incesto
Luca: Un Desiderio Proibito Cap.1


01.05.2025 |
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"“Sei pazzo, Luca, che cazzo dici?” sbottò, ma il suo tono tremava..."
[Racconto del 2009 ripubblicato]L’aria nella mia stanza era densa, un misto di sudore, profumo dolce e il ronzio lontano del condizionatore che non riusciva a spegnere il fuoco che mi bruciava dentro. Io sono Luca, 19 anni, un ragazzo qualunque, 1,75 m, magro, capelli castani spettinati, e un cazzo che si induriva al solo pensiero di Sonia, mia sorella. Lei era il mio tormento, una superfiga che mi faceva impazzire da anni. Alta 1,72 m, 24 anni, mora, con capelli lunghi che le cadevano come seta nera sulla schiena, un viso che ricordava Monica Bellucci, con labbra carnose e occhi verdi che ti scopavano l’anima. Il suo corpo da modella, scolpito da ore di palestra e passerelle, era un’arma letale: tette piccole ma sode, capezzoli sempre duri, un culo tondo che implorava di essere strizzato, e una fica che immaginavo stretta e bagnata. Le mie seghe pensando a lei erano epiche, ma erano solo sogni. Fino a quel giorno.
Non ero andato a scuola, un mal di testa fasullo per starmene a casa. La porta della mia stanza, adiacente a quella di Sonia, era socchiusa, e il silenzio della casa era rotto solo dal ticchettio dell’orologio. Poi, un rumore: passi leggeri, risatine soffocate. Alzai gli occhi e il cuore mi si fermò. Nel corridoio, proprio davanti alla camera di Sonia, c’era lei, avvinghiata a nostro zio Alberto, 39 anni, un fighetto pieno di soldi che si teneva come un trentenne e girava su una Ducati Panigale rossa che faceva girare la testa a tutte. La sua camicia nera era sbottonata, i muscoli che si intravvedevano sotto, mentre Sonia, cazzo, era uno spettacolo. Indossava una minigonna di pelle nera che le copriva a malapena il culo, una canotta aderente rossa senza reggiseno, i capezzoli che spuntavano come chiodi, e tacchi alti che facevano risuonare ogni passo. Un perizoma nero, visibile quando si muoveva, le tagliava i fianchi, e il suo profumo di gelsomino, dolce e muschiato, saturava l’aria.
Si baciavano con una fame che mi fece indurire il cazzo all’istante. Alberto le alzò la canotta, tirando fuori quelle tette perfette, succhiandole i capezzoli mentre Sonia gemeva, un suono basso e roco che mi fece tremare. Le sue mani scesero sulla minigonna, sfilandole il perizoma con un gesto rapido, il tessuto che cadeva sul pavimento come una bandiera di resa. Sonia allargò le gambe, la schiena contro il muro, e Alberto, con un ghigno, tirò fuori il suo cazzo, grosso e venoso, infilandolo nella sua fica con un affondo deciso. Sonia urlò, un misto di piacere e sorpresa, poi cominciò a muoversi, il culo che sbatteva contro il muro, i gemiti che si mescolavano al suono bagnato della scopata. Io, nascosto dietro la porta, avevo il cazzo in mano, duro come pietra, e mi segavo come un ossesso, il cuore che mi esplodeva nel petto. La scena era troppo: Sonia, mia sorella, scopata come una porca da nostro zio, proprio lì, a due passi da me.
Presi il cellulare, un impulso perverso che mi guidava. Scattai foto, una dopo l’altra, immortalando Sonia con la fica piena, il viso stravolto dal piacere, Alberto che la pompava senza sosta. I loro gemiti crebbero, un crescendo di lussuria, e vennero insieme, Sonia che tremava, il corpo che si inarcava, Alberto che grugniva mentre le sborrava dentro. Sparirono nella sua camera, e io, con il cazzo ancora duro e la mano sporca di sborra, tornai a letto, la testa piena di idee sporche.
Il giorno dopo, chiamai Sonia in camera mia. Era pomeriggio, la casa vuota. Indossava una gonna di jeans corta, una camicetta bianca annodata che lasciava l’ombelico scoperto, e sandali che mostravano le unghie smaltate di rosso. Il suo profumo di gelsomino mi avvolse, facendomi indurire all’istante. “Ho visto tutto ieri,” dissi, la voce calma ma carica di minaccia. Lei sgranò gli occhi, cercando di negare. “Sei pazzo, Luca, che cazzo dici?” sbottò, ma il suo tono tremava. Aprii il cellulare e le mostrai le foto: lei contro il muro, la fica aperta, il cazzo di Alberto che la riempiva, il suo viso da porca in calore. “Cazzo,” mormorò, il viso che sbiancava. “Sei uno stronzo.”
“Non sono io lo stronzo,” ribattei, avvicinandomi. “Sei tu che ti fai scopare da zio Alberto, porca. E in casa nostra, con sua moglie che viene qui ogni settimana. Cosa pensi che direbbero mamma e papà? O la zia?” Sonia mi fissò, gli occhi pieni di rabbia e paura. “Che cazzo vuoi, Luca?” sibilò. Mi abbassai i jeans e gli slip, il cazzo duro che svettava, pulsante. “Voglio te,” dissi, prendendolo in mano. “Da oggi, mi scopi quando voglio, o queste foto finiscono ovunque.” Lei scosse la testa, incredula. “Sei malato, sono tua sorella, è contro natura!” urlò, ma nei suoi occhi vidi un lampo, un misto di sfida e desiderio.
“Contro natura?” risi, avvicinandomi. “Come scoparti lo zio? Dai, Sonia, non fare la santarellina. Inginocchiati e succhiami il cazzo, o giuro che mando tutto alla zia.” Lei mi fissò, il respiro corto, poi, con un gemito di resa, si inginocchiò. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio cazzo, i capelli lunghi che le cadevano sulle spalle. “Sei un porco,” mormorò, ma prese il cazzo in mano, accarezzandolo piano, la pelle calda che mi faceva tremare. “Non una sega, sorellina,” dissi, spingendole la testa. “Prendilo in bocca, cazzo, lo voglio sentire.” Sonia, sconfitta, dischiuse le labbra, e il calore della sua bocca mi avvolse, un paradiso bagnato che mi fece gemere. Succhiava piano, la lingua che scivolava sulla cappella, il sapore del mio pre-sperma che le riempiva la bocca. “Accarezzami le palle, porca,” ordinai, e lei, obbediente, prese le mie palle, massaggiandole con dita esperte, il suo tocco che mi mandava in estasi.
La guardavo, i capelli che le coprivano il viso, e li spostai per vedere meglio. Succhiava con maestria, la bocca che si stringeva come una fica, la lingua che danzava, salendo e scendendo, il suono bagnato che riempiva la stanza. “Cazzo, sei brava,” gemetti, spingendo i fianchi, il cazzo che le toccava la gola. Lei mugolava, il suono che mi faceva impazzire, e dopo pochi minuti sentii l’orgasmo montare. “Sto venendo, porca,” ringhiai, e lei, sorpresa, cercò di ritrarsi, ma le tenni la testa ferma, sborrandole in bocca. Fiotto dopo fiotto, la sborra calda le inondò la gola, e lei, tossendo, sputò sul pavimento, il viso rosso. “Figlio di puttana,” sibilò, pulendosi la bocca. Io risi, il cazzo ancora duro come pietra. “Siamo fratelli, porca,” dissi, “e questo è solo l’inizio.”
Le alzai la gonna di jeans, scoprendo un perizoma bianco che le tagliava la fica, già bagnato. “Cazzo, sei fradicia,” dissi, strappandoglielo via. La feci sedere sulle mie gambe, il cazzo che premeva contro la sua fica. “No, Luca, cazzo, non farlo,” implorò, ma i suoi occhi dicevano altro. La spinsi giù, la cappella che entrava, calda e stretta, e Sonia gemette, un suono che era metà dolore, metà piacere. “Scopami, sorellina,” ordinai, e lei, dopo un istante di resistenza, cominciò a muoversi, cavalcandomi come una dannata. Il suo culo sbatteva contro le mie cosce, la fica che mi stringeva il cazzo, il suono bagnato che riempiva la stanza. La guardavo, i suoi occhi verdi pieni di lussuria, il corpo che si muoveva come su una passerella, ma ora era la mia porca.
Le misi le mani sul culo, strizzandolo, e infilai un dito nel suo buco stretto, un gesto che la fece urlare di sorpresa. “Porco,” gemette, ma non si fermò, continuando a scoparmi, la fica che si contraeva. “Vieni, porca,” le sussurrai, e lei, come se aspettasse il mio permesso, esplose, il corpo che tremava, uno squirt che mi bagnava il cazzo, il suo urlo soffocato che mi mandava in paradiso. “Cazzo, sì,” gemette, la fica che pulsava, il liquido caldo che colava sulle mie palle. La sua resa mi fece quasi venire, ma volevo di più.
La alzai, sdraiandola sul tappeto, il suo corpo perfetto sotto di me. “Non dentro, Luca, non prendo niente,” implorò, ma io, con un ghigno, le presi la mano, facendomi segare. Venni con un ruggito, sborrandole sul ventre, fiotti caldi che le dipingevano la pelle, il suo viso che si contorceva tra disgusto e piacere. “Sei un porco schifoso,” disse, ma il suo tono era diverso, quasi complice. Mi sdraiai accanto a lei, accarezzandole il culo, fantasticando sul momento in cui l’avrei inculata. Ma non era finita.
Sonia, sdraiata, mostrava la sua fica, depilata con cura, i peli tagliati a formare una striscia sottile, una decorazione che mi fece indurire di nuovo. Mi avvicinai, il suo odore muschiato che mi chiamava, e lei, con un gesto deciso, mi prese il viso, spingendomelo tra le cosce. “Hai voluto questo gioco, porco,” disse, la voce roca, “finiscilo bene.” Leccai la sua fica, le grandi labbra bagnate, il sapore dolce e salato che mi ubriacava. La mia lingua scivolava sul clitoride, duro e gonfio, succhiandolo come una caramella, mentre Sonia gemeva, le cosce che si stringevano attorno alla mia testa. “Piano, cazzo,” mi guidava, “lecca così, lento… ora più forte.” Obbedii, la lingua che danzava, il suo culo che si sollevava dal tappeto, i gemiti che si trasformavano in urla soffocate.
La sentii tremare, il corpo che si inarcava, e poi esplose, un orgasmo che la scuoteva come una tempesta. “Cazzo, vengo!” urlò, uno squirt che mi bagnava il viso, schizzi caldi che mi colavano sul mento, il sapore muschiato che mi mandava in estasi. Il suo corpo vibrava, le cosce che si contraevano, il clitoride che pulsava sotto la mia lingua, il liquido che schizzava sul tappeto, un lago di piacere che odorava di sesso. Continuai a leccarla, ignorando i suoi “basta”, la lingua che scivolava anche sul suo buco del culo, stretto e invitante, immaginando il mio cazzo che lo apriva. Lei, persa, mi prese il cazzo in bocca, iniziando un 69 da sogno. Succhiava come una professionista, la gola che mi accoglieva, le palle che le sbattevano sul viso, mentre io leccavo la sua fica, il clitoride che pulsava sotto la mia lingua. Venimmo insieme, io sborrandole in gola, lei squirtando di nuovo, il nostro piacere che si mescolava in un’esplosione di lussuria.
Ci accasciammo sul tappeto, i corpi madidi di sudore, l’odore di sborra e fica che impregnava l’aria. “Sei un porco,” disse Sonia, ma il suo sorriso era complice. “E tu sei la mia porca,” risposi, accarezzandole il culo. Sapevo che il mio ricatto era solo l’inizio. Quel buco stretto sarebbe stato mio, e le nostre giornate sarebbero diventate un inferno di piacere proibito.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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