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Lui & Lei

Fratello di sangue


di geniodirazza
07.11.2023    |    4.610    |    1 8.6
"La conseguenza più concreta fu però che dovetti far chiamare un tassì che mi portasse a casa; fortuna per me che mio marito mi sollecitava continuamente a..."
Anche a bocce ferme, anni dopo, Gigi continuava ad affermare che fu solo colpa mia se la nostra storia fallì miseramente; io, invece, asserivo fermamente, ancora un volta, che tutto nacque dal suo rigore eccessivo che mi spinse a fare i capricci e sbagliare; insomma; l’alternativa tra errore e colpa non fu mai risolta, nonostante gli anni passati e le dure vicende attraversate, con scontri persino sanguinosi e liti feroci in tribunale.
Probabilmente, fatalisticamente fu il settimo anno a causare la crisi che ci portò a conseguenze imprevedibili e deleterie per entrambi; era infatti per la cena a festeggiare il settimo anniversario del matrimonio che io e mio marito Luigi, Gigi per gli amici, uscimmo per andare alla cena prenotata con largo anticipo, litigando vivacemente per l’abbigliamento che la mia smania di esibizionismo mi aveva fatto scegliere.
La gonna a tubino di pelle nero sfiorava appena le natiche; avere deciso di non indossare intimo mi esponeva inevitabilmente a tenere all’aria la figa rasata che non disdegnavo di far ammiccare con movenze studiate; la mancanza di reggiseno, sotto una camicetta dal ‘bottone facile’ era un invito a guardare i capezzoli che si indurivano ad ogni sfregamento sulla stoffa; e io ero maestra a fare in modo che si evidenziassero continuamente.
Dopo che per l’ennesima volta mio marito mi sollecitò a fare attenzione perché apertamente stavo esibendomi per lo sconosciuto del tavolo a fianco, cominciai a sentire la tigna salirmi e a provare la voglia di punirlo stuzzicando fino al limite della decenza il bel giovanotto, un trentenne biondo con occhi azzurri, fisico palestrato e notevole pacco che esibiva con orgoglio; non arrivavo a pensare a una scopata perché non l’avevo mai fatto; ma nella tigna cominciai a non escluderla.
Quando un ennesimo richiamo mi fece salire il sangue alla testa, uscii incazzata nera dalla sala e lanciai uno sguardo al ragazzo il quale non poté rinunciare a seguire un invito abbastanza palese; mi agganciò poco fuori del locale e, presa per un braccio, mi guidò in silenzio verso il parcheggio; non c’era nessun bisogno di parole e, senza neppure dirci il nome, mi trovai spinta contro la sua auto, parcheggiata, ironia della sorte, a breve distanza dalla nostra.
Il bacio in cui mi avvolse fu di un calore intenso e travolgente; sentii la figa colarmi immediatamente, mentre il suo cazzo, durissimo e grosso, si appoggiava comodamente tra le mie cosce e sollecitava la figa e il cervello; le mani delicate e gentili, da pianista, mi afferrarono i glutei e spinsero ancor più il pube contro il suo; pochi movimenti del bacino mi diedero la sensazione di una scopata in piedi; la testa mi si era fusa ed ero fuori di me.
Con decisione, mi pressò sulle spalle e mi indusse ad accosciarmi davanti a lui; aprì la patta e tirò fuori la bestia che mi si offrì al volto in tutta la notevole possanza; il diavoletto che mi aveva suggerito la tigna per tutta la serata sembrò sussurrarmi che un pompino non sarebbe stata colpa così grave, in fondo; seguendo il mio istinto capriccioso, afferrai la mazza a cominciai a manipolarla con estrema sapienza.
In dodici anni, cinque da fidanzati e sette da sposati, aveva praticato fellazioni a mio marito fino a diventare maestra nell’arte del pompino; e la sua mazza era decisamente più grossa e impegnativa di quella che in quel momento mi passava per le mani; misi in atto tutta la mia abilità e in breve il ragazzo gemeva e sospirava di piacere; preoccupata che passasse gente, mi ritrassi quasi spaventata; mi fece sedere sul sedile posteriore, coi piedi fuori, e mi cominciò a scopare in bocca.
Una gioia profonda ed una lussuria infinita mi suggerivano i movimenti, mentre trattenevo fuori dalla labbra il grosso del randello e facevo ruotare in bocca la cappella e poco altro; mi piaceva molto poter accompagnare le succhiate e la scopata in gola con profonde leccate della cappella, specialmente sulla punta, e dovevo quindi manovrare io per regolare la penetrazione e i giochini di lingua; una contrazione da sborrata mi obbligò a stringere i coglioni per frenarlo.
Per un po’ mi dilettai a leccare la mazza dalla radice alla punta e le palle grosse come prugne, fino all’ano; le presi in bocca, una per volta, facendolo godere come non aveva mai fatto; quando provò a scoparmi profondamente, mi limitai a stringere l’asta per regolare la spinta e lo lasciai scoparmi fino al velopendulo; ebbi molte esitazioni, prima di spingerlo a sborrare, perché non ero certa che potesse scoparmi due volte in poco tempo e, a quel punto, lo volevo in figa.
Non riuscii ad impedirgli però, dopo alcuni colpi violenti e lunghi, di versarmi in bocca una lava di sborra che quasi mi soffocò; godetti molto, mentre sborrava, e sentii che i miei umori cadevano sin sul sedile su cui ero seduta; con mia enorme meraviglia e felice sorpresa, il cazzo non cedette di un millimetro, dopo che aveva sborrato; si staccò da me, mi spinse supina sul vasto sedile del suv, si inginocchiò tra le mie cosce e affondò il viso sull’inguine.
La lingua che svariava sulla figa con abilità non molto frequente mi dava brividi di piacere e piccole sborrate ogni volta che afferrava il clitoride e lo stritolava con le labbra o con delicati morsi; mi succhiò a lungo la figa e io mi abbandonai felice al suo e al mio piacere; quando percorse il pube e parte del ventre con la lingua larga e pastosa, mi concessi al piacere dimenticando completamente il mondo e, soprattutto, il mio fastidioso marito che, a quel punto, poteva anche andare a farsi fottere.
Il biondino si alzò dal cunnilinguo e mi si stese addosso; sentii il cazzo premere sull’inguine, cercare la figa e penetrare dolcemente e determinatamente fino a che la punta colpì la testa dell’utero; mi scopò alla grande, a lungo, con metodo, alternando veloci pompate in figa a lunghe e lente penetrazioni; ogni volta mi strappava piaceri infiniti e sborrai non sapevo più dire quante volte.
Interrompendo per un attimo la scopata, mi fece girare e mi sistemai a pecora, carponi sul sedile; lui, da dietro, mi accarezzò a lungo le natiche, stimolò con più dita l’ano e mi prese da dietro le tette sollecitando i capezzoli tra le dita; appoggiò la cappella alla figa, spinse con forza e sentii la punta del cazzo fin nello stomaco; godetti alla grande; mentre mi chiavava da dietro; ebbi netta la sensazione che avrebbe gradito enormemente il mio culo; ma non sapevo se era in possesso di un lubrificante.
Sborrò, alla fine, con un urlo disumano al quale fece eco il mio non meno forte; subito dopo, in un momento di lucidità, mi resi conto che avevamo passato troppo tempo a scopare e non avrei avuto scuse plausibili per giustificare quell’assenza; lo sollecitai a concludere e a ricomporci per riacquistare un minimo di presentabilità; quando uscii dalla macchina, ebbi la sorpresa più sgradevole; la nostra auto non c’era più; Gigi se n’era andato e necessariamente aveva visto le corna che gli avevo fatto.
Ero decisamente combattuta; da una parte, mi opprimeva il senso di colpa per avere trasgredito tutte le promesse che ci eravamo scambiati e distrutto, probabilmente, un matrimonio che era senza dubbio felice; sull’altro versante, il solito diavoletto mi suggeriva che se l’era cercata lui, mio marito, insistendo a fare il bigotto moralista e impedendomi anche qualche piccola trasgressione veniale; la conseguenza era stata una scopata su cui doveva passare perché era stata solo una capricciosa ripicca.
La conseguenza più concreta fu però che dovetti far chiamare un tassì che mi portasse a casa; fortuna per me che mio marito mi sollecitava continuamente a tenere in portafogli una banconota per le emergenze; altrimenti, forse avrei dovuto farmi scopare ancora per strappare un passaggio da un automobilista disponibile; in quel momento lo odiai più ferocemente che mai e giurai a me stessa che gliela avrei fatta pagare cara e amara.
Non lo trovai a casa e non si vide fino al pomeriggio del lunedì seguente quando rientrò dal lavoro; non accennai neppure a chiedere dove fosse stato, anche se voci del bar che frequentavo avevano accennato a due notti di fuoco con Mirella, un’amica che da sempre aveva messo gli occhi su mio marito; una logica elementare avrebbe indotto a riflettere che forse potevo proporre la parità delle condizioni, una scopata per due notti di sesso; ma adesso lo volevo umiliare.
Per settimane non ci sfiorammo neppure per errore; non sapevo se andava a lavorare e con quali turni; non mi preoccupavo di mettere in tavola pranzo o cena, lasciando che si arrangiasse forse in mensa o in trattoria; purtroppo per me, furono moltissime le notti che passai in un letto vuoto e freddo perché mio marito, come sapevo benissimo, godeva di larga ammirazione tra le amicizie femminili e moltissime avrebbero fatto carte false per assaggiare il cazzo che io avevo commentato meraviglioso.
La scelta di tradirlo ancora, stavolta scientemente e meditatamente, venne quasi inevitabile; la mia logica autoreferenziale prevedeva ‘occhio per occhio’ e non accettavo neppure l’idea di una pacificazione; non mi ero resa conto che ormai mio marito, esasperato dalla mia tigna rancorosa, si era definitivamente allontanato e forse meditava una rottura definitiva; per tradirlo, scelsi purtroppo un giorno che era tornato a casa con l’intento di dialogare; alle due di notte lo trovai addormentato sul divano.
Proprio quel pomeriggio, infatti, esasperata dalla protervia di Gigi che non mi scopava più, non si faceva vedere in casa, insomma si comportava come se fosse morto, avevo deciso che mi sarei fatta un amante; la scelta cadde su un collega sui trent’anni, single per vocazione, che godeva fama di tombeur de femmes; Manfredi, così si chiamava, mi corteggiava da tempo, anche se non era mai andato a fondo con le proposte, vista la dichiarata fedeltà a mio marito.
Quella mattina approfittai di alcune smancerie di lui per fare emergere la disponibilità ad andarci a letto, senza nessun impegno oneroso per la sua voglia di singolarità; alla chiusura degli uffici, lui mi guidò ad una pensioncina che conosceva e ci demmo alla pazza gioia; fin dal primo approccio, in piedi al centro di una camera squallida accanto ad un letto di improbabile pulizia, ebbi la prova certa che fosse un grande amante, quando la sua mazza si appoggiò alla figa nonostante i vestiti.
Con raffinata eleganza, quasi recitando un copione, mi spogliò con calma e metodo, appoggiando con garbo gli abiti su una sedia; lo imitai facendo lo stesso con lui finché fummo nudi e ci perdemmo un poco ad ammirare le forme del partner; mi persi quasi dietro i muscoli tesi ed esercitati del petto e la dolcezza dei venti centimetri di cazzo che sporgevano come un campanile dal ventre; baciavo, carezzavo e leccavo tutto il corpo; lui fece altrettanto con me.
Dopo una memorabile fellazione, a cui rispose con un cunnilinguo da enciclopedia; finalmente mi penetrò in figa e mi scopò a lungo con gusto; mi fece ruotare più volte da tutte le parti e mi penetrò per un tempo quasi infinito, da sopra, da sotto, da davanti, da dietro, insomma comunque potesse infilare il cazzo in figa e farmi godere; non seppi più quante volte sborrai e squirtai; alla fine, mi scopò a pecorina e dalla figa passò direttamente all’ano inculandomi con forza e determinazione.
Sbizzarrendoci in tutte le varianti possibili della scopata, per tutta la sera fino all’una di notte ci accoppiammo come mandrilli e tornai a casa contenta della scelta fatta; mi ripromisi di incontrare ancora, e spesso, quel giovane amante con un grande cazzo; infatti da allora lo feci diventare l’amante fisso, col quale almeno un pomeriggio alla settimana scopavo nella pensioncina che mi aveva fatto scoprire; Gigi risultava sempre più disperso o introvabile; la scopata impedì che parlassimo.
Nel bar che ero solita frequentare con i miei amici, imparai presto ad appartarmi nel bagno con un giovane, possibilmente nuovo e sconosciuto, per praticargli fellazioni stratosferiche, oppure per farmi infilare a pecorina, spesso spostando solo lo slip o il perizoma che indossavo quella sera, nella figa o nel culo un cazzo che, nelle mani, aveva indicato una consistenza sufficiente a farmi sballare; qualche volta arrivai a strafare scopandomene più di uno nella stessa serata.
Ad un’amica che mi faceva osservare che mio marito si era già attivato per chiedere la separazione, feci notare che da tempo mi scopavo un giovane avvocato, famoso per avere messo in ginocchio mariti assai potenti; le assicurai che l’amante mi aveva garantito che, al momento della definizione dei compensi e degli assegni, avrebbe ridotto in mutande mio marito, che in fondo aveva poche riserve economiche ma uno stipendio che mi doveva garantire a vita il tenore mantenuto nel matrimonio.
L’altra mi chiese se avessi notato che girava per i nostri ambienti un tale Nicola, soprannominato da molti ‘il macellaio’ oppure ’il carnefice’, famoso per torturare le persone col sorriso sulle labbra; pareva che dichiarasse un amore viscerale per il sangue; poiché dimostravo di non avere alba di chi fosse il personaggio, mi ricordò che da ragazzi avevo anche io conosciuto i ‘fratelli di sangue’ Niky e Gigi.
In pratica, i due erano stati affiatati sin da piccoli; poi le strade si erano divise; Gigi era diventato mio marito e aveva abbracciato il credo dell’onestà a del lavoro che paga; Nicola, invece, aveva assunto il ruolo di killer nella ‘famiglia’ di don Liborio e in quella realtà era cresciuto fino a diventare il terzo personaggio, in ordine di potere, del clan malavitoso; io avevo oltraggiato il ‘fratello di sangue’ di un individuo pericoloso; se ancora non avevo subito rappresaglie era solo perché Gigi non aveva voluto.
Per un attimo esitai di fronte ad una rivelazione per me impensabile; ma mi ripresi rapidamente e ribattei che mio marito aveva da sempre dichiarato la sua distanza dai metodi malavitosi.
“Tu eri sposata con lui; perché non lo sei più?’”
“Ho cambiato idea!”
“Cosa potrebbe impedire a Gigi di cambiare idea e di aderire alle regole del clan, quanto meno per darti o farti dare una lezione memorabile?”
“Perché mio marito è un uomo onesto e non si piega a certi dictat!”
“Ma non sei tu quella che lo vorrebbe costringere a piegarsi ai tuoi dictat?”
“E’ un’altra cosa! Comunque, lui non diventerà mai un malavitoso.”
“Perché non ci aggiungi la firma di una moglie rivelatasi puttana?”
La mia tigna era troppo accesa e rancorosa per piegarsi alla logica di certe osservazioni, al punto che evitai persino di parlarne al giovane avvocato che mi rappresentava, in cambio della figa una volta alla settimana; in una delle occasioni successive, dopo una prima grande scopata, mentre ci ristoravamo stesi sul letto supini, gli chiesi se poteva assicurarmi che avrebbe fatto tutto quanto poteva per piegare mio marito e costringerlo alla fame o alla resa; l’altro confermò.
La grossa sorpresa ci colse impreparati quando ci incontrammo davanti al giudice di pace per un ultimo tentativo di pacificazione che ritenevo impossibile anche io che ero stata artefice del crollo, visto il numero incalcolabile di scopate con cui avevo cercato di mettere in ginocchio mio marito e mi trovavo ancora a combattere, stavolta addirittura per questioni economiche, con la convinzione che lo avrei ridotto sul lastrico.
Il giudice lesse i preliminari della vertenza e il mio avvocato presentò le sue richieste, un assegno mensile di valore sufficiente a farmi mantenere il livello di vita a cui mi ero abituata durate il matrimonio; con una imprevedibile mossa a sorpresa, Alessandro, l’avvocato di Gigi che era da molto tempo nostro amico e che aveva sempre manifestato un tenero affetto nei miei confronti, presentò un solo documento che fece leggere al giudice.
Questi ci guardò con una strana meraviglia dipinta sul volto e rivelò che il documento attestava che Gigi da sei mesi era disoccupato e senza reddito; licenziato dalla ditta dove aveva lavorato per anni con un ruolo di alto dirigente, non aveva cercato altra occupazione e viveva oziando; quando chiesi al suo avvocato come facesse per vivere e scialare come avevano visto tutti gli amici che lo frequentavano, si limitò a rispondere che conoscevo perfettamente le capacità di amante di mio marito.
A chiarimento, dichiarò che donne con grandi disponibilità di mezzi, molte sposate ed insoddisfatte del matrimonio, si erano rivolte a Gigi per avere quell’amore che non trovavano altrove; in pratica, mio marito era diventato per tutte, lo scopamico che si destreggiava tra le molte appassionate e distribuiva amore a profusione; in cambio, riceveva vitto, alloggio e tutte le garanzie per una vita agiata; le auto sportive e di lusso che guidava erano di proprietà delle amanti.
I miei urli e le offese al gigolò che contestava una scopata e distribuiva sesso a gogò stizzirono il giudice e infastidirono i due avvocati; Alessandro si limitò ad osservare che le scopate dopo la separazione di fatto erano un problema privato, mentre quelle consumate prima della separazione erano oltraggio che reclamava giustizia; avvertì che niente poteva essere preteso da un nullatenente disoccupato e che le mie richieste risultavano alla fine pura utopia come certi miei capricci.
Uscimmo dall’aula mentre ancora imprecavo come uno scaricatore contro mio marito che, secondo me, mi aveva imbrogliato e si era licenziato per non passarmi l’assegno che ritenevo spettarmi per legge; inutilmente anche il mio avvocato mi sollecitò ad abbassare i toni e a controllare il linguaggio; ormai ero fuori di me e forse sarei arrivata alla violenza se non mi avessero trattenuta e calmata; nel corridoio individuai subito Nicola che aspettava mio marito.
“Quindi, ti sei davvero venduto al clan di don Liborio? Dove sono finiti i tuoi propositi di onestà?”
“Avevo alcuni miti, fino a un anno fa, l’amore, il matrimonio pulito, l’onestà; una troia ha frantumato i primi due, i più importanti; a questo punto, la scelta più opportuna è rincorrere almeno il potere e la ricchezza; hai sempre saputo che sarei stato in gradi di fare carriera anche nella malavita; non mi è stato difficile arrivare ad essere secondo nell’organigramma della struttura mafiosa; devo ringraziare la puttana che mi ci ha costretto rendendo la sua figa una fogna aperta a chiunque!”
“Senti stronzo; mi conosci e sai che è stato solo un capriccio imbecille quello che mi ha portato a tutto questo; quello che non accetti e non sai è che sono ancora la ragazzina che si faceva sverginare a sedici anni da te, pedofilo maledetto; ora sono tarata, sono la puttana che condanni; ma ti amo come allora; sei tu che nemmeno una volta hai voluto subire la mia arroganza; e adesso invece ti sottometti al potere di mafiosi che ti porteranno dove sai benissimo, alla bara o alla galera; complimenti!”
“Sei asurda! Ora ti appelli alla mia lealtà e fino a poco fa blateravi di potere e di lotta; ti do un consiglio; hai umiliato il secondo potere del clan; una sola parola e non avrai futuro; firma la domanda di separazione consensuale senza oneri e vattene per la tua strada; stammi a sentire, stai rischiando troppo, inutilmente e senza speranza!”
“Mi stai minacciando?”
“Dio mi scampi; ti ho amato e non posso fare a meno di volere ancora il tuo bene; ti sto consigliando come ho fatto sempre; se vuoi fare di testa tua, auguri; bada che il carnefice non aspetta altro per scatenarsi!”
“Come tutti i malavitosi, sai solo sparare fanfaronate; vedremo alla fine chi vincerà!”
“Paola, mi costringi a fare cose che mi ripugnano; ancora una volta, sei tu che mi metti alle corde e posso reagire solo con la violenza; finora è stata quella delle intelligenze, ora rischia di diventare fisica; attenta a te!”
In quello stesso momento, il mio avvocato ricevette una telefonata con cui lo avvertirono che una bomba aveva fatto saltare la sua automobile, da cui i figli e la moglie erano scesi da poco per andare a fare spese; l’uomo impallidì e guardò con odio Nicola che sorrideva beffardo; con un gesto inaspettato, mi consegnò il faldone della separazione e mi avverti che, per sopraggiunti problemi familiari, rinunciava a rappresentarmi in quella causa; lo guardai inebetita; uno sguardo di Nicola mi fulminò.
Era ormai chiaro che era iniziata l’operazione di dissuasione e che stavo rischiando veramente la pelle, se non scendevo a più miti consigli; guardai con occhi quasi accorati il mio ormai ex marito e gli chiesi con lo sguardo di aiutarmi; di colpo la mia tigna si sciolse in paura; colse al volo il mio momento di terrore; prese i fogli dell’istanza di separazione consensuale, li poggiò su un tavolo e mi offrì una penna per firmare; le lacrime mi coprivano gli occhi e inondavano il viso, mentre apponevo la sigla che mi condannava alla solitudine e alla povertà.
In un ultimo slancio di affetto, Gigi mi comunicò che, se avessi voluto rifarmi una credibilità lontano da quella città dove mi ero sputtanata irrimediabilmente, lui avrebbe messo in campo tuo il suo potere per consentirmelo; fui costretta anche a ringraziarlo perché mi esiliava; ma gli errori erano stati grossi e irrimediabili; ne usciva distrutto il mio matrimonio, annullata la mia vita di moglie di un dirigente facoltoso e potente; ma anche il mio orgoglio finiva sotto i piedi.
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