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Laura e Fabio: Un vortice di dolore e piacere


22.04.2025 |
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"Aiutò Laura ad alzarsi, sostenendola con mani ferme ma gentili, il suo corpo ancora tremante, il sudore e l’urina che le colavano lungo le cosce..."
Laura, 29 anni, sarda, alta 1,64 per 62 kg, aveva un corpo che gridava desiderio, con una terza di seno sodo che catturava ogni sguardo, mentre lavorava al porto di Cagliari, tra l’odore di salsedine e il rumore delle navi. I suoi capelli neri le cadevano sulla schiena come un velo di seta, gli occhi castani brillavano di una lussuria nascosta, e la sua pelle olivastra, profumata di mare e sudore, sembrava implorare il tocco di un padrone. Dentro di sé, Laura si sentiva schiava, un’anima prigioniera di un desiderio che la consumava: essere posseduta, umiliata, ridotta a un oggetto di piacere, il suo corpo che si piegava a ogni comando, la mente che si spegneva per lasciare spazio alla sottomissione totale. Ogni fibra del suo essere vibrava al pensiero di essere usata, di sentire il dolore che la spezzava, il piacere che la ricostruiva, un fuoco che bruciava dentro di lei, un bisogno di appartenere a qualcuno che la dominasse senza pietà. Amava essere scopata in ogni modo, il dolore che la portava al confine dell’estasi, una fame che non si spegneva mai, un’ossessione che la definiva. La sua fantasia più oscura stava per diventare realtà: essere punita, umiliata, e usata da un uomo conosciuto su A69, Fabio, 48 anni, ingegnere robusto di Roma, in vacanza in Sardegna. Si erano dati appuntamento, lei schiava desiderosa di sottomissione, il cuore che batteva forte al pensiero di inginocchiarsi, di essere spezzata, di sentirsi finalmente viva nella sua schiavitù, lui padrone pronto a soddisfare ogni suo desiderio oscuro, a far emergere la schiava che Laura sentiva di essere nel profondo.Fabio aveva orchestrato ogni dettaglio con cura maniacale, scegliendo una casetta appartata a Sant’Antioco, nascosta tra le colline aspre della Sardegna, dove il silenzio era rotto solo dal frinire dei grilli e dal vento che portava con sé l’odore salmastro del mare. Era arrivato due giorni prima, il cuore che batteva con un misto di eccitazione e controllo, determinato a trasformare quel luogo in un tempio di sottomissione per Laura. Aveva stretto accordi precisi con il gestore, un uomo discreto che non faceva domande, e la casa era stata preparata come una scena di un oscuro rituale: una poltrona Tantra, dalle curve sinuose, posizionata accanto a una finestra che dava sul mare, perfetta per umiliarla sotto la luce della luna; una panca imbottita a cavalletto, rivestita di pelle nera, che odorava di cuoio e promesse di dolore, pronta a sostenere il corpo di Laura durante le punizioni; una gogna di legno scuro, lucidata, che attendeva di imprigionare il suo collo e i polsi, esponendola alla vergogna; un gancio al soffitto con una carrucola, il metallo freddo che brillava sotto la luce fioca, progettato per sollevarla e spezzarla; tre matasse di corda da 15 metri—una bianca, pura come la sua resa, una nera, oscura come i suoi desideri, e una ruvida da 8 mm, che avrebbe segnato la sua pelle con ogni nodo. Sul tavolo, una cappelliera di velluto conteneva gli strumenti del tormento: un frustino a 5 code, le strisce di cuoio che sibilavano nell’aria, un frustino singolo, sottile e crudele, una bacchetta di bambù che prometteva colpi precisi e brucianti, bracciali-manette per polsi e caviglie, il metallo freddo che avrebbe bloccato ogni movimento, e una bit ball per la bocca, rossa, che avrebbe soffocato i suoi urli, lasciando spazio solo ai gemiti.
Fabio aveva portato da Roma un elemento fondamentale il collare con guinzaglio, il cuoio nero che profumava di nuovo, pronto a stringere il collo di Laura, oltre ad altro materiale molto doloroso. Tutto era pronto per spezzare Laura, per portarla al confine tra sofferenza ed estasi, ogni strumento un’arma per la sua sottomissione, ogni angolo della casa un altare per il suo sacrificio.
Laura arrivò alla casetta al tramonto, il mare che scintillava in lontananza, l’odore di salsedine che si mescolava al suo profumo di lavanda. Indossava una gonna corta nera, una maglietta aderente, e tacchi, ma Fabio non perse tempo. “Spogliati, puttana,” ordinò, la voce dura. Laura obbedì, il tessuto che cadeva con un fruscio, rivelando il corpo nudo, i capezzoli già duri, la fica depilata che gocciolava. Fabio le mise il collare con guinzaglio, il cuoio freddo che le stringeva il collo, e la portò sul balcone, il vento che le accarezzava la pelle, il rischio che qualcuno la vedesse nuda che la eccitava. “Safe word: Rosso,” disse Fabio, e Laura annuì, il cuore che batteva forte.
Fabio la bendò con il nastro di raso nero, il buio che amplificava ogni sensazione, il cuore di Laura che batteva forte, il respiro corto, mentre le infilava la bit ball in bocca, la plastica dura che le allargava le labbra, la saliva che colava lungo il mento, il suono dei suoi gemiti soffocati che echeggiava nella stanza. La legò sulla panca a pancia sotto, le corde ruvide che le segnavano la pelle olivastra, i polsi e le caviglie bloccati dalle manette di metallo freddo, il culo esposto, vulnerabile, un’offerta al suo padrone. Fabio prese il frustino a 5 code, le strisce di cuoio che sibilavano nell’aria, e colpì con forza, il suono secco che riempiva la stanza, il dolore che esplodeva sul culo di Laura, un urlo strozzato dietro la bit ball, mentre lui ordinava, “Conta, puttana!” “Uno,” biascicò lei, la voce spezzata, le lacrime che iniziavano a formarsi sotto la benda. Ogni frustata era un fuoco, e Laura contava, “Due… tre…,” il culo che bruciava, la pelle che si arrossava, ogni colpo un’esplosione di sofferenza. Ogni tre frustate, Fabio si fermava, il silenzio rotto solo dal suo respiro affannoso, e le infilava un cuneo di legno di 5 cm nel culo, il buco stretto che si apriva con violenza, il dolore acuto che la faceva tremare, un ruggito che le sfuggiva la prima volta, mentre il suo culo cedeva, il legno che forzava l’ingresso, il bruciore che la devastava, le lacrime che scorrevano copiose, il pianto che scuoteva il suo corpo. Ma quel dolore, così intenso, le portava anche un piacere oscuro, una pulsazione che dalla fica si irradiava in tutto il corpo, il clitoride che si gonfiava, il desiderio che si mescolava alla sofferenza, ogni spinta del cuneo un’estasi proibita che la faceva sentire viva, sottomessa, spezzata. Dopo sezione, Fabio usava il massaggiatore vibrante sul clitoride, il ronzio che la portava al confine dell’orgasmo, il piacere che si intrecciava al dolore, il suono bagnato della sua fica che gocciolava sul pavimento, un lago di umori che testimoniava la sua resa. Laura contò “cinquanta “ era devasta ed il culo irriconoscibile.
Fabio la slegò con movimenti decisi, le corde che si allentavano lasciando segni rossi sulla pelle di Laura, il suo corpo ancora tremante per le frustate precedenti. La mise a pancia sopra, posizionandola sulla panca con cura, e la legò nuovamente, le corde ruvide che le mordevano i polsi e le caviglie, le gambe spalancate in modo osceno, la fica esposta, gonfia e bagnata, un bersaglio perfetto per la sua crudeltà. Questa volta, prese la frusta singola di cuoio, una striscia lunga e sottile che sibilava nell’aria, e colpì direttamente la fica, il suono secco della pelle che si arrossava, ogni colpo un fuoco che esplodeva, un dolore lancinante che faceva urlare Laura dietro la bit ball, le lacrime che scorrevano copiose sotto la benda nera, il viso rigato di sofferenza. Ogni due frustate, Fabio si fermava, accendendo il massaggiatore vibrante e premendolo sul clitoride, il ronzio che la portava al confine dell’orgasmo, il piacere che si intrecciava al dolore, per poi colpirla di nuovo, un ciclo di tormento che la spezzava. Laura pianse, il dolore insopportabile, la fica in fiamme, ogni colpo un’agonia, il corpo che si contorceva contro le corde, il sudore che le colava lungo il ventre, l’odore muschiato del suo desiderio che saturava l’aria. Poi, dopo un colpo particolarmente feroce, l’orgasmo arrivò, un’esplosione violenta e intensa, come se il suo corpo si stesse rompendo: un urlo soffocato eruppe dalla bit ball, il corpo che tremava in spasmi incontrollabili, la fica che si contraeva con una forza primordiale, e uno squirt quasi innaturale schizzò fuori, un getto potente che colpì la panca e il pavimento, un fiotto caldo e continuo che sembrava non finire mai, il suono bagnato che echeggiava nella stanza, il profumo di sesso che si mescolava al sudore e alle lacrime. Laura crollò, il respiro affannoso, il corpo devastato, il piacere e il dolore che si fondevano in un’unica, travolgente liberazione.
Fabio la slegò dalla panca, le corde che lasciavano segni rossi sulla sua pelle, e le tolse la benda di raso nero, rivelando i suoi occhi castani, lucidi di lacrime e desiderio, il viso rigato di sofferenza e lussuria. La legò di nuovo con maestria, le mani dietro la schiena, le corde ruvide che le stringevano i polsi, e le gambe piegate e aperte, i muscoli delle cosce tesi, la fica e il culo esposti in modo osceno, vulnerabili, pronti per essere devastati. La sollevò con la carrucola posta sul soffitto, il gancio che tirava le corde, il corpo di Laura che si tendeva, il peso che gravava sulle spalle, il respiro corto, il profumo muschiato del suo sudore che riempiva l’aria. Sotto di lei, Fabio posizionò un cuneo di legno largo 15 cm alla base, cosparso di grasso, la superficie lucida e scivolosa, ma imponente, un’arma di dolore pronta a dilatarla. Lentamente, fece scendere la carrucola, il corpo di Laura che si abbassava con tutto il suo peso, il cuneo che premeva contro il buco del culo, il grasso che facilitava l’ingresso ma non attenuava il tormento. Laura gemette, il dolore che cresceva mentre il buco si apriva, forzato, dilatato oltre ogni limite, un’agonia che le strappava un urlo strozzato, il culo che bruciava, il legno che si conficcava dentro di lei, centimetro dopo centimetro, la sensazione di essere spezzata, il buco che si allargava in modo innaturale, un dolore lancinante che le faceva perdere il respiro, le lacrime che scorrevano copiose, il pianto che scuoteva il suo corpo appeso. Eppure, resisteva, il suo spirito da schiava che la teneva salda, il desiderio di compiacere il padrone che la sosteneva, il sudore che le colava lungo la schiena, l’odore di grasso e sesso che si mescolava al legno. Quando il cuneo fu completamente dentro, il culo devastato, Fabio prese il vibro-massaggiatore, il ronzio che riempiva la stanza, e lo premette sul clitoride, massaggiandolo con movimenti circolari, il piacere che esplodeva in contrasto al dolore, portandola al confine dell’estasi. Laura venne, un orgasmo incontrollabile e violento, il corpo che si contorceva contro le corde, un urlo che erompeva, uno squirt che schizzava sul pavimento, un getto caldo e potente che sembrava non finire, il profumo di sesso che saturava l’aria, il corpo che tremava in spasmi selvaggi. Fabio, con un sorriso crudele, esordì, “Ora che sei pronta, iniziamo,” la voce fredda e carica di promesse oscure, mentre Laura, ancora scossa, sapeva che il vero tormento era appena iniziato.
Fabio la fece sedere, legandola a una sedia con corde ruvide che le stringevano il seno, facendolo gonfiare, la carne che pulsava sotto la pressione, i capezzoli duri e vulnerabili, rossi e tesi, pronti per il tormento. Prese la bacchetta di bambù, il legno sottile che sibilava nell’aria, e colpì i seni con forza, il suono secco che echeggiava nella stanza, il dolore che esplodeva come un fulmine, facendo urlare Laura, le lacrime che scorrevano copiose sotto i suoi occhi castani, il viso contorto in una smorfia di sofferenza. Colpì i capezzoli con precisione, ogni colpo un’esplosione di agonia, le mollette che li stringevano, il sangue che pulsava sotto la morsa, Laura che gridava, il corpo stremato, il sudore che le colava lungo il collo, l’odore muschiato del suo dolore che saturava l’aria. Quando era al confine della resistenza, il corpo tremante, incapace di reggere altro, Fabio la liberò dalla sedia e la mise alla gogna, le mani e il collo bloccati nel legno freddo, uno specchio davanti a lei che rifletteva il suo corpo martoriato: il viso rigato di lacrime, i capezzoli rossi e gonfi, la fica e il culo devastati dai colpi e dal cuneo, segni rossi e lividi che raccontavano la sua sottomissione. La porta si aprì, e due uomini entrarono: un uomo di colore, alto e muscoloso, con un cazzo enorme, e suo zio Carlo, 55 anni, il cugino di suo padre, che la fissò con occhi pieni di disprezzo e desiderio, “Puttana schifosa,” ringhiò, la voce carica di rabbia e lussuria, mentre si avvicinava, il suo cazzo già duro nei pantaloni. Carlo non resistette, la percorse con uno sguardo famelico, le mani che tremavano mentre le toccava la fica, ancora gocciolante, e senza esitazione la penetrò con forza, il cazzo che la riempiva, ogni affondo un colpo selvaggio, il suono bagnato della sua carne che si apriva, Laura che gemeva, l’umiliazione che la consumava, il corpo che si contorceva contro la gogna. Carlo si spostò, il cazzo ancora gocciolante dei suoi umori, e l’uomo di colore prese il suo posto, posizionandosi dietro di lei, il cazzo enorme che premeva contro il culo ormai devastato, i segni delle frustate che pulsavano, il buco dilatato dal cuneo che bruciava. La scopò con colpi secchi e brutali, ogni affondo che si scontrava con i segni delle frustate, il culo martoriato che si apriva ancora di più, un dolore lancinante che le strappava urla, ma al tempo stesso un piacere oscuro che le faceva pulsare la fica, il clitoride che si gonfiava, il corpo che tremava in un misto di agonia ed estasi, l’odore di sesso e sudore che riempiva la stanza, i suoi gemiti che si mescolavano ai grugniti dell’uomo di colore.
Fabio la fece sedere, legandola a una sedia con corde ruvide che le stringevano il seno, facendolo gonfiare, la carne che pulsava sotto la pressione, i capezzoli duri e vulnerabili, rossi e tesi, pronti per il tormento. Prese la bacchetta di bambù, il legno sottile che sibilava nell’aria, e colpì i seni con forza, il suono secco che echeggiava nella stanza, il dolore che esplodeva come un fulmine, facendo urlare Laura, le lacrime che scorrevano copiose sotto i suoi occhi castani, il viso contorto in una smorfia di sofferenza. Colpì i capezzoli con precisione, ogni colpo un’esplosione di agonia, le mollette che li stringevano, il sangue che pulsava sotto la morsa, Laura che gridava, il corpo stremato, il sudore che le colava lungo il collo, l’odore muschiato del suo dolore che saturava l’aria. Quando era al confine della resistenza, il corpo tremante, incapace di reggere altro, Fabio la liberò dalla sedia e la mise alla gogna, le mani e il collo bloccati nel legno freddo, uno specchio davanti a lei che rifletteva il suo corpo martoriato: il viso rigato di lacrime, i capezzoli rossi e gonfi, la fica e il culo devastati dai colpi e dal cuneo, segni rossi e lividi che raccontavano la sua sottomissione.
La porta si aprì, e due uomini entrarono. Uno era un uomo di colore, alto, muscoloso, con un cazzo enorme che pulsava nei pantaloni, l’altro era suo zio Carlo, il cugino di suo padre, un uomo maturo di 55 anni, che Laura riconobbe subito, il cuore che le esplodeva nel petto, “Cazzo…” sussurrò, l’umiliazione che la consumava, il pensiero di essere vista così da un parente che la travolgeva. Carlo la fissò con disprezzo e desiderio, “Puttana schifosa,” ringhiò, la voce carica di rabbia e lussuria, mentre si avvicinava, il cazzo già duro, le mani che tremavano mentre le toccava la fica, ancora gocciolante, e senza esitazione la penetrò con forza, il cazzo che la riempiva, ogni affondo un colpo selvaggio, il suono bagnato della sua carne che si apriva, Laura che gemeva, l’umiliazione che la consumava, il corpo che si contorceva contro la gogna. Carlo si spostò, il cazzo gocciolante dei suoi umori, e l’uomo di colore prese il suo posto, posizionandosi dietro di lei, il cazzo enorme che premeva contro il culo ormai devastato, i segni delle frustate che pulsavano, il buco dilatato dal cuneo che bruciava. La scopò con colpi secchi e brutali, ogni affondo che si scontrava con i segni delle frustate, il culo martoriato che si apriva ancora di più, un dolore lancinante che le strappava urla, ma al tempo stesso un piacere oscuro che le faceva pulsare la fica, il clitoride che si gonfiava, il corpo che tremava in un misto di agonia ed estasi, l’odore di sesso e sudore che riempiva la stanza, i suoi gemiti che si mescolavano ai grugniti dell’uomo di colore.
Fabio le andò davanti, le tolse la bit ball, la saliva che colava sul mento, le tenne la testa alta, e le aprì la bocca con forza, spingendo il cazzo in gola. Laura, non abituata, sentì lo stomaco rivoltarsi, un conato che la scuoteva, il sapore salato che la soffocava, il vomito che reprimeva, le lacrime che scorrevano, ma Fabio non si fermò, “Prendilo tutto, troia,” ringhiò. Carlo, con un cenno, prese una paletta e colpì il culo, il suono secco che si mescolava ai suoi gemiti, i colpi che si aggiungevano al dolore dell’uomo di colore che le devastava il culo, finché Laura non riuscì a prendere tutto il cazzo in gola, la gola che si allargava, il respiro spezzato, il corpo che tremava. L’uomo di colore, con il suo cazzo enorme, continuò a scoparle il culo, ogni affondo un dolore lancinante, portandola a un orgasmo anale, il corpo che tremava, uno squirt che schizzava sul pavimento, mentre il cazzo in gola la faceva quasi vomitare. Si scambiarono, l’uomo di colore le scopò la gola, finendo con un getto di sborra che le riempiva la bocca, un’esplosione calda che la travolgeva, il sapore che la soffocava, mentre Carlo riprendeva tutto con il telefono, ricattandola, “Ti farò vedere a tuo padre, puttana,” sibilò, e Fabio scattava foto e video, il flash che illuminava la sua vergogna, il corpo martoriato esposto a ogni umiliazione.
Lo zio Carlo, con il cazzo ancora duro, voleva ora riempirla e sborrarle nella fica come un porco, il desiderio di profanare sua nipote che lo consumava, gli occhi pieni di lussuria e disprezzo. La prese nella fica con violenza, il cazzo che la riempiva, ogni affondo un colpo brutale, il suono bagnato della sua carne che si apriva, mentre continuava a umiliarla, “Puttana schifosa,” ringhiava a ogni colpo, “Troia, ti piace farti scopare così,” il tono carico di disprezzo, la sborra che finalmente esplodeva dentro di lei, un getto caldo che colava lungo le sue cosce, il profumo di sesso che saturava l’aria. Fabio la scopò a sua volta, un altro carico di sborra che le riempiva la fica, il cazzo che scivolava nella sua carne già piena, un orgasmo che scuoteva Laura, il corpo che tremava, uno squirt che schizzava sul pavimento, il respiro spezzato, il corpo che non reggeva più, l’odore muschiato del suo sudore che si mescolava alla sborra. Ma non le era stato concesso venire, e Fabio, furioso, la prese a schiaffi, il suono secco che echeggiava nella stanza, sputandole in faccia, “Troia schifosa,” ringhiò, il suo sputo che le colava sul viso, l’umiliazione che la faceva godere, un piacere oscuro che le pulsava nella fica, il cuore che batteva forte, il corpo martoriato che si arrendeva a ogni insulto.
Fabio la tolse dalla gogna, le mani e il collo finalmente liberi, lasciandola per terra, nuda, il corpo pieno di segni rossi e lividi, un quadro di sottomissione e sofferenza. I tre aguzzini—Fabio, lo zio Carlo e l’uomo di colore—si coordinarono con un’intesa silenziosa, un ghigno crudele sui loro volti, posizionandosi intorno a Laura come predatori pronti a umiliarla ulteriormente. Fabio fece un cenno, e insieme iniziarono a pisciarle addosso, i getti caldi e potenti che si incrociavano, colpendo il suo corpo martoriato con precisione: l’urina le bagnava la pelle, bruciando sui segni delle frustate, un fuoco liquido che le arrossava la carne già segnata; scorreva sui capezzoli sanguinanti, il dolore acuto che la faceva gemere, ogni goccia un’agonia che amplificava la sua sofferenza; colpiva la fica gonfia e devastata, il bruciore che le strappava un urlo soffocato, il liquido che si insinuava ovunque, sulle cosce, sul ventre, un tormento che la copriva completamente. Era il loro modo per “disinfettarla”, dicevano, ridendo sguaiatamente, il suono delle loro risate che echeggiava nella stanza, “Guarda come puliamo questa troia,” sghignazzava Carlo, mentre Fabio ordinava con voce dura, “Apri la bocca, puttana, bevi.” Laura, inizialmente disgustata, sentì l’imbarazzo trasformarsi in un piacere oscuro, l’umiliazione che la portava a un nuovo livello di eccitazione, toccandosi la fica su comando del padrone, le dita che scivolavano nella sua carne fradicia, un altro orgasmo che la scuoteva mentre l’urina le colava sul corpo, il sapore acre che le riempiva la bocca, i video che catturavano ogni istante della sua vergogna. Prima che gli ospiti se ne andassero, Fabio ordinò a Laura, ancora in ginocchio, il corpo tremante, “Saluta e ringrazia gli ospiti per il loro tempo, schiava.” Con la voce spezzata, Laura sussurrò, “Grazie per il vostro tempo, signori,” le guance rosse di vergogna, il cuore che batteva forte, l’umiliazione che le pulsava dentro come un secondo orgasmo, mentre gli uomini ridevano, uscendo dalla stanza.
Quando rimasero soli, Fabio si trasformò, un’improvvisa dolcezza che contrastava con la brutalità di prima. Aiutò Laura ad alzarsi, sostenendola con mani ferme ma gentili, il suo corpo ancora tremante, il sudore e l’urina che le colavano lungo le cosce. La portò in bagno, l’acqua calda della doccia che scorreva, lavando via l’urina, il sudore, e la sborra, il profumo di sapone al gelsomino che la avvolgeva, un’oasi di pace dopo il tormento. Con delicatezza, applicò disinfettante sulle ferite, il bruciore che si trasformava in sollievo, e spalmo un unguento lenitivo e cicatrizzante sui segni rossi e lividi, il tocco delle sue dita così tenero che Laura si commosse, una lacrima di gratitudine che le scivolava sul viso. La baciò dolcemente sulla fronte, un gesto caldo e paterno, “Sei stata bravissima, mia schiava,” disse, la voce calma e rassicurante, un balsamo per la sua anima spezzata. “Resto tutta la settimana. Quando sei pronta per la prossima sessione, mandami un messaggio con scritto ‘sono pronta padrone’,” aggiunse, guardandola negli occhi con un misto di orgoglio e affetto e baciando dolcemente le sue labbra, si abbracciarono dolcemente. Laura, ancora tremante, il corpo segnato ma il cuore pieno di un desiderio che non si spegneva, prese il cellulare dalla borsa, le mani che tremavano, e senza dire una parola scrisse, “sono pronta padrone,” inviando il messaggio, un sorriso debole sul viso, il bisogno di sofferenza e sottomissione che ardeva ancora dentro di lei, pronta a tornare nell’abisso.
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