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Punisco mio figlio


di geppettino2003
12.09.2018    |    66.845    |    18 6.1
"Un ultimo sguardo allo specchio per controllare la simmetria, e devo cambiare le scarpe, farei ridere, la gonna stretta, calze di seta con il righino e le..."
Come ogni mattina sono in ritardo, mi capita sempre qualcosa, e oggi, pronta per uscire, una calza smagliata.
Cazzo!
In camera, a terra la stretta gonna, veloce mi privo dei collant e, nel cassetto, solo un paio di auto reggenti nere con il filino dietro, forse un po’ démodé, ma non ne ho di altre.
Un piede sul letto ed infilo la prima, le mani protese dal polpaccio risalgono sulla coscia, sistemano la riga.
Ripeto identici movimenti per l’alta gamba.
Un ultimo sguardo allo specchio per controllare la simmetria, e devo cambiare le scarpe, farei ridere, la gonna stretta, calze di seta con il righino e le basse ballerine. Un minimo di tacco si impone. China nello spogliatoio, le trovo di vernice nera, salgo sui quei dieci centimetri. Un attimo e genuflessa raccolgo la stretta gonna, plastica sculetto un po’ per indossarla. Ancora allo specchio, gli alti tacchi sono in perfetta linea con le righe delle calze. Perfetto! Le mani tra i lunghi capelli, sistemo gli scomposti ciuffi. Sorrido civettuola. Dai ci sta ogni tanto riscoprire quella mia parte di femminilità, quasi quasi sbottono un bottone della camicetta. So di piacere e, nel mio mondo, è bene apparire oltre che essere...
Sobbalzo! Alle mie spalle una figura riflessa allo specchio.

Mio figlio, uscito dalla doccia, l’accappatoio aperto, fermo alla mia porta, una espressione strana mentre ostenta il suo essere nudo, sorridendo sfrontato. Fermo è il mio invito a coprirsi. Non ascolta, le sue mani stringono il suo sesso, gonfio, dritto, duro, mima, osceno, il classico movimento masturbatorio.
Non ci posso credere!

Sorpresa, sento salire la rabbia, d’impeto mi avvicino, offesa, un tutt’uno con il fermo ceffone che stampo sulla sua guancia. Una sberla piena forte che lo fa traballare.
Il suo continuo sorridere sfacciato, mi fa imbestialire ancor di più. Continuo a colpirlo, riempiendolo di improperi, gli grido il mio dissenso, lo minaccio di una severa punizione, lo spingo sino in camera sua. Si oppone, resiste, nudo continua a toccarsi.
Ancora una sberla e, contemporaneamente, con forza lo spingo sul letto, lanciandogli il boxer
“Copriti porco!”
rimandando tutto il resto al suo rientro da scuola!

Ora per me è tardissimo!

In macchina rifletto il suo atteggiamento non mi è piaciuto è grave. È ormai qualche mese che il suo stare a casa mi avrebbe dovuto far pensare. Vedermelo girare per casa, sentirlo, sempre più spesso, dietro la mia porta, ascoltare le sue fanciullesche giustificazioni erano il tangibile segnale di un qualcosa di zozzo.
Ho rifiutato ogni sporco pensiero. Avrò sbagliato, sicuramente un errore, forse per una stupida forma di paura nello scoprire ciò che non può essere possibile e, quindi rifiutarlo.

Adesso voglio approfittare del suo essere a scuola per accertarmi di ciò che ora può essere diventato un serio problema. Il solo pensiero mi spaventa. Voglio cercare un segnale che non dia conferme a quel suoi preoccupante atteggiamento di stamattina.
Ove fosse tutto reale, trovandomi difronte un bel problema, capire se sono capace di gestirlo, o dover coinvolgere suo padre la cui reazione immagino sarà durissima.

Con l’esigenza di scoprire, ho lasciato alle mie, preziose collaboratrici, i miei impegni di stamattina. Rientro trafelata, a casa. Infuriata.

“... Cazzo che bella troia che sei, uno splendido puttanone! So che ti piace il cazzo. Stamattina sei rimasta sorpresa, senza parole! Erano mesi che volevo farlo... ”

- Ma che dice! -

“Da quando non vedi un cazzo così bello e duro!
Mi fai morire. Dio come mi piacerebbe sborrarti tutta. Infilartelo tra le labbra, spugnettarmi e riempirti la bocca della mia sborra. Zoccola vuoi resistere. So che ti farò cedere, è solo questione di tempo. Mamma ti farò gridare mettendotelo in culo. Sei una splendida Baldracca!!!”

Pietrificata, ascolto le sue porcate. Non è andato a scuola. È sul divano di casa, i boxer a metà gambe, concentrato, impegnato a toccarsi.
Ciò che speravo, ardentemente, fosse un dubbio, quelle che sembravano fossero solo le preoccupazioni di una madre, sono invece una terribile certezza: lo faccio eccitare, e dedica a me le sue schifezze.

Sento la rabbia salire ancor di più e privarmi dei lumi della ragione.

“Troia voglio scoparti la bocca! Voglio sentirti gridare mentre ti inculo, ansimare quando ti sborro sul viso. Hai visto che bel cazzo che ho... ti piace ”

È immediato constatare che ho un figlio degenere! Un farabutto. Un maiale.
Da quanto tempo? Perché? Come gli è venuto sta fisima e come ho fatto a non accorgermene prima?

Sul grande schermo, davanti al divano, le mie immagini di stamattina. Riprese con il suo iPhone. Il mio momento di intimità immortalato nel mio essere donna. Il mio sorridere maliziosa davanti allo specchio, prona apprezzare l’intrigante mio fondoschiena. Poi le mani nei lunghi capelli e con il profondo respiro gonfiare il procace mio bel seno.

“Bastardo! Ma che fai? Che cazzo dici? Come ti permetti. Porco! Cosa hai in mano, che ci fai con le mie calze.”

Impacciato, giustamente spaventato dalla mia veemenza, balbetta davanti alla mia ira. Tenta la più stupida delle reazione.
Ha perso la sfrontatezza.

“Mamma!...”

Con violenza gli strappo dalle mani quel mio intimo che tiene legato sul cazzo.
Un cazzo che reagisce violento nel suo potente stato.

Futile ogni tentativo di coprirsi, inutile ogni sua difesa.

lo colpisco, ripetutamente, tirando con forza le mie calze da quel duro cazzo che, duro, si oppone.

Inerme subisce le mie invettive. Mi oppongo al suo tentativo di alzarsi. Lo spingo con forza sul divano.
Violenta lo colpisco. Con forza lascio le mie dita impresse sulla sua guancia. Un mal rovescio scuote il suo capo.
Le sue mani protese tentano di ridurre gli effetti della mia rabbia.

Non ragiono. Non governo i miei movimenti, ne i miei pensieri.

“Sei un pezzo di merda”
Un ginocchio sul suo petto lo tiene fermo. Inviperita lo privo del boxer, indiavolata lo colpisco ripetutamente, sul viso, le spalle, il petto. comincio a picchiare forte su quel cazzo teso e duro responsabile delle sue gravi offese.

Colpi secchi con entrambe le mani. Il cazzo reagisce alle mie invettive si oppone ai miei colpi, mi sfida sfrontato.

È forte la mia intenzione di punirlo fargli male. Stizzita stringo quel suo duro cazzo, entrambe le mani lo impugnano, mentre scarico sul suo viso le mie dure parole.
“Sei un porco, un bastardo,
ora ti faccio vedere di cosa sono capace di fare!”

la rabbia riesce a darmi la forza di oppormi alla sua scomposta reazione. Inutile il tentativo di sottrarsi alla mia rabbia. Riesco a sopraffare le sue mani che tentano una strenua difesa, le sento spaziare sul mio corpo, riesco a tenerlo bloccato sul divano con la forza del mio corpo.

Picchio forte, colpi ripetuti, su quel cazzo che continua a reagire scomposto e sempre più duro. Voglio fargli veramente male. Incurante del come.

Con rabbia lo stringo ancora più forte, lo impugno lascia alla mano di scorrere sul palo e scappellarlo con violenza. Scarico il peso del mio corpo sulle braccia e sbatto su gonfi testicoli.
Sobbalza! Una smorfia di dolore si stampa sul suo viso. “...mamma...!”
Ascoltare la sua voce mi indispettisce, sale la mia collera. Voglio vederlo soffrire, deve pentirsi per la sua mancanza di rispetto.

Tenta di reagire ai miei scomposti movimenti, devo sollevare la stretta gonna, allargare le gambe, e poter governare i suoi tentativi di sottrarsi alla violenza della mia reazione. Devo stargli più vicino se voglio colpirlo meglio e con maggiore forza.

Una battaglia tra la mia collera e la sua perversa eccitazione. Tra la forza del mio corpo e la barriera della sue mani, tre le mie grida di rabbia e le sue di dolore.

In piedi, carico sulle mie mani il peso del mio corpo e lo trasferisco d’impeto su quel cazzo che continua a reagire opponendosi sempre più duro, oserei dire quasi impettito, alla mia collera.

Furiosa mi accanisco, accecata dalla rabbia, stringo i suoi testicoli, le lunghe unghie affondano sulla carne.

Sobbalza! Il dolore deve essere forte, ma è proprio questo che voglio.
Solo la sua sofferenza potrà appagare la mia rabbia, ed il suo gridare incentiva il mio fare. Potessi glielo spezzerei!

“Mamma ti prego basta...”

Lo zittisco con un altro sonoro ceffone.

“Tu non hai ancora capito cosa ti aspetta. Ti devi solo pentire di aver pensato quelle cose di me. Ti faccio vedere io la baldracca che sono!”

Con le unghie graffio quel suo duro palo, lo impugno ancora, lo stringo più forte, giro le mani, le porto sulla punta, spingo e, con fare secco, lo scappello.

È simultaneo il suo reagire, il corpo si scuote ad ogni mio determinato affondo. Grida. Soffre!

La mia è rabbia allo stato puro. Quel sentimento che ti priva della ragione, che ti spinge a dire, ed a fare, cose che poi ti fanno pentire, che ti lasciano l’amaro in bocca.
Un momento che non controllo!

Sbatto forte, ancora sui testicoli, picchio forte sul cazzo, stringo forte sulla cappella, incurante del dolore che gli provoco. Quello è nulla rispetto all’offesa che ho subito.
Deve soffrire!

Definirmi, troia, zoccola, io sua madre, io che vivo per lui. Gli ho dato la vita e, ora, sarei pure pronta a riprendermela!

Pensieri che acuiscono il mio stato, la mente offuscata mi impone di pensare a come fargli più male, colpirlo con cosa, magari prenderlo a morsi.
No! la mia punizione deve essere più dura, deve lasciare forte il segnale, un indelebile brutto ricordo!

In altre occasioni avrei lasciato scorrere la mia saliva tra la mano e la cappella così da agevolare il mio movimento
Ne ho mandati di cazzi in paradiso, ma oggi è diverso!

Quelle sue parole - sborrare in bocca -

Continuo a colpirlo con ancora più forza. Un ceffone ben assestato lo spinge sul divano, approfitto di quel momento e lo obbligo a sollevare le gambe, un attimo e le ho sulle mie spalle. In ginocchio con il mio corpo spingo sul suo. Adesso la violenza delle mie mani può scaricarsi sulle sue nude chiappe.
Colpi fermi, secchi, ripetuti che in poco colorano di rosso i glutei. Con le unghie graffio il culo mentre colpisco, lasciando alle dita l’effetto frusta morire sui testicoli. Li colpisco ripetutamente.

Grida, tenta di opporsi con le braccia alla mia veemenza. Le sue stesse gambe sono barriera verso di me.

Incurante, ma determinata, so cosa fare e anche come.

- Mettermelo in culo -

Con le gambe sulle mie spalle tenta inutili spinte. La forza della mia rabbia si oppone anche all’invadenza delle sue mani. Continuo a picchiarlo con inaudita forza.

Una sfida fra la forza della mia rabbia e la reazione del suo cazzo che, ancora duro, sembra sferzare l’aria ad ogni mio colpo.
Una sfida che non intendo perdere, che non mi può vedere soccombere.
La mia punizione deve veramente lasciare il segno!

Accetto la sfida. Con ancora più forza stringo di nuovo in una mano il cazzo, con l’altra continuo a colpirlo su di inerme culo.

- Me lo vuoi mettere in culo bene adesso ti faccio vedere io -

Accecata dalla rabbia, raccolgo la saliva, lascio che muoia sul suo culo, con le dita la spingo sul buco, irrigidisco il medio, spingo con violenza lo infilo. Lo inculo!
Grida il suo dolore, l’espressione del viso è di vera sofferenza, ed è solo la forza della mia rabbia che riesce ad opporsi al suo scomposto reagire.

Le sue protese mani tentano di allontanarmi da lui, ma è inutile. Con una mano stringo forte il suo palo di carne e con l’altra affondo il dito medio tutto nel culo.
Lo possiedo incurante del suo dolore, spingo con la rabbia della persona offesa e con la convinzione di restituire l’onta che ho subito.

So cosa voglio fare, non so se è giusto, so solo che è quello che si merita. Deve subire ciò che la sua fantasia immagina faccia vivere a me.

Con la forza del mio corpo spingo il suo, voglio che il suo cazzo sfiori la sua bocca. Ovviamente non ci riesco, pochi centimetri mancano, ma è una cosa che non mi preoccupa.

Continuo a spingere il mio dito dentro il suo corpo.

Il respiro si è fatto pesante, i lunghi capelli mi inibiscono. Solo per un attimo lascio tutto. Li raccolgo con entrambe le mani, li lego con quelle mie calze, incrocio il suo sguardo e sale ancor di più la mia rabbia. In bocca inumidisco l’indice, spargo con la lingua abbondante saliva e, subito quel mio lungo dito di nuovo nel suo corpo.
Il suo respiro è spezzato da un nuovo grido di vera sofferenza. Un grido che esalta la mia rabbia, che mi da ancora più forza, che mi aiuta ad oppormi alle sue spinte e acuisce la mia determinazione!

Sarà per questo che stringo, ora, forte in mano i suoi gonfi testicoli. Sarà per questo che roteo l’indice tutto nel suo culo. Sarà, anche, per questo che riprendo il grosso cazzo in mano pestandoci su. Lo stringo forte e lascio scorrere la mano veloce, percorrere una diventata marmorea asta e con forza, sbattere sui coglioni.

Seguo le sue labbra muoversi, ma non ascolto il suo parlare, non sento nulla, il suo gridare, il suo soffrire,
forse, le sue preghiere!

Sono solo determinata, concentrata convinta del mio fare.
Un ultima spinta del mio corpo, un colpo secco del bacino, sfilo il dito dal suo culo, con entrambe le mani stringo il suo grosso palo di carne. Lo sento pulsare nervoso, vibra scomposto nelle mie mani, il suo corpo freme, sento il risalire del suo, imminente, doloroso piacere.

Sta per venire, lo sento dal palpitare del cazzo stretto tra le mie mani, continuo a pestare con entrambe le mani, consapevole di ciò che faccio, convinta di ciò che voglio, pronta per quello che sta per succedere!

Sento chiaro il risalire della sborra. Lo stringo di più come a vietargli di venire. Inibirgli il piacere!

- Mi vuoi sborrare in faccia. Bene! Porco apri la bocca. Sborra! -

È intenso il suo respiro. Un gemito misto a dolore e piacere. Le sue braccia sulle mie spalle in un ultimo tentativo di spingermi, di fermarmi, ma è inutile.

“mammaaaaa.......”

Rilascio la stretta presa e lo lascio sborrare, schizzi violenti che volutamente indirizzo il più possibile sul suo viso, cerco la sua bocca. Chiude gli occhi, serra le labbra, scuote il capo cercando di opporsi al suo perverso colpirlo.

Continuo a sbattere con rabbia sul suo cazzo, con la ferma intenzione di svuotarlo. Schizza senza fermarsi. Un fiume in piena, gocce ripetute, corpose, dense segnano il suo volto.

Priva di ogni forma di ragione, solo con l’impulso dettato dalla rabbia, con le dita spargo sul suo viso lo sporco piacere. Non mi controllo, spingo la sborra nella sua bocca, inutile il tentativo di opporsi, di reagire.

- succhia, non volevi un pompino, succhia bastardo -

Spargo il seme sulle serrate sue labbra, infilo tutto il dito in bocca, cerco la sua lingua, la permeo del suo sporco seme.

- Ingoia maiale -

Quel mio dito lo scopa in bocca!

Nell’incrociare il suo sguardo, leggo una espressione di dolore mista a piacere. Sento l’intero suo corpo vibrare scomposto, ed i suoi tremori trasferirsi al mio.
Lunghi secondi e, lentamente, la sua forza affievolirsi, i muscoli rilasciarsi.
Raccolgo le ultime forze e, con un ultimo sonoro, e liberatorio, ceffone mi allontano da lui.

Il silenzio è solo interrotto dai nostri rispettivi respiri. Il mio dettato ancora da una diffusa rabbia, il suo pervaso da dolore e sicuro piacere.

Torno padrona dei miei pensieri, riprendo consapevolezza di ciò che ho fatto. Ancora sconvolta, non mi capacito di ciò che è successo.
Troppo veloci gli eventi.
Troppo veemente la mia reazione.
Tento di riordinare i pensieri sistemando la mia figura.
Solo ora mi accorgo che il mio scomposto fare, ed i suoi tentativi di strenua difesa, hanno praticamente lacerato la delicata camicetta denudandomi il seno.
Forte mi assale il dubbio che quelle sue mani protese non erano tentativi di difesa alla mia veemenza, bensì la chiara intenzione a palpare, toccare. Un subdolo attacco alla mia persona, alla ricerca di morbosi contatti. Quelle sue mani non spingevano, ma cercavano, risalivano dalla sollevata gonna, stringevano.

Abbasso in precario equilibrio la stretta gonna, Copro il seno con i lembi della lacerata camicia, sciolgo i capelli dall’impropria fascia, mentre lo schermo mi restituisce il momento di quel mio primo ceffone.

Lo guardo, un viso ancora sporco, la sua espressione non materializza sofferenza, uno sguardo che manifesta la sua sfacciataggine. Le mani stringono un cazzo ancora svettante che non intende perdere la sfrontata eccitazione.
Di nuovo mi avvicino, debole, sfiancata, priva della giusta forza, della necessaria determinazione.

“Mamma.....”

Con il dito raccoglie il suo caldo seme, lo porta in bocca, lo succhia, mina un pompino, quasi a volermi sfidare.

Vorrei gridargli il mio dissenso, ma non ci riesco. Non trovo le parole.

Con l’altra mano mostra soddisfatto il suo iPhone

“...sarà bellissimo rivederci!”

Oh mio Dio!... come se un pugno allo stomaco mi privasse della forza di stare in piedi lentamente mi accascio al suo fianco...




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