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Un mercoledì come tanti altri -5- GloryHole


07.07.2025 |
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"Flavia si alza, finalmente, si pulisce le labbra con il dorso della mano - un gesto che trovo più casto che osceno - e si poggia alla parete come avesse bisogno di un supporto fisico per non..."
Il giardino è una brughiera gentile, appena interrotta da vialetti di ghiaia, aiuole simili a statue che non ricordano nessun mito, e i il rumore degli uccelli che svogliatamente decorano l’atmosfera. Camminiamo piano, come un branco di lupi sparsi ma consapevoli, come l’antica Roma in balìa dei propri riti. Per un istante mi fermo a pensare al silenzio dei nostri pensieri e delle nostre pulsioni.Jane e Tanja si tengono a braccetto; lei — Jane — mi guarda e ride, di quella risata sfiatata che ha solo quando è allo stremo del piacere e della stanchezza, come un animale molle che non desidera altro che rotolare nella polvere. Tanja le sussurra qualcosa, un’offesa dolcissima («hai la faccia da puttana esausta, lo sai?») e Jane si piega in due dal ridere, poi prende fiato e mi indica il braciere acceso per creare la giusta atmosfera vicino alla piscina. Le fiamme scoppiettano, gialle e calde; ci fanno da guida verso il privè che ci aspetta e ci sussurra alle nostre implacabili anime.
C’è poca gente e lo testimonia il quasi silenzio che serpeggia nelle stanze.
« Andiamo nella stanza delle Gang o del GloryHole?»
Il dibattito perverso dura un battito di ciglia. La serata è dedicata al GloryHole, pertanto la scelta è obbligata. Il nostro peregrinare all’ interno del Privè ha creato una fila di uomini in attesa e ben speranti.
Jane e Tanja, come due generali dell’ antica Roma, pronte alla battaglia, si muovono spavalde e fiere, come se fosse tutto già scritto; parlano poco, gesticolano poco, e percorrono il lungo corridoio morbido del Privè col passo di due gemelle cresciute nello stesso orfanotrofio di abitudini e desideri. Tanja si volta solo una volta, sorride a noi, spalanca la porta. Il piccolo vestibolo rotola subito in una penombra pastosa, segnata dalla fila di uomini. Li osservo mentre stazionano, parlottano fra loro in attesa del proprio turno. I generali pronti a soddisfare i soldatini con il cazzo in tiro. La porta viene chiusa, tuttavia, un paio di uomini si intrufolano nella stanza, Jane e Angelica, altruiste e buone d’animo, si sdraiano sul letto e iniziano a giocare con i due fortunati. Tanja, nota che da un buco del muro, un cazzo reclama la sua bocca, mentre io e Karl ci divertiamo a guardare.
Vedo Tanja inginocchiarsi sul letto, fissa il pene come se volesse valutare la qualità della carne che la aspetta. La lingua gioca lungo il perimetro del buco, poi attacca con un colpo secco, come una ventosa, e da fuori si sentono solo i respiri trattenuti, le vite improvvisamente ridotte al diametro preciso di una fessura.
Jane ride della scena - il muro, il cazzo anonimo, l’amica inginocchiata - fa addirittura un cenno come per applaudire questa parodia di un rito antico. Poi si volta e ingaggia il proprio compagno di giochi nella stanza, lasciando Angelica sola con l’altro. A sua volta, Angelica si arrende a una temporanea misericordia e si lascia trascinare sul bordo del letto, la schiena arcuata, la bocca che non sa se urlare o ridere.
Tutto è luce soffusa, rimbalzo di voci e di altre umiliazioni felici. Io sono curioso, voglio vedere chi è il fortunato che si sta facendo succhiare da Tanja. Esco dalla stanza e subito incrocio gli occhi di Flavia: il fortunato è Riccardo!
Gli occhi di Flavia sono liquidi: non di rabbia, non di gelosia, ma di un timore nuovo, che è la paura sacra di ciò che si desidera davvero. La vedo contorcersi discretamente su se stessa, già chiusa in una gabbia molle di aspettative e promesse non dette. Riccardo è la centrale nucleare del desiderio altruista: sta lì, schiena dritta e respiro appena più veloce della norma, ma basta incrociare il suo sguardo per capire che in quel momento tutte le sue fantasie brillano come piccoli led di allarme. Non è tanto il fatto che Tanja gli stia succhiando il cazzo - ehi, sta li apposta - quanto il modo in cui tutto è diventato improvvisamente reale, organico, parte dello stesso fluido di vite intrecciate.
Mi avvicino a Flavia, ha una mano sul petto di Riccardo, mentre l’altra è nascosta, verso il basso. Immagino dove possa trovarsi. I suo occhi sui miei, “un ciao flebile” mi saluta e poi «Ti va di aiutarmi?” La mano prima nascosta cattura la mia e mi accompagna verso la sua calda e bagnata femminilità.
Appoggio due dita appena sopra la seta liscia della pelle di Flavia, e la trovo già pronta, disegnata perfettamente per il ruolo che in questa storia non è la protagonista, ma l’oggetto rarissimo, il feticcio, l’offerta sacrificale che ogni tanto la narrativa degli scambisti reclama. Flavia si irrigidisce appena; una frazione di resistenza che si dissolve in pochi secondi, fiutando la presenza delle altre donne e dei loro corpi che si disfano di ogni barriera, scivolando nelle geometrie tutte nuove di questa stanza.
Dentro la camera, le voci si mescolano al battito scavato delle carni. Di Jane mi arriva solo la coda del movimento, una gamba che scavalca, una risata improvvisa seguita dal «Vai un po’ più piano» che non è mai una richiesta ma una complicità costruita negli anni; Angelica invece ha la fronte corrucciata dal desiderio, un’ombra scura sugli occhi che la rende, se possibile, ancora più bella, pensierosa, decrepita di piacere come certe sante troppo amate dai pittori barocchi.
A un certo punto, il muro del privè crolla in senso narrativo e mi trovo catapultato al centro di tutte le linee di forza. La stanza pulsa in una monotonia umida: i gemiti ora sono più profondi, intensi, e hanno la fragranza di pane appena sfornato. Il mio polso si muove sulla figa di Flavia con la stessa delicatezza di chi accarezza la vernice di una macchina sportiva appena uscita dal garage: la sua apertura è sorprendente, un abisso che inghiotte dubbi e preoccupazioni, perfino il tempo che passa. Riccardo lascia che la bocca si storca in una smorfia che non è sofferenza, ma pura devozione per la donna che ha scelto; lo capisco da come la cinge, da come la segue con lo sguardo mentre la mia mano compie le sue spire, in silenzio.
Non so quanto rimaniamo così: l'unica misura del tempo è la sequenza di orgasmi che attraversa il perimetro del letto, rimbalzando tra fotografie mentali e desideri combusti. Jane ha preso il sopravvento sul suo amante temporaneo, Tanja si avventa sul secondo Glory Hole con la professionalità di chi potrebbe benissimo fare l’istruttrice di queste pratiche atletiche. Dall’altra parte, Angelica strattona il bordo del materasso mentre Karl le tiene i capelli con una gentilezza da educando, un gesto che racchiude in sé migliaiadi microstorie coniugali, tutte sedimentate nei letti che hanno vissuto e che ancora vivranno.
All’improvviso percepisco una accelerazione collettiva: la stanza sembra vibrare ad una frequenza più profonda, la superficie del piacere viene attraversata non più da piccoli schizzi ma da autentiche onde lunghe, come le maree nei porti chiusi. Flavia mi stringe il polso, le sue dita sottili si aggrappano a pelle e tendini, e nel momento esatto in cui Riccardo arriva alla fine del suo percorso, ne avverto la cieca gioia dentro il corpo di lei, come se la trasmissione del piacere dovesse passare prima da me, snodo nervoso di loro due.
C’è un attimo di cecità totale: il piccolo inferno privato brucia ogni altra sensazione. Poi, lentamente, si ricompone l’ordine sensato delle cose: Flavia si scioglie in un rantolo convulso, Riccardo la accoglie, io mi sposto lasciando il corpo della ragazza. Riccardo la prende per mano e la tira a se, allindandosi dal buco che lascia libero al successivo cazzo che subito viene accolto, non so se da Tanja o da una delle altre due.
«Seguimi» mi sussurra Riccardo. Il percorso è breve, entriamo nella stanza proprio davanti al GloryHole.
Con u gesto fluido sfila il top di Flavia, liberando i due magnifici seni. Le mette le mani a coppa sotto e strizza lievemente i capezzoli:
«Succhiali»
Lo faccio. Lo faccio con una dedizione inconsapevole, lo faccio come si beve l’acqua dopo una lunga attesa, come se quel gesto fosse l’unica risposta possibile a tutte le domande del corpo. Li sento pieni, pesanti e caldi sotto la lingua. Flavia sussurra una filastrocca infantile, ma non ne capisco le parole. Forse sono solo monosillabi, forse un ringraziamento o una scusa per quello che verrà immediatamente dopo. Riccardo la guarda in silenzio, ma la tiene forte, la tiene come una preda che non si vuole perdere neppure per sbaglio.
Succhio ancora, sento i capezzoli di Flavia che si allungano e si fanno duri, sento la sua pancia pulsare come un secondo cuore contro il mio petto. Riccardo si abbassa di colpo, la bacia ovunque, la spoglia letteralmente senza attendere altro consenso se non quello del suo ansimare.
Sento la voce di Jane che reclama un cazzo e mi viene da sorridere. Vorrei risponderle, vorrei soddisfare la sua richiesta, ma sono troppo occupato e le mie labbra non ci pensano neanche un secondo ad abbandonare il loro momento di estasi. Riccardo si alza, ha il pene penzolante , moscio, praticamente scarico. Mette una mano sula testa di Flavia e la fa inginocchiare.
Lo fa con una forza dolce, quasi compassionevole, come se l'amata dovesse inginocchiarsi non per umiliazione, ma per ricevere una benedizione. Flavia è una dea senza nome, senza tempio, solo un altare in prestito e la certezza che la devozione è il vero motore della carne. Lei apre la bocca, prende in sé Riccardo - ora semivuoto e languido - e glielo restituisce lucido di un affetto animale, come un cucciolo che non vuole lasciare il manico dell'osso rubato. Eppure c'è una sfumatura, un retrogusto di malinconia in quel gesto così canonico: Flavia sembra chiedere scusa al marito, al marito e a se stessa, per la distanza siderale che divide le passioni quando vengono finalmente permesse. Riccardo, dal canto suo, inscena una tenerezza da padreterno: le carezza la nuca, le sistema i capelli, ma senza spingere, senza esigere, quasi non potesse credere che sia davvero tutto per lui.
Una mano mi apre la patta dei pantaloni, una volta aperti i boxer vengono abbassati e le labbra di Flavia si appoggiano sul mio glande.
Il calore della sua bocca mi sale subito alla testa, come uno shottino di vodka bevuto a stomaco vuoto: la sensazione è totale, quasi cerebrale, come se il sangue abbandonasse il corpo per trattenersi giusto lì, nel punto in cui il desiderio si fa carne. La lingua di Flavia è decisa, grezza, senza le incertezze del primo bacio: mi studia, mi impara in un gesto che non ha nulla di meccanico, ma anzi la solennità laica di un atto dovuto. Sento le mani di Riccardo sulle spalle di lei, li sento entrambi nello stesso respiro, nello stesso delicato ritmo che decidono senza parlare.
Tutto intorno le voci si amalgamano, la luce rimane lattiginosa, irreale: l’unica cosa definita è la bocca, il caldo, la promessa che, in questa stanza, nessun tabù sopravviverà più di qualche minuto. Il piacere è così intenso che per un attimo penso di cedere, di perdere la misura, ma Flavia rallenta, stacca le labbra, mi guarda come si guarda un vecchio compagno di classe con cui si è condivisa una marachella e poi, ridendo di quel segreto, torna a leccare, ora pianissimo, la punta, il bordo, la corona tesa del glande.
Guardo Riccardo, lui non distoglie mai lo sguardo da Flavia: sembra che si nutra del piacere che la sua donna desideri davvero, senza più maschere o correzioni sociali. Siamo tre corpi, tre ombre inseparabili, nell’umido altare del Privè.
Dall’altra parte del muro, la danza dei gemiti continua come una festa di paese, non più incentrata solo su Jane e Tanja, ma diluita tra le mani e le lingue di nuovi partecipanti: voci sconosciute si sovrappongono, talvolta si scambiano il turno, e il letto diventa uno spiazzo pubblico dove ognuno recita la propria parte senza mai sottrarsi allo spettacolo comune. Il tecnico del suono, se mai ce ne fosse uno, avrebbe difficoltà a distinguere le voci; eppure è proprio quella l’armonia, il punto in cui la dissonanza fonde i corpi invece di separarli.
Suoni, odori, e un sentimento di improvvisa fratellanza mi scaldano la schiena. Flavia si alza, finalmente, si pulisce le labbra con il dorso della mano - un gesto che trovo più casto che osceno - e si poggia alla parete come avesse bisogno di un supporto fisico per non evaporare. Riccardo le carezza la tempia, sorride, poi con la lentezza di un attore consumato si volta verso di me e fa un cenno: «Vai, tocca a te».
Cerco i pantaloni e subito estraggo un preservativo dalla tasca. Lo apro e lo indosso senza esitare, in un battito di ciglia. Flavia si sposta dalla parete, poggia le mani sul letto e perfettamente a 90 gradi mi dona la visione delle sue chiappe tonde, appena striate dalle ombre delle luci. La penetro piano, gustando il primo affondo come si degusta un vino che ha riposato anni in una botte, e sento la frizione cedere appena, calda e arrendevole come un grembo progettato per contenere anche la storia che ci ha portati qui. Flavia geme, ma non è un suono acuto, è la vibrazione bassa di chi si lascia scavare da una scossa antica, di chi non può più simulare la resistenza.
Lentamente aumento il ritmo; Riccardo si sposta davanti al viso di Flavia. In piedi, ora con il cazzo marmoreo, tiene la testa della moglie fra le mani e la guida sulla punta, la stimola con pochi tocchi che si traducono in brevi fendenti di lingua, in brevi baci sulla carne sensibile. È un balletto, una doppia marcia: da dietro io cerco la profondità più che la velocità, davanti Riccardo gioca sull’orlo delle labbra, dosando il piacere in microdosi come un buon farmacista. Flavia si lascia bere da entrambi, si contorce e si allunga, godendo dello stato di sovraccarico che solo la simultaneità può regalare.
Sento la testa di Flavia che precipita in avanti, allora le mani di Riccardo si trasformano in una culla: la sostiene, la accarezza, poi sussurra qualcosa che suona come «sei bellissima, sei la mia bellissima puttana» ma che potrebbe anche essere una formula segreta, un incantesimo che solo i due si sono mai detti. La penetro più a fondo, aumento la frequenza, sento le sue cosce tremare, la presa delle dita che si fa più avvinghiata, meno umana. Perdo anche io il senso degli altri corpi, sono solo il tatto, solo il calore, solo la voglia di svuotarmi adesso, qui.
Il parossismo arriva insieme, unito da un grido che parte da Flavia, sale fino alla gola di Riccardo, e in qualche modo finisce dentro di me. Gli ultimi spasmi sono così violenti che devo aggrapparmi alle anche di lei, come se non volessi perdermi nel vortice che si apre davanti. La scarica è pura, quasi luminosa, e per una frazione di secondo sento il cuore raddoppiare la sua corsa, battere più forte del piacere stesso.
Subito dopo il silenzio, un silenzio che pesa più della folla di gemiti ormai sfumata. Flavia resta lì, piegata sul letto, il respiro incerto, come un animale appena nato e già stremato dal primo vagito del mondo. Riccardo la copre con un braccio, la stringe e la lascia andare contemporaneamente, come se avesse paura di rovinarla. Io mi tiro indietro, resto ancora un secondo a guardare la linea della schiena di lei, il modo in cui la luce rasenta la curva dei lombi, poi lascio la presa e mi appoggio al bordo del letto, senza parole. Prendo della carta per ripulirmi e con un gesto da domestico diligente strappo anche un quadratino e lo porgo a Flavia. Ride, mi ringrazia con un balbettio ancora tramortito, e per un istante tutti e tre ci guardiamo, come se aspettassimo una voce fuori campo, un regista, qualcuno che suggerisca la prossima battuta. Ma la stanza tace.
-CONTINUA-
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La storia che avete appena letto è la quinta parte di un racconto che narra alcune vicende, tutte vere, che sono accadute quel mercoledì al certe Notti. Chi frequenta il locale potrà testimoniare la veridicità delle mie parole. Alcune volte mi hanno detto che le mie avventure non possono essere vere, fortunatamente per me lo sono! Quelle ricche di fantasia sono le avventure che mi vengono raccontate e io le trascrivo su carta, ma le mie personali, sono momenti della mia vita libertina. I protagonisti di questa storia sono reali e li potete incontrare. Anzi vi invito a venirci a trovare un mercoledì, potremo parlare, coccolarci e forse passare dei lieti momenti insieme.
Bene, ora tocca a voi giudicare se sono un genio incompreso o solo un tizio che si crede uno scrittore. Un voto, dai, non fate i tirchi! E se vi va, lasciate pure un commento, anche uno di quelli che fanno ridere.
Scrivo queste storie perché mi piace farvi sognare, ma anche perché mi piace farmi un po' di pubblicità. Diciamo che sono un po' come un venditore ambulante di sogni proibiti. E sì, ho un debole per le donne, ma non sono fissato su un solo tipo. Anzi, mi piace sperimentare!
Se vi va di far parte della mia cerchia di ammiratori (o complici), contattatemi pure. Magari insieme possiamo inventare o vivere(meglio) una storia ancora più pazza. Io sono come la pubblicità occulta, mi sponsorizzo tra le righe, quindi la cosa migliore è conoscermi e poi si vedrà!
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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