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Serena: La cena di lavoro


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
25.04.2025    |    4.110    |    2 9.5
"La sua lingua danzò con la mia, un duello di passione che mi fece gemere..."
RIEDIZIONE DI UN RACCONTO VERO DEL 2009
Mi chiamo Serena, trentadue anni, e il mio corpo è un tempio consacrato al piacere, un santuario che ho adornato con esperienze sin dall’adolescenza: uomini, donne, amplessi di gruppo che mi hanno insegnato l’arte di accendere e spegnere i desideri. Sono una creatura di seduzione, non per vanità, ma per natura. Fuori dall’ufficio, dove mantengo un contegno impeccabile, il mio spirito si libera: civettuola, provocante, con gonne che accarezzano le cosce e abiti che scolpiscono le mie curve. Mio marito, un fuoco che arde sempre, si eccita nel vedermi così, specialmente quando i miei tacchi risuonano e il tessuto aderente rivela il mio intimo, un dono che lui stesso sceglie con cura: pizzi audaci, perizomi che sono un sussurro di seta, reggiseni che offrono i miei seni come frutti maturi. La mia silhouette, modellata da ore di attività fisica – e da amplessi che mi consumano in deliziosa fatica – è un’arma che brandisco con grazia. Agli occhi degli altri, sono una visione, una “gnocca” che incanta e turba.
Ma lasciate che vi narri un episodio che ha sconvolto il mio equilibrio, un vortice di lussuria che ancora mi fa tremare le cosce al solo pensiero. Era fine settembre, e l’azienda in cui lavoro, un ingranaggio ben oliato di numeri e scartoffie, chiudeva il suo esercizio economico. Come ogni anno, un venerdì si teneva la cena aziendale, un rito che univa colleghi e ospiti di riguardo, clienti che avevano fatto brillare i bilanci. Io, impiegata in amministrazione, ero abituata a sedermi al tavolo degli invitati di spicco, accanto alle colleghe più avvenenti. Spesso erano serate noiose, ma quella volta un presagio mi accese: tra gli ospiti c’era lui, Carlo, un uomo che avevo incrociato in riunioni passate. Un figo, come si dice, con occhi che sembravano spogliarmi e un sorriso che mi aveva già fatto fremere il clitoride, risvegliando la mia natura di predatrice.
Sapevo che avrei potuto averlo, e il solo pensiero mi fece bagnare. Non sono di quelle che si concedono al primo venuto, ma quando l’adrenalina mi scorre nelle vene, divento una musa del piacere, pronta a tessere storie che poi racconto a mio marito per farlo impazzire di desiderio. Con la presunzione di catturare Carlo, scelsi un abbigliamento che fosse un equilibrio tra eleganza e provocazione: una camicetta di seta chiara, che accarezzava i miei seni come un amante, e una gonna nera, appena svasata, che si fermava sopra il ginocchio, lasciando intravedere la promessa delle mie cosce. Sotto, però, la mia indole porca si scatenò: un coordinato di Londra, regalo di mio marito, con un reggiseno a balconcino che esponeva i capezzoli turgidi e un perizoma così sottile da essere un filo di seta, un triangolino che si insinuava tra le labbra della mia fica, sfregando il clitoride a ogni passo. Completai il tutto con autoreggenti a rete color carne, il pizzo che incorniciava le cosce, e tacchi a spillo che gridavano seduzione. Rimirandomi allo specchio, il mio riflesso mi fece sorridere: ero una dea pronta a reclamare il suo tributo.
Al ristorante, quando vidi Carlo, il cuore mi balzò in gola. Era lui, proprio lui, con quel fascino che mi aveva già conquistata in sogno. Ma un’ombra mi attraversò: era accompagnato da un collega, Sandro. La delusione mi morse, temendo che il mio piano si sgretolasse. Eppure, mentre prendevo posto tra i due, la rabbia si dissolse. Sandro non era da meno: un uomo dal fascino discreto, con occhi che mi studiavano come se volessero divorarmi. Ballai con entrambi, i miei capezzoli duri che premevano contro la seta, tradendo la mia eccitazione, mentre il perizoma, ormai un intruso delizioso, mi strofinava il clitoride, mandandomi ondate di piacere a ogni movimento. Sentivo i loro sguardi, e non solo: il rigonfiamento nei loro pantaloni parlava chiaro. Ero il centro del loro desiderio, e questo mi faceva fremere.
Durante un ballo, Carlo, con la voce che era un sussurro di velluto, propose di spostarci in un locale notturno che conosceva, dove ostriche e champagne promettevano delizie. Accettai senza esitare, la mia mente già persa in fantasie. Ma Sandro, proprietario dell’auto, si unì, e un’altra fitta di frustrazione mi colpì. Mentre li seguivo con la mia macchina, però, un pensiero mi attraversò: essere desiderata da due uomini non era poi così male. Il locale era un’alcova di luci soffuse, con divani avvolgenti e musica che accarezzava i sensi. Lo champagne, unito al vino della cena, sciolse le mie inibizioni. Mi lasciai andare, avvolta dai loro complimenti: lodavano la mia professionalità, ma i loro occhi si perdevano sul mio seno, visibile attraverso la seta, e sulla gonna che, sedendomi, si era sollevata, rivelando le cosce ornate di pizzo.
Confessai di essere sposata, ma sottolineai la libertà che mio marito mi concedeva. Carlo era fidanzato, Sandro libero. Ballammo ancora, i nostri corpi così vicini da sfiorare l’indecenza, i loro membri duri che premevano contro di me, il mio clitoride che pulsava sotto il perizoma. Lo champagne mi fece girare la testa, e quando Sandro si offrì di accompagnarmi a casa, accettai, incapace di guidare. Ma Carlo propose una deviazione: un caffè a casa di Sandro, per “svegliarmi”. Non so se fosse una scusa, ma il mio corpo gridava di sì.
Mi ritrovai sul divano di Sandro, lasciva, le gambe accavallate che lasciavano intravedere il pizzo delle autoreggenti. Il caffè brasiliano, forte e aromatico, mi schiarì la mente, ma accese il fuoco che già ardeva in me. “Come sei bella,” sussurrò Carlo, la sua bocca così vicina che sentii il calore del suo respiro. Dimentica di tutto, gli catturai le labbra, un bacio famelico che fece esplodere il desiderio. La sua lingua danzò con la mia, un duello di passione che mi fece gemere. Mi voltai verso Sandro, e il suo sguardo bruciava di lussuria. Lo baciai, un bacio altrettanto profondo, il sapore dello champagne che si mescolava al nostro ardore.
Mentre Sandro mi accarezzava i seni, i capezzoli duri sotto le sue dita, Carlo mi mordicchiava il lobo dell’orecchio, un gesto che mi fece bagnare ancora di più. “Per Diana, sei una porcona,” esclamò Sandro, inginocchiandosi davanti a me. Mi sollevò la gonna, rivelando il perizoma che era scomparso tra le labbra della mia fica, ormai fradicia. Spalancai le cosce, offrendomi a lui, e la sua lingua si insinuò, leccando il clitoride con una maestria che mi fece ansimare. Ogni colpo era un’onda di piacere, il mio corpo che si inarcava, il respiro che si spezzava.
Carlo, spogliandosi, mi offrì il suo cazzo, duro e pulsante. Lo accolsi in bocca, assaporando il gusto asprigno, la mia lingua che danzava sul glande, i suoi gemiti che mi eccitavano ancora di più. Sandro, tolto il perizoma, esplorava ogni centimetro della mia fica e del mio culo, la sua lingua che si insinuava nei miei buchi, facendomi tremare. Poi Carlo mi fece inginocchiare sul divano, e con un affondo mi penetrò, la sua cappella che si modellava alle pareti della mia vagina, un piacere così intenso che gridai. Sandro, spogliatosi, mi offrì il suo cazzo, più grande, e lo succhiai con avidità, la bocca piena, il sapore dei miei umori che mi inebriava.
Carlo uscì per non venire, e Sandro prese il suo posto, facendomi cavalcare il suo membro. Ogni movimento era un’estasi, le sue mani che guidavano i miei fianchi, il mio clitoride che sfregava contro di lui. Carlo, non contento, mi leccò il culo, umettandolo, e poi vi puntò la cappella. Spinsi per accoglierlo, e il dolore iniziale si trasformò in un piacere viscerale, il mio corpo scosso da due cazzi che mi riempivano. Urlavo, il piacere che si irradiava dal basso ventre, i loro affondi che mi portavano al confine della follia. Vennero insieme, flotti caldi che mi inondarono, e io mi abbandonai, esausta, su Sandro, baciandolo mentre Carlo mi accarezzava la nuca.
Sotto la doccia, i nostri corpi nudi si intrecciarono ancora, le loro mani che mi esploravano, i miei capezzoli che si indurivano sotto i loro morsi. Bevemmo un altro caffè, ridendo, toccandoci, i loro cazzi che tornavano a irrigidirsi sotto le mie carezze. Alle sei del mattino, mi rimisi il perizoma, e i loro complimenti mi fecero arrossire di piacere. Mi riaccompagnarono alla mia auto, e li salutai con un bacio che sapeva di promesse.
A casa, mio marito mi accolse con un sorriso sornione: “Dall’espressione, direi che la cena è stata squisita.” Mi baciò, lasciandomi nel dubbio. Non gli ho mai raccontato di quella notte, né degli incontri che seguirono, con Carlo, con Sandro, o con entrambi. Quando sono con loro, il mondo svanisce, e mi perdo in un piacere che mi fa dubitare: e se fossi innamorata?
Un bacio, Serena.

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