Lui & Lei
Amparo - Protezione 1

11.07.2024 |
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“Amore mio, un consiglio; prendi questa storia meravigliosa che hai vissuto, mettila nella scatola dei ricordi più segreti che hai e dimenticala..."
L’aria primaverile è l’ideale per questa passeggiata che posso permettermi in via dei Fori Imperiali, diretta al Colosseo, mentre sfoglio un’ultima volta il libretto di Javier, che oggi pomeriggio dobbiamo presentare all’Accademia di Spagna con l’autore, un mio carissimo amico, poeta sensibile e delicato che ha chiesto la traduzione, per questo suo ultimo poema, a un altrettanto delicato poeta italiano che purtroppo non conosco ma in cui lui ha massima fiducia.L’uomo che cammina quasi a fianco a me, distanziato di meno di un metro, ha l’aria del classico latin lover, affascinante e conquistatore; il modo di ‘spogliarmi con gli occhi’ come se avesse la vista a raggi ics, l’aria sfottente, quasi irridente che riconosco in tanti uomini che ho incontrato in Italia, il sorriso affascinante e magnetico la dicono lunga sul personaggio; mi aggancia immediatamente, con una banale domanda retorica ‘vai al Colosseo?’ alla quale sarei pronta a rispondere con sarcasmo ‘no, vengo a casa tua’; ma, non so perché, preferisco entrare nella sua ragnatela e lascio che si lanci in una illustrazione gratuita delle bellezze di Roma.
Ha un fascino irresistibile, l’eloquio facile, magnetico, interessante, colto, ricco; e la capacità di affabulazione che rende favola anche le cose più banali che racconta; ho l’impressione che abbia una grande dimestichezza con le parole e piano piano mi vedo sprofondare nella sua ‘trappola amorosa’ che riesce a coinvolgermi in maniera che, nelle due ore seguenti, non posso fare altro che seguirlo nella sua presentazione dei monumenti che mi illustra con quelle sue invenzioni fantastiche che sono meravigliosa letteratura, di cui mi intendo molto visto che sono qui come socia nella direzione della Casa Editrice di Javier e il mio lavoro, anche nell’immediato, è organizzare presentazioni di libri.
Mi abbandono al suo fascino e mi lascio trasportare delicatamente sulle sue invenzioni cedendo volentieri al processo di lieve innamoramento che mi sta avvolgendo; il telefono che squilla mi riporta alla realtà e rispondo a Ramon, mio marito, che da Madrid mi chiede dove sono e mi sollecita a fare in fretta; lo invito a calmarsi e chiedo dei nostri figli, Mateo e Marisol, che sono rimasti affidati a lui.
Ho parlato in spagnolo, sperando che lui non capisse la lingua perché, anche se correttamente si era spostato, non ha potuto evidentemente non sentire.
“Allora sei sposata? … Ed hai due figli? … Mi dici come ti chiami o è un segreto di Stato?”
“Mi chiamo Amparo, sono a Roma per un giorno per lavoro, sono sposata e ho due figli; hai bisogno di altri dati polizieschi?”
“No; mi basta questo per essere io il tuo amparo a Roma; andiamo a mangiare qualcosa?”
“Dove? A casa tua, per caso?”
“No, assolutamente, in una trattoria tipica, che però non è lontana da casa mia, in Campo dei Fiori.”
“Va bene, andiamo a pranzo, poi però devo andare via perché oggi ho un impegno di lavoro.”
Mi lascio andare lentamente e mi godo con gioia la passeggiata fino a Campo dei Fiori, la mano nella mano, come due ragazzini innamorati che godono i primi tepori della primavera e il tumulto ormonale delle prime passioni; ma non siamo ragazzini in tempesta ormonale e l’occasione vale solo per concederci una innocente libertà con una vaga sensazione di innamoramento che purtroppo avrà vita assai breve.
Decide finalmente di rivelarmi che si chiama Mario e che abita proprio sopra la trattoria, in una stanzetta minimalissima, dove se sei a letto non puoi apparecchiare tavola e se cucini non puoi ricevere persone; gli faccio osservare che si comporta da vero filibustiere, da quel ‘pirata dell’amore’ che ha celebrato un nostro cantante nella loro lingua, e che sta cercando di mettermi in difficoltà; si scusa accarezzandomi la mano sul tavolo della trattoria; e sembra non rendersi conto che quella carezza mi ha prodotto un brivido lungo ed intenso che dal braccio si è trasmesso a tutto il corpo; se non sapessi di avere i minuti contati, forse la farei, la pazzia di abbandonarmi a quelle sollecitazioni amorose; e so che sarebbe straordinario.
Mi faccio forza per ricacciare la voglia e mi affretto a consumare velocemente l’insalata che ho chiesto; quasi scappando perché la sua vicinanza mi brucia, lo sollecito a pagare, non permette che lo faccia io, e mi affretto verso una postazione di taxi.
“Purtroppo, è il momento di dirci addio …”
Mi stringe fra le braccia e mi appoggia un bacio delicato, dolce, quasi fraterno, sulle labbra; gli prendo la testa, schiaccio la sua bocca sulla mia e gli forzo la lingua in bocca, succhiandolo e leccandolo per la prima ed ultima volta.
“Almeno questo, ce lo dovevamo, dopo esserci tanto stimolati e presi in giro. Addio.”
“No, Amparo, non addio, solo adios o, meglio, ciao; affidati al destino. Ciao.”
Non mi è molto chiara la distinzione; ma da quel momento l’unica preoccupazione è la perfetta riuscita della presentazione del poema ed è a quella che mi dedico con passione.
Arrivo in tempo per incontrare Javier che è giunto quasi all’ultimo momento, come è suo solito, ed ha già trovato mille ragioni per protestare con tutti, soprattutto perché non c’ero io a calmarlo e, forse, a dargli sicurezza; gli spiego che sono scesa da poche ore dall’aereo, che ho fatto in tempo a fare solo un giro e mandare giù un’insalata; si calmasse e pensasse alla serata che sarebbe stata forse un trionfo; ci calmiamo e comincio a volteggiare per la sala dietro a mille incombenze, dal catering alle sedie, dai microfoni al mio vestito.
Riesco ad essere in sala che già si avviano ad aprire la presentazione e finalmente prendo al volo un calice di prosecco per gustarmelo in pace; quasi mi cade dalle mani, quando vedo chi è seduto al centro del tavolo; afferro al volo uno dell’organizzazione e gli chiedo chi sia quello che si appresta a presentare il volume.
“E’ Mario Rinaldi, il poeta italiano che ha tradotto il poema di Javier; è una vera forza!”
Non mi pare che mi abbia notato e non faccio niente per farmi individuare, anche perché hanno aperto i lavori e, dopo l’introduzione di Mario e di Javier, stanno dialogando col pubblico; ad un tratto salta fuori una domanda che, senza che me ne rendessi conto, mi bruciava in testa e sulla bocca, perché nel poema avesse tradotto ‘adios’ prevalentemente con ‘ciao’ e non con ‘addio’, come tutti si aspetterebbero; Mario chiarisce che l’italiano ’addio’ ha un valore assoluto e definitivo, ci rivedremo al Giudizio Universale, davanti a Dio, mentre lo spagnolo ‘adios’ ha un valore molto più aperto, ci rivedremo quando Dio vorrà, tra due ore , tra due mesi, tra due anni o in un’altra vita, quindi assai più simile a ‘salve’ o ‘ciao’ in italiano; aggiunge qualcosa che mi fa capire che mi ha visto.
“A nessun amore io direi mai ‘addio’ perché significherebbe cancellarlo dalla mia vita; gli dico ‘adios’ perché so che in qualche modo, forse in una poesia o in un ricordo, ci dobbiamo rivedere, per forza.”
Mi ha steso; ora so che non c’è stato niente di casuale nell’incontro; io avevo tra le mani il volumetto che lui conosceva benissimo; era sulla base di quello che voleva contattarmi, poi deve aver capito che ero coinvolta ed ha atteso per farmi la sorpresa, il maledetto ‘pirata’; ed ora la mossa spetta a me; aspetto che abbiano finito per avvicinarmi al tavolo.
“Mi hai taciuto a bella posta chi eri; perché?”
“Perché avrei dovuto dirtelo? Volevo che mi amassi per me, non per quello che faccio.”
“E adesso che succede?”
“Ti va di fare una magia? … Scomparire tutte e due all’improvviso?”
“Lo sai che a Madrid mi aspettano un marito e due figli; il mio aereo parte domattina presto.”
“Non ti chiedo un’eternità; solo il tempo di una pizza a Campo dei Fiori.”
“Ho paura ... e non di te o della vita. Ho paura di me …”
Mi prende per la mano e mi costringe a sgattaiolare, con lui, fino all’uscita, ferma al volo un taxi e ci fa portare a Campo dei Fiori; sul sedile posteriore di un taxi che corre verso il centro di Roma ci scambiamo il bacio più appassionato, intenso, meraviglioso, sensuale, erotico che io abbia mai provato; per la prima volta, il sesso entra nella nostra sfera e sento le sue mani sul seno, sulle natiche, tra le gambe, che mi strappano gemiti e brividi di piacere sempre più vicini all’orgasmo; ma non c’è tempo per soddisfare le voglie; siamo arrivati.
Consumiamo la pizza quasi spartendoci i tranci bocca a bocca, carezzandoci sensualmente in ogni dove, ai limiti dell’oscenità; non vedo l’ora di amarlo, di sentirlo e di tremare per il ‘dopo’; lui si perde dentro le carezze, nei baci sempre più intensi, nelle arditezze dei tocchi ‘proibiti’ per sentire le mie pulsioni dai capezzoli, dalla vulva, dal clitoride impazzito; in fretta e furia, paga e scappiamo per le scale fino alla sua stanza di cui non vedo altro che il letto su cui mi fiondo per sdraiarmi ed offrirmi a Mario, tutta, impudica, vogliosa, decisa a consumare tutto l’amore e tutto il sesso possibile nelle poche ore che posso rubare alla mia attività.
Mario sembra non avere nessuna fretta e nessuna voglia di averne; anzi, si stende sopra di me con garbo, attento quasi a non farmi male mentre mi accarezza con tutto il corpo steso sul mio, a farmi cogliere l’intensità del calore delle sue membra sulle mie; mi bacia con devozione quasi sacra, dalla fronte agli occhi, al naso alla bocca; penetra con la lingua nella cavità orale carezzando, lambendo, stimolando dolcemente tutte le papille che trasmettono brividi elettrici direttamente alla vulva ed io godo, sento scorrere dal mio corpo umori vaginali che non cessano di inondarmi il perizoma ormai inservibile e le cosce, giù fino alle autoreggenti; sono certa che sto combinando sfracelli tra le cosce eccitate come non mai, ma sono felice di sentire il piacere scorrermi addosso; vorrei che mi prendesse, adesso, che mi penetrasse fino in fondo e fosse padrone delle mie reazioni, del mio piacere, del mio sesso.
Come se avessi parlato e mi avesse udito, infila una mano e solleva la gonna fino alla vita, si apre la patta e abbassa la zip senza perdere la posizione, sento il calore e la durezza della sua asta fra le cosce, all’incrocio; la cappella sfiora la vulva e la mazza intera mi impressiona per il volume complessivo; la sento scorrere lentamente verso il pube e la sento che si infila nella fessura della vulva, trova l’imbocco della vagina e, lentamente, dolcemente, mi invade letteralmente, tanta è la pressione che esercita nel canale vaginale non avvezzo ad una massa così grande, così calda, così eccitata, così stimolante; rovescio gli occhi, spalanco la bocca e tiro indietro la testa assaporando tutta la dolcezza della verga nel mio corpo.
Non voglio neanche preoccuparmi del vestito di firma che ho indossato, spalanco le cosce, alzo le gambe e porto i piedi dietro la sua schiena; il canale vaginale urla di dolore, io invece urlo di gioia quando la mazza entra tutta, fino in fondo, fino alla cervice, ed io mi sento amata fino al fondo della mia femminilità.
“Ti amooooooo!!!!!!”
Glielo urlo anche se so che è sbagliato; ma lo amo, questo filibustiere che mi sta rubando l’anima e sa che tra poco dovrà cacciarmi via se non vuole rovinarmi la vita.
Due ore possono essere un battito di ciglia, in certe situazioni; e possono diventare un’eternità meravigliosa se si riesce a percorrere tutti i sentieri dell’amore, da quelli percorsi a lungo e conosciuti come le proprie tasche, a quelli di cui abbiamo solo sentito solo parlare e che scopriamo insieme, con l’amore, con l’armonia, con la sintonia; da quelli che si sono consumati in una vita matrimoniale ormai appannata e vuota a quelli che ci hanno entusiasmati quando la tempesta ormonale era in atto ed ora vorremmo ricostituirla da persone adulte e mature, da amanti in cerca del sublime anche nell’amore.
Io e Mario, nelle due ore che trascorriamo a casa sua, riusciamo a darci tutto quello che un amore così pazzo, incontrollabile, può suggerire a due adulti che sentono lo spirito del primo amore; gli do tutto quello che posso dargli, sentendomi quasi vergine ogni volta che mi fa scoprire qualcosa del suo corpo o si impossessa di qualcosa di me che vergine non è ma che gli offro con l’amore con cui lo offre una vergine.
La mia vagina, che ha partorito due figli; che è usata da anni da Ramon, anche se negli ultimi mesi si è quasi dimenticato che esiste; che, dopo la deflorazione, nessuno mai più ha assaggiato oltre a mio marito; la mia vagina non vergine né stretta subisce un assalto verginale da quest’uomo che l’amore rende per me ancora più gigantesco di quanto sia; e le pareti quasi soffrono mentre le dilata per occupare tutto il condotto con la sua potenza, ma soprattutto con la sua voglia e il suo amore.
Il mio ano è stato già stuprato ed ha subito negli anni molti assalti dallo stesso membro; ma stasera sembra nuovo, intonso, totalmente vergine, specialmente perché sono io a chiedergli di penetrarmi dietro senza eccessiva preoccupazione di lubrificarmi; ma lui lo fa con delicatezza, con misura, con metodo; ed io sento il retto soffrire mentre viene riempito da questo fallo extra large che si impossessa del mio ventre e si fa sentire fino allo stomaco, rendendomi schiava del suo amore, della sua dedizione, dell’immensa carica di piacere che trasmette.
Sono sempre stata brava nella fellatio; e mi è sempre piaciuto molto sentire un’asta crescermi in bocca e vibrare sollecitata dalla mia lingua che la leccava, dalle mie gote che la succhiavano, dal mio palato che la faceva scivolare avanti e indietro nella copula; con Mario, succhiare il membro diventa un esercizio d’amore, un dialogo vivo tra la cappella e le papille della bocca, una sfida tra il suo amore che gonfia l’uccello e la mia capacità ricettiva che non vuole perderlo neppure per un attimo; quando poi il piacere esplode e lui eiacula, io, che ho sempre amato particolarmente quel momento ed ho sempre cercato di scaricare lo sperma in un fazzoletto, stasera metto in opera tutte le mie capacità di attenzione per non farne uscire nemmeno goccia, trattenerlo in bocca il più a lungo possibile e poi ingoiarlo come se mi prendessi nel corpo, per altra via, la sua mascolinità.
Mario non è da meno; in armonia con me e in perfetta sintonia anche di tempi, riesce a spremere goduria, libidine, gioia di vita da ogni fibra del mio corpo, in un primo momento titillandomi le parti esterne con una delicatezza ed una capacità straordinarie; dalla linea dei capelli agli occhi, i suoi baci percorrono ogni centimetro di pelle; poi si sposta metodicamente a seguire il profilo del naso che bacia, mordicchia, accarezza con la lingua, poi scende sulla bocca e si scatena in una battaglia intensa tra le nostre lingue per scavare brividi, pulsioni, sensualità da tutto il corpo con la perlustrazione della bocca con la lingua, ricambiato con lo stesso amore, con la stesa intensità.
Poi scivola sul corpo ed è un autentico trionfo di leccate, di morsi, di succhiate su tutto, dal collo alle mammelle fino ai capezzoli ai quali si attacca come un poppante al seno della madre che lo allatta; li tormenta a lungo, strappandomi piccoli orgasmi da ciascuno con sapienti succhiate lunghe ed intense; poi scivola sul ventre che non finisce di lodare, adorare, leccare, succhiare, amare come un altare sacro, quello dell’amore; poi si scatena sulla vulva e, soprattutto, sul clitoride; devo chiedergli più volte di darmi tempo, di farmi riposare tra un orgasmo e l’altro; non so come arriverò a Madrid e se dovrò dare qualche spiegazione per le condizioni in cui mi riduce l’indigestione d’amore a cui mi sto sottoponendo perché Mario è scatenato e non intende ragioni.
Mentre mi sta cavalcando ancora per la terza, o quarta, o quinta?, volta senza interruzione, sono costretta a fargli presente che, per essere in grado di partire domani mattina, non posso rientrare all’Accademia di Spagna troppo tardi; la coscienza che qualcosa sta per finire lo rende ancora più assatanato e mi gira per prendermi analmente, per la terza volta in poche ore; è inutile invitarlo a riflettere che in quelle ore non ha mai lasciato il suo membro fuori dal mio corpo, davanti, dietro, in bocca, in mano; e che forse calmarsi farebbe bene anche a lui; ma l’idea stessa che poi dovrò andarmene lo fa diventare ancora più pazzo d’amore.
Quando, per la terza volta nella serata, eiacula, stavolta nel retto, decido di sfilarmi e, prima che si sia ripreso, mi sono ripulita alla meglio con fazzoletti umidificati e mi sono rivestita con abiti ormai sgualciti che di più non si può, inumiditi da umori e sudore, per non parlare del perizoma ridotto a straccio bagnato; lo lascio riprendere e gli chiedo se devo andare da sola alla fermata dei taxi; si riveste maledicendo il mondo a mezza voce e mi accompagna accarezzandomi e bloccandomi a baciarlo ogni tre passi; come dio vuole, rientro e sul portone mi scontro quasi con Javier che non dice niente, mi guarda con affetto e sussurra.
“Meravigliosa serata … per tutti.”
Ho le lacrime agli occhi; me le asciuga teneramente e mi carezza il viso; non so se ha capito tutto, ma è con me e mi vuole bene; mi accorgo che ancora sto piangendo, mentre l’aereo decolla e sorvola in parte la città; ma devo rientrare in me e prepararmi al rientro all’aeroporto di Barajas dove spero che ci sarà qualcuno ad attendermi; ma è solo una mia pia illusione; di Ramon nemmeno l’ombra; per non fare una fila interminabile alla fermata dei taxi, opto per la metropolitana che ha una stazione sotto casa mia; nell’aeroporto è piuttosto distante, ma i tapis roulant servono utilmente e il rientro non è problematico.
Entro in casa e non sento rumori; in cucina, trovo Jimena, la mia antica tata che da molti decenni è anche donna di servizio, dama di compagnia, balia dei bimbi e, soprattutto, grande amica; mi comunica che mio marito è letteralmente sparito dal mattino, che i bambini sono a scuola e che tutto procede in ordine; mi guarda acutamente e mi fa.
“Hai avuto un’avventura?”
“Che diavolo dici, Jimena? Quale avventura?”
“Allora ti devi essere innamorata; il tuo colorito è diverso, i tuoi occhi luccicano d’amore, il tuo odore è cambiato; sei piena di … forse ormoni, amore, non so che … Insomma, figlia mia, tu hai vissuto qualcosa di straordinario. Che è successo? Non vuoi confidarti?”
Scoppio a piangere come una stupida; lei mi abbraccia.
“Hai incontrato qualcuno che ti ha fatto innamorare e hai dovuto tornare a casa? … Chi? … Un italiano?”
“Si, Jimena, un poeta italiano, un uomo meraviglioso; ho fatto l’amore con lui.”
“Come!!!!???? Un solo giorno a Roma, con la presentazione di un libro e sei riuscita ad innamorarti, a fare l’amore e a piangere per lui? Ma chi è quest’uomo?”
“Un poeta, il traduttore del poema di Javier.”
“Amore mio, un consiglio; prendi questa storia meravigliosa che hai vissuto, mettila nella scatola dei ricordi più segreti che hai e dimenticala. Non mettere a rischio la tua famiglia, i tuoi figli, per un sogno pazzo. Non vorrei dirla questa cosa, ma devo e non posso sottrarmi; ti prego, rinsavisci; il ricordo qualche volta è più bello della realtà.”
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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