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Prime Esperienze

L'INNOCENZA (4)


di Grande_Bruno
05.06.2025    |    137    |    0 6.0
"Mi serviva qualcuno a cui dare la colpa, qualcuno da incolpare per quello che era successo, per quel dolore che avevo riversato su Marianna..."
Capitolo 4 - Ottavia, il piacere in ginocchio


Ottavia rimase ferma per un istante, con quel broncio che riusciva a essere incredibilmente seducente ed un tocco di sfida negli occhi. Si sporse verso di me, le sue labbra a pochi millimetri dalle mie ed iniziò a parlare con una voce bassa ed ammaliante, quasi un sussurro che mi faceva tremare.

«Bruno», disse con un tono suadente, accarezzandomi il viso con dolcezza, «sei davvero sicuro che vuoi aspettare con lei?”, il suo sorriso era sfacciato e le sue mani scivolarono lungo il mio petto, toccandomi con una sicurezza che non le avevo mai visto prima. «Perché continuare ad aspettare quando ci siamo noi, qui, ora… senza nessuno che ci possa fermare?». Mi sentivo sempre più disarmato dalle sue parole, come se ogni resistenza dentro di me iniziasse a cedere. Ottavia continuò, avvicinandosi ancora di più, così che potevo sentire il calore del suo corpo contro il mio. «Lo sai che con me puoi essere te stesso, no?», proseguì, la sua voce quasi un bisbiglio all’orecchio. «Io so cosa ti piace… quello che Marianna forse non potrebbe capire come faccio io”. Fece scivolare le sue dita lungo il mio collo, poi più in basso ed il suo respiro caldo mi lasciava senza parole.
Tentai di rispondere, di mantenere la mia decisione, ma lei mi anticipò, mettendo un dito sulle mie labbra. «Shh… non devi dire niente. Lasciati andare, Bruno. Non ti piacerebbe sentire come sarebbe davvero fare l’amore con qualcuno che sa esattamente cosa vuoi?». Mi sentivo completamente perso nei suoi occhi, in quella vicinanza che non mi lasciava via di scampo. Ogni parola, ogni tocco erano come un fuoco che mi avvolgeva e mi accorsi che iniziavo a dubitare della mia decisione. Cercai di fare un respiro profondo e di riportare la ragione tra noi due.

– “Ottavia”, le dissi con voce un po’ tremante ma decisa, “forse dovremmo fermarci… era solo per fare pratica, ricordi? Non voglio rovinare le cose con Marianna”. Lei mi guardò per un istante con una scintilla di malizia negli occhi, quasi come se le mie parole fossero un’ulteriore sfida. Senza perdere un battito, si avvicinò ancora di più, accarezzandomi il viso con le dita sottili.
– “Oh, Bruno… stiamo solo giocando. Lo sai che voglio solo aiutarti ad essere pronto per lei”, sussurrò, con un tono di voce che sembrava in grado di dissolvere ogni dubbio.

Provai a insistere, ma lei non mi diede tregua. Si avvicinò ancora di più, sfiorando il mio collo con le sue labbra e scendendo con baci lenti e studiati lungo il petto. La sua determinazione, il modo in cui sapeva giocare le sue carte, erano come una corrente irresistibile che mi trascinava con sé. Ogni tentativo di respingerla si dissolveva sotto il peso della sua persuasione, mentre i suoi movimenti erano un mix perfetto di dolcezza e provocazione. «Perché dovresti trattenerti, Bruno?», mi sussurrò con voce seducente, il respiro caldo contro la mia pelle. «Marianna non deve sapere niente ed io sono qui solo per te. Non ti meriti anche tu qualcuno che ti faccia stare bene… che ti faccia sentire desiderato senza paura o vergogna?». Quelle parole mi scuotevano, facendomi perdere ogni certezza.

Ottavia mi fissò con uno sguardo che mescolava dolcezza e determinazione, una sicurezza che sembrava saper scivolare tra le mie difese più nascoste. «Bruno», iniziò, con quella voce appena sopra un sussurro, come se mi stesse rivelando una verità che solo io dovevo conoscere. «Hai mai pensato che Marianna forse si preoccupa solo di quello che vuole lei? Di come si sente lei?». Rimasi in silenzio, spiazzato dalle sue parole. Ottavia mi stringeva ed il suo tocco mi rassicurava ed insieme mi confondeva. «Non l’hai notato? Quando siete insieme… è sempre tutto su di lei. Come se il tuo piacere fosse secondario». Sorrise con un pizzico di tristezza, come a sottolineare la sincerità di ciò che mi stava dicendo. «Ma io sono diversa, Bruno. Io sono qui per farti stare bene, per farti sentire speciale».

Le sue parole mi colpivano, ognuna scivolava dentro di me, accendendo dubbi che non sapevo di avere. Per un attimo, le immagini di quei momenti con Marianna iniziarono a intrecciarsi a quelle appena vissute con Ottavia ed un vago senso di insoddisfazione mi invadeva. Ottavia accarezzò il mio viso con dolcezza, sorridendo come per rincuorarmi. «Non dico queste cose per farti star male… solo perché meriti qualcuno che si prenda cura di te, che ti capisca, che ti ascolti». Mi vestii in fretta, cercando di mettere in ordine non solo i vestiti, ma anche i pensieri confusi nella mia testa. Guardai Ottavia e, con un respiro profondo, dissi: «Per ora penso sia meglio tornare a casa. Ho troppo nella testa, scusami». Lei mi osservò con una sfumatura di delusione negli occhi, ma abbozzò un sorriso e annuì senza insistere.

Riaccompagnandola, il silenzio riempiva l’auto. Ogni tanto gettavo uno sguardo verso di lei, cercando di capire cosa stesse pensando, ma lei rimaneva imperscrutabile, lasciandomi immerso nei miei dubbi. Appena arrivati, Ottavia mi salutò con un tocco leggero sulla mano, come a voler dire qualcosa di più ma senza pronunciarlo. Rientrato a casa, mi lasciai cadere sul letto, esausto e tormentato. Sentivo la mente ribollire di domande: E se Ottavia avesse davvero ragione? Il telefono interruppe i miei pensieri. Era Marianna e la sua voce dolce mi arrivava come una carezza sul cuore:

– “Ciao amore, come stai? Mi sei mancato tanto stasera. Vorrei fossi qui accanto a me… sembra strano non sentirti. Va tutto bene?”,
– “Ciao Mary, sì, va tutto bene”,
– “volevo dirti che io sono qui per te, qualsiasi cosa sia, okay?”,
– “Grazie amore”,
– “ti sento stanco… spero che tu stia bene”,
– “Un po'… oggi è stata una giornata piena di emozioni”,
– “allora ti auguro buonanotte, amore mio. Domani sarà un giorno migliore”.

Ogni parola di Marianna era piena di dolcezza, una mano tesa verso di me. Ma al momento, la mente continuava a tornare alle parole di Ottavia. Subito dopo, un nuovo squillo mi risvegliò dai miei pensieri. Stavolta era Ottavia.

– “Bruno… scusami per stasera, non volevo esagerare”,
– “Non ti preoccupare, non hai fatto nulla di sbagliato”,
– “è solo che mi dispiace vederti così, a soffrire per qualcuno che forse non ti apprezza come meriti…”,
– “Grazie per le tue parole, le apprezzo molto”,
– “Non sono nessuno per giudicare, ma io so quanto vali, Bruno e vorrei solo che anche tu capissi quanto sei speciale”,
– “sei un tesoro a dirmi ciò”,
– “se vuoi parlare, sono qui per te”,
– “grazie. Ti voglio bene”.

Chiusa la telefonata, rimasi a fissare la cornetta, combattuto tra due mondi diversi. L’affetto rassicurante di Marianna e la comprensione misteriosa di Ottavia. Ma alla fine scelsi il silenzio. Mi chiusi in me stesso a pensare, mentre la notte si faceva sempre più cupa e piena di incertezze. I pensieri della notte, il veleno instillato da Ottavia, mi ribollivano dentro.

Il giorno dopo ci incontrammo a casa mia e guardavo Marianna, lì davanti a me, così sincera e premurosa… ma non riuscivo a scacciare i dubbi. Qualcosa dentro di me si spezzò e le parole iniziarono a uscire da sole, quasi senza controllo.

– “Certo, come no”, sbottai, cercando di evitare il suo sguardo,
– “ti preoccupi, vero? Fai solo finta. Non è vero che ti importa di me, lo fai solo per sentirti perfetta, per apparire come quella che è sempre buona e gentile”, Marianna sgranò gli occhi, colpita dalle mie parole. Mi fissava, sorpresa, ferita,
– “Bruno… cosa stai dicendo? Non farei mai una cosa del genere, io… io ci tengo davvero a te”, disse con la voce che tentava di non spezzarsi. Invece di fermarmi, lasciai che la rabbia prendesse il sopravvento,
– “sì, certo. Ci tieni quando ti conviene, ma quando si tratta di fare qualcosa per me… allora no, allora improvvisamente non sei più sicura, ti blocchi, come ieri sera”, lei abbassò lo sguardo, trattenendo a fatica le lacrime e rispose con voce dolce, anche se ferita,
– “mi dispiace se ti ho fatto sentire così. Non è quello che volevo… volevo solo essere sincera con te. Pensavo che apprezzassi che non mentissi su quello che provo”. Mi osservò un’ultima volta, poi allungò una mano verso di me, in un gesto quasi istintivo, ma si fermò a metà strada, ritraendosi. “Io ci sono sempre per te, Bruno, anche quando sei così”, disse piano, “perché ti voglio bene. E ti aspetto. Anche se tu non riesci a vedere quanto tengo a noi”. E con quelle parole, il silenzio riempì la stanza, lasciandomi solo con le mie colpe e con il volto di Marianna che si allontanava, fragile e spezzato. Marianna aveva ormai una mano sulla porta, pronta a uscire. Volevo fermarla, cercare di chiarire, di farle capire che quei pensieri non erano davvero miei, ma le parole uscivano più dure di quanto volessi, come se la rabbia mi stesse guidando ancora una volta.
– “Ah, certo”, dissi, alzando la voce senza rendermene conto, “a te importa solo del tuo piacere, non è così? È sempre una scusa, una paura… ti blocchi per tutto ed io dovrei capirti?”. Lei si fermò, girandosi lentamente e vidi le lacrime che le scendevano sul viso, lasciando una scia lucida. I suoi occhi, feriti e profondi, mi fissavano, increduli.
– “Non l’ho fatto… perché ho paura di non essere all’altezza, Bruno”, disse con voce tremante, “ho paura di farlo male, di non piacerti abbastanza, che tu possa stancarti di me. Questo pensiero mi fa sentire… terribilmente insicura”. Quelle parole mi colpirono come uno schiaffo, ma invece di trovare la calma, mi lasciai guidare da un impulso irrazionale.
– “Io ti amo per quella che sei”, dissi, senza abbassare il tono, “non ha nulla a che fare con… con quello che facciamo a letto. Ti amo perché provo qualcosa di profondo, di vero. Non è il sesso a definire quello che provo per te!”. Lei scosse la testa, lasciando cadere una nuova lacrima, il dolore evidente sul volto,
– “davvero, Bruno? Perché se mi ami come dici, perché mi stai trattando così? Sembra che per te io sia solo… solo un peso in questo senso. E tu non riesci a vedere oltre il tuo orgoglio ferito”, abbassò lo sguardo, stringendosi le braccia intorno a sé, come a proteggersi, “sai, mi sembrava davvero che mi amassi”, sussurrò, “ma se il primo errore che faccio ci riduce così… allora forse hai ragione. Le tue sono solo parole”.

E con quello, si voltò verso la porta, lasciandomi solo con il peso di tutto quello che avevo detto e la consapevolezza di quanto fosse ormai fragile ciò che avevamo costruito. Cosa avevo fatto? Il peso delle mie parole e l’immagine di Marianna in lacrime, continuavano a tormentarmi. Mi ero lasciato andare, avevo riversato su di lei tutte le insicurezze e le cattiverie che mi erano state insinuate da Ottavia e ora il senso di colpa mi stava divorando. Marianna era la persona a cui tenevo di più al mondo e l’avevo ferita proprio dove era più vulnerabile. Ero furioso, ma non con me stesso. Mi serviva qualcuno a cui dare la colpa, qualcuno da incolpare per quello che era successo, per quel dolore che avevo riversato su Marianna. La mia rabbia trovò subito un bersaglio: Ottavia. Era stata lei, con le sue parole suadenti, i suoi sguardi manipolatori, a insinuarmi quei dubbi. Non potevo fare a meno di sentirmi tradito.

Presi il telefono e le scrissi un messaggio, breve e diretto, invitandola a venire da me. Lei rispose subito, probabilmente aspettandosi altro, percependo forse una promessa velata o una scusa per rivederci in quel modo intimo che tanto sembrava godersi. Quando Ottavia arrivò, non aspettò nemmeno di togliersi il giubbotto prima di cercare il mio sguardo con quel solito misto di curiosità ed un sorriso ambiguo. Senza troppi preamboli, iniziai a raccontarle tutto, non riuscendo a trattenere la rabbia e il dispiacere.

– “Le ho detto cose orribili, Ottavia”, iniziai, cercando di non far trasparire troppo la mia vulnerabilità, “l’ho ferita… e l’ho ferita a fondo. E tutto per dei dubbi che tu mi hai fatto venire su di lei…”, Ottavia mi fissava attentamente, lasciandomi parlare fino a quando la mia voce iniziò a incrinarsi. Poi, con calma ed un tono che aveva un velo di compiacimento, rispose:
– “hai solo detto quello che pensavi, Bruno. E forse… finalmente hai tirato fuori una verità che doveva emergere”, fece una pausa, lasciando che le sue parole affondassero lentamente, “Marianna ti ha mai veramente dimostrato di tenere a te? Oppure ti fa sentire inadeguato, bloccato, ogni volta che cerchi di mostrarle quanto sei pronto a dare?”, le sue parole, perfide ma dette con un’aria così affettuosa, iniziarono a risuonare dentro di me. Fece un passo avanti, appoggiando una mano sul mio petto e mi lanciò uno sguardo profondo, quasi da confidente. “Forse”, sussurrò, lasciando scivolare la sua mano lentamente lungo il mio torace, “hai solo bisogno di qualcuno che capisca il vero Bruno. Qualcuno con cui ti senti davvero libero…”, Le sue dita scorrevano verso il basso, lente ed audaci, fermandosi poco sopra la cintura, mentre continuava a parlarmi con una voce morbida e seducente. “Non c’è nulla di male nel volere qualcuno che apprezzi tutto di te, senza giudicare… senza metterti sempre alla prova”. Avvicinò il viso al mio, i suoi occhi brillavano di una provocazione sottile. “…E se quella persona fosse proprio qui davanti a te?”, mi sfiorò il collo con le labbra ed i suoi baci si fecero lenti e insistenti, scivolando lungo la linea della mascella. Con un sorriso malizioso, sussurrò: “vedi? Con me ti senti a tuo agio… non hai bisogno di trattenerti”.

Ottavia capì che mi aveva in pugno. Mi guardava con quegli occhi grandi e lucenti, il sorriso appena accennato, come se sapesse già cosa stava per succedere. Io, invece, ero immobile, intrappolato nella mia stessa confusione. La tristezza mi avvolgeva come una coperta pesante, ma non trovavo la forza di oppormi. Era come se qualcosa dentro di me si fosse spezzato, lasciandomi vulnerabile e docile. Ottavia si avvicinò lentamente, prendendo le mie mani tra le sue. «Va tutto bene, Bruno», sussurrò, accarezzando delicatamente le mie dita. «Lascia che ti faccia sentire meglio… te lo meriti». Le sue parole erano dolci, ma intrise di un sottotono carico di malizia. Mi sfiorò il petto con le mani, iniziando a sbottonarmi lentamente la camicia. Ogni movimento era studiato, intenzionale. Il tessuto cadde a terra, lasciandomi esposto davanti a lei. Il suo sguardo scivolò lungo il mio torace, come se stesse apprezzando ogni dettaglio. Poi si tirò indietro, iniziando a togliersi la sua maglia a maniche lunghe. La stoffa scivolò via lentamente, rivelando la sua pelle chiara e liscia. I suoi piccoli seni, incorniciati da un reggiseno di cotone bianco, si sollevarono leggermente con il suo respiro. «Ti piace?», mi chiese con un sorriso malizioso, inclinando la testa di lato. Non risposi, il peso delle emozioni mi schiacciava troppo.

Lei non sembrò curarsene. Con gesti lenti, slacciò il reggiseno, lasciandolo cadere a terra. I suoi seni erano perfetti nella loro piccola rotondità, con capezzoli delicati che sembravano invitarci a dimenticare ogni dolore. Mi prese una mano, portandola al suo petto. «Vedi? Non c’è bisogno di pensare troppo…». I suoi jeans aderenti vennero dopo, abbassati con un movimento che sembrava quasi un invito. La sua biancheria, semplice e sottile, lasciava intravedere le curve del suo fondoschiena pieno e sodo. Si girò leggermente, lasciandomi ammirare il profilo di quelle forme morbide, mentre si sfilava anche l’ultimo indumento. La sua nudità era avvolta in un’aura di consapevolezza e sicurezza, come se sapesse esattamente l’effetto che aveva su di me. Quando mi vide ancora esitante, si avvicinò, prendendo il bordo dei miei pantaloni. «Lascia che ti aiuti», disse con un tono quasi rassicurante, ma le sue mani erano tutt’altro che innocenti. Tirò giù la cintura con lentezza, facendomi sentire ogni centimetro di vulnerabilità. «Non pensare, Bruno… lasciati andare».

Era un tacito accordo, uno scambio silenzioso tra il mio dolore ed il suo controllo. Non c’era amore in quei gesti, solo il desiderio di colmare un vuoto. Ed io, sopraffatto dalla tristezza, non trovai la forza di fermarla. Ottavia sapeva come giocare le sue carte ed io, nella mia fragilità, mi ero convinto che forse aveva ragione. Forse lei era davvero l’unica persona che mi capiva, che mi accettava per quello che ero. I suoi gesti, le sue parole, tutto sembrava fatto per farmi sentire desiderato, al sicuro. Ed in quel momento, con il cuore spezzato e la mente confusa, mi lasciai trasportare da quella passione che sembrava voler riempire il vuoto dentro di me. Ottavia si avvicinò di nuovo, i suoi occhi brillavano di un’intensa consapevolezza. Mi fece sedere sul bordo del letto e si inginocchiò davanti a me, le sue mani delicate si posarono sulle mie cosce. «Lasciati andare, Bruno… io sono qui per te», sussurrò con un tono dolce e ammaliante, mentre iniziava a sfiorare la mia pelle con carezze lente e deliberate. Con movimenti lenti e precisi, la sua mano trovò la mia intimità. Attraverso i pochi strati di tessuto rimasti, iniziò a toccarmi, aumentando lentamente la pressione. I suoi occhi non lasciavano i miei, uno sguardo che mescolava dolcezza e desiderio. Le sue dita iniziarono a muoversi con maggiore sicurezza e presto i vestiti non furono più un ostacolo. Mi sfilò delicatamente gli ultimi indumenti, liberandomi completamente e si prese il tempo di osservarmi, facendo scivolare la sua mano lungo di me. Ogni movimento era studiato per darmi piacere, un misto di dolcezza ed audacia. «Vedi? Con me non devi trattenerti», disse, con un sorriso che celava qualcosa di più profondo.

Poi si alzò, girandosi con lentezza, per mostrarmi il suo fondoschiena perfetto. Le sue forme morbide e piene si muovevano con grazia mentre si avvicinava e con un gesto naturale, si sedette sopra di me, facendomi sentire la sua pelle nuda contro la mia. Iniziò a muoversi, strusciando il suo fondoschiena contro la mia intimità, con una sensualità che mi fece perdere il fiato. Il suo ritmo era lento ed ipnotico, i suoi movimenti studiati per farmi impazzire. Sentivo ogni curva del suo corpo, il calore della sua pelle contro la mia ed il suo sguardo soddisfatto quando mi vedeva soccombere al piacere. «Così… lasciati andare, Bruno. Con me puoi essere te stesso», sussurrò, piegandosi all’indietro per baciarmi sul collo, mentre continuava a muoversi con una delicatezza ed una precisione che sembravano fatte per mandarmi fuori di testa. Era un momento intenso, travolgente. Ogni tocco, ogni movimento, ogni sussurro sembrava pensato per farmi dimenticare tutto il resto. Ed in quel momento, completamente immerso in lei, mi convinsi che forse aveva ragione: con Ottavia potevo lasciarmi andare davvero.

Il calore del momento aveva ormai sopraffatto ogni pensiero lucido. L’eccitazione mi scorreva nelle vene, annebbiante, trasformandomi. Per un istante sentii un’ondata di controllo, una necessità primitiva di ribaltare i ruoli. Con un gesto deciso, presi Ottavia per i capelli, tirandole delicatamente ma con fermezza, la testa all’indietro. Lei emise un gemito misto a sorpresa e piacere, inclinando il collo come se aspettasse proprio quel gesto. Avvicinai le labbra alla sua pelle calda, mordendola e baciandola con passione.

– “Sai cosa hai fatto, vero?”, sussurrai contro il suo orecchio, con un tono basso e sensuale, ma intriso di accusa. “Hai giocato con me… e adesso paghi”, Ottavia sorrise con malizia, lasciandosi completamente andare a quella nuova energia,
– “se questo è il prezzo, Bruno, voglio pagarlo ancora”, rispose con un filo di voce, tremante di eccitazione.

Non le diedi il tempo di aggiungere altro. La spinsi delicatamente sul letto, mettendola a quattro zampe. Il suo corpo sembrava fatto per quella posizione: il fondoschiena rotondo e pieno che si curvava perfettamente, le gambe che tremavano leggermente per l’attesa, la schiena arcuata che la rendeva irresistibile. Rimasi a osservarla per un istante, il desiderio che si mescolava a un senso di rivalsa. Continuando a tenerle i capelli stretti con una mano, con l’altra afferrai il suo fondoschiena, stringendolo con decisione. La sua pelle era morbida e calda e sentii i suoi gemiti crescere sotto la mia presa. Iniziai a sfiorarla con una lentezza esasperante, giocando con lei, lasciandole capire chi aveva il controllo ora.

– “È questo che volevi, Ottavia?”, le chiesi, il tono ancora accusatorio ma carico di desiderio, “hai spinto così tanto… ed ora sei qui. Dimmi, ti piace?”,
– “mi piace, Bruno… mi piace, eccome”, rispose lei, la voce spezzata dall’eccitazione, “fallo… prendimi… fammi sentire quanto sei mio”.

Le sue parole alimentavano il mio fuoco, spingendomi a stringere di più, a tirare i suoi capelli con più decisione. Ogni suo gemito, ogni movimento del suo corpo era un invito a lasciarmi andare completamente ed io non mi trattenni più. Mi avvicinai lentamente, mentre avevo il cuore che martellava nel petto ed il respiro pesante. Ogni singolo secondo sembrava allungarsi, il mio corpo combattuto, tra il desiderio travolgente e l’ansia del momento. Era la prima volta, eppure tutto sembrava così istintivo, quasi naturale. Ottavia, a quattro zampe davanti a me, sembrava incarnare ogni mia fantasia. La mia mano, ancora stretta nei suoi capelli, li tirò con più forza, inclinandole la testa all’indietro. Lei gemette, un suono gutturale che si propagò nel mio petto come un’onda di eccitazione pura. La pelle del suo collo pulsava sotto le mie labbra, calda, profumata, come una sfida a lasciarmi andare completamente.

– “Vuoi questo, vero?”, sibilai a denti stretti, cercando di mascherare il tremolio nella mia voce,
– “sì, Bruno… voglio te”, rispose con un gemito, la sua voce spezzata dalla tensione e dal piacere.

Sistemandomi dietro di lei, lasciai che il mio corpo si allineasse al suo. Le mie mani tremavano leggermente mentre la tenevo per i fianchi, sentendo la sua pelle morbida sotto le dita. Il suo fondoschiena era teso, perfettamente arcuato, una visione che mi toglieva quasi il respiro. Spinsi lentamente, un movimento che sembrava durare un’eternità e, quando finalmente la penetrai, un’ondata di sensazioni travolgenti mi colpì. Era caldo, avvolgente, come nulla che avessi mai immaginato. Ogni fibra del mio essere sembrava rispondere a quella connessione, il piacere mescolato ad una sorta di incredulità. Ottavia emise un gemito forte, il suo corpo che si muoveva istintivamente contro di me, cercando di adattarsi al ritmo. «Dio, Bruno…», gemette, la voce rotta dall’eccitazione, «sei fantastico…».

Non risposi, incapace di formulare parole. Inizialmente mi muovevo con lentezza, esplorando quelle nuove sensazioni che sembravano intensificarsi ad ogni spinta. Ogni movimento era accompagnato da una stretta più decisa sui suoi fianchi, le mie dita affondate nella sua pelle mentre cercavo di mantenere il controllo. Poi qualcosa cambiò. La mia incertezza si trasformò in sicurezza, il mio ritmo divenne più deciso, più profondo. La presa sui suoi capelli si fece più forte, costringendola ad arcuare la schiena ancora di più. I suoi gemiti si trasformarono in grida soffocate, un mix di piacere ed abbandono che mi alimentava, spingendomi oltre. La mia mano libera, scivolò sul suo fondoschiena, stringendolo con una forza quasi brutale. Le curve perfette del suo corpo, si muovevano contro di me, che ad ogni contatto, mi davano un’esplosione di sensazioni. Lei spingeva indietro, seguendo il mio ritmo ed il suono delle nostre voci e dei nostri corpi riempiva la stanza.

«Bruno… più forte…», ansimò, il respiro spezzato. Aumentai l’intensità, spingendo più profondamente, tirando i suoi capelli con decisione. Il mio corpo sembrava guidato da un’energia che non sapevo di avere, un desiderio che cresceva senza controllo. Ogni spinta era più intensa della precedente, il piacere sempre più vicino, quasi insostenibile. Ottavia gridava il mio nome, il suo corpo tremante e sottomesso a ogni mio movimento. E io, perso nella passione, non riuscivo più a pensare, lasciandomi trascinare in quel vortice di emozioni e sensazioni che sembrava non avere fine. Le spinte si fecero sempre più frenetiche, sempre più profonde, come se ogni fibra del mio corpo fosse concentrata in quel momento. Il ritmo era irregolare, disperato, i nostri corpi perfettamente sincronizzati in un crescendo di passione. Il piacere che cresceva dentro di me era travolgente, un’ondata che si accumulava senza tregua, pronta ad esplodere.

Ottavia gridava, il suo corpo teso e scosso da tremori che sembravano contagiare anche me. «Bruno… sì… ancora!», ansimava, la sua voce spezzata e rauca. La sua pelle era bollente sotto le mie mani, il suo fondoschiena che si muoveva contro di me in un ritmo istintivo, perfetto. La presa, sui suoi capelli, si fece più forte, il suo collo teso mentre si abbandonava completamente a quel momento. Il mio respiro si fece sempre più corto, il mio corpo interamente concentrato su quell’ultima, inevitabile esplosione. Sentivo il suo corpo tremare contro il mio, il suo piacere raggiungere l’apice con un urlo strozzato, i muscoli che si contraevano intorno a me con una forza che sembrava amplificare ogni sensazione.

Non riuscii più a trattenermi. Un calore intenso si irradiò attraverso di me, esplodendo in onde di piacere che mi lasciarono senza fiato. Il mio corpo si tese, il mondo si ridusse a quel momento, a quella connessione totale. Era travolgente, quasi troppo, come se ogni confine fosse stato superato. La sua voce, i suoi gemiti, il modo in cui si muoveva ancora contro di me anche mentre il suo corpo tremava in preda all’orgasmo… tutto contribuiva a prolungare quell’estasi, a renderla indimenticabile.

Alla fine, crollammo entrambi sul letto, i nostri corpi incollati dal sudore, il respiro pesante ed irregolare. Ottavia si girò verso di me, il viso arrossato, gli occhi socchiusi e si avvicinò per abbracciarmi. Le sue braccia mi avvolsero e per un attimo tutto sembrò quieto. Restammo così, in silenzio, con i nostri cuori che battevano ancora troppo forte, cercando di tornare a una calma che sembrava quasi impossibile. Chiusi gli occhi, cercando di raccogliere i pensieri. Ma il momento fu interrotto da un suono improvviso: il campanello della porta. Rimasi immobile, il cuore che riprese a battere all’impazzata per una ragione completamente diversa. Ottavia si irrigidì accanto a me, guardandomi con un misto di sorpresa e preoccupazione. Chi poteva essere? E soprattutto, perché proprio adesso?

Aprii la porta e mia madre entrò prepotentemente, guardandomi negli occhi. Ero in mutande e lei capi subito la situazione «vado in bagno… ci metterò circa 15 miniuti…». Tornai così in camera, dove Ottavia si era già rivestita, lasciandomi però sul letto i suoi slip con i quali si era pulita del sangue perso, insieme alla sua verginità.

Vi chiederete com’è finita la storia: A mente fredda, presi atto della manipolazione di Ottavia e, dopo quell’unico incontro, non ho voluto più vederla. Andai a cercare invece la mia Mary, che quando mi vide, le si illuminarono gli occhi, dai quali sgorgarono due lacrimoni tinti di blu. Io amavo lei, solo lei e, con lei, ho terminato le scuole medie.

Il tempo però, manipola il destino e quando iniziarono le lezioni delle scuole superiori, prendemmo indirizzi diversi, restando solo dei bellissimi ricordi, che porto nel mio cuore ancora oggi.

FINE…
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