibitori. Piace molto alle ragazze (soprattutto ad Erika), anche se molte lo considerano soltanto un ottimo animale da materasso, da spupazzare e far godere. E lui sa bene come fare uso di queste sue attitudini.... Ora Fra sta con Giusy, ma la sua filosofia di vita improntata su zero inibizioni non cambia... I due sono una vera coppia di pervertiti sulla stessa frequenza d’onda. Fra è anche bisessuale e nutre segretamente il desiderio proibito di andare a letto col suo migliore amico.

Giusy, 19 anni, la ragazza di Fra: è troia, infedele, esibizionista e disinibita almeno quanto la sua amica Erika (tra le due intercorrono vari rapporti lesbo), grintosa e determinata: quando vuole qualcosa, lei sa di certo come ottenerla, e poco le importa di utilizzare zero scrupoli, come nel sesso. Non poteva che essere altrimenti, perché per stare insieme a una serpe lasciva come Fra senza farsi venire un esaurimento nervoso, occorrono certamente le palle e una personalità granitica. I due si meritano a vicenda, accomunati dalla stessa sete di sesso e dalla medesima morale e, tutto sommato, i loro caratteri si integrano completamente, nonostante la loro relazione sia caratterizzata da colpi di scena e continui “scambi”. La personalità focosa di Giusy riflette perfettamente nel suo aspetto fisico... Giusy è il vero archetipo della bonazza: un fisico prorompente e statuario, curve pericolose spalmate su 1.70m di statura, due bocce esplosive, un sedere formoso e marmoreo, la pelle soda e abbronzata; ha i capelli rosso fiamma a riflettere il suo carattere vulcanico (in tutti i sensi...), dritti come spaghetti e con il taglio all’ultima moda. Ama fasciare il suo corpo curvaceo con micro-indumenti incredibilmente sexy ed è una grande esibizionista.

Ora che avrete certamente capito con chi abbiamo a che fare, possiamo andare alla storia vera e propria...

La casa di Giusy, puttanella viziata di famiglia ricca, era dotata di un’ampia sala con bei divani di velluto, sistemati davanti ad un invitante caminetto acceso: calda e confortevole, sembrava fatta apposta per abbandonarsi comodamente sui morbidi tappeti a scopare riscaldati dal dolce tepore del fuoco e del riscaldamento acceso al massimo. I suoi genitori non erano in casa. Giusy sedeva su una poltrona, intenta a sorseggiare un bicchierino di liquore, tanto per scaldarsi un po’. Ogni tanto guardava nervosamente l’orologio: sembrava aspettasse qualcuno. Era bella e sensuale come sempre, capace di piegare anche l’animo dell’uomo più freddo e insensibile a godere di tanta libidine. Indossava un corto abito nero, un po’ elegante, la cui minigonna era accentuata da una vistosa cintura sui fianchi, e la morbida e ampia scollatura scivolata sui seni, accentuava il suo lato migliore, tutta la carica erotica di cui era dotata. Le lunghe gambe abbronzate si ergevano superbe su stivali neri a punta dotati di chilometrici tacchi a spillo, atti a conferirle un’andatura sexy e ancheggiante, molle e nello stesso tempo aggressiva, come una pantera.
Il “dlin-dlon” del campanello la fece quasi trasalire. La ragazza corse alla porta.
“Francesco, sei tu?”
“Sono qui, Giusy” rispose varcando la porta Fra, avvolto nel suo giubbotto, un po’ infreddolito, vestito di nero da capo a piedi e con i lunghi capelli biondi buttati sul viso, che lo facevano assomigliare a una spia in missione segreta.
“Credevo non arrivassi più...” disse Giusy, baciandolo con passione.
“Quand’è che ti deciderai a lasciare quel cornuto del tuo... ex ragazzo? Così non dovremmo fare le acrobazie per stare un po’ insieme!” le disse lui.
“Beh... l’importante è che tu ora sia qui...”.
“Sai i rischi che corro...”
“Oh, il mio povero tesoro... vedrai che tra un po’ potremmo stare insieme senza problemi... Mi dispiace che tu corra il rischio di essere pestato a sangue da quel porco...”.
Fra osservò meglio la splendida panterona che gli si stagliava innanzi. Arrossì leggermente. Oh, certo che ne valeva la pena di correre quei pericoli!
“Se mi ami, porrai fine a questo casino...”.
Lui ora ricorreva al ricatto affettivo! Si sfilò il giubbotto, appoggiandolo all’appendiabiti nell’andito. Giusy lo osservò... le sembrava di scartare una caramella, la più gustosa del mondo... Osservò il fondoschiena perfetto del ragazzo, avvolto nei jeans attillati, e si leccò le labbra, lussuriosa. “Se mi ami, porrai fine a questo casino”... e lei lo amava? Questa era una domanda da un milione di dollari. Che lo desiderava alla follia, di questo sì, ne era certa. Prima o poi avrebbe mandato al diavolo quel cornuto del suo ex, per divertirsi finalmente col bel biondino. Ma non adesso. Cos’era che la teneva ancora attaccata al suo ultimo ragazzo, nonostante la breve e burrascosa storia fosse ormai finita? Lui la riempiva di regali costosi, questo forse. E le offriva della polvere di ottima qualità, di quella che sniffano i ricchi.
Giusy cinse con le mani i fianchi stretti e armoniosi del ragazzo. Lo baciò sul collo, e contemporaneamente portò le mani a sfiorarlo sul davanti... Le piaceva come lui si lasciava fare, lussurioso. Le piaceva quel suo atteggiamento da vittima del sesso, da dongiovanni consumato, da micio in calore che faceva le fusa. Fra, che aveva certamente capito le chiare intenzioni della ragazza, si ritrasse per un momento: “Scusami, ma là fuori mi sono congelato... Fammi scaldare un po’...”.
Si accoccolò di fronte al fuoco acceso, il volto sulle ginocchia, col riverbero del fuoco che imporporava il suo viso e faceva brillare i suoi fenomenali occhi color acquamarina, rendendoli quasi cangianti.
“Ti offro qualcosa da bere? Qualcosa che scaldi il tuo bel corpicino...” gli chiese Giusy, abbracciandogli da dietro le ampie spalle.
“Mmmm... sì. Un Avana Club”.
Fra mandò giù il bicchierino di rum tutto d’un fiato, sentendosi subito meglio.
Dopodiché, disse alla ragazza: “Devo fidarmi di te? Non è che tu mi metterai nei casini?”
“Te l’ho detto. È una questione tra me e lui. Ma ora basta parlare...”.
“Aspetta un attimo” la interruppe ancora una volta il ragazzo “...prima ho un regalo per te...”.
Prese dalla tasca una specie di involucro di carta, e lo aprì cautamente. Gli occhioni grigi di Giusy si illuminarono.
“Ohhh... non ci posso credere...”.
Dentro il pacchetto c’era nientemeno che una buona scorta di Marijuana.
“Fra... ma dove l’hai presa?”
“Oh, non è importante. Che ne dici di un assaggio?”
Entrambi si girarono una bella canna, e stettero romanticamente di fronte al caminetto, in silenzio, a farsi le coccole e a fumare la loro erbetta preferita. Poi, quando finirono, Giusy salì in grembo al ragazzo, baciandolo da togliergli il respiro...
“Mmmm... bastardello, regali così il mio cornuto non me ne aveva mai fatti!... Lo sai che sei il mio preferito... il mio puttaniere preferito!”
“Sei una gran troia, Giusy. Sai di essere bella e provocante, e usi questo per averne in cambio ciò che vuoi. Ma... a me non la fai, se è a questo che vuoi arrivare. Perché anch’io avrò qualcosa in cambio”.
E con un gesto, fece scivolare via dal corpo curvaceo della ragazza il sottile fodero di costosa stoffa nera, scoprendo quelle incredibili forme. Un pregiato tanga di pizzo nero copriva a malapena il pube della ragazza, rivelando invece la forma procace di quei fantastici glutei di marmo esageratamente all’insù, che rialzavano eroticamente i bei fianchi rotondi, conferendo una forma tonica e armoniosa alle sue curve statuarie. La vita era sottile, il ventre piatto e sensuale e i grandi seni si ergevano maestosamente, non avendo bisogno di alcun sostegno per star su da soli. La pelle era deliziosamente ambrata e liscia come la seta, ed era un piacere stringere e accarezzare quel corpo scultoreo.
“Ti stai eccitando, non è vero? Fammi vedere come ti ecciti quando pensi a scoparmi...” miagolò maliziosa la donna, liberando il cazzo del suo amante dalla stretta di boxer e jeans stretti. Era bello e flessuoso, grande al punto giusto e già semiturgido. Giusy si chinò tra le cosce spalancate di Fra, prendendoglielo in bocca e stimolandogli con la lingua la cappella arrossata.
“Che labbra da pompinara che hai, Giusy... Chissà quanti hai fatto venire così...”
“Mai uno bono come te” rispose di rimando la ragazza, riprendendo immediatamente il suo regale pompino.
“Basta, mi fai venire!” la interruppe Fra, volendo conservare il suo orgasmo per una solenne scopata.
Giusy gli sfilò la maglia, scoprendo il suo fisico statuario... due spalle perfette, proporzioni da far invidia all’Apollo del Belvedere, e due pettorali scolpiti, così belli da far venire voglia di mangiarli. Nel frattempo, il ragazzo si stava liberando di scarpe e pantaloni e, una volta bello e nudo come mamma l’ha fatto, non resistette all’eccitazione. Attirò Giusy sopra di sé, le scostò il perizoma e cominciò a sondare a colpi di cazzo quella passerina rasata e fradicia dall’eccitazione. Scoparono come animali, lì, sulla calda moquette, di fronte al caminetto acceso, riscaldati da quel calore paradisiaco, cullati dal loro respiro affannoso e dai loro gemiti di piacere che riempivano la stanza, insieme allo sbattere impercettibile del pube biondo di Fra sulla figa bagnata di Giusy.
Fra, ora sopra di Giusy, la fotteva con un rapido movimento d’anca, e lei lo incitava vivacemente e lo attirava a sé, sempre più in profondità, tenendolo per i suoi glutei sodi. Il ragazzo stava quasi per venire quando... lo schianto di un vetro in frantumi fece loro gelare il cuore nel petto. Dopo lo spavento iniziale, tremanti, col cuore in gola, i due amanti si coprirono alla meno peggio e si diressero verso la sala da pranzo, il punto da cui sembrava essere provenuto quell’improvviso scoppio di vetri infranti.
Qualcuno aveva tirato un sasso dall’esterno. Il vetro era spaccato e sul tappeto faceva mostra l’arma del delitto: una pietra abbastanza grossa, con un biglietto ripiegato legato con dello spago.
Fra si sedette sul divano. Aveva il batticuore e stava cominciando a preoccuparsi. Che avessero scoperto le sue tresche? Oltretutto, cominciava a risentire fisicamente del violento orgasmo che aveva sfiorato, e che era stato costretto a ricacciare indietro, interrompendo il tutto sul più bello.
Giusy spiegò il bigliettino e lesse:
CARA LA MIA PUTTANA, SPERO CHE GRADISCA IL REGALINO D’ADDIO, E SPERO CHE LO GRADISCA ANCHE IL TUO STALLONE, DI CUI MI STO PRENDENDO CURA PERSONALMENTE. IL TUO MARIO
“Oh, cazzo...” esclamò Giusy.
“Cazzo... siamo fottuti...” le fece eco Fra.
Francesco procedeva lungo la strada, avvolto nel suo chiodo di pelle, lo sguardo un po’ perso, la sigaretta tra le labbra, e quell’andatura disinvolta e un po’ oscillante che contribuiva a renderlo così fascinoso agli occhi femminili. Gli scocciava uscire così presto, lui che in vacanza era abituato ad alzarsi tardi, ma dopotutto doveva adempiere la missione che si era prefissato: procurarsi della buona Marijuana per la festa della scuola. Aveva tirato avanti e rimandato di giorno in giorno questo delicato compito da molto tempo, e ora aveva deciso: aveva fissato l’appuntamento, e che non se ne parlasse più. Come vedete, la Marijuana, dopo naturalmente il sesso, era una delle cose che accomunavano questo gruppo di amici. Era una questione di principio, per Francesco, procurarsi della roba e andare a quella festa: sarebbe significato ancora una volta combinare qualcosa con Erika, ed era questa una prospettiva che da sempre lo allettava. Erika aveva la sua stessa filosofia di vita, era sempre calda e disponibile a qualsiasi perversione. Nonostante ciò, Francesco non riusciva a capire cosa avesse di tanto speciale quella sgualdrinella pelle e ossa. A parte la puttanaggine, s’intende. Non era poi tutta questa bellezza, era un’ochetta, per certi punti di vista la poteva definire sufficientemente stronza per desiderare ardentemente di chiuderle la bocca da pompino con un bel cazzo, o di romperle per bene il culo. Era una sorta di rapporto amore-odio, desiderio morboso misto a voglia di castigarla per la sua immane troiaggine. Ormai Francesco dipendeva da Erika. Aveva un’attrazione esagerata per lei, anche se non l’avrebbe ammesso neanche a sé stesso. Mentre rimuginava tra sé questi pensieri un po’ confusi, giunse a destinazione. Si ricordò che in quell’incrocio, luogo dell’incontro con i pusher, abitava la rossa Giusy, la più fresca conquista del suo amico Fra.
Fra... ecco, c’era ricascato. Ogni volta che pensava al suo migliore amico, non sapeva perché, ma si sentiva bisessuale da capo a piedi. D’accordo, erano entrambi dissoluti, privi di scrupoli e pregiudizi, desiderosi di provare tutto, aperti a qualsiasi esperienza ambigua, ma quello era un argomento troppo delicato. Si conoscevano da una vita, avevano vissuto insieme le loro prime esperienze con l’altro sesso... erano tra i più ambiti dalle ragazze della scuola, i due dei del sesso... sembrava troppo assurdo. Francesco non sapeva cosa voleva veramente, eppure sapeva che prima o poi, qualcosa sarebbe successo.
Stava con la schiena appoggiata al muro, nell’angolo dell’incontro, proprio sotto casa di Giusy, lontano da sguardi indiscreti. Sorrise: con un piccolo sforzo d’immaginazione, riusciva a figurarsi i due amanti intenti a scopare nella lussuosa dimora della ragazza, belli tranquilli al calduccio. E lui rabbrividiva al freddo! Si stava innervosendo: perché quelle teste di cazzo non si spicciavano ad arrivare e concludere l’affare? Si apprestò ad accendere la sua terza sigaretta, e in quel momento sentì una brusca frenata all’angolo opposto, poi delle voci: “Eccolo, il bastardo! È lui!”
Due ragazzi, con un chiaro aspetto da pusher di periferia, gli si avvicinarono e lo afferrarono senza cerimonie per le spalle. Francesco si svincolò e inveì:
“Ehi, giù le mani, coglioni! Si può sapere che cazzo volete? Ho i soldi con me, non ho intenzione di truffarvi! Vendetemi la roba e facciamola finita!”
“Ma sentilo...” disse un altro ragazzo arrivato in quel momento, abbigliato con vestiti costosi e appariscenti, alto e con un fisico possente “Il topo è caduto in trappola! Ora me le paghi tutte, cannato di merda!”
“Di cosa stai parlando? Non ho fatto un cazzo!” si scaldò Francesco, sentendosi ingiustamente accusato.
“Non fare il finto tonto con me, puttaniere da quattro soldi! Lo spaccio era un pretesto per attirarti in trappola. E scommetto che, una volta concluso il fantomatico affare, eri già pronto a salire a scoparti la bagascia!” gli disse ancora, indicando con lo sguardo le finestre della casa di Giusy.
Francesco capì di essere caduto in un colossale equivoco. Che cazzo avevano combinato alle sue spalle? Lo strano accusatore gli si avvicinò ancora. Era almeno dieci centimetri più alto di lui, e più massiccio.
“Non è vero, Fra? Che sta per Francesco, dico bene? Mi hanno informato bene: capelli lunghi, amante delle canne, dongiovanni da strapazzo... non c’è dubbio”.
Uno dei ragazzi che l’avevano aggredito lanciò un sasso, mandando in frantumi un vetro della casa di Giusy.
Francesco non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Si ricordò, in seguito, di aver sentito qualcuno gridare: “Il regalino d’addio per la troia è sistemato! Che ne facciamo del bastardone?”
Poi... il buio. Il vendicativo ex di Giusy sferrò un pugno in faccia a Francesco, un colpo secco, con tutta la forza che aveva in corpo e una mira incredibile, colpendolo nel punto dove la fronte si congiunge con la tempia e il sopracciglio. Il ragazzo si portò entrambe le mani sulla parte colpita, e il suo volto si contrasse in una maschera di dolore. Dalla sua bocca non uscì altro che un flebile mugolio.
Si accasciò, perdendo i sensi. Uno dei ragazzi lo sorresse per le spalle, col chiaro intento di massacrarlo di botte: “Bellezza, non sverrai proprio adesso... Pensa che la festa è appena iniziata!”
Poi sentirono dei passi, una porta che si apriva. Lasciarono andare il corpo esanime di Francesco, e si affrettarono a battere in ritirata per non essere scoperti.
Fra e Giusy raggiunsero trafelati il luogo del delitto. Videro i bastardi fuggire via in moto, e il loro amico steso a terra e privo di sensi.

A quell’ora, Erika ancora dormiva sogni beati nel suo letto caldo. I suoi non erano in casa: ciò significava che poteva gestire come voleva quella deliziosa libertà, senza nessun impegno. Come avrebbe impiegato quella giornata? E prima ancora che si fosse completamente svegliata dalla nebbia del sonno che le ottenebrava la mente, aveva già espresso la sua preferenza: sesso!
Restò ancora qualche minuto a poltrire tra le lenzuola, cullandosi nelle sue fantasie, nei suoi sogni più dolci e osceni, con una mano che ogni tanto si insinuava a sviolinare tra le sue snelle cosce, sulla sua passerotta gonfia a bagnatissima. Aveva dormito nuda quella notte, approfittando del riscaldamento acceso, delle coperte calde, e del fatto che nessuno fosse in casa! Adorava la sensazione delle morbide lenzuola di seta che sfioravano la sua pelle, poggiandosi sui suoi capezzoli contratti e accarezzando il suo culetto. Era particolarmente calda quella mattina, e pareva che ogni parte del suo corpo potesse accendersi da un momento all’altro di eccitazione. Aveva voglia di cazzo. E allora, perché starsene a dormire, soltanto sparandosi qualche ditalino di tanto in tanto? Come avrebbe placato la sete di sesso che quella mattina le faceva bruciare tutto il corpo, a partire dalla sua fighetta rovente? Si alzò dal letto, raggiungendo nuda il bagno, per prepararsi ad una nuova, eccitante giornata all’insegna della perversione! Si fece una doccia, senza resistere alla voglia di masturbarsi ancora – sembrava che quella mattina avesse una calamita al posto della figa e le sue mani fossero di metallo – e restò a lungo ad ammirare, riflesso nello specchio a figura intera della sua camera, il suo aspetto da vera maialina da monta. I turgidi capezzoli, che spiccavano in cima ai suoi piccoli seni, sembravano due chiodini, tanto erano duri e protesi verso l’alto, eccitati. Si sedette sul letto e sollevò verso l’alto le sue lunghe, magre, bianche e chilometriche gambe, divaricandole e mostrando nello specchio la sua immensa passera nera, pelosa, riccia e invitante. Le labbra della figa, aperte, lasciavano trasparire al loro interno la carne rossa come la brace, eccitata, un lago bollente. I suoi morbidi fianchi erano stretti, ma a partire dalla vita molto sottile, si espandevano gradevolmente verso l’esterno, esaltando il punto forte: il suo eccitante culetto a mandolino, incredibilmente tondo da sembrare disegnato col compasso, e quella carne irresistibile, quelle chiappette candide e morbide, da stringere, mordere e palpeggiare, racchiudenti il suo secondo orifizio d’oro. Erika si mise alla pecorina, con le terga rivolte verso lo specchio, ammirando quello splendido mappamondo. La passerina faceva capolino tra le sue snelle cosce, e sembrava prender fuoco, tanto era rossa e calda. Il culo aperto mostrava il suo fantastico buchetto del culo, bello largo a causa delle grandi chiavate ma che, per magia, ogni volta che si faceva inculare sembrava bello stretto e avvolgente come se fosse la prima volta. Non resistette e si infilò un dito nel culetto, lentamente, osservando nello specchio il roseo anello di carne che si allargava a causa dell’intrusione. L’intenso profumo di femmina in calore riempiva la piccola stanza. Erika si fermò un attimo prima di venire: voleva che le rimanesse addosso quella voglia, e quello sguardo da gattina in calore che lasciava intuire, a chi la guardava, che era calda e affamata di cazzo.
Cominciò a scegliere con cura gli abiti da indossare quel giorno: voleva vestirsi da troia, arrapante come sempre. Decise infine di non indossare biancheria intima: aveva la figa in fiamme e pensò che l’avrebbe molto eccitata camminare per strada con la passerina all’aria. Il tempo freddo non diede alla nostra femme fatale la possibilità di scoprire più di tanto il suo corpicino caldo e voglioso, perciò decise di optare per un paio di calze autoreggenti pesanti sotto una minigonna rosa di seta, fatta apposta per svolazzare quando c’è un po’ di vento. Indossò un maglioncino nero con lo scollo poco pronunciato, avendo una seconda scarsa di seno ed essendo la giornata abbastanza fredda, e i suoi stivali di morbida nappa, che le arrivavano sotto il ginocchio e terminavano con un bel tacco alto. Si fece un trucco leggero, ma che nello stesso tempo le dava quell’aria ambigua da ragazzina in cerca di cazzi, in un misto di sensualità, rossetto e mascara. Raccolse i folti capelli castani in una bella coda e infilò il suo lungo e caldo cappotto peloso: sembrava una puttanella d’alto borgo.
Non appena la nostra lolita mise piede fuori casa, come per incanto, attirò lo sguardo e l’attenzione di ogni uomo che incrociava. Erika sorrise, divertita e soddisfatta: si sarebbe volentieri fatta sbattere da chiunque avesse incontrato. Bighellonò un po’ fino alla fermata dell’autobus, e poi decise di fare una bella visitina al suo amico Francesco: era convinta che una bella scopatina ci sarebbe scappata, e lui del resto non avrebbe mai disdegnato un bel pompino. Le dispiaceva un po’ celare il suo corpo caldo sotto un casto cappotto, del resto era freddo, e non aveva avuto scelta.
Ma una volta salita sull’autobus si sbizzarrì: dentro c’era molta gente, soprattutto ragazzi, come lei in vacanza, perciò decise di dare inizio al suo show da cavalla in calore. Là dentro, tra la folla e il riscaldamento acceso, si bruciava di caldo: perciò Erika, dopo un po’, si tolse il cappotto tenendolo in mano e mettendo in mostra le sue lunghe gambe e il suo sederino prominente, fasciato nella minigonna. Era come se chiunque avesse potuto intuire che sotto era senza mutandine. Alzò un braccio, aggrappandosi al sostegno, e in questo modo la maglia risalì, mostrando il suo pancino piatto e morbido, e la gonnellina a vita bassa risalì a sua volta, esibendo il bordo di pizzo delle autoreggenti. Si stava un po’ stretti là dentro: dopo un po’, Erika si accorse che un bel ragazzo sui vent’anni stava proprio dietro di lei, quasi a sfiorarsi, e sembrava proprio gradire il suo spettacolo.
Erika ne approfittò spudoratamente: ad ogni curva e frenata, faceva in modo, nella confusione, di sfiorare il corpo del ragazzo e, stabilito il contatto fisico, si piegò leggermente in avanti, strusciandolo proprio sul cazzo col suo bel culetto sporgente. E così, mentre l’autobus si affollava e si riempiva sempre di più, agevolando l’opera dei due maialetti, il ragazzo prese coraggio e fece scivolare la mano sulle natiche di Erika, dapprima sfiorandole lentamente, e poi, quando la ragazza si girò verso di lui, rivolgendogli uno sguardo d’intesa e leccandosi le labbra con fare voglioso, lui cominciò a palparle con decisione il culo, prima una chiappa e poi l’altra, morbide e sode come il burro. Erika abbandonò la presa sul sostegno dell’autobus, appoggiandosi con tutto il corpo su quel ragazzo sconosciuto.
Il ragazzo stavolta le insinuò una mano sotto la minigonna, tastandole le cosce oltre il bordo delle calze, ed ebbe un lampo d’eccitazione quando si accorse che la troia che si faceva maneggiare lì sull’autobus dal primo arrivato, era senza mutandine! Erika avvertì immediatamente, col pube del ragazzo poggiato sul culo, che il suo cazzo dava evidenti segni di irrequietezza... lo sentì premere tra le sue chiappe, duro ed eccitato. Nel frattempo, la mano del ragazzo salì fino alla sua figa bollente come un forno, e si accorse che era bagnata fino all’interno coscia!
“Puttana... sei tutta bagnata... ti stai eccitando come una vacca in calore, non è vero?” le sussurrò all’orecchio. Per tutta risposta, Erika sporse la mano dietro di sé, alla ricerca dell’uccello del ragazzo, e cominciò a massaggiarlo con maestria.
“A quanto pare, non sono l’unica, porco” gli rispose, di rimando.
Il ragazzo, fidandosi della ressa di gente che impediva a chiunque di vedere cosa stava succedendo là sotto, si aprì la patta dei pantaloni, sfoderando un arnese bello grosso e turgido e mettendolo in mano alla troia sconosciuta, cominciò a farsi tirare una bella sega. Nel mentre, raggiunta la passera della ragazza, le divaricò le labbra della figa e ci infilò un dito. Le eseguì uno splendido ditalino, frugandola per bene e solleticandole il clitoride turgido. Risalì poi lungo la spacca del culo e cominciò a stimolarle lo sfintere; successivamente, le infilò di colpo un dito nel buco – strappandole un gridolino che nessuno riuscì a udire grazie al brusio generale –, ravanando per bene quella voragine calda come la brace, penetrando più in fondo che poteva e cercando di solleticarla. Erika non resistette più: adorava come preliminare essere sditalinata e stuzzicata nel culetto, perciò ebbe un orgasmo che fu costretta a far sforzi sovrumani per non far intuire il piacere che stava provando. Si lasciò andare, tremante e affannata, sul corpo del ragazzo, che a sua volta le trattenne la manina sul suo attrezzo e le schizzò tutto il suo sperma sulla mano.
“Ora lecca la mia sborra, puttana del cazzo” le sussurrò ancora, ed Erika, ubbidiente e più infoiata che mai, si portò la mano alla bocca, leccando con finta noncuranza la sua bevanda preferita. Quando era così eccitata, era pronta a trasformarsi in una vera cagna sottomessa, una schiava del cazzo.
Entrambi scesero alla stessa fermata. Il ragazzo cercò di non perdere di vista una conoscenza così fruttuosa, le si avvicinò e le disse: “Ehi, tesoro, che ne dici di proseguire?”
Erika lo squadrò lussuriosa da capo a piedi. Era veramente un bel pezzo di ragazzo, alto, magro, un bel fisico, un culo meraviglioso, e poi aveva un tocco di cazzo, tastato con mano, che sarebbe stato un peccato lasciarsi sfuggire! Aveva i capelli corti tagliati alla moda, un viso dolce da finto bravo ragazzo, occhi limpidi castano chiaro, labbra un po’ carnose. Il faccino pulito contrastava nettamente con i suoi precedenti atteggiamenti da vero porco esperto di troie.
Entrambi arrapati dai vari palpeggiamenti sull’autobus, si imboscarono in un vicoletto buio, per dar sfogo alle rispettive voglie. Ad Erika poco importava di esser vista da qualcuno, da qualche finestra, farsi scopare lì in strada come una cagna: era troppo eccitata, la sua passerina era in fiamme e non vedeva l’ora di farsi sbattere. Mentre si dirigeva verso il vicolo, sentiva gli umori che dalla figa le colavano prepotentemente in mezzo alle cosce: non che le importasse tanto.
“Avanti, fa’ in fretta, che ho la figa in calore!” incitò il suo amante occasionale. Non c’era tempo per spogliarsi, ed era freddo: Erika si mise a 90° appoggiando le mani sul muro, raccolse il cappotto in vita e si sollevò la gonna, rimanendo col culetto al vento, alla mercé del suo scopatore. Il ragazzo per poco non venne nelle mutande, a quella visione. Sfoderò il cazzo dai pantaloni, se lo massaggiò qualche istante per renderlo bello duro, si infilò un preservativo e penetrò nella figa larga e bagnata della troiona, cominciando a fotterla come una vera vacca da monta. Erika cominciò a gridare a pieni polmoni, come un’assatanata, tutta la sua lussuria che veniva di colpo appagata: quel missile la stava sfondando, la sua figa era completamente aperta e sembrava un lago.
“Sfondami, bastardo, più forte, riempimi, fammelo sentire fino in gola, trattami come la tua puttana!” strillò Erika, al limite del piacere. Il ragazzo continuò a trapanarla sempre con maggior vigore; poi, di colpo, glielo sfilò fuori dalla passera sbrodolante.
“Beh? Già finito?” gli disse la ragazza, un po’ delusa.
“Stai scherzando? Penso solo che sia ora di cambiare buco, non è vero, troiona?”
Sul viso di Erika si allargò un grande sorriso. Il ragazzo le aprì le chiappe, puntò il suo bucone sfondato e se la inculò come una scrofa. Erika adorava farselo mettere nel culo!
“Ti piace, troia del cazzo, farti sfondare il culo?”
“Sìììì... e lo voglio più in fondo, più in fondo, spaccami in due, rompimi l’ano in mille pezzi!!!”
Il ragazzo stava godendo come un maiale mentre inculava quella bella cagna vogliosa e disponibile, trapanandole con forza il buco del culo, strofinando il cazzo tra quelle morbide e flaccide chiappette. Era
ancora stupito dall’incredibile colpo di fortuna di quella mattina: aver beccato per caso una troia così calda e infoiata, che gli stava dando tutto gratis senza manco sapere come si chiamava. Era inverosimile, sembrava di essere nel miglior bordello del mondo.
Le sfondò il culo per un po’, finché, ansimando come un disperato, al limite della sopportazione, venne e riversò una potente sborrata nell’ano strarotto della zoccola e successivamente, sfilandoglielo dal buco, completò la sua opera emettendo gli ultimi fiotti di sperma sulle gambe e sulla schiena, schizzandole le calze e la gonna.
Ripresasi dall’orgasmo, Erika si tirò su, rimettendosi a posto i vestiti. Sentiva la figa che, benché soddisfatta da quel bel cazzone, continuava a sbrodolare umori come un idrante; e alcune gocce di sperma caldo le colavano lungo le cosce dal suo culetto rotto e in fiamme.
“Veramente una bella chiavata!” commentò soddisfatto il suo uomo “chi avrebbe detto che avrei cominciato così bene la giornata? E’ stata una grande scopata: che ne dici di scambiarci il numero di telefono, così quando abbiamo voglia...”
“Te lo puoi scordare” rispose seccamente Erika, senza lasciargli nemmeno il tempo di terminare la frase “se te l’ho data gratis, è solo perché avevo voglia di cazzo nell’immediato... Sono una troia e mi scopo chi voglio e quando voglio. Mi servivi solo per una sveltina, perché morivo dalla voglia e ce l’avevo in fiamme. Te ne puoi anche andare. Come sai, di cazzi come i tuoi ne posso avere quanti ne voglio”.
Si allontanò ancheggiando. L’aria fresca del mattino, nonostante il lungo cappotto che indossava, le penetrava fino alla figa, solleticandola piacevolmente. Sì, quella giornata (come tutte le altre) all’insegna del sesso era proprio cominciata nel migliore dei modi, ma lei aveva ancora voglia....

Francesco riaprì lentamente gli occhi, e l’unica cosa che riuscì a discernere era la propria vista tutta offuscata. Era ancora intontito dal colpo, e cercava di riordinare le idee su ciò che ricordava. Non capiva dove si trovava. Non appena gli si snebbiò un po’ la vista, la prima cosa che distinse di fronte a sé fu il suo amico Fra. Poi si ricordò di ciò che era successo... quei luridi figli di puttana... Ebbe un riflesso d’ira e fece per alzarsi bruscamente e andare a restituire le botte a chi l’aveva conciato in quel modo senza motivo, ma una fitta di dolore alle tempie lo ancorò su quel letto.
“Ohi, che male... la mia povera testa... mi sta scoppiando... che male...” si lamentava per il dolore il ragazzo. Adesso che aveva ripreso completamente conoscenza, sentiva un male tremendo e riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti. A pochi centimetri da lui, sentì Fra che implorava:
“Grazie al cielo si è ripreso... Francy come ti senti? O mio Dio... sei rimasto svenuto quasi un’ora... Mi vuoi dire cos’è successo?...”
“Mmmm... questo dovresti dirmelo tu...” biascicò il ragazzo, con voce lamentosa e cantilenante, assente, mentre si portava una mano al lato del volto, dove gli doleva. Chiuse gli occhi, e pensò che la prima visione che aveva avuto da quando aveva ripreso i sensi, era stata la figura bionda di Fra... Davvero niente male, soprattutto pensando al suo amico che si prendeva cura di lui... doveva esserselo coccolato per bene, insieme a quella troia della sua amante. Del resto si trovava a casa sua, sul suo letto. Dovevano averlo trascinato lì in qualche modo, gli avevano sfilato il giubbotto, allentato bottoni e colletto della camicia e sciolto i capelli – che portava come sempre legati in un codino – per farlo sentire più a suo agio, più comodo.
Fra aveva divorato a lungo con gli occhi quella splendida figurina priva di sensi e dolorante, distesa sul letto, quell’espressione del viso così dolce ai suoi occhi, dalla quale traspariva certamente il fatto che sentisse male, impercettibilmente imbronciata, adorabile. Indossava una camicia leggera, con lo scollo aperto fino al petto, che lasciava trasparire il contorno dei pettorali in rilievo. Sospirò: quanto avrebbe voluto toccarlo, accarezzarlo, fino a fargli venire i brividi dal piacere. Osservava quel bel corpicino abbandonato: portava dei pantaloni beige un po’ stretti che, anche se non aderenti, erano sufficienti a disegnare ogni forma del suo fisico stupendo, compreso il delizioso rigonfiamento a livello dell’inguine. Fra sorrise in cuor suo: riusciva a figurarsi il membro dell’amico giacere morbido contro la coscia...
Ma perché ora stavano tornando a galla questi sogni proibiti? Decise che non era il momento migliore per farsi venire in testa idee strane. Aveva già combinato un disastro quel giorno, lui e la sua smania di farsela con Giusy: una ragazza bellissima, sensuale, calda come poche, ma pur sempre una troia. Adesso che ci pensava, forse non era molto meglio di quella maiala di Erika.
Francesco vide in quel momento Giusy. Fantastico! Quella ragazza aveva sempre acceso le sue fantasie. Prima o poi se la sarebbe trombata, in faccia al suo amico Fra, così gli avrebbe fatto scontare quest’incresciosa faccenda dell’ex geloso di lei. Era sicuro che quei due ci fossero dentro fino al collo, in quel terribile equivoco. Giusy stava lambendo il viso di Francesco con un fazzoletto di stoffa umido, lo bagnava sulle tempie, sulle guance, sulle labbra. Glielo mise sulla fronte, per dargli un po’ di sollievo.
“Dai... piantatela di trattarmi coi guanti, non sono mica moribondo, mi hanno solo rotto la faccia!” disse Francesco, sentendosi un po’ a disagio, con attorno a prendersi cura di lui due persone che si sarebbe fatto volentieri. Poi aggiunse: “Se m’incazzo, giuro che mi alzo da questo letto e vado a farlo a pezzi, quel figlio di puttana che senza motivo mi ha ridotto in questo stato!”
Per la seconda volta si tirò su, per poi ricadere subito disteso sul letto, a causa di un violento capogiro. Sentì le mani di Giusy sul viso:
“Ma sei pazzo? Ti conviene startene qui calmo e zitto... o vuoi che ti facciano un altro bernoccolo sulla fronte?”
Francesco scosse la testa: “Cazzo... sarò tutto gonfio! Quel bastardo mi ha sfregiato...”
“No, tranquillo” gli disse Fra “ti abbiamo messo subito del ghiaccio... Non si è rovinato il tuo bel faccino!”
In effetti, l’unico segno sul viso del ragazzo, a parte il sopracciglio spaccato, era un livido violaceo vicino alla tempia.
“Quanto siete spiritosi!” ribatté Francesco, alzando gli occhi al cielo, sarcastico “Riderei, se non mi facesse così male la testa...”.
Giusy riuscì, con una scusa, a trascinare Fra in un’altra stanza, con l’intenzione di parlarci in privato. Appena furono sicuri di non essere sentiti da Francesco, la ragazza puntò le sue belle unghie smaltate di rosso scuro sul collo dell’amante:
“Si può sapere che cazzo hai combinato? Sono sicura che ci sei in mezzo tu e quella tua stupida canna!” gridò esagitata, con voce isterica. Anche Fra alzò la voce:
“Ti vuoi calmare? Io non c’entro a niente! È probabile che l’agguato fosse indirizzato a me, anziché a Francy, ma io non ne sapevo nulla!”
“Mi dici come ti sei procurato quella droga?” incalzò Giusy.
Fra sembrò cedere. A Giusy sembrò di vedere il suo sguardo farsi torbido.
“No... non è importante... Non posso dirtelo. Ma sono sicuro che non ha niente a che fare”.
“Sarebbe meglio per te. Non dimenticarti che per colpa dei tuoi intrighi e dei tuoi capricci, quel povero ragazzo si è beccato una mazzata in fronte che per poco non ci restava!”
“Ah, lo difendi pure! Lui non è meglio di me, quanto a macchinazioni: non potrebbe esserseli cercati lui da solo i guai?”
“Fra, la riconoscerei tra mille la moto di quel cornuto di Mario! È successo sotto casa mia! E quello strano regalo d’addio, poi! Mario non può mica avercela con tutti i miei amici! Quindi, che c’entra Francesco? Tu hai combinato qualche strano affare a mia insaputa e c’è andato di mezzo lui!”
“Dai pure tutte le colpe a me, ma ti ricordo che se ci sono in mezzo io, la colpa per forza è anche tua! Tutto fa pensare che sia stata tu a combinare questo casino! Lo lasci, non lo lasci, vediamoci di nascosto, corna, scenate di gelosia, lui che ci scopre, le minacce... Francesco non c’entra nulla, e si è preso le botte solo perché tu non vuoi rinunciare a nulla e tieni il piede in due scarpe! Non hai nessuno scrupolo! Puttana! Perché sei avida, non sai scegliere: vuoi tenerti tutto, compreso lui, con l’imbroglio, facendogli mille corna, soltanto perché ti regala gioielli e droga di marca!”
Giusy scosse la testa, agitando i lisci capelli rosso fiamma: “Se non altro, almeno adesso è finita questa brutta storia...”.
“Già, e com’è finita? Quel vigliacco è diventato il nostro incubo personale! E domani potrebbe toccare a me o a te, di essere riempiti di botte dal tuo cornuto figlio di puttana! È assurdo... quello non si fermerà così, ce la farà pagare a tutti... a noi... ai nostri amici che ci hanno sempre tenuto il bordone! Assurdo... sembra di essere in un clan mafioso...”.
“Dobbiamo trovare una soluzione... non possiamo aver paura di uscire di casa!”
“Quale sarebbe secondo te la soluzione?” esclamò Fra, esasperato “Andare dal bastardo e dirgli ciao, sono io il puttaniere da quattro soldi che alla tua faccia si è scopato la tua donna per tutto questo tempo, spacca la faccia a me che sono l’unico, vero responsabile, e poi lasciaci tutti quanti in pace? Stai dando di matto?”
Giusy si accorse che il ragazzo aveva quasi le lacrime agli occhi per il nervoso, e capì di aver esagerato. Lo strinse a sé, abbracciandolo e accarezzandogli i capelli:
“Scusa... mi dispiace di aver addossato tutte le colpe su di te... Mi dispiace”.
“Lo so... è che mi sento già in colpa di mio... Tutto questo casino in cui ci siamo cacciati... che ci siamo creati da soli... E adesso c’è andato di mezzo il mio amico, che non ha fatto niente!”
Fra cercava di ricacciare indietro le lacrime. Non capiva neanche lui cosa gli stesse prendendo... aveva solo i nervi a fior di pelle.
“Senti, Fra” continuò Giusy “Io sono convinta che la Marijuana che ti sei procurato sia in qualche modo la chiave di tutto questo... anche se la colpa principale è mia, e delle mie tresche...”.
Francesco si era quasi assopito su quel letto, durante l’assenza di Giusy e Fra, intorpidito dal mal di testa e dalla debolezza fisica. Gli era sembrato di avvertire ad un certo punto qualcosa di umido che, a tentoni nella penombra, lo sfiorava all’altezza del naso, per poi congiungersi alle sue labbra... Sperava che qualcuno ne avesse approfittato per baciarlo, Giusy o Fra era indifferente, ma, concluse, doveva esser stato solo frutto della sua immaginazione.
Fra si ritrasse in tempo per non essere scoperto, poi disse con noncuranza: “Come va? Ce la fai ad alzarti? Ti accompagno a casa con l’auto della madre di Giusy...”.
“Sei pazzo?” gli rispose Francesco, tirandosi su con fatica e sbattendo le palpebre fino a mettere bene a fuoco “Non hai ancora la patente, lascia stare... Posso tornare a casa a piedi...”.
“Tu stai scherzando... Sei rimasto svenuto per un’ora, dico, e quei bastardi che ce l’hanno con noi potrebbero essere ancora in giro, pronti a riempirci di botte...
Solo per una volta, non mi beccheranno guidare senza patente, ho anche il foglio rosa... E che vadano a fanculo poi, è un’emergenza...”.
Francesco non si fidava molto della guida del suo amico, tuttavia non aveva una gran scelta. Salì in macchina, accoccolandosi sul sedile di fianco al guidatore.

Erika procedeva lungo la strada, avviandosi verso la casa del suo amico Francesco, e già si pregustava i futuri sviluppi... Quel ragazzo la faceva impazzire quando la scopava, erano sempre sincronizzati e pronti a mettere in atto nuove perversioni. Lui era un bastardo di prima categoria, e il sottile disprezzo che nutriva verso quella troia di Erika era reciproco. La ragazza considerava Francesco solo un piccolo puttaniere da strapazzo, un autentico porco, bravo a scopare, ma il resto... Sapeva quanto era maiale, viscido e maschilista, soprattutto nei suoi confronti, e sapeva che, pur non disdegnando mai una sana chiavata con lei, in fondo la considerava poco più che una squallida vacchetta provvista di buchi accogliente fatti per essere riempiti di cazzo. Eppure nessuno di loro poteva fare a meno della vicendevole complicità.
La giornata, nonostante il freddo del mattino, ora si era messa al meglio ed era uscito anche il sole; così Erika, che cominciava a sentire caldo sotto il cappotto pesante, decise di toglierselo, gridando in questo modo al mondo che sotto la gonna era senza mutandine, oltre che infoiata come una cagna. La lunghezza della minigonna era al limite della decenza (la copriva appena fin sotto le chiappe) e bastava un filo di vento per scoprirla ancora di più... Era ancora eccitata, nonostante l’esordio mattutino, e sentiva il buchetto posteriore pruderle a causa dell’inculata appena ricevuta... Tanto che avrebbe voluto ricevere presto un altro bel cazzo su per il culo.
Procedeva sculettando sul marciapiede, con ogni tanto qualche ragazzo che cercava di infilarle lo sguardo sotto la minigonna, per verificare se effettivamente la troia fosse senza mutande, quando vide fermarsi al suo fianco una macchina, con a bordo nientemeno che i suoi due stalloni preferiti! Non credeva ai propri occhi... Fra il biondino e Francesco, il bel tenebroso con lo sguardo fasciato dagli occhiali da sole (in realtà era per mascherare l’occhio nero).
Gli occhi di Erika si illuminarono di malizia. Quando i due ragazzi si fermarono, lei si precipitò da loro e si chinò verso il finestrino aperto della macchina.
“Ehi, ciao, ragazzi...” li salutò giuliva, con fare da ochetta che non passò inosservato ai due donnaioli “che vento tira?”
“Di tempesta!” rispose Francesco, irritato.
“Francy... che hai... ti vedo strano, sei pallido... è successo qualcosa?” chiese la ragazza, con un velo di preoccupazione. Non era da lui starsene così dalle sue, senza neanche provare a adescarla.
“Cosa mi è successo?” le rispose il ragazzo, che dopotutto voleva sfogarsi con qualcuno “Di tutto, Ery, di tutto... non me ne parlare...”.
“Aspetta” lo interruppe la ragazza “salgo in macchina, così ne parliamo con calma...”.
Un po’ le dispiaceva distogliersi da quella posizione: chinata quasi a 90° sul finestrino, incurante del vento che, agevolato dalla sua posizione, le alzava di tanto in tanto la gonna al punto di mettere eroticamente in mostra per un secondo culo e fica della zoccoletta. Solo a questo pensiero, Erika si bagnò tutta, e il liquido cominciò ad innaffiarle la passera e in mezzo alle cosce.
Salì in macchina, senza curarsi della gonna che si sollevò mostrando ancora una volta, per una frazione di secondo, la sua figa pelosa fino alla spacca del culo. Fra era troppo impegnato a guidare, e Francesco era troppo sconvolto per badare alle sue troiesche manovre.
“Allora Francy... cosa ti succede?” mugolò Erika, allungandogli una carezza sul viso.
“L’appuntamento col pusher è stato un’inculata più grande di me! Sono senza Marijuana, e pestato a sangue da quattro delinquenti!” rispose sconsolato.
Erika scrutò attentamente il suo viso. Francesco teneva gli occhiali scuri e i capelli buttati in faccia, per nascondere i segni delle botte.
“Infatti... lo vedo...” disse infine la ragazza “sei tutto viola! Ma com’è possibile che sia scoppiata una rissa? Era tutto in regola... Non avrai cercato di truffare?...”
“Ma cosa dici... Erika, lo sai che non è da me imbrogliare in queste cose! Sono loro che hanno ingannato me!” le si fece più vicino “Non c’era nessun fottuto spacciatore, e nessuna fottuta Marijuana! Era un trucco, ben riuscito, a quanto pare, per farmi cadere in trappola... Ma l’agguato non era rivolto a me... Sono caduto in un maledetto equivoco!... Se questa non è sfiga...”.
Erika annuì, ma non disse una parola. Fra invece sembrava preoccupato. Se avesse raccontato all’amico ciò che effettivamente pensava ci fosse sotto, era sicuro che si sarebbe incazzato con lui. Doveva trovare il modo di aggirare l’ostacolo. In ogni caso, la colpa principale era dei doppi giochi e delle nefandezze di quella sgualdrina di Giusy.
“Francy, hai riconosciuto chi ti ha aggredito?” gli chiede infine.
“Come, se l’ho riconosciuto? Ma è l’ex cornuto di Giusy! E ti posso anche dire tutti i miei sospetti sul fatto che secondo me, ci sei dentro anche tu in questa storia, non è vero?”
“In un certo senso... Ma non è stata colpa mia... Cioè, in parte. Giusy veniva a letto con me, ci vedevamo di nascosto, ma lei continuava a stare con quel becco arricchito perché le piace la bella vita... regali, locali raffinati, polvere di prima qualità... Però ama anche scopare con me. Sono meglio di quel cornuto impotente! Giusy mi ha detto che per tutto il tempo che sono stati insieme, è stata una noia mortale, da quel punto di vista. Mario non ha mai brillato per fantasia, niente all’infuori della solita scopatina convenzionale in camera dei suoi, alla missionaria, e per di più se ne veniva subito, come un coniglietto!”
“Insomma, Fra, non siamo qui per fare dello sputtanamento gratuito!” obiettò Erika.
Fra la squadrò dallo specchietto, domandandosi che forse quella bagascia sapeva molto di più di quello che diceva di sapere.
“Era inoltre geloso in modo irrazionale, e Giusy è molto... insomma, abbastanza dissoluta. Troia, se vogliamo. Lui ha scoperto le sue infedeltà per diverse fonti, ha cominciato a indagare, farle delle scenate, e adesso vuole farla pagare non solo all’amante di lei, che non sa di preciso chi sia – si è visto – ma, per tagliare corto, a tutti i nostri amici che ci hanno retto il gioco!”
“Insomma, mi stai dicendo che è tutta colpa tua!” asserì Francesco, al quale, logicamente, non era andata giù la faccenda del cazzotto in faccia senza motivo.
“Se ci siamo dentro tutti, ognuno di noi avrà la sua fetta di colpa!” aggiunse Fra, seccato “perché anche voi, col vostro chiodo fisso per le canne, ve la siete sempre andata a cercare! Quei bastardi hanno scoperto un nostro punto debole, e gli è stato facile fregarci!”
“Quindi, vuoi dire che ormai hanno capito di aver sbagliato bersaglio, e la prossima volta contano di rompere il faccino a te?... Pensaci, è stato facile confonderci, per omonimia, capelli lunghi, fortunati con le ragazze, intrallazzati nell’acquisto di erba... Queste, sono le informazioni che hanno raccolto” disse Francesco, riflettendo quasi tra sé.
“Non vi starete vantando un po’ troppo?” si intromise Erika.
“A proposito, Fra” proseguì Francesco “è vero che, poco prima di andare da Giusy, ti sei procurato della droga?... Se avessi la cortesia di dirmi come...”.
Erika e Fra si scambiarono un rapido sguardo d’intesa attraverso lo specchietto. Nessuno di loro rispose. Francesco non insistette, ma capì che entrambi nascondevano qualcosa. L’unica certezza che aveva, era che almeno non lo avrebbero pugnalato alle spalle.
Fra, che si era troppo distratto coi loro discorsi, intento a coprire le malefatte, si accorse all’ultimo momento che il semaforo era rosso.
“Attento!” strillò Erika con voce stridula.
“O mio Dio...” gemette il ragazzo, quasi in un grido di terrore, gli occhi blu dilatati e il viso contorto dallo spavento. Inchiodò il piede sul freno, ma questo non riuscì ad evitargli di tamponare una macchina che procedeva nell’altra direzione.
Fra aveva il cuore che gli batteva a mille. Stava guidando l’auto dei genitori di Giusy! Tra l’altro, adesso sarebbero arrivati i guai seri, dal momento che non aveva ancora la patente!
Accorse un vigile urbano, con un piglio tutt’altro che severo, quasi annoiato da un’altra uggiosa giornata. Chiese la patente all’improvvisato guidatore.
“Non ho la patente, ho solo il foglio rosa. So che non posso guidare così, ma è stata un’emergenza...” rispose il ragazzo, quasi in maniera automatica. La sua voce non era completamente ferma, ed era di colpo sbiancato. Il vigile doveva per forza fargli la contravvenzione. Ora arrivavano i guai seri.
“Oddio... che cazzo faccio adesso? Perché capitano tutte a noi? Proprio una cazzo di multa, adesso... Non ho soldi da gettare ai cani, porco Giuda!”
“Che spilorcio! A quanto pare, i soldi ce li hai solo per comprarti le canne e per fasciare quel corpicino da dio in abiti attillati che mettono in mostra tutto quel ben di Dio e ti rendono ancora più bono!” cinguettò Erika, che voleva sdrammatizzare la situazione del cazzo, ma allo stesso tempo, cercava sempre di far colpo su Fra, e di adularlo.
“Tu scherza pure” le rispose il ragazzo, notevolmente incazzato “ma ormai nella merda ci sono io più di tutti!” diede un colpo al volante, con stizza “Non bastava tutto quello che ci sta succedendo...”.
“Ehi, calma” aggiunse Erika, ammiccando. Sul suo viso era comparso uno strano sorrisetto malizioso “Scommettiamo che io riesco a risolvere facilmente la questione?” e puntò lo sguardo sull’espressione poco professionale dell’addetto al traffico.
“Mi prendi per culo? Cosa ti sta frullando in testa?...”
Senza dargli il tempo di fare altre domande, Erika sgusciò fuori dalla macchina, con un movimento sinuoso e sensuale, mettendo in mostra le lunghe gambe lisce e impeccabili, fasciate da quelle calze sexy. Aveva ancora sulla gonna e sulle calze qualche schizzo di sborra del ragazzo dell’autobus.
Dentro la macchina, i due ragazzi, attoniti, videro la zoccoletta parlare col vigile, come se stessero raggiungendo tra loro un qualche strano accordo. L’uomo aveva sulla quarantina d’anni, e dava l’idea più di un padre di famiglia infedele alla propria consorte, piuttosto che di una guardia intransigente. I due si allontanarono, e Fra e Francesco già sospettavano le trame dell’astuta puttanella.
Erika non tornò prima di una buona mezz’ora. Risalì in macchina. Aveva un’aria un po’ arruffata e ansante.
“Ecco fatto” disse “Fra, ti ho appena salvato il culo. Hai già deciso come ti sdebiterai?”
Fra era senza parole.
“Ti va di raccontarmi cos’hai combinato?... Anche se già me lo immagino...”.
Erika, ancora più eccitata di prima, non vista dai due ragazzi, non resistette: si mise una mano in mezzo alla minigonna e cominciò a masturbarsi la passera che sbrodolava liquidi a iosa, nonché lo sperma appena ricevuto.
“Ti ho pagato io la multa...” annunciò Erika.
“Cosa avresti fatto?!”
“Ho pagato la multa... in natura!...”
“Ti pareva! Non perdi occasione, tu, per comportarti da troia!”
“E invece dovresti ringraziarmi! Se non fosse stato per me, a quest’ora saresti nei casini! E ricordati che in qualche modo dovrai sdebitarti per il favore!”
“È vero... scusa... Dai, raccontami tutto! Lo sai che riesci sempre a farmi eccitare!”
Erika era contenta di tenere il bel Fra in pugno. Quel ragazzo la intrigava non poco, anzi, a dire il vero, le piaceva in pratica da sempre. Avevano scopato insieme di tanto in tanto, soprattutto quando organizzavano delle gang-bang per provare a soddisfare l’insaziabile Erika, ma non erano mai stati veramente insieme. Questo perché quella serpe di Francesco si era sempre messo tra loro, geloso com’era dell’uno e dell’altra. L’intrigante Francesco, per tenerli distanti, aveva sempre sputtanato Erika col suo amico, coi suoi ragionamenti misogini, descrivendola sempre come una squallida troietta ninfomane, una zoccola schifosa, niente più che un insieme di buchi per cazzi. Gli diceva che Erika era sì una troia sempre vogliosa e disponibile, calda come nessun’altra, ma che lui era un bel ragazzo e poteva avere di meglio di quel manico di scopa insaziabile; che lei era sì troia ma esteticamente non valeva proprio un cazzo, e non perdeva occasione per dipingerla come una mera puttanella racchia e vorace.
“Ho semplicemente detto a quel bastardo del vigile” cominciò a raccontare Erika “che non avevamo con noi i soldi per pagare la multa, che era stata un’emergenza... e gli ho proposto di chiudere un occhio per una volta e accettare un pagamento in natura. Lui ha accettato, ma in cambio per almeno mezz’ora avrei dovuto assecondarlo in ogni desiderio. Come la sua schiava, la puttana del suo cazzo. Mi ha condotto nel bar lì vicino, palpeggiandomi esplicitamente il culo per tutto il tragitto come per far capire ai passanti che era in compagnia di una mignotta. Appena siamo entrati nel bar, ha chiesto al proprietario le chiavi del bagno, rendendo chiaro a tutti che aveva da fare con la sua troia. Tutti quei porci dei suoi amici depravati hanno cominciato a squadrarmi da testa a piedi con fare voglioso, mi hanno letteralmente scopato con gli occhi, soffermandosi soprattutto sulle cosce e sul culo, e io mi sono eccitata, come mi succede quando mi sento desiderare da un branco di uomini arrapati che stanno letteralmente sbavando, e ho cominciato a colare. Poi quel bastardo mi ha portato nel bagno e ha chiuso a chiave. Mi ha subito alzato la gonna e ha infilato brutalmente un dito nel mio culetto, toccandomi tutta e frugandomi per bene, mi insultava e mi dava della zoccola per com’ero tutta bagnata dall’eccitazione e senza mutande con la fica al vento. Era arrapatissimo... Mi ha sbattuto in ginocchio al cospetto del suo cazzo e me l’ha schiaffato in bocca tenendomi per i capelli. È stato molto autoritario, godeva e guidava il mio movimento bocchinaro come meglio gli pareva. Stava per sborrarmi in gola ed io lì per lì credevo di potermela cavare con un pompino e via, ma mi sbagliavo. Mentre stavo a quattro zampe a spompinarlo, con la gonna arrotolata in vita e le chiappe al vento, è entrato qualcuno di soppiatto nel bagno e senza che me ne accorgessi in tempo me l’ha piantato dritto in figa. I due mi hanno infilzato come una porchetta allo spiedo e sbattuta come una zoccola. Godevo come una vacca e sbrodolavo come un idrante. Avevano entrambi degli uccelli veramente notevoli, due veri nodosi bastoni che alla fine mi hanno sborrato in faccia, allagandomi di sperma caldo fino ai capelli, e alla fine mi hanno imposto di uscire dal bar con gli schizzi di sperma sul viso e la gonna un po’ sollevata in vita, in modo da rendere ancora più palese che ero senza mutande e tutta bagnata”.
Erika concluse il suo resoconto. L’eccitazione l’aveva resa ancora più sboccata, più accurata nei particolari più osceni. Si era infervorata, soltanto raccontando di quanto aveva goduto, e aveva accumulato tanta di quell’energia repressa che per calmarsi fu costretta a mettersi a masturbarsi lì sul sedile posteriore, a cosce larghe, con la gonna alzata. I due ragazzi, benché entrambi eccitati dal suo racconto, non si erano ancora accorti dei suoi maneggi là dietro. Erika avrebbe tanto voluto, in quel momento, un bel cazzo da sbocchinare. Così non le bastava. Poi le venne un’idea: tolse fuori dalla borsetta il suo grosso fallo di lattice, che teneva sempre in borsa per le grandi occasioni, e se lo inserì di getto nell’ano. Quando si masturbava, aveva sempre bisogno di avere qualcosa ficcato nel culo. Se ne venne così, finalmente, con un missile nel retto e una mano impegnata a pastrugnarsi la figa pelosa e fradicia.
Fra, che stavolta teneva bene d’occhio la strada, aveva ora ben altri pensieri per la testa: il suo amico Francesco. Gli piaceva così tanto... e si era sentito di punto in bianco così in colpa verso di lui. Gli dispiaceva che si fosse preso le botte per causa in parte sua. Povera stellina, chissà quanto gli aveva fatto male quel pugno in faccia, era persino svenuto.
Parcheggiò l’auto di fronte alla casa del suo amico. Disse a Erika di aspettarli in macchina, e poi, con la scusa di accompagnare Francesco, entrò in casa, volendo restare da solo con lui. Della sgualdrinella si sarebbe occupato più tardi.
Francesco gli sembrava molto provato.
“Cazzo... sono a pezzi, chi me l’ha fatto fare andare a procurarmi quella fottuta Marijuana...”
“Ti fa ancora male? Io... mi dispiace” gli disse Fra.
Francesco scosse le spalle, guardandolo dritto negli occhi:
“Come usciremo da questo casino? E soprattutto, io che c’entro nelle vostre tresche? Neanche Erika me l’ha contata giusta...”
“Te l’ho detto, quel bastardo ce l’ha con tutto il nostro gruppo. Ci odia perché pensa che abbiamo tutti a che fare con le infedeltà di Giusy”.
“Non ha mai saputo dei nostri incontri di gruppo... era convinto che Giusy avesse soltanto una consueta relazione con l’amante ufficiale... Se sapesse cosa gli combinava alle spalle...”.
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