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Prime Esperienze

Salve Terra, qui Koona 12a parte


di sexitraumer
15.02.2012    |    5.090    |    0 7.7
"Per quel che ricordo fu piacevolissimo..."
Restammo congiunti un altro paio di minuti. Restai ad occhi chiusi nella penombra del volume interno della Pegaso; Mario aveva reso più intima l’atmosfera spegnendo le luci non essenziali, tranne quelle del display e dei comandi di navigazione, investì l’energia risparmiata in calore ambiente. Ora anche se raffreddata dal post orgasmo non sentivo lo stesso freddo che sentii alla base una volta disinserito il computer centrale prima di lasciarla. Mario ruppe l’incantesimo:

“Koona, esci, devo urinare!”
“Va bene.”

Mi distaccai con un gesto delicato e fluttuai lasciando libero Mario. Gli porsi il tubo con la mascherina e senza guardare Mario aspettai che riuscisse ad urinare, cosa che fece non senza qualche dolore. Io chiesi:

“Uhhhhh, ahi !”
“Cos’hai ?”
Mario ci mise un po’ a rispondere:
“Niente, un po’ di dolore durante la minzione, è passato…uh !”
“Cos’era ?”
“La prostata, forse.”
“Ti sei mai fatto visitare ?”

“No, ma forse lo farò, quando riuscirò a farli dimenticare di me e della mia diserzione…certo sui battelli minerari non hanno l’urologo, o forse sì?!...bah, ahhhhhh, finito! Aspetta l’aspiratore.”
Presi il tubo con la maschera di gomma anatomica, e fregandomene che era sporco dell’urina di Mario, fluttuando sopra la sua testa orizzontalmente lo poggiai sulla mia vulva sporca. Chiesi a Mario di reggermi per le spalle in modo da restare ferma ed urinai anche io per liberarmi trattenendo tra le cosce la maschera anatomica unisex. Un minuto dopo, quando l’aspiratore aveva finito il suo lavoro impedendo alle gocce della nostra urina di fluttuare in cabina Mario approfittando della mia permanenza in posizione orizzontale a mezz’aria prese lo spruzzatore ad aria ed acqua saponata e mi lavò come avevo chiesto tutto il corpo sul davanti; dopo viso, collo, seno, passò ai piedi alle gambe ed alle cosce. Nel giro di due minuti venni solleticata su una superficie di più o meno un paio di mani la volta da quello spruzzetto di acqua profumata, simil-sapone, ed aria tiepida; non appena le microgocce colpivano il mio corpo e si diffondevano su di me senza staccarsene; i pori della mia pelle color nocciola le assorbivano, anche se per pochi secondi il mio corpo era come se fosse stato colpito da una lievissima schiuma bianca; durante l’assorbimento il bianco scompariva; anche la mia vulva pelosetta saggiò quel prodotto facendo brillare per un po’ i miei peletti; una piacevolissima sensazione quando il getto di aria ed acqua colpiva di striscio il mio clitoride; poi toccò alle coscette ed all’inguine; quindi Mario risalì sull’ombelico; quand’ebbe finito non seppe resistere e leccò nuovamente qualche secondo la mia fica pulita, con tutt’altro odore. Molte micro gocce di quell’acqua detergente fluttuarono a mezz’aria, ma erano profumate. Ci mise un paio di minuti; nel frattempo la pelle aveva assorbito la soluzione detergente e Mario mi disse:
“Voltati, te lo passo anche sulla schiena…”
Ripeté il lavaggio alla mia schiena e quando fui di nuovo pulita baciò più e più volte le mie natiche, il mio inguine, il mio ano, il mio culo tutto. Poi si fermò e mi disse:
“Koona, cambiamo posto, adesso siediti tu e mi stendo in orizzontale io e mi fai la doccia tu…”
Eseguii all’istante e mi preparai a lavare il mio uomo, come fossi sua moglie, steso orizzontale sopra di me. Lo lavai prima di schiena, poi davanti dopo averlo fatto voltare. Vedendogli pendere il suo cazzo gli ricambiai la carineria di prima e lavatoglielo glielo presi in bocca per dargli un po’ di dolcezza. Avevo appena iniziato a succhiarglielo muovendo la lingua sulla pelle spugnosa della sua cappella quando venimmo interrotti da un suono improvviso che mi mandò la saliva per traverso. Interruppi la fellatio dovendo tossire a quel punto:

“Cough! Cough!...uhmfff…slurrrr…cough!”

“Bzzzzzzzzzzzzzz, bzzzzzzzzzzzzz! Beeeep! Beeeeeeeeeip!”

Era la radio; la Micenea stava chiamando; Mario rispose cogliendo “al volo” microfono e cuffia:

“Qui, Van Brenner ! Avanti Micenea !”
“Sono Benningoul, l’ufficiale in seconda; volevo dirvi che state seguendo il sentiero, allineamento corretto, siete da un’ora alla portata dei nostri radar, mi darebbe i dati della vostra prua ? Le polari grazie!”
“Un attimo, accendo il quadro !”

Mario con pochi movimenti lenti e sicuri accese uno schermo a parete:

“Aspettate che vi do le polari…cazzo, navigavamo con le cartesiane di Cosmoz…”

Pochi secondi di silenzio, poi dalla Micenea:

“A parte la volgarità Van Brenner, che intende dire ? Confermi le polari, prego.”
“Niente, devo impostare una correzione, ho qui le vostre polari…aspettate, cazzo!”
“Calma Van Brenner ! Siete ancora nel sentiero suggerito, qui dicono che va tutto bene.”

Crrrrrrrrrrrrr, crrrrrrrrrr…bzzzzzznnnnnn
“…”

Ogni volta che la nave cambiava d’assetto m’irrigidivo muta. E pensare che fino a qualche giorno addietro mi godevo infantilmente i temporali di Titano al sicuro nel TM. Sentii dei rumori bassi in cabina. La nave vibrò sei o sette secondi, poi assunta per quel che potevo capire una nuova prua, le vibrazioni cessarono. Chiaramente avevo udito i razzi ad idrazina di prua. Mario impostò nuove coordinate, quindi chiese una nuova verifica alla Micenea; la nave madre gli confermò la correttezza della nuova prua e del nuovo sentiero; tutti i segmenti dello schermo erano su verde. Mario declamò a voce le nuove coordinate:

“Rho uno quattro quattro, phi zero sei cinque, d sette sette cinque mila km.”

Dopo qualche istante di fruscio:

“Corretto.”
“Ora ho impostato le vostre polari. Prima navigavamo con le commerciali 3D.”
“Va bene, ma la passeggera come sta Van Brenner?”
“Bene, ci volete parlare ?”

Non ne avevo voglia. Prendendo la mia situazione sotto gamba feci a Mario il mimo del sonno, e questi capendo al volo, rispose a bassa voce nel microfono:

“…Tenente Benningoul, mi sono accorto che sta dormendo, devo svegliarla ?”
“Dovrebbe Van Brenner, ma lasciamo perdere, ci fidiamo! Non può accendere il videocom ?”
“No, tenente, negativo mi dispiace; il cane ha morso il telaio dell’obiettivo; non sono riuscito a riparare la lente…”
“Bah, maledizione ! Abbiamo provato a chiamare Yakin e sorella Johanna, ma non rispondono…”
“Hanno altro da fare !”

Ci fu una lunga pausa; io potevo sentire perché Mario indossava una cuffia sola; poi il tenente Benningoul disse gelido:

“Secondo me, a questo punto sono morti Van Brenner. E sono sicuro che non è dipeso da loro !”

Ci fu una pausa; chiaramente l’ufficiale in seconda, Benningoul, non era disposto a bersi la versione traballante e fin troppo ovvia di Mario, il quale ritenne inutile fronteggiare l’interlocutore:

“Non so che dirle tenente. Posso fare qualcos’altro per voi ?”

Benningoul, che probabilmente non voleva provocare una precipitazione improvvisa della situazione, cambiò il tono adottandone uno più rilassato, ma proprio non confidenziale, con Van Brenner; Miss Dera con me non aveva mai adottato quel tono; neppure quando, indolente, mi masturbai davanti a lei:

“Ah dimenticavo, sì: ci dia il vostro tempo nave; l’ufficiale medico qui a bordo ci tiene che…bzzzz… il ritmo circadiano della ragaz…wouuuuu…za non si alteri troppo…pzzz…”
“Adesso sono le 18 e 40, nostro tempo nave. Non era il tempo di Titano Uno! L’orologio è quello avviato quando abbiamo lasciato la Micenea.”
“Anche qui da noi; sta bene!...pzzzzz… A quanti reattori viaggiate ?”
“Quattro propulsori in funzione, e tre in stand by ! Ne tengo uno per il calore interno ! Niente consumi superflui.”
“Trentasei ore soltanto, e già riduce i consumi Van Brenner ?! State pure comodi, la compagnia ha detto che la scialuppa dopo il vostro trasbordo verrà trasferita in un’orbita di cattura di Saturno, e verrà fatta vaporizzare contro il pianeta…è la soluzione migliore secondo la Compagnia.”

Ci fu un’altra lunga pausa, poi Mario riprese la parola:

“Capisco. Senta Tenente ha notizie di mio padre ?”
“Sì, sembra abbia superato la crisi; abbiamo chiesto informazioni Van Brenner ! La compagnia ha cura dei suoi marinai, anche del più basso in grado!”
“Grazie, lei è molto gentile tenente Benningoul!”
“Io il mio dovere lo sto facendo Van Brenner, io! Il vostro arrivo stimato è previsto dopodomani alle 17,30 circa…bzzzzzzz, bzzzzz; si regoli con il vostro orologio di bordo. Faccia in modo che la ragazza dorma almeno otto ore, e domani per quattro almeno . Questo è un ordine. Ci sono dei sonniferi a bordo ?”
“Sì signore, ci sono i sonniferi; altro signore ?”
“Sì Van Brenner, pzzzzzzzzzzz, mi dicono, ed anche lei mi stava dicendo che avete un cane con voi, pzzzzzz, è pericoloso?”
“No, è una piccola taglia, signore…”
“Ma non è vaccinato, vero ?!”
“Non saprei signore. Titano Uno aveva l’infermeria, ma non c’erano altri cani…”
“…va bene, richiameremo, si riposi anche lei Van Brenner! Click !”

Mario ripose la micro cuffia auricolare lasciandola fluttuare liberamente; tanto non si sarebbe persa in quell’ambiente così ristretto. Ero ancora nuda, ed avevo voglia d’indossare la biancheria intima di velinoprex; scartai la confezione che Mario aveva già estratto per me, e dopo aver abbandonato il sacchetto all’assenza di gravità del nostro generoso volume d’aria, feci qualche contorsionismo sopra la testa di Mario per indossare gli slip puliti ed asciutti; la qual cosa mi restituiva una piacevole sensazione al contatto tra il tassello delle mutandine e la mia vulva rimessa a nuovo. Sentivo ancora la nostalgia di Titano e del braccio due della base: quello con l’officina, dove il pomeriggio andavo a giocare a tennis contro le pareti dell’edificio divertendomi ad usare i droidi acefali come raccattapalle. Ciò andava oltre i loro normali compiti di raccolta dei rifiuti da riciclare, ma il Sorvegliante quantistico me lo lasciava fare. Su Titano ero la Regina; al contrario sulla Pegaso, dove mi sentivo prigioniera; una nave di salvataggio, certo non mia, dove qualunque ronzio o movimento repentino mi faceva provare dell’angoscia. Col TM da esplorazione esterna, pressurizzato, protetto da uno soesso vetro frontale, invece ero io la padrona. Peccato che non gli avessi fatto la manutenzione prescritta; nelle condizioni in cui lo avevo tenuto era già un miracolo che ci avesse portato fino alla Pegaso. E quando chiamava la Micenea, anche se era nel mio interesse, non ero mai contenta d’istinto. Lo avevano capito cosa poteva essere successo; nell’oscurità dei suoi ultimi istanti su Titano Johanna dovette aver dato l’allarme, e per tal motivo, Mario l’aveva uccisa come aveva già fatto con Greg. Stento a credere che Greg avesse il compito di eliminarmi se avessi avuto qualche malattia titaniana; comunque fosse andata non me ne sarei mai accorta: il buon Greg mi avrebbe ucciso all’improvviso, inaspettatamente, con un colpo di phaser ben carico alla testa che mi avrebbe comunque tramortita prima di liquefarmi la massa cerebrale. Questa però era solo la versione di Mario dopo che aveva ucciso Greg con il monossido. E di lì a qualche oretta replicò con Johanna usandole della violenza più diretta. Non ero a posto con la mia coscienza dato che mi sembrava di attrarre sesso e sangue, seguito poi da altro sesso. I miei pensieri mi avevano fatto ancora una volta estraniare dalla realtà; Mario se n’era accorto, e da buon amante qual era, mi aveva lasciata ai miei voli, che sulla Terra chiamate pindarici. Me ne accorsi dal fatto che aveva finito di lavarsi e vestirsi con il mio stesso tipo di biancheria. Una sensazione familiare, piacevole e seccante al tempo stesso aveva agito da richiamo: Rasputin, il mio pelosissimo compagno a quattro zampe, reclamava la sua quota di attenzioni: aveva fame; per cui chiesi a Mario di preparare una pappetta qualunque, bastava che sembrasse carne; nel frattempo mi chinai per sollevare il cane e cercare di tenerlo in grembo carezzandolo com’ero abituata a fare su Titano quando non avevo niente da fare. Mezzo metro dietro di me Mario aveva appena confezionato “una politiglia” che prontamente portai sotto il muso del cane. La annusò poco convinto, ma tanto erano le stesse proteine più o meno sintetiche con cui ci nutrivamo, sottolineo entrambi, su Titano. La mancanza di normale gravità lo aveva sconvolto abbastanza, per cui con una mano gli tenevo ferma la schiena sopra le mie cosce, e con l’altra gli reggevo la poltiglia; se il cane non si fosse sbrigato non avrebbe tardato a disgregarsi ed a fluttuare a mano a mano che la reazione con l’aria gli faceva perdere compattezza nella vaschetta. Muso, lingua, muso, lingua, e l’istinto suggerì al mio pelosissimo amico come sfamarsi. Aveva qualche difficoltà a deglutire poiché quella pappetta non era fatta con cibo solido. Quando finì di leccarla provai a togliergli la vaschetta dal muso ed il cane non guaì, né protestò; comunque gli chiesi:

“Ne vuoi ancora Rasputin ?...Mario, puoi prepararne un’altra ?”
“Wouff !...Wouff !...Wouuuuu”
“Non vorrà mica bere ?”
“Allora Rasputin ! Vuoi dell’acqua ?!”

Provai a mettere la vaschetta con i resti della pappetta davanti al suo muso e l’animale restò indifferente. Lo interpretai come un segno di diniego; di fame non sarebbe comunque morto. Mario mi diede la bottiglia dell’acqua e cercai di dargli un po’ da bere attraverso la cannuccia piazzatagli all’ingresso della sua bocca; facendo un po’ di pressione sulle pareti del contenitore flessibile un po’ d’acqua uscì dalla cannula ed il cane cercò di catturarla con la lingua. Ripetei l’operazione sette-otto volte, poi quando i movimenti del suo muso rifiutarono il contatto con la cannuccia smisi di dargli da bere. Di riffa o di raffa il cane aveva mangiato; c’era da sperare solo che non vomitasse a causa del zero g. Provai a giocarci un po’ compatibilmente con la nostra posizione e situazione di movimento. Mario mi disse:
“Ti andrebbe di cenare ?”

Ci pensai su un attimo; in fondo dare da mangiare al cane aveva messo una certa fame anche a me, e Mario si stava preparando un paio di poltiglie colorate rosa e verde. Decisi di accarezzare il cane un altro po’, e poi di risistemarlo sotto il mio seggiolino. Fortunatamente l’animale riusciva a non fluttuare leccando la mia caviglia sinistra ogni tanto per segnalarmi che era comunque lì. Poi decisa a cenare più tranquillamente con un gesto calcolato mi alzai spostandomi e presi il suo trasportino; mi ri-tuffai verso il cane e lo afferrai per metterlo nel suo trasportino dato che mi era venuta un’idea: mettere il cane dentro la sua capsula senza chiuderla del tutto, in modo tale che continuasse a respirare l’aria del volume dell’astronavetta, la stessa che respiravamo noi. Poi chiesi:

“Mario ! C’è del nastro adesivo a bordo ?”

Attesi mezzo minuto, poi Mario me lo fece avere con un gesto di lancio verso di me. Ne presi una striscia tagliandola con i denti (lo avevo visto fare a Ted Sky Fox negli olofilm scaricati da Cosmoz); quindi chiesi:

“Mario, mi serve qualcosa di spesso, più o meno un dito…”

Il mio amante si guardò intorno, quindi pensò di darmi una penna ottica. Presi la penna, chiusi il trasportino impedendo la chiusura del bordo con la penna, e per finire fermai tutto con il nastro adesivo. A quel punto cercai di sistemare il trasportino col cane dentro lontano da noi due per quanto lo spazio interno consentiva; Ed eccomi a galleggiare di nuovo vicino a Mario che nel frattempo, certo che avrei approvato, aveva “apparecchiato” per la nostra cena comune. Chiesi interessata:

“Cosa sono ?”
“Credo salmone e verdure; al cane ho dato del simil-pollo; qui è rimasto tacchino, e in quest’altra formaggio. Facciamo fuori le vaschette rimaste ?”
“Ma sì, dai.”

Mario preparò altre tre vaschette, due delle quali per me, e l’ultima di formaggio in fette sottili, quattro, due per ciascuno. Mentre mangiavo chiesi:

“Da bere solo acqua ?”
“Sì, qui a bordo, sì, credo…”
“Credi ?...Che vuoi dire ?”
“Che a bordo si può bere solo acqua; niente alcool ! In teoria,…insomma secondo la legge di navigazione spaziale…ma…yuuum, gnam, yuum, uhmmmm, aspetta, eh ?!”

Mario finì di mangiare e ripose la vaschetta in uno stipetto, dal quale prima di richiuderlo, estrasse un contenitore rettangolare, metallico, lucido, con un tappo a vite. Lo svitò e ne uscirono prontamente un paio di gocce abbastanza grosse, più o meno, come due ciliegie (le conosco perché le sfere di sopravvivenza inviate su Titano ogni tanto ne contenevano un paio di confezioni da scongelare) di color giallo castano. Le catturò al volo con la propria bocca, poi chiudendola gustò il liquido che si distribuiva, sulla sua lingua. Quando vidi come dovevo fare la svitò di nuovo e ne fece uscire altri due goccioloni; li catturai anch’io come avevo visto fare a lui e all’istante percepii un sapore fortissimo, dolce o amaro non saprei, a mano a mano che la mia lingua lo accoglieva; seguì un’ondata di calore dalla mia lingua a tutta la mia bocca: denti, gengive, e carne interna. Sentii aumentare la temperatura al mio volto, e sia al mio che a quello di Mario venne un bel rossore sulle guance. Chiesi col cuore che ancora mi batteva per la sorpresa, e per il caldo che sentii all’improvviso:

“Cosa era Mario ?! Mi sembra di andare a fuoco…mi sento l’esofago accaldato…merda !”
“Altro che merda ! Era rhum ! Vero rhum ! Di quello terrestre ! Una vera bottiglia a denominazione di origine controllata, può costare fino a cinquecento crediti ! Un po’ del mio stipendio è nel tuo stomaco adesso…”
“…”

Ero rimasta senza parole; Mario con sufficienza disse:

“Distillato in Scozia, ricetta antichissima, forse vecchia di 2000 anni e rotti: hai sentito il sapore dell’alcool da fermentazione in botti di vero legno stagionato; quello prodotto nelle stazioni spaziali non è così buono!”
“Mario, io…cos’è il legno ?”
“Una fibra vegetale molto solida che dopo essere stata prodotta ha bisogno di riposare prima di un suo uso; anticamente il l’alcool veniva lasciato fermentare in botti di legno…”

Mario mi fece una rapida panoramica storica dell’alcool e del rhum; mi parlò della differenza tra la bevanda fermentata nel metallo moderno, e quello della stessa bevanda fermentata e lasciata invecchiare anni ed anni a temperatura costante in un posto chiamato cantina; posto, mi sembrò di capire, in un luogo chiamato castello; da quello che sapevo dalla scuola di Miss Dera e dalla descrizione di Mario non era un posto troppo diverso dalla stazione mineraria Titano Uno della quale non ero più la Regina da diverse ore. In ogni caso avevo capito cos’era anche una botte, oltre che un castello…poi Mario riprese una spiegazione più confacente alla nostra situazione personale del momento.

“…sai, è proibito portarselo in missione, ma alcuni lo fanno senza che vengano puniti; è sufficiente farlo sparire prima della ripresa di contatti con l’equipaggio…io lo vuoto sempre nello spazio cosmico collegandolo alle varie prese di scarico all’esterno…e poi riesco ancora a reggerlo bene !”
“Ma se te lo trovano addosso cosa ti fanno ?! Porco Saturno Mario, è roba forte !...burp ! Cazzo !”
“…uhmmm sì…anta gradi !”
“Gradi ? Che temperatura ?”
“Gradi alcoolici; la percentuale di alcool per unità di volume di liquido totale…”
“…anta hai detto ? Che caldo !”
“Burp ! Hurggrrrr, uhmmm, ho detto ! Sì, enta, anta…ma ha importanza ?”
“Io…però ! Uhmmm. Boh.”

Io e Mario finimmo il simil formaggio con due fette ciascuno, poi colta da euforia per la novità alcoolica chiesi a Maio dell’altro rhum.

“Ma ne dai ancora ?”
“Una sola goccia, un’altra sola, ok ?!”
“Va bene.”

Mario svitò un’altra volta il piccolo tappo. Puntualmente ne uscì un altro gocciolone giallo-castano e lo colsi pronta a gustarlo; questa volta sapevo come farlo poiché io, il mio palato, e la mia lingua sapevamo qual era il tempo che consentiva di cogliere il suo gusto, ed il suo calore, e poi ancora il gusto prima di deglutirlo, e sentire altro calore nell’esofago. La sensazione piacevole della quiescenza alla corruzione scorreva dentro il mio corpo; dentro di me qualcosa si era rotto insieme all’imene; ero sempre più sicura, e convinta che quell’adolescenza che mi aveva posto ogni tanto contro Miss Dera appartenesse ormai al passato. Di Miss Dera avrei potuto fronteggiarne mille! Lo avrete già capito anche voi: non ero divenuta veramente un’adulta; era solo l’effetto di quella nuova bevanda: il rhum. Il Computer della base mai si era permesso di somministrarmi alcool, neppure del semplice vino, tantomeno champagne...e benché Mario me l’avesse somministrato con moderazione mi aveva pur sempre corrotto. Il mio “partner maledetto” aveva compreso prontamente come sarebbe potuta andare a finire, e dopo un’ultima goccia colta anch’essa al volo, chiuse la bottiglietta piena di quel costoso liquido e la mise via. Il calore interno del mio corpo mi fece fare un rutto; le mie inibizioni erano più deboli in quel momento.

“Urghroooooot !”
“Salute ! Gesto indegno persino di una lucciola in un saloon!”
“Ah…sì ?! Cosa è la lucciola nel balùn ?!”
“Saloon ! Sulla Terra era un posto quattro-cinque secoli fa in ovest America, il cosiddetto “far west”, dove delle donne, - diciamo correttamente svestite o abbigliate quanto bastava per mostrare le loro fattezze - bevevano al banco, o al tavolo con dei rozzi minatori o pistoleri, o, - che ne so?! - delinquenti locali…e prima di andare nello stanzone di sopra a scopare si facevano offrire abbondantemente da bere…in quel senso, quello dell’alcoolismo, erano più maschie dei loro clienti…”

Rimasi in silenzio un periodo che non so definire, poi gli chiesi:

“Erano le bagasche, vero?! Donne sporcaccione, sicuramente…”
“Bagasce ! Non bagasche! Già non erano molto pulite, preferivano profumarsi, ed erano molto sporchi anche i loro clienti che avevano mutande alte quanto loro, spesse, ruvide, e non le lavavano spesso…”
“Porco Saturno che schifo !”
“Calma signorina ! Il velinoprex, il cotone dei poveri, l’hanno inventato un secolo fa più o meno…”
“Cotone dei poveri ?”
“Sì, alcune persone hanno più soldi, altre molto meno. Ma la biancheria intima ormai i blocchi economici coordinati la distribuiscono gratuitamente a tutti…molta gente cerca di non ammetterne l’uso; ma sono pratiche e non devi lavarle; le butti o le ricicli…”
“Mario…”
“Sì, Koona ?!”
“Sento caldo, lo sento dentro…”
“Ho capito, vuoi che abbassi la temperatura interna ?”
“No, voglio che ti togli lo slip di velinoprex…”

Misi le mani addosso al mio amante maledetto e gli tirai fuori il pisello, desideravo prenderlo in mano e sentirmelo crescere mentre chiudevo la presa sul suo membro. Iniziai a baciare e a masturbare il mio uomo; schiusi le labbra e cercai la sua lingua per scambiare saliva e carnalità sfiorata. Mollai un attimo la presa osservando orgogliosa il suo cazzo che si ingrandiva fluttuando incerto qua e là. Mi tolsi la maglietta di velinoprex e la lasciai fluttuare al di sopra dei miei capelli:

“Frugami nelle mutandine, come faresti alla tua Lauren, prima di svestirla…e poi fai quello che vuoi !”

Mario non se lo fece dire due volte: infilò la mano nelle mie mutandine e cominciò a saggiare la mia vulva, e le sue carni morbide con i polpastrelli delle sue dita. Venivo frugata ed il calore indotto dal rhum mi stava facendo sentire infoiata. Ci stavamo scambiando masturbazione manuale con tutta calma. Il suo era un vero cazzo e si era ingrandito; ora si trattava solo di farlo intostare. Mi spostai di mezzo metro verso l’alto, e scostato il bordo destro delle mutandine di velinoprex, offrii al mio amante l’odore del frutto proibito. La mia vulva pulita cercò la sua bocca, e attese che la lingua iniziasse a stimolarne il clitoride.

“Ahn…ahn…ahn! Dai lecca, maschio ! Lecca, proprio qui, fammela godere !”

Mario non se lo fece dire due volte; nel giro di mezzo minuto i miei capezzoli s’indurirono e le cosce mi tremavano; ci fosse stata la gravità mi sarebbero mancati i sensi, e mi sarei stesa supina spalancandogli le coscette per dargli tutta la mia vulva rosa-nocciola. Invece sospesa sopra di lui tenevo le mutandine scostate perché mi leccasse il più possibile, proprio lì. Mario impazzito per il mio odore di pulito nel sesso prima di continuare a leccare, con mio grande disappunto si fermò e disse:

“Senti, forse è meglio che te togli ! Via dai, toglile, cazzo !”
“Toglimele tu !”

Mario me le abbassò ed andò a spiaccicare istantaneamente il viso contro il mio pelo scuro. Diede un lunghissimo bacio a ventosa. Facevo ciò che potevo per tenere la sua testa con le sue labbra baciate dalle grandi labbra della mia vulva castana. Poi riprese a leccarmela, ed io allargai le mie cosce affinché la sua lingua solleticasse ben bene il mio inguine. Mario ci sapeva fare con la lingua; ne bastarono un paio di slappate sul mio inguine, che dalla mia fica quasi bagnata, scese una lacrima trasparente. Mario la leccò famelico prima che volteggiasse per aria, poi riprese a ricoprire a passate del suo sottolingua tutti i lembi delle pelle morbida e vellutata della mia vulva. Doveva essere proprio un porcello goloso di brodo di femmina in calore. E con quel rhum in corpo, che calore ! A malincuore staccai il contatto e cercai di scendere a cercare il suo cazzone per accoglierlo nella mia bocca; la mia lingua era pronta a ricambiare le cortesie praticate alla mia fica. Facemmo un comodo ed irreale sessantanove mentre scoprivo che il cazzo di Mario aveva qualche piccola perdita di sperma, biancastro, trasparente, non cremoso, ed il sapore era ancora quello del rhum…i lobi della sua cappella indurivano a mano a mano che le mie labbra vi chiudevano la presa. Gli stavo facendo un frenetico pompino nel quale sfioravo a brevissimi colpi di lingua quella cappella dolce amara più o meno in base ai colpi di lingua che ricevevo sul mio clitoride. Il suo cazzo mi tirò un paio di colpi improvvisi fino in gola mentre era nella mia bocca a fare una cura di calda saliva. Era duro. Presi un respiro, staccai la bocca, e mi rivoltai di nuovo grazie al zero-g: allargai le coscette e mi feci prendere da Mario perché mi penetrasse da padrone. Restammo avvinghiati nell’amplesso, col suo cazzo che ormai aveva fatto sciogliere la mia fica a giudicare da qualche gocciolina che volteggiava a pochi cm dai nostri corpi. Trovammo una posizione per dispensarci piacere reciproco e per un quarto d’ora di tempo nave sul display Mario mi fece godere. Quando il piacere montava i seni mi si gonfiavano e sotto l’ombelico ero un brulicare di correntine solleticanti nel mio basso ventre, e sotto il mio pelo infilzata dal suo carnale palo, ero tutta un inzuppo. Ogni suo più piccolo movimento mi faceva sentire cieca per qualche cortissimo istante di congruo piacere sessuale, e cerebrale…

“Ahnnnn ! Ahnnnn! Ahnnnnnn! Sì ! Ahnnnnn!”

Io avevo goduto, la mia fica mi aveva dato l’impressione di andare tutta in un colo. Mario invece non aveva ancora goduto. Mi decisi dopo averlo baciato senza purtroppo ottenere l’eiaculazione liberatrice di sensi e di calma post orgasmica. Mi staccai, mi spostai di un buon metro, e cercai di trovare una posizione d’appoggio presso gli altri seggi, per offrire al mio amante col cazzo ancora ben duro il rapporto anale; invitai Mario scostando una natica; in quei febbrili secondi di erezione residua sputò della saliva sul mio muscoletto e cercò di allargarmelo col dito tramite sapienti tocchi che aveva probabilmente già messo a punto con la sua Lauren e forse anche con Johanna. Ci sarebbe stato da urlare, ma ero pronta: che mi trafiggesse pure ! Pochi secondi, tremando, attesi che il suo missile mi colpisse. Venni presa per i fianchi, sentivo già la cappella dura che sfiorava a caso le mie natiche. Diedi a Mario un’ultima raccomandazione:

“Mario, dopo che sei entrato, prendimi le zinne ! E, cazzo ! Stringimele !”

Seguì un lungo attimo di vuoto, poi sentii una fitta all’ano non lubrificato; per lo meno in quel momento seppi che la saliva non era un buon lubrificante ! Anzi, un irruvidente…Mario diede due robusti colpi e si fece strada nel mio retto. Poi mi mancò il respiro all’improvviso quando lasciando i miei fianchi mi prese le zinne, entrambe strette nello stesso istante ! Ero sua. Il rhum mi aveva esaltata, e adesso trovavo il pane per i miei denti: ora comprendevo cosa veramente volesse dire quel modo di dire dei terrestri. Ci vollero cinque minuti di lavorio rettale, nel quale Mario emise anche qualche grido di dolore; forse era veramente malato alla prostata…mentre i miei intestini venivano smossi i respiri di Mario si erano fatti via via più brevi ed intensi.

“Ahn ! Ahn! Ahi ! Ahn! Ahi ! Ahi !...sì, che male ! Dai !”
“Uhn ! Sì, Sì, ecco ! Uhn ! Ahn ! Ahn ! Ah!”

Il cazzo era ben addentro il mio retto e dato che ormai l’ano mi bruciava non vedevo l’ora che venisse. Smossi rabbiosa per il dolore il bacino e non so cosa esattamente accadde: Mario finalmente poté liberarsi ! Così all’improvviso per un mio movimento laterale.
“Ahhhhhhhhhhhh! Sì ! Ahhhhhhh! Tieni Koona, ahhhhhh, tutto tuo ! Ahnnnnn! Dentro sì ! Dentro !”


Il mio uomo mi stava dando il suo seme, mentre a me cominciava a mancare il respiro per l’ingestibilità del dolore dietro. Avevamo sudato entrambi, io da completamente nuda, Mario con addosso la maglietta di velinoprex e gli slip slargati dalle sue cosce muscolose. Venivo riempita, anche se il suo sperma lo sentivo solo tiepido e… sporco! Sporco che si aggiungeva ad altro sporco. Mi voltai a baciarlo un attimo e poi dissi:

“Mario esci, basta ! Mi fa male!”
“Anche a me, piccola demone!”

Mario uscì dal mio culetto sottomesso dalla sua durezza. Ero stata ferita, ma ne ero felice, essendo stata io a volerglielo dare. C’era penombra, e non mi voltai certo a guardarlo. Mario si assicurò che si richiudesse. Poi pensammo a noi stessi. Io finalmente ero scarica; avevo smaltito anche quel rhum. Mario urinò dolorosamente alla manichetta:

“Ahiiii! Uhhhhh! Ahi !....uhmmmf…! Ahi….ahrrrrrrgh ! Ahnnnnn! Cazzo!”

Poi la lasciò fluttuare dimenticando di accendere l’aspiratore. Se ne ricordò dopo un paio di secondi e provvide. Feci in tempo a vedere un paio di gocce del suo sangue fluttuare verso la parte superiore della cabina. Urinai alla manichetta anch’io dopo che Mario mi diede una salvietta umidificata per pulire quell’invaginazione di gomma prima di poggiarla sulla mia vulva. Poi vedendo che Mario si asciugava con le salviette io chiesi di nuovo il tubo con l’erogatore aria-acqua ed in un quarto d’ora di abili movenze mi lavai di nuovo; poi raccolsi la biancheria di velinoprex per reindossarla. Anche Mario si lavò il cazzo sporcato dal mio retto con la manichetta e con cautela se lo riasciugò temendo di sentire ancora dolore. Il mio cane era rimasto disciplinatamente al sicuro nel trasportino, e non ci aveva disturbato. Mario, finito di lavarsi alla meglio, si stava preparando “per la notte”. Io liberai il cane perché respirasse liberamente sul mio corpo tenendomelo abbracciato e coccolandolo per averlo trascurato tre quarti d’ora. Mi leccò abbondantemente su tutto il viso. Mario mi disse atono:

“La nave ha ordinato di farti dormire almeno otto ore; vuoi un sonnifero ?”
“Sì, ne prenderò uno, ho proprio voglia di dormire un po’…senti ne potresti spezzare, diciamo, mezza ?!”
“Puoi stare tranquilla, sono sicuri, non puoi suicidarti con questi…”
“No, dicevo per il cane, volevo che dormisse anche lui…”
“Boh, aspetta, ci provo…”
“Beiiiiiiip, bzzzzzzzzzzz, beiiiiiiiiiiiiiip !”
“Cos’è ?”
“La Micenea, stanno chiamando.”

Mario rispose:

“Qui Van Brenner !”
“Qui Micenea, sono l’ufficiale di rotta; siete a portata del nostro radar da diverse ore ormai, e vi confermo che siete ancora sul sentiero corretto. Il computer di navigazione non riesce ad agganciare quello della Pegaso; può controllare ?”
“Controllare cosa ?”
“Del perché non vi fate agganciare…non volete viaggiare in automatico ?!”

Mario rimase in silenzio diversi secondi, poi rispose deciso:

“Negativo Micenea. Ripeto: negativo. Se mi date i dati di deriva provvedo alla correzione.”
“Quella che percepiamo noi è uno punto due radianti nord per mille chilometri…”
“Va bene correggo…il tempo d’inserire i dati…ecco uno punto due…fatto !”
“Va bene Van Brenner ! Come sta la passeggera ?”
“Bene ! Ve la passo, poi assumeremo il sonnifero e dormiremo entrambi…a meno di emergenze potreste lasciarci dormire ? Magari chiamate domani mattina, tempo nave qui, alle nove…”
“Va bene, ora mi passi la ragazza…”

Mario mi passò la cuffietta e la portai all’orecchio destro, senza indossare l’altra.

“Sì ?”
“Come si sente signorina ?”
“Bene signore, mi stavo preparando per andare a dormire.”
“Si comporta bene con lei il pilota ?”
“Sì signore ! Mi ha raccontato molte cose della Terra e della Micenea…sono contenta che ci sia lui signore…purtroppo Greg…cioè il signor Yakin è voluto restare lì con Johanna…”
“Già, tenga bene a mente i suoi ricordi signorina. Avremo modo di riparlarne una volta a bordo !”
“Sì signore, capisco signore.”
“Sta indossando la tuta signorina ? Sa il comandante si era raccomandato, per via dell’esposizione ai raggi cosmici.-bshhhhuuuuuzzzzzzzzzz !”
“Negativo signore, qui fa caldo, ed io sto indossando solo il velinoprex in dotazione ai sedili; è l’unica cosa pulita qui!”
“Signorina metta la tuta, si sta esponendo troppo,-bzzzzzzzz- anche con il signor Van Brenner. Qui preferiremmo che lei non lo tentasse in alcun modo.”
“Non so che volete dire. Il signor Van Brenner con me è molto amichevole…stiamo bene, non succede niente, state tranquilli…”
“Va bene signorina ci fidiamo. –bzzzzzzzzzzz-A costo di sembrarle irritante le ordino di indossare la tuta spaziale, e di dormire se ci riesce.”
“Sentite Micenea, glielo avevo già detto al comandante, la tuta era sporca e sudata dentro quando ho lasciato Titano Uno, creperei di prurito…”
“Signorina non sia sciocca ! Meglio un po’-bzzzzzzzz- di prurito che un tumore alla sua età innes-bzzzzzzz-cato dalle particelle alfa…siete continuamente bombardati ! –bzzzzzzzzz-Lo spessore della Pegaso non è sufficiente. E siccome i seggi –fruuuusssssh- wowwww- sono disposti a croce durante il sonno dia le spalle a Van -bzzzzzzzz- Brenner ! Come ufficiale di nave Micenea le ordino, ripeto le ordino, di indossare la tuta –bzzzzzzzzzzz- spaziale !”
“Sento dei fruscii, insomma dei rumori…non sempre vi sento…”
“Sono disturbi dovuti al campo magnetico di Saturno…indossi la tuta-bzzzzzshhuuuu bzzz, è un ordine !”
“Va bene lo dirò a Van Brenner, ve lo passo…”

Mario prese le cuffie e disse:

“Salve Micenea, mi dispiace, questa era la situazione. La passeggera vuole indossare roba pulita.”
“Bzzzzzzzz-Van Bren-bzzzzzzzz-ner ! Le ordino di farle indossare la tuta ! – Wouuuuuuuuuuuuu !”
“Affermativo Micenea, poi però dormiremo, se potete richiamare domattina.”
“Click !”

Feci il segno dell’ombrello che avevo visto negli olomuvj di Cosmoz ai cattivi:

“Tié ! A fottimentarsi la tuta !”

Delle parolacce terrestri non ero mai stata veramente pratica, ed anche Miss Dera pur rimproverandomene l’uso, mi faceva sempre notare come si sarebbe dovuto dire…

“Koona ! Semmai si dice a fottersi, non a fottimentarsi ! Comunque sulla tuta hanno ragione loro…alle radiazioni alfa sei, cioè no, siamo,…come si dice ?!... esposti…”
“Sì, sua nonna!”
“…” – Mario non mi riprese sorridendo; io puntualizzai:
“Questa l’ho detta bene, no ?!”- L’avevo sentita a Ted Sky Fox che si opponeva ai nemici…

Mario accomodò lo schienale dei sedili, sia il mio, sia il suo; quindi mi diede una compressa di sonnifero più la mezza che avevo chiesto per Rasputin ancora in grembo a me, retto dal mio braccio e mano sinistri. Mario mi diede l’acqua con la cannuccia e presi la mia pillola; poi misi in bocca al cane la mezza sperando che gli facesse effetto. Mario abbassò le luci ed aumentò un po’ la temperatura dato che io la tuta avevo già fatto diniego di indossarla. Ci stendemmo entrambi; Mario ormai scarico e pacato disse:

“Sveglia domani alle otto e trenta, tempo nave, s’intende. Dormiamo che è meglio…domani mi sa che ci sarà da lavorare parecchio…”
“Che vuoi dire ?”
“Fatti una dormita, una buona dormita ! Domani, ti piaccia o no, la procedura richiede che tu abbia la tuta.”

Con una presa segnalai al cane che avrebbe dormito su di me, quindi per esserne sicura allacciai la cintura di sicurezza dato che l’incoscienza del sonno mi avrebbe fatto fluttuare e la cosa valeva anche per Mario. Ormai non si vedevano che le spie rosse e azzurre del quadro strumenti. Il rumore di fondo della Pegaso conciliava il sonno. Provando a rilassarmi chiusi gli occhi, e la stanchezza o il torpore indotto dal sonnifero ebbero la meglio. Sprofondai nel sonno. Per quel che ricordo fu piacevolissimo. Non sognai all’inizio. Un riposantissimo nulla. Riflettevo o credevo di riflettere se la morte fosse così. Non vi era nulla che mi turbasse; sarei rimasta così ancora a lungo. Ecco che mi trovavo sulla Terra, a Firenze, quella città che mi ero fatta proiettare molte volte dal Sorvegliante quantistico, ero in pieno Rinascimento e visitavo la Chiesa di Santa Maria Del Fiore. In prima fila, nelle panche davanti all’altare c’erano due persone che di spalle conoscevo senz’altro: erano Greg e Johanna, vestiti con un saio grigio e le mani aperte come ad accogliere; cercavo di chiamarli con una voce ogni momento più soffocata, sempre più soffocata, dovevo fare uno sforzo, raggiungerli e parlare loro da vicino. Dovevo muovermi a passo largo, sforzandomi, per raggiungerli, anche se essi continuavano a non sentirmi, non si voltavano. Mi facevo strada tra le persone; tutti sembravano di voler assistere…ma a cosa ?! Quando li raggiunsi, prima di inginocchiarsi e giungere le loro mani in preghiera mi guardarono benevolmente, per poi ignorarmi, ed un attimo dopo aver chinato le loro teste in avanti in ginocchio si dissolsero davanti a me; le loro teste si erano trasformate in fumo dopo essersi decomposte prima di disintegrarsi...e così anche i loro corpi ed i loro sai. Tuttavia non andarono perduti; il loro fumo era stato raccolto dentro un anfora da una bambina operosa che rideva, rideva, conoscevo quella bambina: ero io, felicissima come quando mamma mi portò alla nostra prima EVA su Titano con il TM. Avevamo recuperato una capsula di soccorso che aveva anche qualche giocattolo per la sottoscritta…Poi chiusa l’anfora la bambina si voltò, guardò verso l’altare poiché era l’ora delle Campane dal rumore grave, intenso, una specie di botto dal suono metallico…Il paesaggio cambiava continuamente prospettiva, inclinazione, tutto ruotava intorno a me, perdetti l’orientamento. La luce intermitteva mentre a me girava tutto intorno…

“Din Don Dan!”

Ad ogni colpo venivo privata del respiro e volevo tapparmi le orecchie alle quali sentivo un fastidio crescente ogni momento di più.

“Din Don Dan, DIN, DON, DAN! DIN ! DON ! DAN!”

“Din don dan ! Din Don Dan !”
Era la sveglia della Pegaso. Ritornai alla realtà seccata, delusa, in fondo a quello scampanio irreale ed aggressivo tra le volte e gli affreschi di Santa Maria del Fiore mi sembrava di poter resistere. Sentii l’odore dell’aria consumata della Pegaso. Erano le 8 e 30 ed il display lampeggiava. Ero sveglia. Sbadigliai soddisfatta e, una volta che fui certa che non mi sarei più addormentata, sganciai la cintura. Io ed il cane riprendemmo a fluttuare al debole chiarore del modulo abitativo della Pegaso. Presi il tubo con l’invaginazione di gomma e calate le mutandine urinai. Una volta che accesi l’aspiratore mi venne un’idea: provare a far urinare Rasputin. Afferratolo lo solleticai nel suo basso ventre per poi collegarlo alla meglio al tubo con la giusta maschera. Il cane rispose agli stimoli e rilasciò un po’ di urina. Lo solleticai di nuovo.

“Su, fanne ancora dai…shhhhhhhh, lo so che ne hai altra…dai falla su, pshhhhhhhhhh!”

Il cane urinò un paio di volte, poi lasciatolo fluttuare lo ignorai per accendere l’aspiratore; al volo afferrai il pacco delle salviettine e pulii l’invaginazione di gomma in previsione del fatto che l’avrebbe usato anche Mario che dormiva ancora. Curiosamente mi aveva dato le spalle come aveva ordinato l’ufficiale di guardia sulla Micenea. Una cosa che non sapevo di Mario: aveva il sonno duro. Non aveva proprio sentito la sveglia. Lo lasciai dormire. Però tra non molto lo avrei svegliato avevo fame, e volevo fare colazione. Ore 8 e 47. Quando furono le 8 e 56 svegliai Mario toccandolo:

“Ehi, Mario, sveglia, sveglia…”
“Eh ?! …sì che ?!...ehhhhh?!”
“Sveglia Mario sono le nove. O vuoi dormire ancora ?! Fra poco la Micenea chiamerà…vorranno parlarti.”
“Huammmm, che chiamino ! Affanculo !”
“Che vuol dire ?”
“…uhmmmm, uhmmmm, niente. Lascia stare…Huauuuuunggggg!”

Mario sbadigliò.

“Le nove, eh ?!”
“…”
“Koona !”
“Sì ?!”
“Dammi la manichetta…”
“Tieni ! L’ho appena pulita…”

Mentre cercava di urinare nel tubo io non sapevo dove guardare, e Mario mi fece:

“Vai verso l’oblò e guarda in avanti, e dimmi cosa vedi !”

Andai verso la parte alta della Pegaso con un paio di scatti del mio corpo in prossimità del finestrino per guardare fuori protetta dall’oblò. Era buio, e paradossalmente pieno di stelle e stelle. Guardai verso l’avanti e non notavo niente di strano. Tuttavia la Pegaso ruotava su se stessa ad un giro al minuto circa, quindi era solo questione di tempo. All’improvviso vidi una stella, che una stella non sembrava affatto. Era una losanga di un paio di centimetri di color grigio bianco. Mario se l’aspettava e disse:

“Quella è la Micenea, la raggiungeremo tra poche ore. Sarà la tua casa per i prossimi sette-dieci mesi.
Lì non potrai fare quello che facevi su Titano. Spero ti lascino tenere il cane…”

La vista della nave non mi aveva meravigliato più della normale curiosità presto assopitasi dato che non distinguevo forme particolari. Ignorai il suo principio di discorso e dissi:

“Mario, io ho fame, facciamo colazione ?!”




- continua -































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