Lui & Lei
Lezioni di fotografia... Annalisa
di xNemesi
25.03.2024 |
2.692 |
7
"Riesco a rubare ancora qualche scatto, prima di attirare l'attenzione di un paio di poliziotti in borghese, così mi metto a correre trascinandoti con me..."
People Have The Powerhttps://www.youtube.com/watch?v=yQ7OqvNPcEs
Sarò un nostalgico, ma ancora non riesco a fare a meno della pellicola, specialmente per il bianco e nero.
Trovo il digitale troppo perfetto, con tutti quei milioni di pixel a cui non puoi nascondere nulla, ogni più piccolo dettaglio ogni più piccola imperfezione, viene catturata e riprodotta non lasciando più nulla all'immaginazione e alla poesia di quella magica combinazione fisico chimica di luce, sali d'argento, liquidi di sviluppo e fissaggio dell'immagine per cui ogni scatto è alla fine sempre diverso. Ogni click è sempre come se fosse la prima volta...
Il giorno in cui ti ho conosciuto eri seduta su uno di quei sedili in similpelle della filovia, di quelli dove si dava le spalle al finestrino e le gambe rimanevano esposte sul corridoio.
Era il febbraio del 1979, vedevo scorrere sui muri delle vie di Milano, scarlatte scritte a inneggiare l'eroica resistenza di Pol Pot e dei suoi Khmer Rossi. Pochi giorni prima un gruppo di Prima Linea (quasi tutti figli di papà), avevano assassinato il giudice Alessandrini davanti al tribunale. Milano dopo solo una settimana da Genova e l'assassino di Guido Rossa, si era ancora una volta risvegliata rossa di sangue.
Si viveva in un'atmosfera strana, con la consapevolezza che qualcosa presto avrebbe cambiato le nostre vite, che qualcosa doveva per forza cambiare. I prezzi volavano con un inflazione quasi al 30%, studenti e operai insieme quasi ogni settimana in piazza. Manifestazioni e cariche di polizia riempivano ogni giorno le cronache dei giornali insieme alla cronaca nera dei rapimenti dell'anonima sarda e delle rapine milanesi a banche e uffici postali...
Tu eri di una bellezza che faceva stringere il cuore. Salivi al capolinea e ti sedevi sempre lì. Io aspettavo il tuo arrivo ogni giorno, qualche fermata dopo cercando la tua figura tra le altre prima di salire. Poi rimanevo in piedi, come quella mattina schiacciato nel corridoio, proprio di fronte a te, alle tue ginocchia ricoperte da quei buffi calzettoni di lana colorati, la gonna sopra le ginocchia, gli scarponcini con il tacco largo, quella specie di scialle di lana spesso che comunque non riusciva a nascondere le tue forme, il basco a incorniciare i tuoi capelli neri ricci e il tuo viso perfetto, le belle labbra rosa, gli occhi intelligenti e scuri e quel delicato ricamo di lentiggini sul naso.
E mi bastava rimanere lì, accanto a te, in adorazione, per dimenticare tutto, le paure, la violenza di quei giorni, le discussioni feroci nelle assemblee e a casa con i miei genitori. Mi perdevo tutte le mattine nei tuo occhi e tra la morbidezza delle tue labbra e dei tuoi seni e questo mi bastava per essere felice.
Una spinta più forte del solito alle mie spalle, e mi infilo tra le tue gambe che cedono alla pressione del mio corpo e si aprono.
"Scusami...", ti dico, mentre cerco di spostarmi indietro.
"Non importa, è sempre così, quasi tutte le mattine", "Vuoi che ti tenga i libri?"
"No grazie, ma se puoi tenermi invece questa scatola mi fai un favore", ti rispondo e senza aspettare la tua risposta ti allungo una larga e piatta scatola color arancio con sopra e sui lati la scritta Agfa Geavert.
"Ma sei un fotografo?" mi chiedi...
"No, o meglio non del tutto. Sto studiando fotografia. In quella scatola, ci sono un po' di immagini che ho scattato, sviluppato e stampato insieme ad alcuni amici"
Ed è stato così, che abbiamo cominciato a parlare, o meglio io parlavo, e tu mi ascoltavi attenta, intanto guardavi ad una ad una le fotografie della scatola ed io ti spiegavo come avevo ottenuto quegli effetti così particolari, con quali pellicole, quali obbiettivi, quali filtri, per arrivare poi a cercare di spiegarti alcuni dei trucchi di camera oscura.
Ti raccontai di come insieme ad altri ragazzi, eravamo riusciti ad avere un paio di stanze del vecchio circolo culturale ormai in disuso del comune. In una avevamo ricavato una bella camera oscura, dove avevamo racimolato tutta l'attrezzatura necessaria per sviluppare i negativi e stampare con diversi ingranditori le nostre fotografie...
"Sì..., lo so, ne ho sentito parlare", mi avevi detto sottovoce, guardandomi dritto negli occhi.
Mi ricordo ancora adesso di essere arrossito fino alle orecchie, immaginando le storie che potevi aver sentito su quelle stanze e su quei due vecchi divani che avevamo portato in una delle due. All'utilizzo che alcuni dei miei amici ne facevano quando ci portavano le loro ragazze.
E' stato così, che abbiamo iniziato a frequentarci, anche se lo studio ci lasciava poco tempo libero.
Il primo bacio, una mattina in Piazza Leonardo Da Vinci in Città Studi, eravamo su una panchina, gli alberi tutti intorno a noi erano completamente fioriti di rosa in uno strana promessa di primavera.
Era un giorno particolare, il primo anniversario della morte di Fausto e Iaio. Avevamo deciso di andare alla manifestazione di commemorazione e approfittarne per stare insieme e scattare qualche foto.
Ero molto teso, mi sentivo responsabile per te, anche se in realtà tu eri più grande di me di un paio d'anni, c'era un sacco di polizia e carabinieri in tenuta anti sommossa a presidiare il Leoncavallo, il Casoretto e la zona del Politecnico, in attesa dello svolgimento del corteo.
Poi quel bacio, e mi vergogno ancora un po' quando ci penso, perchè devo esserti sembrato un vero imbranato.
E' che non ci pensavo, almeno non quella mattina. Le tue labbra che si posano sulle mie, che si schiudono, la tua lingua che timidamente si fa strada nella mia bocca poi timidamente la mia mano che ti sfiora il seno, i tuoi occhi che brillano di una luce ancora più bella e infine noi, che camminiamo leggeri tra la folla del corteo mano nella mano.
Tu che tieni nella tua borsa a tracolla gli obbiettivi della mia reflex. Hai imparato a conoscerli e me li passi veloce seguendo le mie indicazioni e sempre più spesso anticipando le mie richieste.
Io che in una specie di balletto ti abbraccio e ti lascio, per arrampicarmi sui muri e sulle finestre delle case per fotografare.
Ci scambiamo i ruoli, ed ora sei tu a scattare, non ti interessa il corteo, la forza della massa, ti piace fotografare le persone i volti, ti soffermi su quelli delle donne, vorresti fotografare la faccia scavata della madre di Fausto, ma siamo troppo lontani ed è difficile avvicinarsi. Io ti assisto, ti consiglio all'inizio, poi ti lascio fare, ed è bello vederti così presa da questa nuova passione, che trasfigura il tuo volto e lo rende ancora più bello.
Ora il corteo si ferma, c'è molta polizia in borghese, dopo un po' impari a riconoscerli anche se hanno abiti da universitari o da operai. Da un paio di strade laterali stanno arrivando veloci con i loro slogan quelli di avanguardia operaia, vogliono tagliare in due il corteo e inserirsi in mezzo, c'è chi urla, chi spinge, arrivano le squadre dei katanga, iniziano a volare gli insulti, gli spintoni, dal nulla saltano fuori i primi bastoni, ti stringo forte la mano e ti spingo via, dalla parte opposta, prima che la polizia inizi a caricare.
Riesco a rubare ancora qualche scatto, prima di attirare l'attenzione di un paio di poliziotti in borghese, così mi metto a correre trascinandoti con me. Ci fermiamo solo quando siamo al sicuro nel mezzanino della metropolitana.
Ti appoggi a me, la testa sul mio petto ansimante e ti bacio come se fosse l'unica cosa giusta da fare, un bacio tenero e disperato, come se dall'esito di quell'unico istante dipendesse tutto il nostro futuro.
"Ti porto a casa" ti dico, mentre ti stringi forte a me, e mi appari così indifesa da vergognarmi per non essere riuscito a controllare la mia evidente eccitazione.
L'autobus che prendiamo è vuoto e silenzioso, l'adrenalina di poco fa, ora ha lasciato il posto ad un desiderio di intimità che respiro forte mentre appoggio la mia testa al tuo seno e mi lascio cullare dal dondolio della strada.
La sola idea di doverti presto lasciare, mi stringe lo stomaco, vorrei poter fuggire lontano con te. Sparire nell'universo in un posto solo tuo e mio e rimanere così, completamente avvolto nel tuo caldo profumo per tutta l'eternità.
"Non portarmi a casa", mi dici interrompendo il nostro silenzio.
"Portami nel tuo studio fotografico, insegnami a sviluppare i negativi"
Il mio cuore che batte più forte, mentre salivo le strette scale che portavano allo studio, la chiave che gira libera nella serratura. Io che ti stringo forte la mano per dirigerti nel buio. Le assi del pavimento di legno che scricchiolano appena sotto il nostro peso, e poi l'interruttore della luce che scatta illuminando un piccolo corridoio su cui si aprono le due stanze.
"Vieni" mi dici, e mi trascini in una delle due,
"Spegni la luce"...
Rimango immobile quasi all'ingresso della stanza, mentre i miei occhi cercano rapidamente di abituarsi all'oscurità, sento che ti muovi rapida, un fruscio di vestiti che cadono sul pavimento, e sei nuda accanto a me.
Le mie mani tra le tue. Le porti sui tuoi seni, lungo i tuoi fianchi ad accarezzarti e a conoscere il tuo corpo, poi ti avvicini e in punta di piedi mi baci mentre inizi lentamente a spogliarmi.
Non riesco a pensare a nulla, vorrei raccontarti quello che provo o solo cercare di dire qualcosa di spiritoso, ma sono completamente bloccato, solo il mio giovane corpo sembra a suo agio, sembra conoscere gesti e movimenti antichi.
"Sss..., non parlare", mi sussurri mentre con una mano mi accarezzi le labbra.
"Dopo..., dopo, mi insegnerai quello che vuoi sulla fotografia".
"Sei con Me? Ora..., stringimi forte e lasciati amare".
Nemesi
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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