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Lo scambio bendato (e separato): la vietnamita


di Membro VIP di Annunci69.it LucasFromParis
13.12.2019    |    9.801    |    4 7.8
"Avvertivo distintamente l’energia e i ferormoni che colmavano l’aria come avrebbe fatto un bastoncino di incenso..."
Mi mandò qualche foto della sua ragazza.

Quelle foto, benché siano dileguate in qualche memoria digitale, benché siano trascorsi moltissimi anni, le ricordo ancora. Sono nitidamente scolpite nella mia memoria perché furono il detonatore, la molla che mi spinse a mettere in piedi la serata. Una serata speciale, una serata di sesso e trasgressione. A casa mia. Una delle prime volte, in un periodo nel quale giocavo quasi solamente nei locali, anzi nel “mio” locale. L’occasione era veramente bella. Una di quelle proposte a cui dici “cazzo, devo organizzarmi, quando mi ricapita?”. Quando si è giovani, nel mondo del gioco, accade talvolta di farsi prendere dalla frenesia e dalla bulimia di esperienze. A me, perlomeno, accadeva. Era tutto nuovo, tutto da scoprire. Mi ingozzavo a piene mani di esperienze ed emozioni. Il tempo poi ci porta a gustare le situazioni con una lentezza, ma soprattutto, una consapevolezza differenti. La percezione del tempo e della vita che abbiamo davanti a noi influenza molto il nostro modo di giocare. Forse è anche per questo che non rimpiango i miei venticinque anni.

Non sono anziano neppure oggi, intendiamoci. Mi sento anzi nel pieno della mia maturità fisica, mentale e virile. Però oggi so di non avere davanti a me un tempo infinito come invece appare a tutti noi quando ci iniziamo ad affacciare al gioco. Alla vita. Questo però porta moltissimi vantaggi. Le esperienze si gustano in modo diverso e più intenso. Le si assapora di più. In definitiva, le si gustano di più. I nostri sensi si affinano, il nostro cuore si apre più facilmente e riusciamo ancor meglio a trasformare quel che potrebbe ancora essere banale sesso, in quel “di più” che non si riesce a spiegare in alcun modo. Si può solo vivere. Occorre solo fare molta attenzione a una cosa: a non entrare nella trappola della routine e dell’abitudine. Dico spesso che prima di un incontro, di qualsiasi incontro, provo il batticuore. Lo stesso batticuore. Ho mantenuto la capacità quasi infantile di emozionarmi e di giocare appunto, come un bimbo. Con tutto me stesso. Con l’esperienza di un uomo, ma con la stessa carica che avevo quando ho fatto il mio ingresso, in punta di piedi, nel Mondo del Gioco. Diventare esperti senza perdere il fanciullo. Io credo sia questa la vera sfida per chi frequenta questo mondo da anni. Se un giorno il Gioco non dovesse più donarmi emozioni e scoperte, spero di avere la saggezza di abbandonarlo. Quel giorno pare ancora lontano.

In quegli anni invece per me era tutto nuovo. Così come nuova e inaspettato fu lo scenario che mi venne proposto. Prima però, come andavo dicendo, arrivarono le foto. In una delle due la ragazza era vestita e sorridente. Nell'altra, nuda, teneva le cosce aperte semi seduta sul letto. Con lo stesso sorriso dolce e seducente. La sua figa appariva delicata e rosea. E ne potevo già immaginare il sapore. Potevo farlo perché avevo già assaggiato quel tipo di ragazza. Era una dei tanti figli dei boat people che fuggirono dal loro paese negli anni Settanta. La ragazza era asiatica. Era vietnamita; i vietnamiti sono molto simili, perlomeno a uno sguardo occidentale, ai tailandesi. Le loro donne sono minute e ben proporzionate come bambole preziose. La loro pelle è liscia, i loro occhi sfavillanti di mille scintille, misteriosi ed esotici. E il gusto, beh il gusto delle orientali è ben riconoscibile. Un gusto delicato e zuccherino. Così naturalmente affine ai loro corpi. L’avevo già assaggiato e lo avrei fatto di nuovo quella sera. La bellissima ragazza mi venne offerta su un piatto d’argento, per così dire, dal suo compagno con cui ero in contatto. L’avrei conosciuta, l’avrei baciata, l’avrei posseduta. La volevo, e feci le cose per bene. Come sempre.

Convocai Malika. Malika era una giovane maghrebina che frequentavo da alcuni mesi. Fra noi c’era una bella amicizia. Eravamo stati compagni di avventure erotiche. Ma anche di bei momenti assieme, fra un cinema e una serata a coccolarci. Eravamo amici. Di quell'amicizia speciale fra uomo e donna in cui il sesso trova naturalmente la sua dimensione. Con onestà e trasparenza non la presi mai in giro; fui sempre sincero con lei. Le donne, ho scoperto che non è un luogo comune, amano la verità. Amano la sincerità. Proprio perché troppe volte noi maschi mentiamo, omettiamo, nascondiamo, lasciamo spazi di non-detto le donne adorano l’uomo sincero. Perfino quello brutalmente sincero. Le donne non sono esseri soprannaturali da porre su un piedistallo come un soprammobile. Sono fatte di carne, di umori e di desideri. Esattamente come lo siamo noi seppure lo manifestino in modi diversi. La sincerità paga sempre. Quando chiamai Malika e le raccontai la serata che si stava organizzando, ne restò entusiasta. Aveva fiducia in me come io ne avevo in lei, che si era sempre dimostrata un’amica leale e una compagna di giochi magnifica.

Arrivò per prima, mentre l’emozione in me cresceva ogni minuto. Ci sedemmo sul divano a baciarci, a chiacchierare, a bere assieme. Cercò di mettere le mani sul mio cazzo, ma le dissi, sorridendo diabolicamente, che non era ancora arrivato il momento. Come sempre era bellissima. La naturale eleganza delle donne arabe si sposata con il suo vestito nero, gli stivali lucidi e le autoreggenti. Si era come sempre cambiata a casa mia. Arrivò l’SMS: “siamo usciti dalla metro ora”. Li immaginavo camminare lungo la strada silenziosa, il rumore dei loro passi risuonare lungo il selciato. Ogni istante li avvicinava a noi. Poi li udimmo salire la stretta e cigolante scala condominiale che li avrebbe condotti al nostro uscio. Potevo quasi ascoltare il mio stesso battito. Il mio cuore pompava sangue, pompava adrenalina, pompava un cocktail misterioso di ormoni che mi facevano sentire vivo e vibrante. Quando li sentii parlottare bassa voce dietro la porta presi la benda e coprii gli occhi della mia complice. Dietro il pannello di robusto legno sapevo che il mio complice stava facendo esattamente la stessa cosa. Era questa la sua idea. Malika rimase seduta sul divano mentre andai a aprire la porta.

Lui? Onestamente non riesco in alcun modo a ricordare il suo volto. Era un uomo come mille, ai miei occhi del tutto anonimo. Il suo pregio maggiore era rappresentato dalla ragazza che lo teneva per mano impaurita. Era, dal vivo, esattamente come mi era apparsa in foto. Seducente, timida; imbarazzata forse, ma decisa ad andare fino in fondo. In queste situazioni è ben difficile comprendere quanto la donna segua i suoi desideri o quelli del compagno. Ma all'epoca non andavo molto per il sottile. Non mi importava. Volevo quella vietnamita. La volevo e l’avrei avuta. Ci salutammo e li portai in sala. Il Gioco stava per iniziare, e lo avevamo concordato e condiviso assieme.

Prendemmo posto, l’uomo ed io, sul divano mentre le donne si accoccolarono sul tappeto davanti a noi; la loro sottomissione era plasticamente evidente nella posa, e nelle bende che impedivano loro di vedere alcunché. In quella posizione, inevitabilmente, i vestiti si alzavano, rivelando il candore delle loro cosce là dove finivano le autoreggenti e lembi di intimo. Iniziarono a fare conoscenza fra loro. A tentoni le vidi cercarsi. Prima goffamente, poi con maggior sicurezza. Le loro mani si cercarono e si toccarono. L’energia nella stanza iniziò a crescere quanto ti sfiorarono a vicenda il viso, con una sensuale delicatezza di cui solo le donne sono capaci. Le loro teste si avvicinarono. La lentezza di quel movimento mi faceva impazzire. Sapevo di cosa stessi per essere spettatore.

Le loro bocche si protesero. Un centimetro alla volta si avvicinavano l’una all'altra finché le vidi congiungersi. Un primo tocco fugace. Un secondo più deciso. Le loro labbra morbidissime si congiunsero. Assistevo a una danza magica. Le bocche diedero inizio a una danza misteriosa di cui solo loro conoscevano il ritmo. Si muovevano al di à del loro controllo o delle loro intenzioni. Era quell'erotismo che nasce dalla pancia, dal corpo, dall'istinto. Sembrava che si stessero lentamente e sinuosamente abbeverando a una fontana magica. A tratti si staccavano, per brindare e scherzare con noi uomini, per poi riprendere il loro gioco privato. Vedevo distintamente le bocce schiudersi e le lingue guizzare morbide l’una nella bocca dell’altra. Le mani percorrevano il corpo dell’altra senza tregua ma senza fretta. Si sfioravano il seno, le cosce.

Le ragazze erano giovani, ma non ingenue. Sapevano esattamente l’effetto che stava avendo quello spettacolo su di noi, anche se non potevano vederci. Ho sempre sospettato che una parte importane del gioco bisex, nella mente femminile, sia la consapevolezza che noi uomini impazziamo. È così: noi maschi impazziamo davanti a due belle donne assieme. Tutti. Quelli che lo ammettono e quelli più ipocriti che non lo riconoscono. Non mi interessa sapere perché. Ma è così. E le ragazze usano quel preludio per caricare al massimo il desiderio del maschio, come se stesse tendendo un arco. Caricano l’uomo per poi godere a loro volta di questa energia primordiale a cui anelano. Risvegliano le energie più profonde del maschile. Vogliono avvertire quella carica animalesca; sulla pelle, nel corpo, nel cuore. Vogliono la fusione dei corpi. La vogliono non con un uomo la cui carica erotica sia inferiore alle loro aspettative. Ci vogliono, anzi ci volete colmi di desiderio per i vostri corpi e le vostre fighe. Volete essere le nostre Dee in quel momenti. Volete che siamo i vostri Dei. Anche se non siamo perfetti e non assomigliamo alle statue greche, voi volete prima di tutto avvertire il nostro desiderio divorante.
È questo, troppe di voi me lo hanno confessato per non crederlo, che vi accende a vostra volta: leggere lo sguardo bramoso e incredulo del maschio.

Quella sera fredda di Gennaio le ragazze non potevano vederci in volto. Le stavamo noi fissando a bocca aperta, ammirandole. Avvertivo distintamente l’energia e i ferormoni che colmavano l’aria come avrebbe fatto un bastoncino di incenso. La mia erezione era quasi dolorosa quando scambiai uno sguardo di intesa con l’uomo seduto al mio fianco. Mi alzai e presi per mano la bellissima asiatica. Si alzò senza una parola. Mi seguì in camera e la sdraiai subito sul letto. Il divano era a disposizione dell’altra coppia.

Non parlammo. Mi avventai su di lei come un lupo sulla preda. Ma con delicatezza. I suoi baci adesso erano per me, e godetti intensamente delle sensazioni che prima avevo solo ammirato. La timida asiatica si rivelava, come spesso accade, devota al piacere maschile. Le sue mani cercavano a tentoni il mio corpo. Afferravano tessuto, slacciavano bottoni, cercavano lembi di pelle nulla da baciare e toccare. Il suo respiro divenne affannoso quando a mia volta io, con maggior semplicità, le tolsi tutti i vestiti. Quando infine il suo perizoma scivolò lungo le cosce ammirai dal vivo quella fessura meravigliosa che mi era stata promessa in foto. La situazione inusuale la stava accendendo nel modo discreto e pudico proprio delle orientali. Era una troia, ma una troia timida. Paradosso così eccitante per me.

Anche se la ragazza era “a mia disposizione” non intendevo certo negarle il piacere. Nemmeno negare a me stesso il piacere di darle piacere. Non ci sono mai riuscito e ancor oggi resti stupito quando le mie amiche mi parlano di uomini frettolosi ed egoisti.
Il suo sapore intimo era esattamente come avrebbe dovuto essere; esattamente come l’ho descritto sopra. Mugolò e sospirò quando la leccai con convinzione. Le sue cosce, quasi mosse da una forza invisibile, si aprivano di continuo. Si inarcava facendo leva sulle spalle e le anche. Desiderava esporsi, darsi, concedersi. Desiderava il tocco impudico di un perfetto sconosciuto che non le era permesso di guardare. Desiderava vivere fino in fondo quella situazione che il suo compagno aveva programmato per lei. Penso lo desiderasse davvero. Oppure, chissà, forse aveva bussato alla porta del lupo con timori e freni. Ma di certo i suoi timori erano svaniti e i suoi freni allentati quando ebbe il mio corpo addosso. Privata della vista, compensava con tutti gli altri sensi: tatto, olfatto, gusto, udito. Il contatto della mia bocca e delle mie dita lungo la sua figa era decuplicato dal non poter vedere. Ne sono certo, è il principio stesso della privazione sensoriale. I nostri corpi si fusero sempre più, nella nostra bolla di energia primordiale.

Attraverso le pareti sentivamo gli altri ridacchiare e parlare. Seppi poi che il compagno della bellissima sconosciuta non aveva fatto pienamente il suo dovere. Dovevo un favore a Malika e di certo me lo sarei ricordato. Perlomeno le risate di lei dimostravano che la sapeva intrattenere con garbo e simpatia. E poi, alla fine, me ne fottevo. Ero del tutto focalizzato sulla meravigliosa sconosciuta che si muoveva sinuosa con me. Ero focalizzato sulla sua bocca che percorreva devotamente tutta la mia pelle, fino al cazzo, fino alle palle. Il mio piacere cresceva quando infine le ordinai dolcemente di mettersi a pecorina.

Obbedì senza parlare e si dispose immediatamente nel modo giusto, con la testa in basso e il culo alto, offerto. Fu dolce montarla in quella e in molte altre posizioni. Era la mia serata, era il mio momento e lo feci durare. Volli gustare il caleidoscopio di emozioni e sensazioni che lei mi regalava. Non fingeva, ne sono sicuro. I suoi gemiti delicati da bimba educata erano soffocati, ma veri; così come era vero il tremito di piacere che la scuoteva. Salimmo assieme verso le vette del piacere e dopo, solo dopo, le chiesi se volesse togliersi la benda. Senza attendere risposta gliela tolsi io. Ci guardammo. Intensamente, quasi a chiudere il cerchio della fusione che avevamo vissuto assieme. Un momento magico, ma breve. Lei era di un altro uomo. La presi nuovamente per mano e, nudi come eravamo, raggiungemmo i nostri compagni.
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