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FU UNA GRAN BELLA VACANZA


di Foro_Romano
03.08.2013    |    13.174    |    2 9.7
"Forse ebbe un attimo di incertezza per la sorte a cui mi stava per condannare..."
(Racconto di fantasia)

Avevo 25 anni ed ero in vacanza con il mio compagno 33enne in una bella località italiana di mare. Appena arrivati in albergo avevo notato un bell’uomo. Sui 50 anni, alto, brizzolato, signorile, dal pelo folto, con due grandi spalle, con due bei baffi. Quanto mi piacciono i baffi! Spesso mi capitava di incrociarlo e ogni volta non potevo fare a meno di guardarlo con interesse, ma era sempre in compagnia di una bella donna sua coetanea. Devo dire che anche lui spesso mi guardava ma ogni volta io, per timidezza o per timore del mio uomo o della sua donna, non sò, abbassavo lo sguardo.
Passarono pochi giorni quando, mentre eravamo a pranzo nel ristorante dell’hotel, potevo vederlo seduto al tavolo accanto, oltre la spalla del mio compagno, così come lui poteva vedermi al di là della sua donna. Furono spesso sguardi fugaci ma anche di molto intensi. Non ce la facevo più a nascondergli il mio interesse. Ogni volta che lo guardavo mi scioglievo nell’immaginarmi tra le sue forti braccia e mi cullavo della sua voce virile e voluttuosa. Nel suo sguardo leggevo interesse, ma quanto? E poi, come fare? Non mi era mai capitato ed ero assolutamente inesperto a gestire una simile situazione.
Ad un certo punto andai in bagno per rinfrescarmi il viso (per riprendermi un pò da quelle emozioni) e per un bisogno impellente. Quando riaprii la porta della cabina me lo trovai davanti. Mi spinse contro il muro e si abbassò un poco per darmi un bacio breve ma deciso. Rimasi imbambolato. Ero impreparato. Non mi sembrava vero. Non mi aveva parlato ma quel bacio aveva detto tante cose. Disse solo: “Tra mezz’ora vieni nella camera 517”. E se ne andò.
Ero sconvolto, eccitato, emozionato. Non sò, non capivo più niente. Nuova lavata della faccia per riprendermi e tornai al tavolo. Mancava poco alla fine del pranzo. Sapevo che il mio compagno, dopo, voleva farsi un riposino in camera. Gli dissi che sarei andato in piscina. Non ebbe nulla da obiettare, solo mi raccomandò di non fare il bagno subito ma di stare all’ombra. Lo tranquillizzai, ma avevo ben altri programmi! Tornati nella nostra camera mi misi il costume, presi l’asciugamano e mi avviai. Non certo giù in piscina ma salii al quinto piano.
Bussai alla 517. Mi aprì. Era in accappatoio. Un morbido accappatoio bianco, ma dall’apertura e sulle gambe era coperto di un morbido e fitto pelo nero. Mi sorrise. Richiuse la porta alle mie spalle e mi baciò di nuovo, ma stavolta più a fondo, più a lungo.
“E la tua compagna?”, gli dissi. “Non ti preoccupare: è solo una buona amica che mi copre e che non ci verrà a disturbare”. Ancora un bacio, ancora più intenso, ancora più profondo, mentre il suo abbraccio si trasformò in due mani (quelle sue belle mani grandi) che mi presero decisamente le chiappe massaggiandole. Era fatta! Ero cotto! Erano ormai ben chiari i nostri rispettivi ruoli ed erano proprio quelli che desideravo.
Mentre mi baciava sentii chiaramente il suo membro che si andava gonfiando. Andava crescendo contemporaneamente al mio desiderio. Era un desiderio di totale sottomissione al maschio grande, virile, vero. E forse ne avevo paura.
Mi prese per mano e mi condusse accanto al letto. Mi ci fece sedere. Lo vidi dal basso. Era imponente. Aveva uno sguardo deciso. Non mi sembrava vero di trovarmi in quella situazione; di avere quella possibilità davanti. Già, davanti. Guardai la grande protuberanza sul suo accappatoio. Lo scostò.
Che cazzo! Non ne avevo mai visti di più grossi, di più belli, di più venosi. Per di più accompagnato da una così grossa sacca di palle. Il tutto circondato e coperto da una fitta e arrapante peluria. Da quel momento il mio pensiero fu solo quello di soddisfare in tutto le voglie del maschio. Il mio più grande piacere fu quello di farlo godere il più possibile.
Tirai fuori la lingua. L’appoggiai alla base di quel tronco e lentamente bagnarlo di saliva per tutta la sua lunghezza, fino al prepuzio. Presi in bocca la grossa cappella, bagnandola e, contemporaneamente, gli presi in mano i coglioni. “Ahhh”, fece lui. Gli piaceva! Ci misi ancora più impegno facendo roteare la lingua attorno alla cappella e al cazzo, finché lo presi in bocca, decisamente, e cominciai a farmelo entrare in bocca, per quanto potevo, tanto era grosso. E si andava sempre più ingrossando! Dove sarebbe arrivato?
Non ero esperto di simili dimensioni. Per quanto mi sforzavo, non riuscivo a prenderlo tutto. Mi teneva una mano sulla testa ma senza forzarmela. Gemeva, e più godeva e più io non capivo più niente. Io non esistevo più. Non mi sentivo più. Ero solo il realizzatore del suo piacere. Non opposi resistenza, quindi, quando con la mano spinse la mia testa con forza ancora più giù, fino ad affondare il naso nel suo pelo profumato di maschio, tra le sue grandi cosce muscolose e villose. “Ahhhhhhh, siiiii”. Fu un attimo. Me lo tolse dalla bocca. Ripresi fiato. Un filo di saliva collegava le mie labbra alla sua cappella. Riaffondai, ma questa volta senza la sua costrizione. Anche questa volta fino in fondo. “Ahhhhgrrr”. Mi lanciai in leccate, succhiate, affondi, senza interruzione, senza ritegno.
Quell’uomo tremava di piacere. Continuava a tenermi la mano sulla testa ma senza forzarmi: solo in segno di maschia supremazia. Non ce n’era bisogno. Il suo cazzo raggiunse dimensioni paurose. Con le mani sulle guancie, mi staccò da lui. Mi guardò intensamente. Il suo viso era trasformato. Era un animale furioso. Ebbi paura. Era giunto quel momento. Mi resi conto che non avrei potuto prendermi dentro tanto facilmente un attrezzo simile. Ma non era più possibile tirarmi indietro. Né per me e né per lui.
Con forza mi spinse le spalle contro il letto. Mi alzò le gambe e mi tolse il costume. Guardò il buchino. “Uhhhh”. Forse ebbe un attimo di incertezza per la sorte a cui mi stava per condannare. Ma solo un attimo. Si sputò sulla mano e si bagnò tutto il cazzo. Lo rifece ancora per bagnarlo ancora di più. Ancora sulla mano, ma questa volta mi bagnò il buco prima con il palmo aperto e poi con due dita fece una leggera pressione allo sfintere, quanto bastava per bagnarlo. Prese decisamente in mano quell’enorme fallo e lo appoggiò all’entrata con un desiderio imperioso. La mia paura anziché aumentare svanì: anch’io lo desideravo con tutto me stesso. Spinse un po’. Non mi fece male: lo volevo. Un secondo ed ancora una piccola spinta. Ancora non mi fece male: lo volevo. “Mmmmmm grrr”.
Con una botta feroce mi spaccò tutto. “AAAhhhhh, siiiii”, disse soddisfatto. Gridai ma il mio grido rimase sul palmo della sua mano che provvidenzialmente mi aveva posto sulla bocca. Ma era entrato solo per metà. Il dolore era forte ma il mio desiderio lo era ancora di più. Altra potente spinta e tutto sprofondò in me fino ai coglioni. Non emisi suono. Il grido mi si era spezzato in gola.
Cominciò subito a fottermi con una forza animalesca. “Prendilo tutto, troia... Prenditi ‘sta mazza, lurida puttana... Ti spacco il buco, zoccola... Ti sfondo il culo, frocio schifoso...”. Sublimi parole che mi mandarono subito in paradiso. Aprii gli occhi e lo vidi sopra di me, stravolto, bellissimo. Venni subito sulla mia pancia.
Lui no. Mi prese per le caviglie e ci dava dentro di brutto, quasi volesse mettermi dentro anche le palle. Furono minuti di puro godimento. Poi mi uscì dal culo, mi mise a pecora e ricominciò a fottermi senza pietà. Tanto forti erano le sue spinte che scivolai prono e lui mi fu sopra, sdraiato. Il suo grande corpo di uomo schiacciava il mio, piccolo, di ragazzo. La monta continuò ancora per molto fino a che, con un ruggito di animale al culmine della soddisfazione, mi sparò in culo una quantità di sborra interminabile. Giù, nel più profondo della mia pancia, tutta. Ad ogni spinta una scarica. Ero pieno di sperma. La sentivo ad ogni bordata.
Si lasciò andare, esausto, sopra di me, col respiro affannoso. Potevo sentire il suo cuore battere all’impazzata. Il suo cazzo aveva scossoni irregolari che lo scaricarono fino all’ultima goccia. Con un sospiro mi disse in un orecchio: “Troia. Sei una troia favolosa. Adesso sei mia”. Io godetti ancora contro le lenzuola.
Uscì da me e si sdraiò, respirando ancora affannosamente. Si voltò verso di me e mi sorrise, col suo viso così virile ormai rasserenato. Mi accarezzò. Io lo coprii di bacetti. Gli leccai l’ascella sudata. Mi accoccolai sulla sua spalla.
Mi baciò sulla bocca. Mi guardò. “Ti piace essere la mia vacca?” “Tanto”, gli risposi. Mi baciò di nuovo. Ancora, ancora, con la lingua sempre più in profondità. E ricominciò. Mi scopò ancora una volta venendomi dentro. E poi ancora un’altra, ma questa volta sborrandomi in bocca e facendomi assaporare lo sperma di un vero maschio.
Così per tutta la vacanza. Ogni giorno sborrava su di me, dentro di me, almeno tre volte. Adottammo sempre lo stesso sistema per incontrarci. La sera e la mattina appena svegli, poi, era il mio compagno a scoparmi una o due volte. Fu una vacanza meravigliosa. Tornai con un buco sfondato, ma che non poteva mai stare vuoto per troppo tempo. Ormai ero davvero diventato una gran troia.
Non l’ho più rivisto. Non ci dicemmo mai il nome. Non sò neppure come si chiamasse. Ero solo la sua troia. Anche col mio compagno finì, come spesso accade, ma siamo rimasti buoni amici. Dopo anni mi confessò che anche lui me l’aveva fatta. Mentre io ero in piscina (così credeva), lui scopava con una cameriera dell’hotel. Naturalmente non me la presi (io l’avevo preso alla grande) ma, da parte mia, non gliel’ho mai confessato. Rimane in me come un sogno. Solo mio.


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