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Lui & Lei

Il gioco delle parti


di geniodirazza
11.03.2024    |    2.894    |    0 9.6
"Mi presi un giorno di congedo per affari di famiglia e alle dieci del mattino bussavo al campanello esterno della villa; mi rispose dall’interno una voce..."
Forse non avevo ancora sedici anni compiuti, quando mi abbandonai felice al sesso completo e illimitato; impiegai al massimo un mese per diventare esperta in ogni tecnica amorosa e fui in grado di surclassare le coetanee nella masturbazione, nella fellazione e nel coito sia anale che vaginale; in meno di un anno avevo assaggiato tutti i maschi validi del ‘giro’; l’unico piccolo problema era cercare e trovare il soggetto da sposare con il carico inevitabile di corna.
Marco era quasi la vittima sacrificale predestinata e giunta per caso da un altro territorio nel nostro, accompagnato dalla definizione di ’tre volte buono’ che nel linguaggio popolare significava senza tema di errore, ‘povero fesso’; prima che si scatenasse la solita ‘bagarre’ per dominare il ‘soggetto’, avevo già conquistato il diritto a concupirlo e ad irretirlo nella mia abilità fornicatoria; non oppose nessuna resistenza e me la cavai con qualche sporadica scopata che lo teneva buono.
Ai miei andava benissimo perché, venticinquenne, aveva già fama di gran lavoratore, addetto ai controlli di qualità per una ditta assai famosa nel territorio; il fatto che passasse intere settimane in giro per la regione, a controllare impianti, tornava a totale vantaggio delle mie peripezie sessuali che potevo scatenare con gioia mentre lui era lontano; decidere di sposarlo fu una sorta di ‘garanzia’, per me, per la mia famiglia e, apparentemente, anche per lui; non fece obiezioni.
Quello che non poteva prevedere e che avrebbe stentato a scoprire era che il matrimonio fosse per me una sorta di ‘valvola’ alle mie voglie smodate di sesso, che cominciai a realizzare la sera stessa della ‘luna di miele’ che per lui era il momento culminante della cerimonia e per me soltanto un’occasione come tante per concedergli il ‘minimo sindacale’ di una scopata veloce e poi andare a sollazzarmi col preferito tra gli amici con cui scopavo da anni.
Aveva chiesto di passare una settimana, del viaggio di nozze, in un albergo in montagna, dove aveva prenotato una stanza assai lussuosa; suggerii al mio amante di riservare anche lui una camera più modesta e di attendere che lo raggiungessi; andati a letto, mi concedetti a mio marito per una scopata rapidissima, dalla quale si ritirò assai presto sfiancato e cedette al sonno; indossai una vestaglia sul corpo nudo e andai a raggiungere il mio amico nella sua camera.
Lo trovai nudo su letto in evidente attesa; mi impadronii della mazza nodosa e bella che mi offriva da usare a mio piacimento; cominciai a masturbarlo con devota passione; mi piaceva infinitamente incappellare e scappellare il cazzo, portare la pelle fino ai coglioni e ritornare su a coprire il glande; naturalmente, lo scopo non era farlo sborrare ma solo eccitarlo allo spasimo fino a vedere la cappella diventare quasi viola per la pressione del sangue e cominciare a perdere precum dal meato.
A quel punto scattò, anche in quell’occasione, la punta della lingua che andò a raccogliere le gocce ammirandone l’afrore, il sapore acidulo e la gioia del cazzo che entrava in bocca; strinsi le labbra per obbligare la mazza a violarle come se stuprasse una figa o un buco di culo vergini; la sensazione che stesse vivendo le stesse emozioni di un amante che sverginava una donna mi fu confermata dalle smorfie del viso e dei gemiti intensi a mano a mano che il cazzo penetrava nella cavità orale.
Ad accoglierlo, era pronta la lingua che lo circondava e lo titillava per tutto il percorso, lungo il palato, fino all’ugola dove lo fermavo per conati di rigurgito; cominciai la fellazione vera e per una buona mezz’ora succhiai quel cazzo in tutti i modi, me lo passai in tutta la bocca e lo masturbai con gioia godendo e facendolo godere.
Quando mi resi conto che con la bocca avevo dato il massimo piacere possibile, mi sdraiai supina sul letto, sollevai le gambe e lo invitai e leccami la figa; l’ora successiva fu segnata dalle emozione indicibili della lingua che attraversava il mio sesso in tutte le direzioni; a differenza del mio occasionale partner, però, io sborrai più volte quando mi leccò profondamente in figa, prima sdraiata supina e poi carponi, da dietro, facendo percorrere alla lingua tutto il perineo dal pube all’osso sacro.
Sapeva usare con molta abilità la lingua e mi diede emozioni non frequenti con l’insistenza sui due buchi, con le dita che muoveva sapientemente dentro e fuori singolarmente, a due, a tre, a quattro chiuse a cuneo o addirittura due in figa e due in culo per una doppia masturbazione; vissi momenti di celestiale esaltazione e non aspettavo altro, a quel punto, che si sentirmi sfondare davanti e dietro con una mazza capace di mandarmi ai pazzi per il piacere.
In un momento di sosta della leccata in figa, lo ribaltai sul letto e gli montai addosso a 69; in un attimo fui sul suo cazzo e me lo facevo arrivare fino all’esofago in un arditissimo ingoio; reagì, come speravo, agguantandomi le natiche che, da quella posizione, gli si aprivano in tutto il loro splendore; la lingua dolcissima coprì le piccole labbra e mi provocò fitte straordinarie di piacere che mi attraversarono la spina dorsale e bruciarono il cervello.
Gli suggerii di alternarci nella succhiata per goderci ciascuno la bocca dell’altro e mi presi dalla mazza tutta la libidine che sapeva darmi; subito dopo, fu lui che attraversò il sesso dal monte di venere all’ano e mi fece gemere di goduria; continuammo a leccarci, succhiarci e mordicchiarci a lungo; poi, inchiodandolo supino a letto, gli montai addosso e, a cavallerizza, mi infilai il cazzo in figa fino a che sentii dolermi la cervice dell’utero.
Lo cavalcai con voglia infinita e mi strappai dalla vagina almeno due orgasmi violenti; poi il mio amante mi rovesciò supina, mi divaricò le gambe alzandole e piegandole verso il ventre; infine piombò su di me con tutta la mole del suo cazzo che infilò di colpo in vagina; urlai come squartata e godetti come poche volte mi era capitato; il maschio prese a montarmi quasi con ferocia e alla fine mi scaricò nel ventre uno tsunami di sborra che mi fece squirtare notevolmente.
Crollò al mio fianco svuotato di energie e ce ne stemmo un poco a guardare il soffitto, cercando di recuperare un respiro normale e regolare; quando ci fummo un poco ripresi, mi piegai sul suo ventre e presi in bocca delicatamente il cazzo barzotto; pochi colpi di lingua, qualche succhiata e la mazza cominciò a riprendere vigore; mi fece sistemane a pecoroni e mi leccò a lungo il culo; con le dita spostò nell’ano la sborra che stazionava in vagina; prelevai il tubetto del gel e glielo passai.
Mi preparò a lungo e accuratamente il culo, prima leccando amorosamente, nonostante la presenza della sua stessa sborra; poi usò le dita per allargare il foro e lo sfintere, il muscolo più resistente e difficile da domare; si aiutò col gel a far entrare nel canale rettale due, tre e poi quattro dita a cuneo; ormai il varco era sufficiente all’inculata e mi preparavo già a sentire la mazza violentarmi l’intestino; unse abbondantemente il cazzo, appoggiò la cappella e spinse; la mazza scivolò dentro decisa e rapida; sentii il pacco addominale spinto contro lo stomaco.
La violenta penetrazione mi provocò brividi di piacere che si scatenarono nel ventre, nell’utero, premuto da dietro, insomma su tutto il corpo; mi prese per le tette, spinse e tirò contemporaneamente; il ventre sbatté contro il culo col rumore classico delle carni che si scontrano; la mazza era totalmente nell’intestino con mia somma goduria; spinse e montò a lungo a pecorina; poi ruotò i corpi finché furono a cucchiaio, tutti e due sdraiati sul lato destro col cazzo dentro e una mano che mi straziava il clitoride masturbandomi golosamente.
Mi inculò per un tempo infinito, godendo con gemiti ed urli; trattenne più volte la sborrata e cambiò diverse posizioni, da quella tutto sulla mia schiena a quella faccia a faccia; persi il senso del tempo, nella splendida inculata che mentalmente ad ogni orgasmo dedicavo al mio povero cornuto; la sua indole gli avrebbe impedito di rendersi conto delle mie manovre e lo avrei avuto sotto il mio totale dominio.
Cominciò da lì la vita di coppia che mi risultò assai più soddisfacente di quanto avessi mai potuto prevedere; Marco non cedette di un micron dal suo ritmo di lavoro e fu assente dalla casa che avevamo preso in città per intere settimane; quasi sempre tornava il sabato sera e scopavamo una sola volta quella notte, pranzavamo insieme la domenica, nel pomeriggio ripartiva per un nuovo giro di controllo; per non farmi restare inerte, mi procurò un posto da impiegata in una ditta per cui lavorava.
Quasi naturalmente, riempivo alcune nottate di solitudine con incontri ad alto tasso di libidine; diventato difficile, se non impossibile, mantenere i vecchi legami di sesso, mi ero facilmente costruita realtà alternative e avevo scelto un piccolo dirigente della fabbrica come mio amante privilegiato che spesso mi portavo a casa per lunghe scopate nel talamo nuziale; gli altri giorni, non disdegnavo sveltine nei bagni, dei bar dei pub o delle discoteche che inevitabilmente frequentavo.
Ma gli amanti occasionali che ‘raccattavo’ per le veloci scopate in piedi a pecorina, per lo più nei bagni; oppure per sporadiche occasioni di sesso in automobile, in parcheggi nelle ore serali in cui erano vuoti o in aree apposite dove si incontravano normalmente puttane e froci, guardoni e bull in affitto; insomma tutta la gamma di scopate libere in ambienti provvisori ed occasionali erano solo il preludio alle grandi scopate con il privilegiato tra gli amanti abituali.
Avevo adocchiato, tra i tanti che incontravo e con cui scopavo anche solo per una volta, un bel marcantonio con un cazzo da esposizione che catturò la mia attenzione e la mia libidine; per buona sorte, aveva anche un piccolo alloggio, un miniappartamento attrezzato apposta per grandi scopate più o meno provvisorie; la volta che lo incrociai in un discoteca e mi piantò senza esitazioni una sbarra enorme tra le natiche mentre ballavamo, accettai immediatamente di scoparci nella macchina parcheggiata fuori.
Nel giro di un’ora, mi diede tante di quelle emozioni di piacere e di libidine che non ebbi nessuna esitazione quando mi propose un’occasione successiva in cui, mi assicurò, ci saremmo sollazzati in un ambiente più sicuro e protetto; si riferiva al suo alloggio che dopo qualche giorno visitai e dove passai una notte di incantevoli scopate in ogni buco; immediatamente, decisi che sarebbe stato l’amante da ricercare quando avessi avuto voglia di farmi sbattere come un tappetino.
Con metodo quasi lucido e razionale, cominciai ad incontrarlo all’incirca una volta alla settimana; per qualche mese, ci limitammo a scopare noi due nel suo appartamento; una volta, mi avvertì che poteva incontrarmi ma che aveva già prenotato, con amici, una serata decisamente orgiastica; accettai la proposta e quella notte ne assaggiai almeno tre, in una festa culminata in sesso, droga e liquori che scorrevano a fiumi.
Mio marito Marco era praticamente evaporato dalla mia vita; i primi tempi, si limitò alla visita di poche ore, tra sabato e domenica; poi, progressivamente, andò diradando sempre più la presenza in casa, passando a farmi visita forse una volta al mese; finché, dopo quasi un anno, non si fece vedere quasi più; non lo rimpiansi e quasi non pensavo più a lui, vivendomi la condizione di singola come licenza di libera scopata col cazzo che mi attirasse in quel momento.
In quel clima di libertà assoluta e di libertinaggio incondizionato, sperimentai tutti i percorsi del piacere più arditi, continuamente in gara con me stessa, impegnata a superare i limiti precedenti; sperimentai il piacere della coppia con lei guardona interessata ad osservare con piacere infinito il cazzo del marito che scorreva nella mia figa e nel culo provocandomi orgasmi quasi ininterrotti; passai dalla doppia penetrazione classica, in culo e in figa, alle ipotesi più articolate.
Arrivai a prendermi contemporaneamente fino a sette cazzi, due in bocca e nel culo, uno in figa e due tra le mani; mi scopai in una sera fino a dieci cazzi diversi che si alternarono più volte tra figa, culo e bocca; provai dimensioni impensabili di cazzi grossi spesso più di quello di un cavallo o di un asino; il mio culo riceveva senza sforzo la mazza più grossa immaginabile; la figa non avvertiva più il manganello se non aveva lo spessore di una lattina e una lunghezza asinina.
Insomma, nel giro di poco più di un anno, era slabbrata in ogni dove e non avvertivo più il piacere se non in condizioni esasperate di violenza; in un locale di sesso libero abbattei tutti i record, succhiando al glory hole decine di cazzi di ogni dimensione, scopando fino a trenta volte in un sera facendomi montare dal massimo numero di maschi compatibile; in breve, fui la regina del sesso e facevano la coda per arrivare a scoparmi.
L’aspetto ridicolo della vicenda fu che cercavo in tutti i modi di far trapelare il meno possibile delle mie attitudini, perché nella vita sociale ero la funzionaria impeccabile che faceva il suo dovere, si guadagnava lo stipendio e godeva della stima e del rispetto di tutti; il trucco, semplice, era andare a sfogare le mie voglie il più lontano possibile, dove fossero minime le possibilità di incontrare persone conosciute in grado di individuarmi.
Tra i pochi lussi ‘normali’, vale a dire comuni a tutte le donne della mia condizione, passare qualche ora in un bar a ‘ciaccolare’ con le amiche era quello che mi rilassava di più; non me lo concedevo spesso, preferendo intense e lunghe scopate; ma talvolta mi fermavo con alcune conoscenti, notoriamente regine del pettegolezzo, e mi divertivo molto a raccogliere le novità del momento di cui tutti parlavano; per la mia distanza dalla realtà comune, dovevo spesso chiedere lumi.
Una mattina che mi ero seduta ad un tavolino con tre delle più pettegole, sentii che parlavano con meraviglia di un certo Ottavio che pare avesse, finalmente!, fatto outing e dichiarato pubblicamente la sua omosessualità; poiché non avevo alba di chi fosse il personaggio, chiesi lumi; Franca, la più disponibile delle tre, mi spiegò che era il rampollo di una delle più antiche famiglie della città, dotata di un blasone che li aveva resi baroni del territorio.
Nei recenti decenni, la forza economica e sociale della famiglia era declinata fino al collasso; per rinsanguare le sorti, avevano pensato di dare l’unico figlio in matrimonio alla bellissima Marta, unica erede di una famiglia di nuovi ricchi, uno degli industriali che aveva approfittato del passaggio del territorio da un’economia agricola ad una industriale; il capofamiglia, rivelatosi un autentico pescecane, aveva percorso rapidamente la strada per essere uno dei più rispettati cittadini.
Alla sua ambizione mancava il sigillo di un blasone; la figlia poteva garantirlo sposando il giovane erede dell’altra famiglia; e fece intense e lunghe pressioni per convincerla ad accettarlo come marito; ignorava, poveretto, due cose fondamentali, che sua figlia da anni era innamorata cotta di Marco, un giovane ispettore di una ditta famosa in tutto il territorio e che, soprattutto, Ottavio era notoriamente assai effeminato, forse addirittura omosessuale.
Marta, dopo qualche resistenza, si era resa conto che per suo padre era vitale vedersi riconosciuto in società; sapeva anche che Ottavio sarebbe stato marito solo all’anagrafe; non ci volle poco tempo, ma alla lunga riuscì a convincere Marco che poteva accettare di essere l’amore segreto; mentre lei fingeva il matrimonio coll’innocuo ‘baronetto’, se avessero fatto le cose con la dovuta attenzione, potevano anche essere la vera famiglia mentre il marito anagrafico andava a cercarsi altrove giovani amanti.
Marco aveva ceduto; per rendere più plausibile la frequentazione della casa di lei, avrebbe cercato anche lui una ‘moglie anagrafica’ e si sarebbe dedicato alla compagna vera con tutte le sue energie; non ci vole molto perché lui individuasse una puttanella che ne faceva di cotte e di crude in un paese a breve distanza; la concupì, le fece credere che la sposasse per amore e la lasciò a coccolarsi gli amanti che non le mancavano mai.
Tutto l’inghippo costava un poco; dalla relazione erano nati, in rapida successione, due figli che Marco aveva regolarmente legittimato, tanto il segreto rimaneva tra loro; Ottavio viveva nella villa della moglie con l‘amante di lei; era ‘lo zio’ per i figli di sua moglie, per i quali ‘papà’ era Marco; il gesto di uscire allo scoperto con l’outing che aveva fatto complicava un poco a situazione, ma Marta era serena; suo marito scompariva e lei restava col suo uomo e i suoi figli; della moglie gaudente nemmeno una parola.
Accusando un improvviso strizzone, scappai verso il bagno piegata per non far vedere il viso sconvolto; sprizzavo rabbia da ogni poro; altro che ‘tre volte buono’!; quel figlio di puttana di Marco era venuto apposta al paese per imbrigliare la ‘puttanella stronza’ e indurla a pretendere un matrimonio che a lui serviva solo da copertura; tutte le corna che credevo di fargli sparivano davanti ad una bigamia clamorosa; due figli perfino, aveva fatto con la sua amata; ed io illusa ad aspettare che si piegasse alle mie corna.
Raffinato, il suo progetto! Continuava a versarmi il contributo, coi soldi della compagna che gli uscivano dalle orecchie, come se vivesse con me; intanto si gestivano, lui e lei, una famiglia anomala con un marito una moglie un amante e due figli della colpa che accettavano il padre genetico come genitore; qualunque mossa mi si poteva ritorcere contro, coi miei errori e i miei amanti; ma volevo ad ogni costo almeno parlare faccia a faccia con quel maledetto!
Mentre tornavo al tavolo con le pettegole, avevo già assorbito per buona parte la mazzata dura; l’importante era riuscire a localizzare mio marito, io che da mesi ormai non mi curavo di sapere neppure se fosse vivo; per mia buona sorte, le ‘comari’ sapevano tutto della coppia, tranne che fossi io la moglie puttana abbandonata a se stessa senza saperlo; non ebbero difficoltà a comunicarmi la collocazione della villa in campagna in cui la strana famiglia alloggiava permanentemente.
Mi presi un giorno di congedo per affari di famiglia e alle dieci del mattino bussavo al campanello esterno della villa; mi rispose dall’interno una voce femminile; riuscii a dire solo ‘sono ...’ che l’altra mi anticipò.
“So che sei la moglie di Marco; ti apro il cancello; porta dentro la macchina e vieni su ... “
Il primo impatto mi aveva già stordito; Marta, perché evidentemente era lei che parlava, mi conosceva così bene da individuarmi anche dal visore del citofono; la casa, come mi aspettavo, era ricca e bella, sviluppata su due piani; lei era sopra con i bambini; mi mossi in punta di piedi, quasi timorosa e, guidata dalla sua voce, entrai nella camera dei bambini e mi sedetti; finì di prepararli e mi condusse, prendendomi amichevolmente sottobraccio, al piano inferiore dove una cuccuma di caffè era già pronta.
Non si meravigliava che fossi arrivata fino a lì; anzi, le pareva strano che avessi impiegato tanto tempo a rintracciarla; con poche frasi mi riassunse che amava mio marito da quando erano poco più che adolescenti; avevano fatto insieme le prime esperienze di sesso ed erano fermamente convinti che si sarebbero sposati appena possibile; la proposta indecente di suo padre li aveva colti di sorpresa ma le pressioni della famiglia l’avevano convinta a cedere a quell’inganno.
Quando le avevano indicato Ottavo come marito, lei era già incinta per la prima volta di Marco; dopo lunghe lotte, aveva convinto anche lui a fare ‘l’amante nell’armadio’ per conceder a suo padre il lusso che desiderava, essere protagonista nella società; poiché aveva fatto chiarezza col marito anagrafico, non aveva avuto problemi a creare la finzione della famiglia con l‘amante in casa; era stata lei a chiedere a Marco di conquistarmi e sposarmi solo per l’anagrafe.
Non potevo certo ergermi a giudice, visti i miei comportamenti; d’altronde, risultava sempre più chiaro che in quella società, dominata dalla formalità senza sostanza, l’ideale era proprio il gioco sporco dei ruoli senza merito; la famiglia di lui voleva rinsanguare un inutile blasone; quella di lei voleva assurgere ai fasti delle cerimonie; Ottavio era lo strumento dei genitori incuranti delle sue tendenze sessuali; lei era strumento dei suoi, sacrificando l’amore di sempre; Marco si era piegato alle volontà altrui e, fino a quel momento, tutto procedeva linearmente; non potei sottrarmi al piacere di chiedere cosa prevedesse per il futuro.
“L’unica cosa che mi preoccupa sono i figli; sono già abituati a Marco padre e Ottavio zio; quando saranno adulti, capiranno di essere nati da un grande amore; il mio marito anagrafico in questo momento, dopo il bel gesto di fare outing, è andato a stare con un amante; se lo conosco, e lo conosco, tornerà fra qualche mese e chiederà a Marco la spalla asciutta; sono più amici di quel che si possa credere; in vecchiaia, staremo insieme tutti e tre, se Ottavio non vorrà andare da un’altra parte ... “
“E di me, cosa pensate di fare?”
“Noi non pensiamo niente; tu, se volessi, potresti benissimo essere la ‘zia’ alla pari di Ottavio; ma lui certe cose le va a fare fuori e senza schiamazzi; è chiaro che tu dovresti raggiungere una pace dei sensi assai difficile per le tue abitudini; se, più vecchia e in disarmo, vorrai cercare un rifugio sereno, noi non ti vediamo nemica, mio marito non ha di che lamentarsi, i figli cresceranno come vogliono e ti considereranno la zia matta che compare o scompare; al massimo ci potremmo sostenere a vicenda tutti e quattro.”
“Vuoi dire che non escludete l’ipotesi che io venga a vivere con voi e coi vostri figli come la ‘zia strana’ che non decide sempre con la logica? E a Marco come lo spiegheresti, questo?”
“Non c’è niente che facciamo senza consultarci per un scelta concordata! ... “
“Ciao, maritino! Ci si rivede, alla fine!”
“Avevo molte cosa da fare a casa, sai ... “
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