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La madre del mio migliore amico


di pato3
18.10.2016    |    58.448    |    8 9.4
"Muoveva su e giù il bacino sopra di me ad un ritmo indiavolato e mi metteva la lingua ovunque mentre io cercavo di godermi i suoi capezzoli enormi e neri..."
La madre del mio migliore amico, la signora Venturini, non mi ha mai fatto impazzire. Le tette, quelle sì che mi fanno impazzire. E la signora Venturini ha delle grandi tette.

Non l'avevo mai immaginata in modo provocante, per così dire, se non in momenti di sfrenata perversione, momenti in cui portavo la mia testa a immaginare fino a che punto mi sarei spinto per far piacere al mio cazzo. E ogni tanto avevo immaginato le tette della madre del mio amico, tra le altre cose.

Non era una donna brutta, ma nemmeno la classica madre su cui fantasticare. Non era né troppo grassa, né troppo vecchia. Però restava una donna in carne e con più di trent'anni di differenza su di me.

Una volta l'avevo vista al mare, di sfuggita, ma ricordo solo le sue smagliature sulle chiappe e non ebbi nemmeno la gioia di ammirare le sue tette dal momento che a coprire il reggiseno del costume a ciliegine (immagino, dal momento che le mutane avevano quella fantasia) c'era una maglietta blu, troppo larga anche per lasciare immaginare.

Ma un giorno - erano settimane che non mi facevo nemmeno una sega a causa dei troppi impegni che mi portavano a casa nel tardo pomeriggio e stanco morto - dovetti passare da casa del mio amico per dargli dei libri. Lui non c'era ma mi aveva detto di lasciarli a casa sua, che avrei trovato qualcuno ad aspettarmi.

Col mal di testa e poca voglia anche di sollevare quei due libri, andai a casa sua e suonai. Mi aprii la signora Venturini ed io stancamente salii le scale.

Quando entrai il mio pensiero fisso era uno e solo uno: tornare a casa, al mio letto, al più presto. Quando la vidi il mio pensiero fisso divenne uno e solo uno: devo vedere quelle tette. E possibilmente sborrarci sopra.

Il motivo per cui cambiai così improvvisamente idea sul da farsi e per cui mi era rapidamente passato il mal di testa era il seguente:

La signora Venturini, aprendomi la porta e prendendo i libri, aveva indietreggiato per farmi entrare e per sbaglio aveva urtato il tavolino all'ingresso, facendo cadere una bomboniera e al contempo i libri che le stavo porgendo. Così, io mi chinai per prendere i libri e lei, dandomi il culo in faccia, in una sincronia imbarazzante, si chinò per raccogliere la bomboniera miracolosamente intatta. Ma non poteva bastare quello ad arraparmi. Nel chinarsi, i pantaloni logori che usava per stare in casa si erano aperti e io avevo visto la cosa che più amo delle tette: il pelo della figa!

Il tutto durò un paio di secondi, lei si rialzò e appena fece mente locale sul fatto che non aveva le mutande e io mi ero appena piegato e probabilmente avevo avuto le sue grazie a pochi centimetri dalla faccia, il suo volto divampò di un rosso mai visto. Conscia di trasudare imbarazzo, ma al tempo stesso ligia alle buone maniere, si voltò di scatto, cercando di recuperare invano un colorito umano, e prese tempo chiedendomi se volevo un caffè. Altro che caffè, io volevo vedere di nuovo il buco nei pantaloni e poi l'altro buco. Accettai il caffè. Lei prese il necessario, ma ancora una volta le cadde il cucchiaino. Questa volta per il nervosismo probabilmente.

“Qualcuno la sta pensando”, dissi io con la sicurezza di chi ha in testa solo una cosa.
“Eh, sì, chissà”, disse lei titubante mentre cercava il modo meno sconcio di chinarsi per prendere il cucchiaino, senza però apparire ridicola. Ma una cosa escludeva l'altra, dato che se voleva prenderlo doveva chinarsi dandomi le spalle, oppure doveva spostare il cucchiaino con i piedi verso di me e chinarsi senza darmi le spalle, ma facendo una cosa del tutto improbabile. Dato che la vedevo temporeggiare mi precipitai per raccoglierlo al posto suo. Lei aveva scelto di non apparire ridicola e si era chinata flettendo le gambe e con la schiena dritta nel tentativo di coprirsi, cosa che però mise ancora più pressione ai pantaloni e allargò lo spacco ancora di più. Io nel frattempo ero dietro di lei che però non potevo godermi la scena dato che lo spacco, che avevo sentito cedere, era coperto.

Si rialzò e dovette ammettere:
“Questi pantaloni dovrò buttarli”
“Perché?”, chiesi facendo l'ingenuo.
“Perché si sono strappati”, rispose lei più ingenuamente, credendo forse che davvero non me ne fossi accorto.
“Non li butti, mia madre ripara tutto se vuole”, poi, restando ingenuo – che ne sapevo io dove li aveva strappati – “posso vedere?”
“Ahm, ehm”, arrossì di nuovo, “a dire il vero è meglio di no, si sono strappati ma non è grave”

Vedendo che rimanevo incerto, aggiunse: “non è il caso che tu veda”.
“Ok”, poi sempre calato nella parte dell'ingenuo: “Oddio, mi perdoni! Non avevo capito che si erano strappati... là”.

Arrossì ancora. Non mi stava portando da nessuna parte però, e io avevo voglia sempre di più. Allora appena girò lo sguardo mi versai il caffè sui pantaloni, proprio...là. E Dio come faceva male. Gridai, ed era la cosa più sincera che avevo fatto da quando ero entrato.

La signora Venturini non poté far altro che accompagnarmi in bagno, dove mi calai i pantaloni e misi i gioielli sotto l'acqua fresca. Lei però, chiaramente, non era rimasta a vedere. Socchiuse la porta del bagno e andò a prendere un asciugamano. Tornò di nuovo dietro la porta in attesa che fossi pronto per asciugarmi e mi accorsi dallo specchio che stava guardando dentro, attraverso lo spiraglio. Allora continuai a passarmi acqua sulla parte, finché non mi venne il cazzo bello duro. Lei restava lì e guardava. Allora avevo delle chances, anzi, adesso doveva proprio darmela. Mi avvicinai verso la porta ma lei mi vide e si discostò. La guardai, col cazzo duro che puntava verso di lei e tesi la mano per avere quell'asciugamano. Lei tentennò, quasi a non volermelo dare.

“Posso vedere i suoi pantaloni ora?”, chiesi puntando tutto su quella domanda.
“Non so se è il caso”, disse avvicinandosi e porgendomi l'asciugamano.
“Secondo me, è proprio il caso”, risposi sicuro.

Mi inginocchiai lentamente, con l'asciugamano in mano e il cazzo ancora libero e duro. Senza toccarla mi avvicinai per vedere il buco sui pantaloni. Lei immobile tremava quasi impercettibilmente, ma non mi allontanava.

“Posso?”, chiesi avvicinando una mano verso la coscia per toccarla.

Non rispose, non era un silenzio assenso, ma a me non interessava. Solo un no deciso mi avrebbe fermato, forse. E quel no non era arrivato nel mezzo secondo che le avevo lasciato per rispondere. Così toccai la gamba e deciso mi avvicinai verso il buco. Le divaricai le gambe e guardai da vicino.

“Mi piace il pelo, lo sa?”

Continuava a non rispondere. Ma aveva iniziato ad eccitarsi sul serio e man mano che l'eccitazione aumentava, la vergogna spariva.

“Vieni di là”, mi disse acquisendo sicurezza.

Mi portò in soggiorno e mi fece sedere sul divano. Si mise cavalcioni sopra di me e iniziò a baciarmi. Non mi piaceva affatto baciarla e così iniziai a prendere tra le mani i due seni enormi. Quello sì che mi faceva andare giù il bacio appassionato con lei. Mentre palpavo le tette cercando di evitare il reggiseno ingombrante, pensavo che i suoi pantaloni erano aperti nel punto giusto, proprio sopra di me. Allora lasciai un seno e andai con la mano alla ricerca del foro. Lei aumentò i giri della lingua e mi strinse il cazzo iniziando a masturbarmi lentamente. Quando trovai il foro nei pantaloni entrai dentro con due dita, sentii subito il pelo ed ero tra labbra e buco del culo. Scelsi di avvicinarmi alla figa, bagnata. Lei aumentò la forza della sega ed io nell'impeto le squarciai i pantaloni e iniziai a giocare con la figa con le dita, tenendo la mano fra le sue chiappe, col palmo sul buco del culo caldo. Il massimo della vita.

Poi a due mani, perché quel clitoride aveva così tanto bisogno di essere stimolato! Stava godendo enormemente e io stavo per perdere l'uso del cazzo talmente forte lo stringeva.

“Scopami”
“Sì, ma non ho il preservativo!”
“Direi che non serve”

Non ci avevo mai pensato! Ecco perché è più bello scopare una bella matura fuori età! Un vero parco giochi. Ero combattuto. Non volevo che mi rovinasse la scopata baciandomi ancora e quindi volevo scoparla a pecora, ma allo stesso tempo avevo un bisogno malato delle sue tette. No, non potevo rinunciare. Le tolsi la maglietta, sganciai il reggiseno e restai dov'ero, sotto di lei. Subivo i suoi baci, ma mi consolavo con delle tette che avevano un peso che neanche tutte quelle delle mie ex messe insieme potevano raggiungere.

Per farvi capire erano talmente grosse che a un certo punto ci misi la faccia in mezzo e le tette mi arrivavano sulle spalle. Le adoravo. Avrebbero potuto anche uccidermi.

Come è normale che sia in una situazione del genere non ci misi molto a venire, ma come avevo previsto nella mia eccitazione incontrollabile, sapevo che il mio cazzo sarebbe rimasto in piedi. La avvisai soltanto che ero venuto dentro ma di continuare a cavalcare. Lei mise la maglietta sotto di noi per evitare di sporcare il divano e continuammo a scopare.

La signora Venturini ormai era calda come non mai. Muoveva su e giù il bacino sopra di me ad un ritmo indiavolato e mi metteva la lingua ovunque mentre io cercavo di godermi i suoi capezzoli enormi e neri. “Mettimi due dita nel culo”, mi disse. Io obbedii ben contento. Ma prima di infilarla andai a prendere con l'indice e il medio un po' di succo della sua vagina. Entrai perfettamente in quel culo rotto. Lei raddoppiò i versi di piacere. Iniziò a tirarmi i capelli e a rallentare il ritmo del bacino ma aumentammo la profondità della penetrazione. Lenti e fino in fondo. Eravamo al massimo ma lei voleva ancora di più.

“Seguimi in camera”, ci alzammo perdendo liquidi sul tragitto e arrivati in camera prese dal cassetto un vibratore. Se potevo aspettarmi che una donna così avesse un vibratore, non mi sarei mai aspettato che fosse così grosso. L'avrei immaginato rosa e sottile. Invece era nero e grosso. Si mise a pecora e mi chiese di metterglielo nel culo. Io le sfondai il culo con facilità e mentre spingevo forte nell'ano lei ancor più forte si sbatteva il vibratore nella figa, come se la vibrazione da sola non le facesse sentire nulla.

Io iniziai a sentire bisogno di venire di nuovo, così rallentai la corsa. Chiesi alla signora Venturini se potevo leccarle la figa. Lei subito si piazzò il vibratore nel culo e mi fece mettere quattro dita nella figa e mi spinse la faccia contro. Leccavo come un dannato, sebbene sapessi che tra quei liquidi c'era anche la mia sborra. Lei venne ancora, tra le mani, sulla mia lingua. E' bellissimo, se fossi donna non farei altro che farmi sborrare in faccia.

E allora era giunto il momento di restituirle il favore. Le piantai il cazzo in faccia e se lo prese tutto in bocca. Venni in bocca e non vidi neanche la mia sborra. Infatti, per quanto era ingorda, non si tolse il cazzo di bocca per tutto il tempo del mio schizzo e ingoiò tutto fin quando chiesi pietà.

Fu così che mi scopai la madre del mio migliore amico
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