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Prime Esperienze

Legami - Il Piacere Violentemente Inatteso 2° Parte


di Membro VIP di Annunci69.it giorgal73
17.01.2024    |    24.466    |    0 6.5
"I polsi stretti nelle sue mani, portò i suoi occhi in quelli di lui..."
Laura restò in ascolto di ogni singola parola, non trovando nulla di abbastanza sferzante con cui rispondere.
Mentre ancora si guardavano, sentì le sue dita accarezzarle una coscia, poi l’altra. Fino ad iniziare il lento e caldo percorso fra le gambe.
Si scoprì ad aver fermato nuovamente il respiro, stavolta non per terrore ma perché stava imponendosi di non emettere nessun suono, nessuno che potesse tradirla.
Provò a stringere le gambe ma gli anelli che le bloccavano le caviglie la limitavano in ogni movimento. Quel bastardo l’aveva bloccata avendo cura di tenerle le gambe ferme e aperte in modo da facilitare i propri movimenti, senza che lei potesse in alcun modo proteggersi e trattenere il languore. Tuttavia, le sue difese erano poche. Poteva imporsi di mandare la sua mente lontano, ad altra tranquilla immagine per cercare un angolo di calma. Ma le dita scorrevano insopportabilmente lente verso il perizoma. Fino a raggiungerlo, sentendo le dita di lui scostarlo prima dolcemente poi sempre più prepotentemente.

Aiutandosi con entrambe le mani, si fece spazio fra le sue labbra. Il lieve velo naturale con cui il suo corpo la copriva venne appena scostato. Il viso di lui si immerse là, mentre la sua bocca aveva cominciato a darle il tormento. La lingua era lenta mentre dal basso arrivava fino alla punta, sentendola indurirsi di colpo. Sembrava interrompersi, di tanto in tanto, come a sperare che lei potesse tornare a respirare.
Laura lo fece.
Provò a ricominciare a respirare. E fu la sua fine. Il respiro era un dolce affanno e dalla sua gola proruppe un irrefrenabile mugolio di piacere. Non era lei, si sforzò di crederlo. Di farlo credere a sé stessa e a lui. Ma né lui né lei potevano davvero sperare fosse così.

Lui si staccò, si avvicinò ancora con le labbra alla bocca di lei e la baciò. Un bacio prepotente, penetrante. Si scostò appena per poterle dire:

«Questo è il tuo sapore. Io mi cibo di te e questo è il sapore che mi lasci fra le labbra. Ed è solo l’inizio di ciò che voglio da te».

Detto questo, senza mai allontanare lo sguardo dai suoi occhi, le sganciò gli anelli che le tenevano i polsi, per liberarla solo un attimo prima di portarle le braccia sopra la testa e bloccarglieli nuovamente a due anelli in quella nuova posizione.

«No! Lasciami! Non voglio!» -

«Il gioco è iniziato e io voglio vincere la scommessa. Tu, invece, cosa vuoi?» «Bastardo, io non voglio giocare! Voglio che mi lasci libera e che tu la smetta!» «Perché non riesco a crederti?»

«Non mi interessa ciò che credi! Liberami! Ora!»

«Altrimenti? Hai paura di godere troppo, mia regina? Le premesse lasciano ben sperare, vedo». «Fottiti. Tu e le tue premesse».

«Preferisco fottere te, sai? E non vedo l’ora».

Laura si scoprì a sgranare nuovamente gli occhi, per lo stupore, per la certezza con cui lui le stava parlando. Nulla che lei potesse fare o dire, a questo punto, avrebbe cambiato davvero le cose. Lo vide sganciare il grande anello che la teneva bloccata sotto il seno. Finalmente si sentì appena un po’ libera. Ma solo un attimo prima che lui le mettesse le mani al posto degli anelli, sotto il seno. Sentì i polpastrelli dei pollici accarezzarla sotto il seno, massaggiarla appena mentre con la bocca le attanagliava i capezzoli. Laura si inarcò. Urlò. Solo un piccolo grido.
Ancora non era lei, era solo il centro di lei che non sopportava quella tortura. Tuttavia, non poteva farne a meno. Provò a ribellarsi, ad allontanarsi. Era inutile e lo sapeva. Ma non poteva credere che la sua bocca e le sue dita potessero provocarle qualcosa di così insopportabilmente desiderato. Continuava a sentirne le labbra calde attorno ai capezzoli, la lingua velocemente guizzante rendendoli inevitabilmente sempre più duri.

I polsi bloccati al di sopra della sua testa facilitavano quel suo inarcarsi mentre lui continuava a tenerla ben ferma con le proprie mani. Provava a dibattersi per quanto possibile.

«Liberami».

«Prima dovrai godere, un bel po’. Poi, vedremo …»

Riprese il suo gioco titillandole i capezzoli per poi scendere giù lungo l’addome e poi fermarsi sull’ombelico. Poi ricominciò, lento e inesorabile a penetrarla con la lingua, ancora un po’. Fino a sostituirla con le dita.

«Ecco … così».
Laura impazziva.
Non le sembrava possibile che dovesse sopportare davvero tutto questo. Se la lingua perversamente l’aveva violata senza ritegno, ora quelle dita si impadronivano del suo calore, bagnandola del suo stesso desiderio. Tentava, tentava davvero di chiuderle per quanto possibile, quelle gambe. E poi, arrendendosi, le riapriva senza controllo spingendosi contro e lasciandole affondare ancora e ancora. Le avviluppava dentro di sé, fino a nasconderle quasi. Schiuse le labbra, chiuse gli occhi.

Ancora un grido, uno. Ed era lei, mentre sentiva quel grido, era davvero lei. Non resistette. Sentiva quel rumoroso sbattere delle dita mentre si mescolavano ai suoi umori. Inarcandosi sempre più, andava loro incontro per sentirle dentro di sé a catturare il suo piacere. Un lento abbandonarsi ad esse e un repentino avvolgerle con le pareti calde e umide di sé. E poi ancora un attimo di pausa prima di tornare a quel gioco tanto insopportabile quanto piacevole. Poi, d’un tratto, rimase là vuota, le braccia bloccate sopra la testa, il corpo per metà inarcato, i seni eccitati e gonfi di voglia, il calore fra le sue gambe che continuava a chiedere a gran voce di venir placato.

Lui era in piedi accanto a lei, immobile a parte il respiro, finalmente in affanno. La guardava. Lentamente prese a sganciare gli anelli alle caviglie e le piegò le gambe, togliendole anche il perizoma. A lei non sembrò vero di riuscire a muovere le gambe, l’intorpidimento era provocato dall’immobilità forzata e da quel languore che oramai si era impadronito di lei senza scampo.
Si chinò ancora su di lei:

«Prova a chiedermi ancora una volta di smettere. Riusciresti ancora?>>.

Lei lo guardò sprezzante. E gli occhi le si riempirono di odio e desiderio violento allo stesso tempo. Se avesse provato ad emettere anche un solo suono, in quell’istante, si sarebbe tradita. Lui si portò di fronte a lei, sul fondo del tavolo. Leggermente Laura alzò il capo per non perderlo di vista. Si sentiva come una molla pronta a scattare. Se fosse stata libera gli sarebbe saltata al collo e, forse, sarebbe riuscita ad ucciderlo a mani nude. Sì, lo avrebbe fatto. No, la voce del suo più profondo essere in lei, le diceva che no, non lo avrebbe fatto davvero. L’odio era qualcosa di diverso.
La violenza che quell’odio può sprigionare è qualcosa di ben peggiore che la voglia di aggredire qualcuno.

Lo guardò afferrarle le caviglie che lei aveva unito nel frattempo, istintivamente a tentare di proteggersi. Era incredibile quante cose sciocche e inutili si possano fare solo per istinto. Quello stesso che così spesso spinge a proteggersi, talvolta fa solo compiere gesti vani. Il tocco sulle sue caviglie era caldo e dolcemente opprimente. Duro nel momento esatto in cui le aprì violentemente le gambe per guardarla. Lei emise un mugolio roco.
Perché non aveva nessun controllo su di sé?
Come poteva essere in sua completa balìa?
Lui la guardò da quella diversa prospettiva. La sua vittima e la sua regina. Il respiro veloce, la visione dei suoi seni pieni ed eccitanti. E quel suo luccichio fra le gambe. Aveva ancora il suo sapore nella bocca. Si passò istintivamente la lingua sulle labbra per non perdere neppure una sfumatura di quel sapore. Guardò ancora e ancora, i suoi umori che brillavano sul suo pube, su quella dolce cavità dove si era immerso quasi desiderando di perdervisi.

«Ti piace quello che vedi, bastardo?».

Lui si costrinse ad alzare lo sguardo verso di lei pur non volendolo davvero. Ma guardare i suoi occhi nocciola in cui si mescolavano il desiderio indiscutibile a quell’odio profondo nei suoi confronti era una eccitante attrattiva che di gran lunga se la giocava con l’osservare lentamente la sua voglia emergere dal profondo di lei, in quella posizione.
Caldo, copioso, lento, il succo di lei le bagnava le labbra gonfie e rosse.

«Giocare con il tuo corpo è eccitante quasi quanto guardarti godere».

A quelle parole lei tentò di proteggersi dai suoi sguardi chiudendo le gambe. Ma lui la tenne ben ferma.

«Neanche per idea. Adesso è il mio turno. Sei vuota, ora. E io non vedo l’ora di riempirti. Completamente».

Laura gli urlò in faccia: «Non sei ancora soddisfatto? Umiliarmi così non è già abbastanza per te?».

Lui sembrò non ascoltarla neppure. Senza lasciarla con lo sguardo neppure un attimo, con un solo agile balzo salì sul tavolo, fra le sue gambe. Lei riuscì ora a guardarlo interamente, scalzo con soli i jeans addosso. Qualcosa ancora dentro di lei reagì e lei si rese conto che ne era completamente succube. Lei voltò lo sguardo per trovare un attimo di pace.
«Guardami».
Provò a resistere.
«Guardami!».
Lo guardò.
I polsi le dolevano, il corpo le doleva. Il languore fra le gambe doleva senza tregua. Lo guardò divorando ogni attimo mentre lui si apriva la cintura e poi schiudendo lentamente ogni singolo bottone dei jeans. Era duro, grosso. Talmente eccitato che Laura per un attimo non riuscì a credere che lui avesse resistito tutto quel tempo nella costrizione di quell’indumento così aderente. Prese ad allungare le braccia ed il corpo, quasi alla ricerca di lui, muovendosi appena sulla schiena e sul sedere.

Lui le si inginocchiò fra le gambe che incastrò sui propri fianchi. La strinse appena sotto i lati del seno per portarla sotto di sé. In un solo lento affondo le fu dentro. Non trovò neppure un accenno di ostacolo. Solo la carne di lei ben lubrificata ed invitante ad avvolgerlo mentre la prendeva. Sentiva i muscoli di lei stringerlo e poi allentare la presa ritmicamente.
Laura urlò. E questa volta di puro e pregnante piacere. Si inarcò a cercarlo, a stringerlo. Continuò ad avvolgere le gambe intorno a lui come per aggrapparsi a trovare un appiglio solido, temendo di potersi perdere in non sapeva bene quale dimensione parallela mentre il desiderio le faceva perdere il contatto con quella realtà.

«Liberami i polsi».

Le uscì fuori come una preghiera, una esigenza. Poterlo toccare. Ora era necessario quello, per lei. Il carnefice obbedì alla sua vittima. Senza uscire da lei, le si piegò sopra incollandole il proprio viso al suo e prese a liberarle i polsi dalle morse. Laura era libera. Ma la voglia di lui non l’abbandonava. Era libera ma senza esserlo realmente. Si issò sui gomiti e si accoccolò ancora contro di lui. Con ferocia si spinse contro di lui, cercandolo avidamente.
Un roco gemito uscì dalle labbra di lui.

Sentirla così vogliosa lo fece pulsare e diventare anche più duro, dentro di lei. Riempì quel suo spazio con i suoi duri affondi. E poi prese a sbatterla, in un veloce dentro e fuori. Lui l’avrebbe immaginata oramai larga, aperta ad ogni sua intrusione. Invece, la scoprì stretta, esigente, bagnata. Continuò a tenerla, ora per i fianchi. Lei si stese ancora, gli strinse i polsi con le proprie mani per sentire per la prima volta il suo calore anche con quel tocco.
Poi si lasciò andare completamente a quella violenta invasione. Gemiti mescolati e neppure un istante in cui le lasciasse anche un solo attimo di respiro. Continuava a spingerla contro di sé, ad ogni colpo la trovava pronta ad accoglierlo per poi respingerlo e riavvicinarsi.

L’odore dei loro corpi mescolati riempiva le loro narici, Laura non sapeva da quanto tempo la stesse prendendo così. Ma sembrava non bastarle, sembrava che ad ognuno di quei colpi dentro di lei il suo essere chiedesse ancora dell’altro, senza voler smettere. Altre piccole urla, interrotte da brevi silenzi, provenivano dalla sua gola. Era dentro di lei, si faceva spazio fra le sue membra, si abituava a lui, adattandosi e poi cercando di allontanarlo.
In quel momento quel suo urlo di godimento fu inevitabile. Necessario per non costringersi ad impazzire. Poi, nell’attimo di quiete, quando lui le rimaneva dentro senza muoversi, lei ne approfittava per gustare ogni istante di quell’attimo, misurandone dentro di sé la consistenza, imparando a scoprirne la pienezza da cui si lasciava completare.
Rimase in silenzio, morbidamente tesa su quel tavolo ad abbandonarsi a quel nuovo pensiero che ora occupava la sua mente.

Lui dentro di lei.
Era così sentirsi davvero ripieni di voglia.
Era quel non volersi staccare da ciò da cui avrebbe dovuto fuggire e che, al contrario, diventava la sua parte mancante, la cui assenza l’avrebbe fatta urlare di rabbia. I polsi stretti nelle sue mani, portò i suoi occhi in quelli di lui. Lui tornò a fissarla come un folle di desiderio.

«Ora … dimmi di fermarmi … di lasciarti andare … prova a dirmelo …».

Con voce mozzata dal piacere lui si liberò dalla stretta delle mani di lei e gliele strinse a sua volta.

«Stai … stai per … vincere la tua scommessa …». Il fiato corto di lei, occhi negli occhi.
Poi quel prorompere del suo desiderio, dal cervello verso il resto del suo corpo, verso quel calore che chiedeva di essere soddisfatto. Ancora un colpo duro di lui e lei reclinò la testa indietro. E non resistette. Urlò, infine, nell’attimo esatto in cui lo ricoprì dentro di sé del suo liquido caldo e denso, stringendolo, schizzandolo, graffiandolo di voglia incontrollata.

Prese a sciogliersi in movimenti languidi contro di lui, senza più forze. Solo per quell’inerzia che produce lo svuotarsi, infine. Niente più forze, niente più odio. Solo godimento puro. Le sue pareti bagnate continuavano a rimanergli intorno ad abbracciarlo, in quel ritmo che solo l’orgasmo soddisfatto procura.
Lo sentì pulsare sempre più veloce, e sentì il suo respiro veloce interrotto dai gemiti di piacere, le sue mani brucianti sul suo corpo, quel suo allargarla con quegli ultimi gesti di violento desiderio, fino a farle grondare in lei la sua, di voglia, una goccia dopo l’altra, il fiume di lui nel mare di lei, fintamente calmo. Il fiume di lui a provocare quella piena, i fianchi di lui incontrollati a muoversi contro di lei.
Fino a svuotarsi, l’uno nell’altra, l’una nell’altro, scossi, fino all’ultimo respiro, senza più legami.

FINE
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