Gay & Bisex

RICERCATI


di Foro_Romano
19.06.2019    |    17.871    |    8 9.1
"Incredibilmente, dai suoi gemiti, mi accorgo che il trattamento che sta subendo non gli dispiace affatto, infatti in quel momento è scosso da un lungo..."
“Passiamo qui”, dico piano al mio compagno indicandogli un buco in un muro di recinzione. Prontamente mi segue ed andiamo oltre quel muro.
“E adesso?”
“Direi di dirigerci da quella parte”.
“Ma quello è un parco pubblico, ci troveranno subito”.
“No, lo sai, il parco è grande e oltre ci sono poche case e poi la campagna. Troveremo qualche casolare abbandonato per passarci la notte. Poi decideremo che fare”.
“Ok, ma si sta facendo buio. Sbrighiamoci”.
Effettivamente il sole sta calando velocemente e, per quanto ci siamo mossi con velocità, il buio ci avvolge che siamo ancora all’interno del parco. Siamo fuggiti dal penitenziario, dove dovevamo passare altri venti anni per omicidio. Lui ha ammazzato quella zoccola della moglie ed io quella troia di mia suocera. In fin dei conti, abbiamo solo risolto i nostri problemi di famiglia. Lui no ma io ho due figli che sono stati affidati ai nonni, cioè ai miei genitori. Spero che non ci riprendano ma, se succede, non me ne frega un cazzo. Non ce la facevo più a stare rinchiuso in una cella progettata per due e ci stavamo in sei. Vorrà dire che scapperò un’altra volta. Non so dove andare, basta che sto fuori di lì. Potremmo mescolarci coi lavoratori in nero di qualche coltivazione. Non ci chiederanno certo i documenti. Poi, io posso mimetizzarmi meglio. Sono favorito dal fatto che sono di carnagione scura, nato in Italia da genitori algerini. Sono nato a Napoli, come anche il mio amico di fuga.
“E adesso che facciamo?”, dice il mio amico.
“Rimaniamo qui per la notte, tanto siamo in estate e non fa tanto freddo. Qui ci sono queste piccole luci tra i rami degli alberi e qualcosa ci si vede. Se andiamo oltre non vedremo più niente”.
“Ok”, fa lui. “Guarda, lì c’è un capanno per gli attrezzi. Possiamo scassinare la porta e dormire là dentro”.
“Perfetto”, gli rispondo e ci dirigiamo da quella parte.
In un attimo siamo dentro. Al centro c’è un tavolo con quattro sedie e, da una parte, un mucchio di sacchi pieni di foglie secche. Non potevamo chiedere di meglio per dormire abbastanza comodi.
“Purtroppo non abbiamo niente da mettere sotto i denti e lo stomaco si fa sentire”.
“Resistiamo, ché domani potremo riempirci dei frutti di qualche coltivazione”.
Ci stendiamo, lui da una parte e io dall’altra della stanzetta. Non riesco a prendere sonno. L’esigenza più impellente adesso sembra essere diventata un’altra. Sento che anche lui è agitato.
“Ehi, Roberto”, dico piano. “Sei sveglio?”
“Si”.
“Io non riesco ad addormentarmi. Mi manca Quirino”.
“Anche io stavo pensando a lui. Certo che era comodo”.
Eh, si, Quirino era stato molto comodo nel periodo di detenzione. Era un ragazzo molto giovane, mingherlino, biondo e con una gran voglia di cazzo. Dei piccoli baffetti biondi non lo facevano di certo molto maschile. Era stato utilissimo a noi cinque per scaricarci i nervi e passare bene il tempo. Praticamente stava quasi tutto il giorno a sbocchinarci e prenderlo al culo per il nostro (ed il suo) piacere. E’ la prima sera senza di lui e già ci manca. Lancio l’idea.
“Mi hanno detto che, in questo parco, di notte, ci vengono i froci a rimorchiare. Che ne dici se ne abbordassimo due e ce li facciamo?”
“Ma ci stanno cercando e le nostre facce l’avranno già fatte vedere nei telegiornali. Ci riconosceranno”.
“Non è detto. Ne avranno parlato solo al tg della sera e mica tutti stanno attaccati alla tv”.
“Mah, non so. Può essere pericoloso”.
“Senti, io non ce la faccio e non mi va di risolvere con una sega, perché non mi risolve niente. Ho bisogno di buchi”. Ci pensa su, poi
“Va bene, andiamo. Ma tu lo sai dove stanno?”
“Giriamo un po’ e troveremo il posto”.
Così usciamo dal prefabbricato e andiamo in cerca di prede per il nostro sollazzo. Niente. Un deserto, a parte qualche vecchio bavoso che, con la scusa della passeggiata del cane, è in cerca come noi. Da questi ci nascondiamo tra i cespugli. Dopo un bel po’ di tempo, quando ormai pensiamo di dover rientrare senza aver combinato niente, vediamo a distanza un bel ragazzetto. Biondo come il nostro Quirino. Avrà una ventina di anni.
Prontamente ci sediamo su una panchina davanti alla quale sarebbe passato. Tutti e due a gambe aperte e con la mano a pasturgnarci la patta gonfia. Siamo due bei manzi: quarantenni, alti, ben piazzati, pelosi. Roberto ha la barba folta e nera e io un paio di baffi alla mongola altrettanto neri. Certamente cadrà nella nostra trappola. Infatti, quando ci sta passando davanti, si ferma e, spudoratamente, ci osserva, si lecca le labbra e ci fa un sorriso.
“Ehi, ragazzino. Che ci fai qui tutto solo a quest’ora?”
“Non sai che potrebbe essere pericoloso?”
“Ecco… io… volevo…”, fa lui.
“Non è che volevi questo?” e mi indico il pacco.
“Oppure preferisci questo?”, fa il mio amico indicando il suo.
“Se pure fosse?”, dice lo sfrontato. Ci alziamo e gli andiamo vicini per fargli paura, sormontandolo con la nostra altezza.
“Beh, se fosse, tu dovresti assaggiare il mio”.
“E perché?” mi fa Roberto indispettito. “Perché non il mio?”
“Perché l’ho visto prima io”, gli rispondo. Benché amici, ci guardiamo un po’ in cagnesco. Presi dalla foja, però, ci coaliziamo e, in quattro e quattr’otto, assaliamo il bel ragazzo. Roberto lo afferra da dietro, gli blocca i polsi e gli tappa la bocca, mentre io lo prendo per le caviglie. Così conciato, lo trasciniamo prima verso un boschetto e poi via verso il capanno. Durante il tragitto non ci facciamo mancare una palpatina al suo culetto. Lui si dimena, scalcia, ma per fortuna nessuno ci vede. Quando siamo dentro si calma, sembra rassegnato non potendo fare niente, lui così gracile, per resistere alla nostra forza.
“Dobbiamo svuotarci i coglioni e abbiamo bisogno di due bei buchi da riempire”, dice apertamente il mio compagno di fuga.
“Vedi, ricchioncello” gli dico. “Hai la bocca che ti puzza ancora di latte e vorremmo farti assaggiare un altro tipo di latte, più saporito. Tutto qui. Non vogliamo mica ammazzarti. Allora, stai buono?” e lui fa cenno di si con la testa. Lo liberiamo stando ben attenti che non ne approfitti per scappare. Inaspettatamente, la sua prima parola è
“Grazie”.
“Grazie di che!?”
“Grazie per dimostrarmi che mi desiderate. Ma perché usare certi metodi? Che volete farmi?” dice in tono ironico. Ha capito benissimo che cosa vogliamo, infatti “Ah, già, vi servono due buchi. E allora perché litigare. Io ho due buchi e posso ‘aiutarvi’ contemporaneamente”.
“Insieme!? Che puttana sfacciata. Peggio di Quirino”.
“Già, con Quirino abbiamo fatto sempre uno per volta”.
“Non so chi sia questo Quirino, ma io sono certamente meglio”. Con le mani ci afferra il pisello ancora moscio sotto il tessuto dei jeans e ce lo strizza per farcelo indurire e non ci mette molto a farcelo diventare barzotto. Poi, senza togliere le mani, si protende verso Roberto per baciarlo. Le loro lingue si intrecciano ma per poco perché poi passa a me. Io però gli afferro la testa e lo costringo ad un bacio più profondo e lungo. Voglio fargli capire che siamo noi a comandare e lui sarà solo il nostro buco svuotapalle.
Vado quindi verso una delle sedie, trascinandolo con me. Mi siedo a gambe aperte e, con una mano sulla testa, lo faccio accovacciare tra le mie cosce. Il mio bozzo è più che evidente: se ne vede la lunghezza verso il fianco sinistro. Gli tengo la testa facendogli strofinare il musetto sopra. Nel frattempo, Roberto si sta spogliando completamente. Lui mi guarda dal basso con gli occhi impauriti velati di lussuria.
Il cazzo comincia a farmi male, chiuso com’è nei jeans. Mi apro il bottone, tiro giù la lampo e, alzandomi un pochino, mi abbasso calzoni e mutande fino a metà coscia. Gli arriva una scudisciata della mia mazza sulla guancia. Rimane attonito di fronte alla grossezza e lunghezza dell’attrezzo ancora non completamente duro (che vuol dire avere degli antenati africani!).
“Che aspetti, puttana. Prendilo in bocca. Fammi vedere se sei bravo come dici”.
Lo afferra con una mano e si infila subito in bocca la cappella. Ci gira la lingua intorno. Non è proprio pulito ma capisco che il sapore gli piace. Lentamente le tumide labbra avanzano lungo l’asta. Lecca e succhia avanti e indietro, ogni volta ingurgitandone di più. Arriva alla sua mano che, intanto, mi sega. Ne avrà dentro almeno 15 centimetri. Fa sempre più fatica. Mi piace come pompa ma voglio di più.
“Togli la mano, zoccola. Apri la gola”. Obbedisce, lo premo sulla nuca e io glielo pianto tutto dentro strozzandolo. Qualche secondo e glielo sfilo dalla bocca per fargli riprendere fiato. Il cazzo è tutto lucido di bava e un filo lo collega al suo labbro inferiore.
“Capito come devi fare?”. Non aspetto neppure un suo cenno e glielo riaffondo tutto. Si appoggia alle mie larghe cosce pelose ed esegue l’ordine alla perfezione, facendosi mancare il fiato da solo più e più volte.
Roberto, infoiato dalla scena, se lo sta smanettando di fianco a lui. Non posso essere egoista. Afferro la testa del pompinaro e la giro verso il mio amico.
“Adesso succhia a lui”. Esegue stretto tra le sue mani che gli danno il ritmo. Me li guardo e mi sego. Quel cazzo è più piccolo del mio ma è sempre più grosso del normale. Succhia e lecca e si forza la gola da solo, come ha fatto con me. Quando sembra che sta per venire, gli viene sottratto il ciuccio.
“Torna qui e leccami le palle”. Non se lo fa ripetere e affonda il muso. Lecca la grossa sacca di gusto. La soppesa con la lingua. Ogni tanto si ferma per togliersi un pelo finitogli in bocca ma altri certamente li ingoia. Mi guarda con quei begli occhioni, certamente per cogliere un mio sguardo di soddisfazione ma vi legge solo la mia ferocia crescente. Si deve accontentare dei miei grugniti.
Roberto, da dietro, lo sistema a pecora. Gli tira giù i pantaloni della tuta e mette a nudo due bellissime chiappette pelose.

(Col consenso del bel ragazzo)

“Non porta nemmeno le mutande, la puttana”. Il ragazzo gli risponde con un gemito, impegnato com’è sotto di me, e non si interrompe, ben sapendo che cosa gli succederà molto presto. Uno sputo allo sfintere e la mazza, ancora lucida della sua stessa saliva, comincia a farsi strada dentro di lui, prima con cautela e poi sprofonda di colpo fino a fargli sentire il pelo del traguardo.
Il ragazzo abbandona il bel lavoro alle mie palle e scatta con la testa all’indietro. Un urlo pazzesco e gli occhi fuori delle orbite. Sembra quasi che lo abbia sverginato. Altre grida stridule si susseguono mentre Roberto lo monta come un animale. I grossi testicoli gli sbattono rumorosamente sulle sue ad ogni affondo. Io mi godo la scena e la mazza mi diventa di marmo. Il mio amico grufola di piacere e non rallenta il ritmo, ma si preoccupa.
“Tappagli la bocca col cazzo, sennò qualcuno può sentire”.
“Ma no. Siamo di notte e chi vuoi che vada in giro per il parco. E poi sono così eccitato che, se glielo metto in bocca, rischio di venire. Invece me lo voglio scopare anche io”. Per tutta risposta, il ragazzino, me lo afferra e lo schiaffa in bocca pompando e leccando come un ossesso. E questo nonostante le dimensioni, o forse proprio per quello. Ho pensato che forse voleva farmi sborrare così da evitare di prenderselo in culo. Se è questo quello che vuole, rimarrà deluso perché non rinuncerò mai a fottermelo. Comunque, gli afferro la testa tra le mani e gliela scopo come fosse una figa slabbrata. Lo stiamo sfondando come belve davanti e dietro, pensando solo alla nostra soddisfazione. Incredibilmente, dai suoi gemiti, mi accorgo che il trattamento che sta subendo non gli dispiace affatto, infatti in quel momento è scosso da un lungo fremito, oltre che dalle nostre bordate, e sborra sul pavimento senza toccarsi.
“Hai capito che razza di puttana! Poteva sembrare un ragazzino ingenuo, invece guarda che troietta che ci siamo trovati!”.
Roberto non mi risponde. Sarà per quello che ho detto o perché quello, godendo, ha stretto l’ano, ma ha aumentato il ritmo e gli sta letteralmente demolendo il culo.
“Aaahhh, ti sborro dentrooo. Te la sparo tutta dentro, lurida puttanaaahhh. Tutta… tuttaaahhh”. Ci avrà messo due minuti a scaricare tutta la sbroda, sicuramente abbondante. Io sfilo il ciuccio dall’antro di saliva.
“Adesso tocca a me. Esci” e mi sposto per passargli dietro. Il ragazzo mi guarda ma nei suoi occhi non c’è paura, solo tanta voglia di essere squartato dalla mia mazza. Io adoro fottere i giovani buchi sfondati e sborrati. Così, nonostante le mie dimensioni, non faccio fatica ad entrare e posso spaccarli completamente senza difficoltà. Lo afferro saldamente per gli esili fianchi, punto l’enorme cappella al buco oscenamente aperto e vischioso e, con un colpo secco, glielo faccio arrivare allo stomaco. Invece del prevedibile urlo, l’assalto viene accolto con un flebile
“Siii… Ahhh, si, siii”.
“Ti piace, è puttana” e me lo sbatto di gusto.
“Si, si, siii, mi piace… Forte… più forte… ancora più forteee”.
“Vuoi mettermi alla prova, èhhh, figlio di troia. E allora prendi… prendi… prendi…”. Sono un martello pneumatico che lo sta sventrando in tutte le direzioni. Gli riduco le budella in poltiglia. E lui gode, gode in maniera pazzesca. Mi domando se lo stiamo usando noi per il nostro piacere o lui usa noi per il suo.
Lo monto per una buona mezz’ora, fottendolo e insultandolo senza limiti, finché non mi lascio andare ad una delle maggiori sbrodate della mia vita, ululando come un lupo. Mi accascio sulla sua schiena.
Roberto, allupato di nuovo più che mai, con la minchia in mano, lo afferra per i capelli, gli piazza la cappella in bocca e sborra un’altra volta.
“Manda giù… Ingoia… Ingoia tutto, lurido cesso”. La sborra è talmente tanta che quello non può fare altro e, senza poterla neanche assaggiare, se ne sta ingozzando.
Seguono alcuni minuti di riposo, mentre il ragazzino cola sborra dai lati della bocca ma specialmente dal buco mostruosamente sfasciato. Noi “violentatori” siamo sudati ed esausti e pensiamo che sia finito tutto, invece la “vittima” ha più fame di cazzo di prima e non ce li lascia in pace. Ce li pulisce tutti con la lingua amorosamente e loro, i nostri cazzi incoscienti (teste di cazzo), si lasciano coccolare e piano piano cominciano a ricrescere. Passa da uno all’altro per non lasciare che perdano l’erezione. Ci vorrà una buona mezz’ora ma poi siamo daccapo: sfoderavamo due mazze toste da far paura.
“Non ti basta mai, puttanazza”.
Lo tiro su come un fuscello e lo scaravento sul mucchio di sacchi di foglie, di schiena. Gli alzo le gambe e mi assicuro che il buco sia ancora spanato e umido. Lo afferro per le caviglie, dominandolo col mio fisico massiccio e, con due spinte vigorose, arrivo alle palle.
“Aaaahhhhh… siiiii…. Sfondamiiiii”.
Ci do dentro con tutta la forza. Non mi era mai capitata una troia come questa. Un bocciolo di ragazzino ventenne così voglioso di veri maschi da monta. Chissà quanti cazzi si era già preso su per il culo! Non ho mai espresso in maniera più forte la mia virilità e lui, certamente, la sua sottomissione. Mi abbasso verso di lui, con le braccia che si puntellano e che gli sollevano le gambe da sotto le ginocchia. Me lo sbatto senza problemi tra i suoi gemiti, le sue grida, le sue richieste di dargliene sempre di più. Roberto è in fibrillazione: rosso in viso e con in mano il suo cazzo paonazzo come non glielo avevo mai visto.
“Sbrigati, non resisto, voglio scoparmelo ancora anche io. Non voglio venirgli in bocca. Dai, su, riempilo”.
Lo accontento. Con un lungo grugnito, mi scarico completamente i coglioni dentro quell’esile corpicino. Quando ho espulso l’ultima goccia, gli sfilo fuori la mazza lorda dei suoi umori, di sperma e di merda e mi domando come aveva fatto ad entrargli dentro tutta. Il mio amico mi sostituisce prontamente fornendogli un’altra bella dose di cazzo. Anche lui se lo fotte come una belva.
In poche parole, quella notte non abbiamo praticamente dormito. A tratti ci risvegliavamo e ce lo ritrovavamo tra le gambe a succhiarci. Naturalmente finiva con un’altra chiavata nelle sue viscere scassate. Un paio di volte ce lo siamo fatto con tutti e due i cazzi insieme, tanto quel buco era diventato una voragine. Era un buco nero dove finiva ogni cosa: cazzi e sborra in quantità.
La mattina eravamo uomini completamente spompati e stanchi per il mancato riposo, ma più che soddisfatti.
“Quirino non ha mai raggiunto questi livelli. Sei una troia favolosa”.
“Grazie. Ve l’avevo detto. Adesso devo andare. Mia madre sarà preoccupata. Non ho avvisato che sarei tornato questa mattina”. Va verso un piccolo lavandino che si trova in un angolo per cercare di pulirsi e scaricare il più possibile la farcitura che gli avevamo dato.
“Ti è capitato altre volte?”
“Si, ma avvisavo sempre”.
“E che dirà quando ti vedrà in queste condizioni?”. In effetti appariva piuttosto fané.
“Ma niente. Non mi fa domande. Sa che se sono stato fuori ho avuto un’avventura, anche se immagina che l’ho avuta con una ragazza”.
“Ne sei sicuro? Guarda che le mamme capiscono certe cose”.
“No, mia madre non credo. Allora, ragazzi, tornerò stasera. Aspettatemi”. Ci lancia due baci ed esce richiudendo la porta.
“Figurati se la madre non lo sa. Da come si muove lo capiscono tutti”.
“Oggi in particolare. Sembra un cowboy che ha perso il cavallo. Hai visto come cammina con le gambe larghe?”.
“Certo che l’abbiamo proprio sfondato!”
“Eppure, hai visto come ha retto? A quello non gli basta mai”.
“Invece a me si. E’ stato molto ma molto piacevole ma un’altra notte così non me la sento proprio di affrontarla”.
“Hai ragione. Sono d’accordo. D’altronde dobbiamo andare via da qui; dobbiamo nasconderci meglio”.
“Si, certo. Però, se ci riprendono, in cella non voglio più Quirino. Chiediamo, anzi pretendiamo che ci sia questa puttanella”.
Grande risata di tutti e due. Poi, cautamente, usciamo e proseguiamo nella nostra fuga.


(Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha lo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma godetevela il più possibile. Buona sega a tutti).

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