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BDSM 2.2. - Arrendevole complice -


di geppettino2003
01.09.2022    |    3.551    |    0 9.6
"Lascio alla mia figura di esaltarsi nel suo conturbante essere..."
Che mi sta succedendo? Come posso spiegare a me stessa, le sensazioni che sto provando. Mi sono lasciata convincere a vestirmi come - una di quelle - Sapere di essere guardata e non smettere di mostrarmi oltre il corretto, il giusto.
Confesso: che la cosa mi ha intrigato!
Ammetto che dietro la classica signora per bene, c’è la bella femmina a cui piace spingersi oltre ad un lecito esibizionismo.
Mi sono ritrovata in quella mia innocente disponibilità, a concedermi ad un intrigante gioco al quale, complice, ho voluto partecipare lasciandomi trasportare, anche quando mi ha offerto la possibilità di fermarmi. Perché non l’ho fatto?

Ora in piedi appoggiata su di un alto sgabello, il corpo stirato in un equilibrio instabile sugli alti tacchi, rivivo quelle intime emozioni del mio passato nel sentirmi lusingata, guardata, ammirata, aspettando l’imminente dopo.
Lascio alla mia figura di esaltarsi nel suo conturbante essere. Per attimi la vergogna del mio propormi è sconfitta dall’intrigo di essere desiderata.

Scuotono i miei pensieri sue interessate dita sfiorare, a fil di pelle, la nuda schiena. Da sopra il vestito, lentamente, si spostano sul seno, ne seguono il delicato disegno. Secondi di un lungo tremore quando scivolano, sui fianchi, sfacciate sollevano, al limite della decenza, il bordo della cortissima gonna, fin quasi a scoprire morbide natiche, senza alcun mio cenno di ribellione.
Sul suo volto un sorriso ambiguo,
“Del tuo passato vivi i ricordi più belli, quella trasgressione che tanto ti intrigava, dimentica quelli tristi, cancellali dalla tua memoria, e lascia al corpo di vivere ora il tuo presente”

Mi sforzo sorridere con in testa la preoccupazione delle sue parole. Una riflessione attanagliarmi: è solo adulazione o il suo fare nasconde desideri, fantasie, o sporche voglie?
Non so se oppormi o ubbidirgli senza reagire.

“So che ti sto preoccupando, ma lascia che risvegli quei tuoi momenti, quelli più intriganti”

Sento quelle dita risalire dal righino delle nere calze, arrivare alle nude cosce, impreziosite dal bordo più scuro della delicata seta, giocare con le frivole stringhe del reggicalze.
Sul corpo subentra l’emozione del suo fare. Sento intensi brividi risalire la nuda schiena, con la mente che cerca di ribellarsi ma il corpo non intende seguirla. Dovrei reagire, sicuramente devo farlo, specialmente quando, un attimo dopo, sfrontato, palpa morbide chiappe, ma non ci riesco.
Il viso mi diventa in poco di fuoco, neanche suo padre mi ha mai trattata in un modo così osceno. Non riesco a definire il mio rossore, sicuramente vergogna, ma anche consapevole scelta nel non far nulla per evitare di sentirmi trattata così.
Mi viene un nodo alla gola, che posso mai fare? Voglio che smetta, lo supplico con un filo di voce.
“Ti prego, non qui.”

Mi zittisce con lo sguardo.

“Una femmina come te non può che vivere l’emozione di essere apprezzata nel suo vero proporsi, libera di farlo ovunque, senza nessuna paura o limiti imposti dalla vergogna.”

Un tono sensuale, sussurrato, ma fermo che mi turba, e non poco, le mie resistenze cedono e come se mi stessi calando in quella parte che appartiene al mio passato e che desidero tanto ritorni. La parte della provocante zoccola!
Mi sembra di vivere in un incubo, uno di quei momenti in cui non ci si può muovere, non si riesce ad uscire, non ci si può sottrarre. Ho la testa che ronza, presa da mille pensieri, ed un languido calore diffondersi tra le cosce.
Attimi per determinarmi, oppormi o subire. Quel forte calore, è qualcosa che mi confonde, che non mi aiuta a pensare, a decidere. Soggiacere al suo fare mi terrorizza e mi intriga allo stesso tempo. Inerme nelle sue mani, ma non posso lasciarlo fare. Ancora una supplico a fermarsi, ma non prende in considerazione la mia preghiera.

“Se vuoi, puoi fermarmi, dimmi basta e tornerai ad essere quello che, ora, non vuoi essere. Solo l’amorevole, e severa, madre che conosco. Se, invece, vuoi gioire di quelle intime emozioni che il destino ti ha sottratto, se vuoi rivivere quello che il tuo corpo e la tua fantasia, desiderino oggi più di allora, lasci a me l’opportunità di farlo. Voglio scoprire sino a che punto sei disposta ad osare!”

Riconosco che ha ragione, in fondo non mi sto ribellando al suo palparmi, ed ora seminuda sono davanti a mio figlio che si offre uomo.
Lascia a me la scelta. Ma cosa fare? Cosa dover fare ora che mi ritrovo coinvolta in un gioco pericoloso, altamente provocante, che sfida la mia volontà.
La sensazione delle sue mani mi danno emozione, non solo per come mi tocca, ma per come mi tratta, - una di quelle - questo sono ora per lui!
Con in mente quel suo richiamo ad osare comincia a prendere forma la sua follia, la paura assalirmi in cerca di una spiegazione.
Quelle mani, sempre più sfacciate, scivolano sui fianchi, armeggiano con l’esile filo del perizoma, con sempre più debole il mio cercare di fermarlo.
Solo attimi e quell’esile filo si spezza, spaventata mi scuoto, ma non riesco a fermare il scivolare di quello straccetto di tessuto ai miei piedi. Stordita lo spingo sotto l’alto sgabello. Lento il suo chinarsi, raccoglierlo, portarlo al viso e, nel guardarmi, sfrontato, inebriarsi del mio profumo di femmina.

Un fare che mi sconvolge.
È debole la mia reazione. Non un cenno di ribellione, al contrario cedo, senza oppormi, addirittura senza riuscire a reagire. Non riesco più ad avere cognizione di cosa mi sta succedendo, sono frastornata, disgustata e al tempo stesso, mio malgrado, mi abbandono ad una sua mano sulla spalla invitarmi a chinarmi in avanti. Lo guardo incredula senza capire il perché di quella richiesta. Con un’espressione tra il compiaciuto e l’autoritario ripete il suo invito.
Senza avere la forza, né la volontà, di oppormi, con il petto gonfio, ed il cuore che batte vigorosamente, ubbidisco tremante. Mi chino lentamente presa da irreprimibile vergogna, consapevole che facendolo mostro più delle mie natiche. Eppure lo faccio al salire di un torbido piacere.

“Davvero un bel vedere!”

Resto china, inerme, al suo sporco commento mentre riprende ad accarezzarmi le natiche, tastandole con più vigore.
“È un culetto sodo, scommetto che ha già apprezzato il piacere di offrirlo al tuo uomo! Non posso credere che papà non ne abbia mai gioito.”

Un tono calmo, sussurrato all’orecchio, ma fermo nella sua sfacciataggine!
Sconvolta ascolto con distrutta in me ogni minima sensazione di pudore. Sento battere ancora più forte il cuore in gola, e un secco colpo allo stomaco privarmi del respiro.
Scuoto la testa, mio malgrado con una strana sensazione al basso ventre, risalire l’intero mio corpo, arrivarmi in testa ed inibirmi ogni giusta, e ferma, reazione.
Senza riguardo prendo atto che lui non è più lui, mio figlio, ma un uomo che sa come imporre la sua volontà ad una donna, che vuole essere trasformata in troia. Sa come stimolare quel mio essere nascosto di madre. Dovrei essere arrabbiata, seccata, impaurita, piena di vergogna, ma nessuno di queste sensazioni ha il sopravvento in me. In questo momento sono intrigata dal non essere più la seria e amorosa mammina ma solo quella femmina a cui piace esibire il proprio corpo. Assalita dalla convinzione che è piuttosto intrigante accontentare le sue richieste, e fare cose che fino a qualche giorno fa mai avrei pensato potessero accadere, mi abbandono al suo chiedere. La mano spinge le spalle ancora più in basso facendo in modo che il mio sedere sia spinto più in alto, sono così ben visibili le mie parti più nascoste.
Quella mano scivola dalla schiena sino alla piega del nudo culetto, un dito lento percorrere il taglio che divide morbidi glutei sino a sfiorare, perverso, delicate intime labbra. Non riesco a reagire, forse non voglio farlo. Non controllo il mio corpo tanto che, mio malgrado, muovo il sedere così da offrirmi ancora più oscena.
È come se mi stessi eccitando. Ma forse è proprio così!

Lunghi secondi di un intenso oblio, per scostarsi da me, girando su me stessa, mi lascio ammirare nel mio essere, non solo sensuale.
Al suo fotografarmi, sobbalzo, istintivamente, d’istino cerco di coprire una figura scoperta da quel suo spudorato fare. Solo attimi e lascio che immortali la trasgressiva - una di quelle -
Ripetuti scatti immortalano il mio essere, facendomi si vergognare ma dover ammettere che mi intriga farmi riprendere!

Guardarlo, e non governare gli occhi fissare il suo corpo di uomo, attimi per restare sconvolta dal disegno di un sesso che chiaro manifesta un meraviglioso essere sfacciato.

Lentamente mi volto per restituirgli la mia figura per come è riuscito a trasformarla. Pochi attimi e cinge le mie spalle in un abbraccio, impedendomi ogni movimento.
Sfrontato spinge il bacino sul mio corpo, lasciando ai miei tremori di percepire netta, tra le nude chiappe, il duro sesso eretto.
Sussulto allo sporco contatto!

“Sono certo che ti è piaciuto vivere il dolore di essere sodomizzata!”

Una riflessione secca, che mi sconvolge. Ho paura. Anche se ancora un po’ riluttante, e arrabbiata, per quelle sue volgarità accetto il suo spudorato, forte, stringersi a me.
Sento le forze abbandonarmi ed è immediato l’istinto di divincolarmi, ma i miei movimenti facilitano il suo prepotente premere la sua eccitazione contro il mio corpo. Chiaramente percepisco, tra le natiche, la forza del suo essere maschio gioire al crescere dei miei intensi tremori.
Alzo lo sguardo e cerco i suoi occhi riflessi nel grande specchio davanti a noi, non controllando il muovere, spontaneo, del bacino contro il suo, non voglio ma colgo la forza di quella eccitazione.
Avvicino ancora, e ancora, il mio culo verso quel duro sesso che inibisce ogni mia più giusta azione. Spingo il mio corpo contro il suo, sento la sua eccitazione pronta ad esplodere, e la mia assalirmi.

Resto di pietra, quasi paralizzata dal mio fare, quando, allontanandosi di un passo, una mano schiaffeggia scoperte natiche facendomi sobbalzare. Non trattengo un secco urlo di sorpresa, dolore, misto al salire di un infido piacere.

Attimi e, priva di razionale volontà, mi siedo su quell’alto sgabello mi abbandono ad un inatteso raccogliere una gamba facendo sì che la gonna si sollevi ben oltre l’attaccatura delle calze, mostrando le lunghe cosce che, allarga impercettibilmente, per lasciarlo gioire del mio nudo sesso.
Come ieri sera appoggiata a quell’albero mi lascio immortalare, ma ora con uno spirito diverso con in testa una considerazione sconvolgermi: sino a che punto sono disposta ad osare, e sfidare, il peccato.
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