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Dott.sa Angela l'inizio


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
19.04.2025    |    2.662    |    1 8.7
"La sua voce era un violoncello, profonda, suadente, e io mi lasciavo andare, il risentimento per Carlo che svaniva, il sapore del vino che mi scaldava la..."
(Personaggi e luoghi del racconto sono di pura fantasia, liberamente ispirato ad una coppia di amici di A69)

Sono Angela, una donna di 40 anni, dottoressa in Ematologia all’ospedale di Catanzaro, e il mio cuore batte al ritmo del desiderio, un fuoco che brucia in ogni fibra del mio essere. Sono piccola, 1,60, appena 44 kg, ma il mio corpo è una sinfonia di curve atletiche: seni sodi che danzano sotto il tessuto, un culo tondo che sussurra promesse, e una pelle morbida che cattura la luce come seta. I miei capelli castani mossi cadono in onde ribelli, e i miei occhi verdi sono specchi di segreti e passioni. Con la bocca sono un’artista, dicono, ma la mia vagina è un capolavoro, un tempio di piacere che fa tremare chiunque lo esplori – parole di Carlo, mio marito, ma anche di altri che ho lasciato entrare nei nostri giochi. Sono vanitosa, sì, e ogni sguardo che accendo, ogni fremito che provoco, è un brivido che mi scorre sulla pelle. Quando voglio, trasformo il piacere in un viaggio, con palline vaginali che vibrano dentro di me o il cuneo anale che mi fa gemere a ogni passo, e ogni volta è come danzare sull’orlo dell’estasi.
Carlo è la mia ossessione, il ragazzo che ho conosciuto al liceo, quando i suoi occhi scuri mi catturavano nei corridoi e il suo sorriso mi faceva arrossire. Ci siamo sposati dopo la mia laurea, un amore che pensavo eterno, un vortice di passione che mi ha segnata. Ma Carlo è un enigma, un uomo che mi porta in paradiso e poi mi abbandona nel vuoto. Sono gelosissima di lui, ogni sua assenza è un coltello nel cuore, eppure, quando non c’è, mi perdo in esperienze che mi fanno sentire viva: uomini, donne, corpi che si intrecciano sotto le mie mani, odori di sudore e desiderio, gemiti che echeggiano come musica. Ho fatto di tutto per essere ciò che vuole: la sua amante, la sua troia, la sua puttanella, qualsiasi cosa desideri. Ma lui si ritira, a volte per mesi, lasciandomi a inseguire il suo ricordo, il profumo della sua pelle, il suono della sua voce che mi chiama “mia”. Vivo per lui, ma vivo anche per me, e ogni emozione – un tocco, un sapore, un sussurro – è un fuoco che accendo.
Oggi, come mi ha chiesto Carlo, sono andata al lavoro senza mutandine, il vento caldo della Calabria che accarezzava la mia fica nuda sotto la gonna a tubino grigia, le autoreggenti nere che mi stringevano le cosce come un amante. Il cuneo anale, un regalo di Carlo, era dentro di me, un segreto che pulsava a ogni passo, un gemito soffocato che solo io sentivo. L’ospedale odorava di disinfettante e caffè bruciato, ma il mio corpo era un giardino di sensazioni: il tessuto della gonna che sfiorava la mia pelle, il cuneo che premeva, la fica che si bagnava al pensiero di Carlo. Marco, il mio collega, mi ha guardata mentre mi chinavo per un fascicolo, i suoi occhi che scivolavano sulle mie cosce, un calore che mi ha fatto rabbrividire. La sua mano ha sfiorato la mia, un tocco elettrico, e io ho risposto con un sorriso, lento, ammiccante, il rossetto rosso che brillava come una provocazione. Ho sentito il suo respiro accelerare, l’odore della sua colonia che si mescolava al mio profumo di gelsomino, e per un istante ho immaginato le sue mani su di me, ma era Carlo che volevo, sempre Carlo.
Tornata a casa, il desiderio mi consumava. La porta ha cigolato, il silenzio dell’appartamento mi ha accolta come un pugno. Ho chiamato Carlo, il telefono muto, un vuoto che odorava di solitudine. La sera, quando si è fatto vivo, la sua voce era ghiaccio: “Fatti una doccia, Angela, raffreddati.” Quelle parole erano spine, il suono della sua indifferenza che mi trafiggeva. Ho chiuso gli occhi, il profumo del mio bagnoschiuma alla vaniglia che mi avvolgeva, l’acqua che scorreva sulla mia pelle come una carezza che non bastava. Odio quando Carlo mi tratta così, mi porta al confine dell’estasi e mi lascia cadere, ma il mio corpo non si arrende, brucia, cerca, vuole. Quel fine settimana, un convegno sulle staminali a Reggio Calabria mi ha chiamata, e ci sono andata da sola, il cuore ferito ma i sensi vivi, pronti a catturare ogni emozione.
Al convegno, l’aria era carica di tensione intellettuale, il profumo di carta stampata e caffè fresco che si mescolava al mio Chanel N°5. È lì che ho conosciuto Federico, un ricercatore del Gemelli, 50 anni portati con un’eleganza che mi ha rapita: capelli brizzolati, occhi azzurri che sembravano vedere dentro di me, un gentiluomo con una voce calda come il sole di agosto. Era diverso da Carlo, più maturo, più controllato, ma con un fascino che mi ha stuzzicata. Ho deciso di giocare, di accendere scintille. Durante una pausa, ho tirato su la gonna, il pizzo delle autoreggenti che catturava la luce, e ho sbottonato un bottone della camicetta, il reggiseno di pizzo nero che si intravedeva come un segreto. Federico non ha battuto ciglio, ma i suoi occhi mi hanno accarezzata, un’onda lenta che mi ha fatto fremere. “Buonasera, dottoressa, sono Federico del centro di ricerca sulle staminali del Gemelli,” ha detto, e io, con il cuore che batteva, ho risposto: “Piacere, Angela, ho studiato anch’io al Gemelli.” La sua voce era velluto, il suono che mi avvolgeva, e ogni parola era un profumo, un’immagine: il suo dopobarba speziato, il modo in cui la sua mano sfiorava la tazza di caffè.
Il pomeriggio è volato, le sue parole che danzavano con le mie, i nostri sguardi che si intrecciavano come amanti. Ogni pausa era un gioco di sensi: il suono dei suoi passi sul pavimento di marmo, l’odore della sua vicinanza, il calore del suo sorriso. A cena, mi ha invitata in un locale sul mare, la penombra che rendeva tutto più intimo, il profumo di salsedine e vino rosso che mi ubriacava. Non avevo tempo di tornare in albergo, così mi sono sistemata in bagno, il rossetto scarlatto che dipingeva le mie labbra, la gonna tirata su per mostrare le cosce, il cuore che batteva come un tamburo. Federico mi ha aperto la portiera della sua macchina a noleggio, voltandosi per non guardarmi mentre salivo, la gonna che saliva, il suono del tessuto che scivolava sulla mia pelle, il profumo della sua galanteria che mi avvolgeva.
Al ristorante, ogni gesto era un’emozione. Mi versava il vino, il liquido rubino che brillava nei calici, il suo profumo di frutti di bosco che si mescolava al mio. Parlava di emozioni, di profumi che evocano ricordi, e ogni parola era una carezza, un suono che mi accendeva. La sua voce era un violoncello, profonda, suadente, e io mi lasciavo andare, il risentimento per Carlo che svaniva, il sapore del vino che mi scaldava la gola, il calore dei suoi occhi che mi faceva sentire viva. Bevevo, assaporavo, sentivo il tessuto della sedia contro le cosce nude, il cuneo anale che ancora pulsava dentro di me, un ricordo di Carlo che si scontrava con il presente.
Tornati in albergo, il desiderio era un fuoco che non potevo ignorare. Avevo provocato Federico tutta la sera: mi ero strusciata contro di lui sedendomi, il culo che sfiorava i suoi pantaloni, il profumo della mia eccitazione che si mescolava al suo dopobarba. Ma lui era un gentiluomo, imperturbabile, il suono del suo respiro calmo che mi sfidava. Davanti all’ascensore, ho preso il controllo. “Perché non mi accompagni in camera?” ho sussurrato, la voce un filo di seta, il profumo del mio desiderio che riempiva l’aria. Lui ha sorriso, un lampo negli occhi, e mi ha seguita, il suono dei suoi passi che echeggiava come una promessa.
In camera, la porta si è chiusa con un clic, e un bacio passionale ha dissolto ogni barriera. Le sue labbra erano morbide, calde, il sapore di vino e desiderio che mi faceva gemere. La sua lingua danzava con la mia, un ritmo lento che accendeva ogni senso. Mi ha spogliata con cura, la camicetta che scivolava come acqua, la gonna che cadeva con un fruscio, il reggiseno e le autoreggenti che restavano come un dipinto. Mi ha guardata, il suo sguardo un tocco sulla pelle, e ho sentito il profumo della mia eccitazione, il suono del mio respiro che si spezzava. “Sei bellissima,” ha detto, e ogni parola era un brivido, un’immagine di me riflessa nei suoi occhi.
Mi ha stesa sul letto, le sue labbra che tracciavano sentieri sul mio collo, il profumo della sua pelle che mi ubriacava, il suono dei suoi baci che era musica. Ha succhiato i miei capezzoli, la lingua che li accarezzava, un calore che mi faceva inarcare la schiena, il sapore della mia pelle che si mescolava al suo. Poi si è inginocchiato, la lingua che esplorava la mia fica, lenta, precisa, trovando il clitoride e facendomi urlare. Il profumo del mio desiderio riempiva la stanza, il suono dei miei gemiti che echeggiava, e io ho afferrato i suoi capelli brizzolati, il tocco ruvido che mi ancorava. “Sei dolce,” ha sussurrato, e il suo respiro caldo era un altro piacere, un’immagine che si incideva nella mia mente.
Gli ho slacciato i pantaloni, il cazzo che spuntava, duro, perfetto, la cappella gonfia che odorava di maschio. L’ho preso in bocca, la lingua che danzava sull’asta, il sapore salato che mi faceva gemere, il suono dei suoi sospiri che era una sinfonia. Mi accarezzava il viso, un gesto che era amore, e io succhiavo, il calore della sua carne che mi riempiva, l’immagine del suo piacere che mi accendeva. Quando mi ha penetrata, è stato come entrare in un sogno. Mi ha presa con le gambe aperte, il cazzo che scivolava nella mia fica, ogni affondo che trovava il punto G, un piacere che era luce, suono, profumo. “Dio, Federico,” ho gemuto, il sapore del mio sudore sulla lingua, il suono dei nostri corpi che si univano, l’immagine dei suoi occhi che non mi lasciavano. Il primo orgasmo mi ha travolta, un’onda che odorava di sesso, un urlo che era puro piacere, la fica che pulsava intorno al suo cazzo, un calore che mi scioglieva.
Mi ha girata a pecorina, il cazzo che mi riempiva da dietro, ogni colpo un suono che echeggiava, il profumo della nostra unione che saturava l’aria. Le sue mani accarezzavano il mio culo, il tocco che era un quadro, e il secondo orgasmo mi ha colpita, il corpo che si inarcava, un gemito che era estasi, la fica che schizzava, un’immagine di noi che si incideva nel tempo. Poi mi sono messa sopra di lui, cavalcandolo, il cazzo che toccava ogni punto dentro di me, il punto G che vibrava come una corda. Mi muovevo come una dea, i seni che sobbalzavano, il suono dei nostri gemiti che si intrecciavano, il profumo del nostro sudore che era un elisir. “Sei incredibile, Angela,” ha detto, e il terzo orgasmo mi ha devastata, un’esplosione che odorava di passione, un urlo che era libertà, la fica che lo stringeva, il suo cazzo che sembrava scolpito per me.
“Vorrei venire nel tuo culetto tondo e invitante,” ha detto, la voce dolce ma carica di desiderio, e io ho sentito un brivido, il profumo del lubrificante che aprivo, il suono del mio respiro che accelerava. Mi sono preparata, spalmandolo sul buco, il cuneo anale di quel giorno che mi aveva già aperta, un’immagine di me pronta per lui. Mi sono abbassata lentamente sul suo cazzo, il buco che lo accoglieva, un dolore che si trasformava in piacere, il suono del suo gemito che vibrava, il profumo della nostra intimità che ci avvolgeva. “Dio, Angela,” ha detto, e io ho iniziato a muovermi, il cazzo che scivolava nel mio culo, ogni movimento un suono, un’immagine, un sapore.
Federico mi ha fatta girare, prendendomi da dietro, il cazzo che affondava nel mio culo, ogni colpo che toccava il punto G, un miracolo che odorava di noi. Mi toccavo la fica, le dita che scivolavano sul clitoride, il suono del mio piacere che si mescolava al suo. “Vieni con me,” ha detto, la voce rotta, e io ho lasciato andare tutto. Il quarto orgasmo è stato un’apocalisse, un’esplosione che mi ha fatto urlare, il mio squirt che schizzava sul letto, un fiotto caldo che odorava di lussuria, il culo che pulsava, il suono dei nostri corpi che si univano, l’immagine di noi che si fondeva. “Sono una porca, Federico, sto venendo!” ho gridato, e lui, con un gemito che era un ruggito, è venuto dentro di me, lo sperma caldo che mi riempiva il culo, un’onda che ci ha travolti, il profumo del nostro piacere che era eterno.
Siamo crollati, sudati, ansimanti, le sue braccia che mi avvolgevano, il suono del suo respiro che era casa, il profumo della sua pelle che mi accoglieva. “Sei speciale, Angela,” ha detto, e io ho sentito un nodo nel cuore. Per la prima volta, ho tradito Carlo, non solo con il corpo, ma con l’anima. Federico mi aveva rapita, con la sua dolcezza, il suo rispetto, il suo piacere che mi faceva sentire amata, non usata. Carlo, il mio marito, l’amore del liceo, era ancora dentro di me, ma quella notte con Federico era stata un’altra vita, un’immagine che odorava di possibilità, un suono che echeggiava oltre il tempo.
Mi ha chiesto se volessi tornare nella mia camera, ma io, con un sorriso, mi sono accoccolata contro il suo petto, il calore del suo corpo che era rifugio, il profumo del nostro amore che mi avvolgeva. “No, resto con te tutta la notte,” ho detto, e lui mi ha baciata, un bacio che era suono, sapore, immagine. Quella notte, abbiamo fatto l’amore ancora, lento, passionale, i nostri corpi che si cercavano, il suono dei nostri gemiti che si mescolava al profumo della notte. Quando abbiamo dormito, intrecciati, il suo respiro contro il mio collo, ho sentito che il mondo era cambiato. Carlo era ancora il mio amore, ma Federico era la mia rivoluzione, e io volevo vivere ogni emozione di quella notte, ogni senso che mi aveva svegliata.

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