tradimenti

Single


di geniodirazza
20.10.2024    |    4.585    |    0 10.0
"I due ragazzi rimasti si accostarono al mio viso e vidi i due cazzi di fronte a me; sorridendo al mio amante, li succhiai a lungo alternativamente; mente..."
Da un paio di mesi vivevo con Paolo, un imprenditore quarantenne che si era costruito una solida posizione; la sua mentalità piuttosto conservatrice lo portava a considerare la nostra una storia quasi di famiglia canonica, alla quale mancava solo il sigillo dl matrimonio e, meglio ancora, di un figlio; cose che erano ambedue assai distanti dalla mia mentalità, costruitasi sulla difesa della mia libertà di singola e su una piccola autonomia che mi derivava dal lavoro di factotum in uno studio legale.
Soprattutto, ci separava anni luce la considerazione che avevamo del sesso; Paolo non si risparmiava e, forte di una bella mazza di quasi venti centimetri, la usava con sapiente abilità in maniera da prendere e dare tutti i piaceri possibili; ma era fermo ad una convinzione di monogamia che trovavo spesso fastidiosa ed oppressiva; io sarei stata per una libertà totale o, quanto meno, per una trasgressività condivisa che a lui suonava quasi blasfema.
La piattaforma l’avevamo costruita sulla base di una convivenza quasi ossessiva per tutta la settimana, salvo il sabato sera, quando con qualche amica andavo in discoteca a sfogare il mio desiderio di vita e di esaltazione; quello che lui ignorava era che nella notte tra sabato e domenica, perché rientravo quasi sempre non prima dell’alba, davo sfogo, con un qualche soggetto che capitava e che mi intrigava, anche alla mia libidine che nella settimana esercitavo solo con lui.
Ovviamente, per non creare elementi di scandalo o di frizione, la discoteca era lontana più di cinquanta chilometri da dove vivevamo insieme nella casa che lui aveva preso in affitto e dove comunque mi muovevo assai liberamente, visto che, sulla scorta delle sue convinzioni, vi ero conosciuta come sua moglie, anche se non avevamo nessuna relazione ufficialmente codificata e nemmeno una qualche parvenza di familiarità.
Ancor prima di quando mi propose di andare a vivere con lui, dopo un paio di incontri ad alto tasso di lussuria, mi ero incontrata a letto con Alfredo, il più giovane socio dello studio, un civilista regolarmente sposato e con figli, che però mi attirava molto e ci mise poco a convincermi ad uscire un pomeriggio che il lavoro in studio languiva ed avevamo voglia entrambi di svagarci un poco; in quell’occasione scoprii che era un depravato con cui avrei realizzato grandi scopate.
Diresse immediatamente ad una ventina di chilometri dalla città, ad un motel che evidentemente conosceva bene; non ebbe nemmeno bisogno di registrarsi per le due ore che usammo la camera e gli consegnarono immediatamente la chiave che forse era la sua abituale; lo seguivo silenziosa e incuriosita dalla disinvoltura che dimostrava in tutte le fasi della nostra ‘fuga’ dai doveri d’ufficio.
Spogliarsi non fu un’operazione molto veloce, perché ambedue eravamo ‘bardati’ con la tenuta da lavoro, lui giacca e cravatta e io tailleur, calze e camicetta, oltre all’intimo; ma Alfredo dimostrò una grande abilità nel trattare il mio vestito, facendomelo scorrere da dosso con molto garbo e accompagnandolo con grandi leccate e baci sensuali su tutte le parti del corpo che scopriva; in breve, fui in intimo, seduta sul bordo del letto, con lui in piedi di fronte a me; il cazzo pulsava davanti al mio viso.
Non mi preoccupai molto del resto del vestito; ci pensò lui; io mi dedicai al pantalone e lo feci scivolare rapidamente ai suoi piedi, insieme al boxer che trascinai fino alle caviglie; mentre io prendevo in mano la sua mazza notevole, poco sotto i venti centimetri, lui scalciava lontano pantalone, boxer e scarpe; mentre lo masturbavo e titillavo con l’altra mano i coglioni, si sfilò anche giacca e camicia.
Lui restò solo con i calzini ai piedi; io in calze ed intimo, nero di trina; uno specchio che dominava l‘armadio, l’unico mobile della stanza, oltre al letto, mi rimandò la nostra immagine che mi fece un poco sorridere; in compenso, vidi il cazzo che si ergeva turgido dal ventre e che io accostai alle labbra facendolo penetrare lentamente per una piccola porzione nella bocca atteggiata a cuoricino per accrescere la sensazione di sverginamento che sicuramente gli davo.
Mi persi volentieri nella lunga leccata al cazzo; cominciai dai coglioni, sollevando la mazza contro il ventre; abbassai la testa fino a raggiungere l’ano e cominciai a leccare dallo scroto lungo l’asta per arrivare a lambire la cappella con la quale giocai a lungo facendo ruotare sotto la lingua; quando lo feci entrare in bocca, accompagnai la mazza con la lingua che roteava intorno al cilindro di carne; la punta, seguendo il palato, penetrò fino all’ugola.
Diedi il via alla mia abilità di pompinara e sfrenai la fantasia in mille giochi antichi e nuovi, leccate e succhiate, scopate in bocca fino a farmi cogliere da sensi di soffocamento; quel cazzo nella mia bocca visse i momenti più belli di tutta la lunga esperienza di Alfredo con le femmine con cui aveva scopato e scopava; me lo confermarono non solo lui con gli elogi sperticati che dedicava alla bocca che lo succhiava, ma tutte le reazioni spesso violente del corpo.
Quando sentii la bocca dolermi per il lungo esercizio di fellazione e anche lui si sentì esasperato dalla lunghissima sollecitazione orale senza concludere con una sborrata, per non finire troppo presto, le posizioni cambiarono; lui si denudò del tutto e mi tolse anche gli ultimi indumenti, mi sistemò supina sul bordo del letto, col culo sporgente fuori dal materasso e i piedi alzati al cielo; si abbassò su di me e raggiunse con la bocca la figa ormai grondante.
Capii che era un gran raffinato nella scopata, quando avvertii le prime veloci leccate sulle grandi labbra; si spostò poi verso il retro del ginocchio e mi leccò metodicamente la coscia fino al limite della figa; afferrò deciso il clitoride in bocca e non potetti trattenere un lungo gemito di piacere mentre mi succhiava l’anima; svariò a lungo tra grandi e piccole labbra, aggredendo quasi a sorpresa il clitoride dal quale strappava orgasmi a ripetizione.
A quel punto avevo voglia urgente del cazzo dentro; glielo dissi e non mi fece attendere; mi spostò di peso verso il centro del letto, montò sopra anche lui, mi salì addosso e appoggiò la cappella alla figa; lo anticipai di proposito e mi spinsi col bacino finché la mazza urtò il collo dell’utero, accompagnata da un mio urlo di piacere; lo sentii fino allo stomaco mentre tutto il ventre mi vibrava di godimento e di voglia; cominciò a montarmi e non fu che un continuo gemito di piacere.
Riuscì ancora a trattenersi per non sborrare; poi cedette; colpì con violenza l’inguine in un crescendo di lussuria che mi fece perdere il senso delle cose e, all’improvviso, mi sentii inondata dallo sperma che abbondante versava nel mio utero; cominciai a sborrare con lui e non mi fermai finché lui non si accasciò su di me quasi svuotato; anch’io mi sentivo galleggiare in una nuvola di piacere; ci mettemmo un poco, prima di recuperare una respirazione regolare.
Il tempo residuo delle due ore che aveva fissato per la camera fu dedicato interamente all’inculata che realizzò con particolare cura; partì con una lunga e deliziosa leccata, prima su me supina, poi, da dietro, su me carponi che mi titillavo il clitoride mentre lui carezzava libidinosamente le natiche e l’ano; quando si abbassò fino a portare la lingua sul culo, mi sentii scivolare in un piacere delicato che sapevo preludere all’inculata; partecipai godendo alle lunghe leccate sul perineo.
La lingua passava a spatola dal pube alla schiena, percorrendo la figa e l’ano, nei quali si infilava a titillare fino al godimento più esplicito e godurioso; mi deliziò davanti e dietro per molto tempo; accompagnavo le lussuriose leccate con appassionati gemiti di piacere intenso; mi godevo le stimolazioni dentro il culo e nella figa come se un piccolo cazzo mi masturbasse fino a farmi sborrare.
Quando appoggiò la cappella alla figa, rimasi alquanto delusa; avrei preferito che mi scopasse vis a vis per guardarlo negli occhi mentre mi montava; ma fu solo l’inizio; mi squassò tutto il corpo con le spinte violente del ventre contro il culo proteso indietro; il suono delle carni che si scontravano era più lussurioso della mazza che scorreva nel canale vaginale; mi aveva afferrato, da dietro, le tette grosse e carnali e le usava per tirarmi e respingermi, secondo la fase della scopata.
Si sfilò temporaneamente dalla figa e andò ad un cassetto in bagno dove prelevò un tubo di lubrificante; ebbi la conferma che si trattava di un motel e di una camera che frequentava abitualmente; capii anche che la scopata a pecorina preparava davvero l’inculata prevista; mentre continuava a pompare come prima, sentii che le sue dita, prima due poi tre, entravano nel canale rettale e lo dilatavano, ruotando per fare spazio alla mazza che si preparava a sfondarmi.
Quando ebbe la certezza che fossi davvero pronta, sfilò il cazzo dalla figa, spostò in alto la cappella, mi afferrò fermamente per le tette e spinse con forza; il mio culo era avvezzo a ricevere belle mazze e certamente la sua non mi preoccupava; comunque avvertii nettamente la dilatazione specialmente dello sfintere che qualche reazione la ebbe e mi provocò un certo fastidio, se non proprio un doloretto.
Cominciò una monta che in qualche modo mi impressionò, soprattutto per la durata; abile nel controllare le sue reazioni, scopava con metodo e voglia, cercando il piacere in tutte le pieghe del ventre e in tutti i gangli del cazzo; lo sentivo fremere di piacere ogni volta che una spinta lo impressionava diversamente; sentivo di godere ogni volta intensamente, quando variava l’angolo di penetrazione e toccava punti intatti dell’intestino.
L’inculata durò a lungo e variò spesso la posizione dei corpi, a pecorina, a cucchiaio, montata da sopra e da sotto; ogni volta la passione si scatenava e facevamo fuoco e fiamme godendo da pazzi e urlando il piacere che emanavamo da tutto il corpo; forse fu in quel momento che decisi con me stessa che quell’amante me lo sarei coccolato a lungo, anche se avessi stabilito una relazione duratura, perché le emozioni che mi dava erano inarrivabili.
Quando esplose nella sborrata più lunga ed intensa che avessi mai registrato, quasi mi commossi, tanto era il piacere che mi aveva provocato; fui felicissima di quella ‘fuga dal lavoro’ e gli feci promettere che avremmo ripetuto spesso l’esperienza; mi rassicurò che avrebbe continuato a scoparmi spesso, anche in condizioni diverse, se fosse stato necessario, a patto che non avanzassi pretese di monogamia o di rottura del matrimonio; gli garantii che ero singola per convinzione.
Da quella volta, effettivamente non furono poche le occasioni in cui, di pomeriggio, uscivamo con le scuse più assurde ed artificiose per andare ad imboscarci in quel motel e passare un paio d’ore a fare sesso della migliore qualità; il sabato sera dovevo dedicarmi da sola alla discoteca perché lui, legato al regime matrimoniale, non aveva possibilità di aggregarsi anche se lo avrebbe desiderato, se non altro per rinverdire un ricordo quasi sbiadito.
Altre volte, per non percorrere il tragitto fino al motel, ci imboscavamo in una radura ai bordi della statale, conosciutissima per essere rifugio di prostitute, di omosessuali, di coppiette clandestine e soprattutto di guardoni che abbondavano notevolmente; la prima volta che ci fermammo fu per me un’esperienza nuova che quasi mi sconvolse; ci andammo alla chiusura dello studio, in prima serata con una luce molto incerta.
Alfredo, che forse conosceva il posto, si diresse immediatamente con la sua auto ad un’area di parcheggio abbastanza defilata; appena ebbe spento il motore, mi avvolse in un bacio lussurioso e mi infilò una mano fra le cosce, andando ad abbrancare la figa già eccitata; mi sfilò il tanga, sollevò il vestito e si impegnò in una lussuriosa leccata che mi sconvolse; mi guardavo in giro quasi timorosa finché la passione mi fece dimenticare il mondo.
Passai al contrattacco e fui io ad aprire la cerniera e a tirare fuori il cazzo già duro come cemento; lo masturbai un poco per prendere confidenza e mi abbassai a prenderlo in bocca determinata a succhiarlo al massimo delle mie abilità per dargli un piacere mai provato prima; lo sentii gemere e quasi piagnucolare per come godeva della mia fellazione; ma era anche abbastanza forte e determinato a fermarsi prima di sborrare.
In una fase in cui me ne stavo languida a godermi il suo titillamento, di mani e di lingua, sulle tette e nella figa, scoprii quasi spaventata che qualcuno, fuori dall’auto, si era accostato al finestrino, dalla mia parte, e stava manipolando un cazzo bello grosso; lo urlai a lui terrorizzata; mi sorrise e mi disse che era solo uno di tanti guardoni, personaggi innocui che popolavano quella radura e che, se non invitati, si limitavano a godere con la vista le scopate altrui.
Lo guardai meravigliata, specialmente per quel ‘se non invitati’ che mi suonava strano; mi chiese se per caso volessi farmi accarezzare anche dallo sconosciuto, per rafforzare la lussuria della nostra scopata; lo guardai interdetta; mi invitò ad aprire il finestrino dalla mia parte e a lasciare che l’altro mi accarezzasse; sbigottita, obbedii quasi senza rendermene conto; appena il vetro del finestrino fu abbassato, l’altro si fece ardito e infilò una mano fra le mie cosce, artigliandomi la figa.
Cominciò una scopata anomala; io masturbavo Alfredo che se ne stava disteso al posto di guida; nuda dai piedi alle tette, col vestito tirato fino alle spalle, consentivo allo sconosciuto di svariare nella mia figa con un’abilità che scoprii sensazionale; chiesi ad Alfredo, con lo sguardo, se potevo andare oltre e, al suo assenso, sporsi la mano oltre il finestrino e afferrai il cazzo che si era fatto di acciaio e chiedeva di essere almeno manipolato; la mia sega fu all’altezza del ditalino.
“Se ti va, succhialo!”
L’invito di Alfredo per un attimo mi sconvolse; poi valutai che sporgendomi dal finestrino potevo prendere in bocca il cazzo sufficientemente lungo; lo feci e mi trovai a colare dalla figa quando assaggiai sulla punta della lingua il sapore del cazzo sconosciuto; avviai un pompino stratosferico e godevo molto a sentire i gemiti dell’altro che sembrava impazzire dal piacere che la mia bocca gli dava evidentemente; sborrò di colpo e si ritrasse mentre sputavo la sborra in un fazzolettino.
“Puoi aprire lo sportello e farti scopare da dietro o scendere a scopare sul prato!”
“No, grazie; non stasera; forse un altro pompino lo farei, oltre a scopare con te; ma non mi va di andare troppo in là!”
Quasi richiamati telepaticamente da me, due personaggi si accostarono allo sportello; il mio partner aprì la portiera e mi trovai di fronte a due maschi maturi molto ben dotati; afferrai i due cazzi, uno per mano, e cominciai a succhiarli alternandomi; per stare più comoda, mi sedetti di traverso sul sedile, con le gambe fuori dall’auto, e li succhiai a lungo abilmente.
Riuscii a portarli rapidamente all’orgasmo e mi beai della sborrata che mi versarono sul seno e sul viso; la sborra che scoppiava dal cazzo quando facevo un pompino mi aveva sempre esaltato; quella esperienza fu ancora più intrigante per la precarietà della situazione e per la novità dei due sconosciuti; richiusi la portiera, alzai il vetro del finestrino e mi stesi sul sedile che avevo allungato; finalmente Alfredo mi venne addosso e mi scopò alla grande.
Dopo quell’esperienza, tornammo ancora in quella radura e mi lasciai scopare in piedi, contro l‘auto, dal mio partner e da alcuni soggetti interessanti raccolti tra i guardoni; ci alternavamo tra radura e motel scopando fino a tre volte la settimana; il sabato sera però era quello dedicato alla discoteca; l’unico rammarico di Alfredo era non riuscire ad organizzarsi per accompagnarmi in quell’esperienza che rimaneva mio unico appannaggio.
Paolo era diventato un ectoplasma di cui mi ricordavo a malapena qualche volta la sera, quando riuscivamo a cenare insieme; ci scopavo, talvolta, ma la scarica di adrenalina che mi davano le grandi scopate col mio partner e con tutti gli amanti occasionali faceva diventare ben poca cosa anche la grande abilità di amante del mio compagno che pure avevo riconosciuto di alta qualità ed esaltante fino a qualche settimana prima.
Ad Alfredo non era andata giù la rabbia di lasciarmi andare da sola in discoteca, dove fantasticava su quello che avrei potuto fare, calda come mi conosceva e con tanti giovanissimi in tempesta di ormoni ad approfittare della ‘tardona’, trent’anni erano per loro un limite eccessivo per la smania di vita, che si lasciava affascinare e scopare da mazze giovani e vogliose; ma il diritto di sua moglie a tenerlo con se e con i figli per i fine settimana era indiscutibile.
La fortuna gli venne incontro; per un piccolo disagio fisico di suo marito, la suocera chiese a sua moglie di passare ‘in famiglia’ un fine settimana; lui non poteva assentarsi e sua moglie dovette addirittura scusarsi perché lo lasciava solo per tre giorni, dal venerdì al lunedì; Alfredo trattenne a stento l’urlo di gioia che stava per scoppiargli, quando lei gli parlò; la rassicurò che sarebbe sopravvissuto alla solitudine e promisero che si sarebbero sentiti spesso per telefono.
Uscii come al solito il sabato sera, con il suv di Paolo e passai dalla casa di Alfredo per prenderlo su e andare insieme in discoteca; la sala ci stordì con la congerie indistinta di colori, suoni e voci; tra le luci sparate su tutto con effetti fantasmagorici, il suono a tutto volume degli amplificatori e il vocio incomprensibile di decine di giovani in piena tempesta di ormoni, fu un muro compatto quello col quale ci scontrammo.
Ormai trentenne ma abituata alla frequenza settimanale, mi adattai in breve; il quarantenne Alfredo invece dovette faticare non poco prima di arrivare ad accettare i decibel della musica e i bagliori delle stroboscopiche; riuscì a trascinarsi fino ad un bancone, a ’conquistarsi’ un bicchiere di whisky e a sprofondare infine in un divanetto da dividere con aggressive e imbarazzanti teen ager, ‘svestite’ per la bisogna, che gli piombavano addosso da ogni parte.
Impiegai poco ad individuare il gruppo di quattro ragazzi, tra i diciotto e i venti anni, coi quali altre volte mi ero trattenuta in piacevoli serate di sesso; lanciatami a ballare con loro, sentii rapidamente che mi si accalcavano addosso con evidenti intenzioni di scoparmi; mi strusciai addosso a ciascuno e con molto gusto provai la consistenza dei cazzi duri sotto i pantaloni leggeri; prima di prendere una decisione, mi avvicinai ad Alfredo.
Gli chiesi come si sentisse in quella bolgia di scalmanati; non ebbe esitazioni ad ammettere di essere un pesce fuor d’acqua e di aver perso ogni rapporto con quella realtà; gli comunicai lealmente che forse sarei andata a farmi qualche sveltina; mi chiese dove e come; dovetti spiegargli che in quegli ambienti si realizzavano sveltine in piedi, davanti o dietro, nei bagni meno sporchi e affollati; forse avrei anche risolto con qualche pompino; nel caso, qualcuno me lo portavo fuori in macchina.
Dovetti chiarirgli che il gruppo di quattro giovani con cui stavo ballando già aveva avuto da me servizietti in piedi, proprio in quei bagni o in auto; mi chiese perché non decidessi di portarmeli nella radura delle puttane e di scoparmeli anche tutti insieme, nel caso; non ci avevo pensato, ne parlai coi ragazzi che saltarono di gioia all’idea di potermi una volta tanto godere in piena libertà; concordammo che mi avrebbero seguito con la loro auto e nel suv ci saremmo scatenati nel sesso più bello mai provato.
Uscimmo dal locale; per cautela, ci facemmo apporre il timbro per il rientro; Alfredo salì in macchina con me e con due dei ragazzi, quelli che per dotazione e maturità mi intrigavano di più; gli altri montarono nella loro utilitaria; chiesi ad Alfredo di guidare, mentre io mi disponevo a limonare un poco con i due ragazzi dal sedile del passeggero; nel breve tragitto fino alla radura, i due trovarono il modo di percorrere con le mani tutto i mio corpo specialmente il seno e la figa.
Io mi presi qualche anticipo sulle scopate prevedibili, afferrando i cazzi e menandoli con gusto e sapienza; mi piegai indietro, tra i due sedili, e li assaggiai in bocca con linguate rapidissime che diedero loro anche il senso della comunità in cui Alfredo non era un estraneo ma partecipe vivamente alla piccola orgia che si andava profilando; mentre leccavo e succhiavo, una mano fra le cosce favorì qualche piccolo orgasmo; Alfredo, per entrare nel gioco, allungò una mano e mi masturbò abilmente il clitoride.
Arrivati sul posto, scelse il parcheggio più distante e meno frequentato, aprì il pantalone e tirò fuori il cazzo; mi prese per la nuca e mi costrinse ad abbassarmi finché la mia lingua raccolse dalla punta del cazzo le gocce di precum che la lunga eccitazione aveva provocato; sentii che si apriva lo sportello dietro di me, mi spinsero a portare le ginocchia sul sedile del passeggero e dopo un poco un cazzo bello duro si accostò alla figa ed entrò fino in fondo.
Mi trovai a succhiare il cazzo amato e conosciuto di Alfredo, mentre un altro, che avevo assaggiato solo una volta in una sveltina in bagno, affondava fino ai coglioni riempiendomi la figa fino all’utero; il mio partner dosò la scopata e si fece leccare e succhiare a lungo, spingendo fino all’esofago, ma evitò di sborrare per non concludere tropo presto; se avesse sborrato, forse non avrebbe avuto più energie e voglia per continuare a seguire la gangbang che lui stesso aveva proposto.
Intanto erano scesi anche gli altri due ragazzi e i quattro premevano per avere la loro razione di sesso; Alfredo mi fece passare sul sedile posteriore, più largo e intero, e mi invitò a sistemarmi carponi col culo proteso quasi fuori di uno sportello e il viso all’altro sportello, aperto anch’esso; uno dei ragazzi si piazzò in fronte e mi ficcò in gola il cazzo fino a provocarmi sensazione di soffocamento; Alfredo invitò un altro dei due a mettermelo in figa; intanto lui mi torturava i capezzoli e si faceva masturbare.
Di colpo, si sottrasse e spinse l’unico di quattro che ancora non mi aveva assaporato a sostituirlo facendosi masturbare e accarezzandomi le tette; quello che picchiava in figa non spese molto tempo a scopare e sborrò come un fiume in piena; prima che potessi riorganizzare la composizione, il mio partner sistemò sul prato a fianco del suv una coperta in dotazione all’auto e invitò uno dei ragazzi, quello col cazzo più grosso, a stendersi supino.
Mi fece scendere dall’auto e mi privò dei pochi indumenti che mi erano rimasti arrotolati addosso, mi spinse verso il disteso e mi fece impalare; premette le spalle e mi chinai a baciarlo e a farmi succhiare i capezzoli mentre tenevo ben stretto in figa il cazzo; segnalò ad un secondo ragazzo di penetrarmi nel culo; avvertii che la punta raccoglieva dalla figa la sborra che colava e la usava per lubrificare la punta; dopo un attimo, la cappella violava il buchino e penetrava fino all’intestino.
I due ragazzi rimasti si accostarono al mio viso e vidi i due cazzi di fronte a me; sorridendo al mio amante, li succhiai a lungo alternativamente; mente scopavo allegramente con quattro maschi, fummo all’improvviso investiti dal fascio di luce dei fari di una macchina che si era avvicinata e che ci illuminò come a mezzogiorno; i cinque imprecarono volgarmente; girai gli occhi e vidi con terrore il viso di Paolo dietro il lunotto, alla guida dell’automobile, sicuramente presa a noleggio.
Il cuore mi si fermò per un attimo; ero proprio nella merda, con quella flagranza di reato; ma sarebbe stato inutile piangere sul latte versato; stetti zitta e feci in modo che i quattro sborrassero rapidamente; ancora per un’oretta li lasciai alternarsi nei miei buchi finché tutti e cinque, compreso Alfredo, furono spompati e dichiararono la resa; li invitai a tornare in discoteca, col timbro che consentiva il rientro; accompagnai Alfredo e tornai a casa.
Durante il viaggio mi chiese il perché del mio evidente disagio; gli confidai che, alla guida dell’auto che ci aveva illuminato, avevo visto senza ombra di dubbio Paolo; temevo che quell’episodio potesse significare la fine di molte cose, la nostra relazione innanzitutto; poiché non capiva come ci avesse rintracciato, gli feci osservare che usavo il suv poche volte; la macchina era di Paolo che la dominava a suo piacimento; evidentemente il Gps di cui era dotato gli aveva detto tutto.
Rientrai in casa seriamente preoccupata per quello che avrei trovato da parte di Paolo; ero certa che fossero suoi i fari che mi avevano inquadrata nuda mentre accanto all‘auto mi scopavano in quattro; avevo coscienza che avevo toccato il fondo e l’avevo umiliato come non meritava; sarebbe stato logico aspettarsi almeno una reazione forte, se non violenta; pure, nella mia ottusa fiducia, non sapevo neppure io in che cosa, non riuscivo a non sperare che glissasse sulla vicenda e dimenticasse.
Decisi di tacere aspettando una sua iniziativa; per un’intera settimana mi comportai correttamente; lui non diede segno di acrimonia; si limitò a ignorarmi a letto, a voltarsi dall’altra parte e addormentarsi come fosse solo in un letto troppo grande; stupidamente, continuai a credere di aver ‘passato il fosso’ e di poter continuare a tenere il ritmo di vita precedente, escludendo le corna che gli avevo fatto con tanta larghezza.
Notai in casa un certo andirivieni di cui non coglievo le ragioni; per non dare adito a scontri inutili e pericolosi, non chiesi conto del perché imballasse le sue cose e le stipasse in valigie e scatoloni; il peggio fu quando una squadra di operai venne e imballò anche le mie cose; quando provai a domandare a Paolo cosa fosse quel tramestio, si limitò d avvertirmi che su quella casa e su quello che vi si decideva non avevo diritto di parola; risentita, mi chiusi in un silenzio polemico.
Mi telefonò mia madre per dirmi che aveva bisogno della mia presenza in casa sua per il fine settimana; la richiesta non era molto strana perché molte volte, specie in coincidenza di ricoveri in ospedale suoi o di mio padre, mi aveva chiesto di occuparmi della sua casa; Paolo, che aveva un grande affetto per i due, si era sempre limitato ad accompagnarmi ed a venirmi a riprendere; stavolta non intervenne neppure a parlare; fui costretta ad andare in autobus.
Mi fermai fino a lunedì compreso, chiedendo un giorno di permesso allo studio; stranamente, mia madre non aveva esigenze reali ed immediate, ma si limitò a farmi lunghi discorsi sull’onestà; ci voleva poco a cogliere una verità lapalissiana; ma nella mia logica il rapporto con Paolo con aveva a che fare con l’onestà; sicché ascoltai i suoi discorsi come vaneggiamenti di vecchia a cui dare poco peso; l’arrivo, il lunedì mattina, di un trasportatore con i pacchi delle mie cose mi mise in allarme.
Di fronte alle me perplessità, mia madre non riuscì a tacere ancora e mi disse fuori dai denti che Paolo aveva scoperto quel che in realtà facevo in discoteca, aveva deciso di rompere la convivenza e, correttamente, li aveva avvertiti per non lasciarmi completamente sola; i discorsi sull’onestà avrebbero dovuto aprirmi gli occhi, se volevo ancora salvare qualcosa del rapporto; la mia ottusità era il segno che non ci fosse niente da salvare e che fossi ormai troppo lontana dal mio compagno.
Provai a contattare Paolo ma non mi riuscì, perché aveva posto il blocco di chiamata al suo numero; provai a parlarne con mia madre che si limitò a consigliarmi, se necessario, di tornare a casa loro che era l’unico rifugio per me certo; non capivo e mi incazzavo col mondo ma non ero in grado di cambiare niente; intuivo che qualcosa fosse successo di cui non avevo ancora notizia e decisi che la cosa migliore fosse tornare dal mio compagno per chiarire; partii il lunedì subito dopo pranzo.
L’appartamento era vuoto e sprangato; le mie chiavi non funzionavano più nella serratura, decisamente nuova e diversa da quella che conoscevo; provai a parlare coi vicini e seppi che una ditta di traslochi aveva lavorato la domenica mattina e portato via tutto; Paolo era partito in macchina stracarico di valigie; non aveva lasciato messaggi né indicazioni di nessun tipo; all’ufficio, mi dissero che si era licenziato e che era scomparso letteralmente dai radar.
Finalmente presi coscienza che la verità a cui era approdato lo aveva stroncato ed aveva fatto l‘unica scelta possibile, andarsene e lasciarmi a vivere le mie devianze; spedirmi dai miei era stato il modo garbato di mandarmi al diavolo senza scenate; mia madre mi aveva chiarito tutto; si spiegavano i discorsi sulla lealtà che non avevo voluto riferire al mio rapporto con Paolo ed il suggerimento ad andare a stare con loro, unico rifugio per me.
Non ci stavo a vederlo sparire come neve al sole; andai al bar che talvolta frequentavamo e cercai la mia amica Mirella che conosceva quasi tutto di noi ed aveva un buon rapporto con Paolo; avevo visto giusto; sapeva esattamente che lui aveva reagito con dolore e rabbia alla notizia che lo avevo trattato peggio di un mobile inutile; dopo avermi visto fare la puttana nella radura, aveva determinato che se ne sarebbe andato senza dirmi niente.
Mi rivelò che Paolo, nel suo lavoro di manipolatore di capitali, aveva realizzato una riserva personale segreta in Svizzera; l’intento era quello di mettere su un’azienda sua fuori d’Italia e di chiedermi di trasferirci lì come coppia stabile; di fronte alla mia scelta opposta, aveva impiegato poco a decidere di trasferirsi da solo, non avendo obblighi di nessuna natura in Italia, e di avviare quella realtà produttiva che aveva sognato con me.
Viveva dalle parti di Lugano e pareva che con lui ci fosse ora una segretaria particolare con la quale aveva sempre avuto un grosso feeling, rimasto al di qua del desiderio sessuale fino a quel momento; appurato che ero perdutamente zoccola, se n’era andato con lei ed ora vivevano insieme; a me restava il rifugio della casa dei miei, con le difficoltà di fare la pendolare per continuare il lavoro sottopagato con gli avvocati; oppure dovevo inventarmi un nuovo modo di essere libera ma, prima ancora, autonoma economicamente.
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