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Gay & Bisex

VECCHI AMICI E NUOVE GENERAZIONI


di Foro_Romano
12.01.2024    |    11.444    |    16 9.6
"Ho buttato indietro la testa contro la spalliera del divano godendo di quella bocca esperta..."
Era una bellissima giornata di primo autunno, dal cielo limpido come poche. Col mio suv solcavo l’aria tiepida e trasparente, che entrava dal finestrino aperto. Non andavo veloce, mi godevo piacevolmente quei momenti di libertà, lontano dal lavoro, dallo stess, da tutte le rogne che spesso tentavano di rovinarmi la vita. Ero nella mia città ma in quel quartiere, dove non ero mai stato, era veramente piacevole.
Il fatto è che ero vissuto all’estero per più di venti anni, girando da un capo all’altro del mondo per lavoro. Ormai avevo raggiunto una certa solidità economica minata in parte da due mogli che, una dopo l’altra, si erano dimostrate solo delle sanguisughe. Mi ero liberato anche di loro e mi sentivo come rinato a nuova vita.
Sono un cinquantenne con un fisico ancora invidiabile, desiderato da molte donne ma ormai abbondantemente nauseato da loro. Già da quando ero sposato, ogni tanto mi prendevo delle libertà con ragazzetti vogliosi di farsi usare solo per darmi piacere, e io non mi sono mai tirato indietro. Poi, da quando non ho più vincoli, approfitto sempre più di giovani che rimorchio in chat, in sauna od in locali notturni. Rapporti di fuoco estremamente soddisfacenti e poi, chi si è visto si è visto. Nessuno di loro si è mai lamentato, a parte mentre li sfondavo a raffica.
Pochi giorni fa mi è capitato di incontrare in centro un mio vecchio amico col quale avevo fatto il militare insieme, ma poi ci eravamo persi di vista da circa trenta anni. Lui non sapeva niente di questo mio interesse particolare, né lo avrebbe mai immaginato perché non si contavano le volte che, in libera uscita, eravamo andati insieme a tirar su ragazze da soddisfare. O meglio, per soddisfare i nostri cazzi che, modestamente, se la battevano in grandezza e ne andavamo giustamente orgogliosi.
Per farla breve, mi aveva invitato a casa sua per poterci raccontare a vicenda le nostre vite in tutti quegli anni. Il suo quartiere era tutto costituito da bei villini circondati da un po’ di prato, alberi e piante, senza recinzione, come ne avevo visti in USA. Si era sposato con una divorziata tedesca con un figlio, ma in quei giorni lei era fuori per lavoro. Mi dispiaceva non poterla conoscere ma ci sarebbero poi state altre occasioni di incontro. Per quel giorno avevo comprato dell’ottimo vino rosso da portare, che forse poco azzeccava con le pizze a domicilio che avrebbero costituito la cena, ma sarebbero state certamente apprezzate.
Eccomi arrivato. Parcheggio davanti alla sua casa veramente graziosa. Sono certo di essere giunto alla destinazione giusta perché lui è lì davanti in jeans ed a torso nudo che sta annaffiando il giardino. Mi vede, lascia il tubo a terra e mi viene incontro.
“Ehi, ciao Massimo, finalmente”.
“Ciao Marcello”. Ci abbracciamo calorosamente. “Eppure non sembra che mi stavi aspettando. Va bene vestirsi in maniera informale, ma tu mi accogli addirittura mezzo nudo”.
“Ah, dici così? Beh, si, scusa. E’ che oggi è il mio giorno di riposo ed è da un po’ di tempo che dovevo occuparmi del giardino. Speravo di finire prima del tuo arrivo ma, come vedi, non ci sono riuscito. Scusami, vorrei finire entro oggi e ne ho ancora per un po’”.
“Però, vedo che anche tu ti mantieni bene!”, indicandogli con la testa il suo torace ampio e coperto di pelo ben distribuito.
“Già, si. Ogni sera, quando ritorno a casa faccio qualche esercizio alla cyclette e con i pesi che ho in casa. Insomma, mi alleno come posso per mantenermi in forma. Ma vedo che anche tu sei piuttosto in forma”.
“Ah, ma io non ho bisogno di fare ginnastica. Tutto naturale”.
“Beato te. Ma entra pure in casa. C’è il mio figliastro che sa del tuo arrivo. Io verrò appena possibile. Vai”.
Mi sono dunque avvicinato alla porta di ingresso ma, prima che suonassi, la porta venne aperta dal figlio, che mi aveva visto arrivare. Mi è preso un colpo. Il tempo si è fermato. Non mi aspettavo di trovarmi davanti un ragazzo così bello. Poco più che adolescente, non molto alto, lievemente cicciottello, dai capelli ricci biondo ramati, due occhi azzurri e limpidi come due pozze d’acqua di sorgente. Al collo una collanina di pezzettini di corallo rosa che quasi si confondeva con la pelle chiara. Mi sono bloccato, praticamente inebetito. Per qualche lungo secondo siamo rimasti a guardarci senza muoverci o dire niente. Dovetti rompere l’incanto.
“Ciao, sono Massimo” e gli ho teso la mano. Me l’ha stretta brevemente, come se ci fosse stata una scossa tra noi.
“Io sono Giuliano, piacere. Lei è l’amico di mio padre. Venga, venga dentro, lui adesso è impegnato. Dia a me” e mi ha tolto la bottiglia dalla mano per posarla sul mobile accanto. “Prego, si accomodi pure qui in salotto”. Ci siamo seduti sul divano abbastanza vicini.
“Dunque tu sei figlio di Marcello”.
“Beh, tecnicamente figliastro. Mia madre e mio padre naturale hanno divorziato qualche anno fa”.
“Si, mi ha raccontato. Tua madre è tedesca”.
“Si, della Franconia, ma mio padre è italiano, ecco perché mi hanno dato un nome italiano. Però dicono che ho preso tutto da mia madre. Sono biondo come lei e ho i suoi stessi…”
“…occhi, senza dubbio” e sono rimasto ad ammirarli.
“Si, certo, gli occhi” confermò, abbassando lo sguardo.
“E c’è un perché ti hanno dato un nome così particolare? E’ forse un nome di famiglia?”
“No, è che era piaciuta loro la storia del santo con questo nome. Era chiamato l’Ospitaliere perché aveva accolto in casa sua un lebbroso che poi si era rivelato un angelo dopo…”, si fermò imbarazzato.
“Dopo cosa? Scusami ma non conosco questa storia”.
“Dopo, ecco, dopo che aveva passato la notte nel suo letto” aggiunse un po’ a disagio.
“Direi che tu più che somigliare al santo, somigli all’angelo” dissi spontaneamente, senza riflettere.
Calò il silenzio. Portavo dei pantaloni corti sopra il ginocchio, e lui ci poggiò una mano sopra. Si avvicinò di più.
“Lei trova? Mi vuol dire che le piaccio?”
Rimasi muto, senza confermare ma anche senza negare.
“Lei a me piace molto” disse esplicitamente. Mosse la mano ad accarezzarmi i peli delle gambe. Gliela fermai con la mia ma non la tolsi. Si protese a darmi un leggero bacio. Ebbene, lo ammetto, non ho resistito a quelle labbra morbide. Gli ho infilato con trasporto la lingua in bocca, tenendogli ferma la testa con una mano sulla nuca. Lui ha risposto con passione e siamo stati travolti dal desiderio. Durante quel lungo bacio, lui ha spostato la mano lungo la mia coscia fino ad arrivare all’inguine, dove il mio attrezzo si andava indurendo rapidamente e stava soffocando nei pantaloni. Spinto forse dal mio evidente disagio o forse dalla lussuria, mi ha slacciato la cinta e aperto la patta. Io mi sono sollevato dalla seduta quel tanto che gli ha permesso di abbassarmi gli indumenti, facendo saltar fuori, come una molla, la mazza quasi completamente intostata. Uno sfuggevole sguardo a cui non ho saputo dire di no e si è abbassato a prendere in bocca la cappella, mentre con la mano soppesava e massaggiava la sacca dei coglioni.
Ci sapeva fare. Ho buttato indietro la testa contro la spalliera del divano godendo di quella bocca esperta. Slinguava e succhiava, insalivava e pompava con maestria prendendo dentro sempre più cazzo, centimetro dopo centimetro, arrivando a prenderne più della metà di quella verga che aveva ormai raggiunto la sua massima dilatazione. Non poteva proseguire oltre a rischio di strozzarsi. Il resto del tronco lo andava segando allo stesso ritmo della bocca. Non mi domandai come avesse imparato così bene. Avevo perso il lume della ragione. Gli misi una mano sulla testa senza forzarlo, solo per accompagnarlo nei movimenti e fargli capire che apprezzavo il trattamento.
Andava su e giù con voracità ed io mi sono lasciato prendere dal piacere per un po’ finché non ho più resistito. L’ho fermato. Gli ho tenuto la testa con ambedue le mani e, squassato dall’orgasmo, gli ho sparato in bocca una scarica dopo l’altra di calda e densa sborra che ha prontamente ingoiato. Tutta. Fino a lapparne l’ultima goccia.

“Vedo che avete preso presto confidenza!”. Marcello era entrato e ci aveva visto. Mi gelai. Bell’amico che ero! “E da quando ti interessi di certe cose?”, rivolto al figlio.
“Ecco papà, è colpa mia. Il tuo amico mi è piaciuto subito e io…”
“Da quanto?”, insistette il padre.
“Da quanto? Ecco, credo da sempre. Mi sono sempre piaciuti gli uomini maturi come voi…”. Si zittì. Forse aveva detto qualcosa di troppo.
“Ah, ti piacciono gli uomini maturi, sicché anche io ti piaccio”.
“Ecco… beh, si, effettivamente”, disse con gli occhi bassi.
“E non hai mai detto niente”.
“Non volevo che mamma lo sapesse e non volevo certo rubarti a lei”.
“E tu, Massimo, che mi dici? E’ così che approfitti dei figli degli amici?” Rimasi muto, imbarazzato. “Almeno ti è piaciuto quello che ti ha fatto? E’ bravo e ciucciare cazzi il mio timido figliastro?”, disse con sarcasmo.
“Beh, effettivamente… devo ammettere… che ci sa fare”, balbettai.
“Che devo sentire! Non voglio sapere dove hai imparato ed a quanti uomini lo hai fatto. Prendo atto che non solo ti piacciono gli uomini, ma che sai anche spompinarli bene, troietta”.
Non sapevo se se la prendeva più con me o più con Giuliano. Cercai di difenderlo. “Massimo, non ti arrabbiare. Ha ammesso di avere certi interessi. Non è un delitto. Ognuno ha diritto, nel privato, di provare piacere a suo modo”.
“Si, papà, scusa se non te l’ho detto, ma cerca di capire la mia situazione”.
“No che non ti perdono. Da quando sto con tua madre, ho sempre cercato di instaurare un rapporto di sincerità con te e, invece, tu mi hai tenuta nascosta una cosa così importante. Addirittura che io ti piaccio e poi ti metti a fare pompini ai miei amici. – fece una pausa - Sarei dovuto essere io il primo. Io a cui lo avresti dovuto fare, piccola troia. Ecco, vediamo, e cerca di farti perdonare”. Nel dire così, si slacciò i pantaloni e li calò tirando fuori la sua mazza già abbondantemente in tiro per l’argomento che stavamo affrontando.
Il ragazzo sorrise per la piega che aveva preso l’imprevisto. Così facendo coronava un suo sogno ed era certo che, per il risvolto che la faccenda stava prendendo, la madre non avrebbe mai saputo niente. Si avvicinò carponi sul tappeto al padre, per averlo giusto ad altezza giusta. Lo afferrò a due mani e se lo mise in bocca, pompandolo di gusto proprio come aveva fatto con me. Lui gli afferrò la testa e prese ad accompagnarla nei movimenti, godendo come un maiale. “Ti piace il mio cazzo? Dimmi, ti piace? Più di quello di Massimo? O piuttosto ti piacciono tutti i cazzi, frocetto bocchinaro. Mmmm, siiii, che bravo! Aaahhg, siii, pompami il cazzo, puttana”. Il ragazzo era passato a leccare la grossa sacca pelosa e pendente dei coglioni del patrigno.
La scena a cui stavo assistendo, inutile dire che mi aveva fatto tornare la minchia dura come il granito. Che fare? La bocca del ragazzo era già occupata e, poi, l’avevo già provata. Non mi restava che usare l’altro buco a disposizione. Mi avvicinai e, con lo sguardo, feci capire al padre le mie intenzioni. Anche se stravolto dal piacere, mi fece segno di accomodarmi pure, così calai facilmente i pantaloncini sportivi che indossava e misi a nudo il suo splendido culetto. Il ragazzo di fermò per la sorpresa, ma il padre gli tenne la testa.
“Continua a succhiare, zoccola. Spero che, oltre a saper fare bocchini, sai anche prendere i cazzi in culo. Sbattiglielo dentro, Massimo, e non avere riguardi per questa checca falsa ingenua. Ti autorizzo io”.
Aveva due chiappette fantastiche coperte di peletti quasi invisibili, tanto erano biondi. Le presi a piene mani e gliele allargai per ammirare il buco che di lì a poco mi avrebbe soddisfatto. Altro che nuovo, si vedeva che era già stato aperto. Non so se da dure minchie o da oggetti vari, ma era già decisamente aperto e boccheggiava dalla voglia di essere riempito. Non vedevo l’ora di prenderlo, di affondare in lui ma, per delicatezza, tirai fuori la lingua e lo lappai per bagnarlo il più possibile di saliva. Gemette facendomi capire quanto lo desiderasse anche lui. Ci sputai sopra, mi sputai sulla mano per lubrificarmi la mazza, la puntai e spinsi con decisione, tanto che l’intera cappella entrò facilmente aprendogli lo sfintere. Si inarcò e lanciò un gridolino soffocato dal cazzo che aveva in bocca. Si capiva che era più che consenziente.
“Sfondalo, sbattiglielo tutto dentro. Spaccagli il culo con quel cazzone che ti ritrovi. Non avere pietà”, Marcello mi invitava a fare, preso dall’estasi per quello a cui stava assistendo e della superba pompa che stava ricevendo.
Invece io non lo ascoltai. Cominciai ad affondare lentamente, spinta dopo spinta, centimetro dopo centimetro, ma con decisione, senza ripensamenti. Si sentiva che il ragazzo stava godendo della mia invasione. Solo alla fine mi decisi, detti un forte colpo di reni e lo sfondai, arrapandomi ancora di più nel sentire i suoi guaiti da cagna in calore”.
“Siiii, bravo, così, dacci dentro, fottilo, fottilo”, mi incitava.
E io lo accontentai. Afferratolo per gli stretti fianchi, cominciai a tempestarlo con spinte sempre più devastanti. Vedevo il mio cazzo che entrava ed usciva da quel culetto, da quel buco, circondato di peletti, stirato al massimo per prendere meglio i miei 25 centimetri di nerchia. Vedevo il cazzo di Marcello entrargli in bocca contemporaneamente ed al mio stesso ritmo. Noi uomini ci guardammo negli occhi.
“Fottilo, fottilo. Voglio che lo sfondi come si merita” e più aumentavo la velocità io e più l’aumentava lui soffocandolo. Era chiaro che lui godeva del trattamento, come di un maialino allo spiedo. Gli stavo dando una tale scarica di spinte che, il patrigno in breve non resistette più. Gli lasciò dentro solo la cappella e si inarcò all’indietro, trasportato dall’orgasmo, esplodendogli in bocca un’enorme quantità di sperma e costringendolo ad ingoiare tutto. Da parte mia continuai a martellarlo incessantemente, alternando però un ritmo veloce ad uno lento. Il ragazzo, lanciava urla di piacere mescolate a singhiozzi come di pianto. Era troppo. Non volevo venire e gli sfilai il cazzo dal buco di colpo per calmarmi e riprendere fiato.
“Allora, cucciolo, sei contento? Ti è piaciuta la crema del tuo patrigno? Era più buona la mia o quella del mio amico?”.
Il ragazzo non rispose. Ci guardò e sorrise, con le labbra umide di sperma.
“Ma tu Massimo non gli sei venuto dentro. Ma che figuraccia mi fai fare con i miei amici? – disse al figlio – Che razza di culattone sei se non riesci a farti sborrare in culo? E tu? Non sarai mica venuto sul tappeto. Ah, certo, a te il pisellino è rimasto moscio, proprio come ai veri froci”.
“No, è che non volevo venire subito, e poi, con i vestiti addosso…”, dissi.
“Ah, si, certo, buona idea. Spogliamoci e riprendiamo da dove eravamo rimasti”
Il mio cazzo si era un po’ ammosciato ma avevo intenzione di finire il lavoro di scassamento di quel morbido buco. Ci togliemmo tutto di dosso e Giuliano, accosciato sotto di me, me lo prese in bocca per farlo tornare duro. Notai che il padre si fermò lungamente ad osservare la notevole apertura dell’ano del ragazzo che gli avevo lasciato. Lo rimisi a pecora e lo inforcai con un’unica spinta. Gridò e si curvò all’indietro. Lo afferrai saldamente per i folti capelli ricci con la destra e con la sinistra lo tenni per la spalla. Partii in quarta, brutalmente. Gli stavo facendo certamente male ma sembrava gradire il trattamento. I suoi lamenti mi facevano ingrifare ancora di più. Dopo alcuni minuti, ero arrivavo al punto di non ritorno. Mi abbassai ad abbrancarlo tra le mie forti braccia.
“Cazzo, cazzo, sborro, sborroooo. Waaawww”. Mi svuotai le palle nel suo invitante canale. Mi fermai così ma, ogni tanto davo altre spinte, fino a farmi tornare il cuore ad un ritmo accettabile. Quindi mi sfilai lentamente e, appena la cappella uscì, un rivolo di densa crema bianca la seguì, colando sui suoi coglioncini. Marcello aveva osservato tutto attentamente e non gli era stato indifferente di certo, dato che il suo cazzo era tornato granitico, avvolto da grosse vene in rilievo.
“Finalmente adesso tocca a me farti il culo, piccolo mio”.
“Si papà lo voglio ma, ti prego, aspetta un po’. Anche tu ce l’hai grosso e il buco mi fa ancora male”.
“Non mi frega un cazzo se ti fa male. Ti devo punire. Tu fai quello che ti dico io. Devo assolutamente montarti. Sdraiati di schiena”.
Il ragazzo, in verità, contrariamente a quanto aveva detto, sembrò accettare di buon grado di soddisfare le voglie del patrigno e si mise come gli aveva ordinato, tirando su le gambe tenendole ferme da sotto le ginocchia e mettendo in mostra la sua irresistibile apertura. Assieme ai peli che la circondavano, era tutta bagnata, imbrattata della mia sborra e sembrava veramente una fregna umida ed affamata. Anche Marcello gli affondò dentro con un sol colpo. La sua enorme verga sprofondò come nel burro nel canale già lubrificato.
“Aaaahhhh – e cominciò a pomparlo con ferocia – Non sai quanto ho desiderato scoparti sin dal primo momento che ti ho visto. Non sai quante volte mi sono scopato tua madre e sognavo di possedere te. Dovevi dirmelo prima che eri recchione. Dovevi! Da oggi in poi dobbiamo recuperare il tempo perso. Prendi, puttana. Prendi, troia”, e giù colpi su colpi.
“Si, papà, aaahhhh, perdonami, ho sbagliato, siii, aaahhhh, puniscimi, forte, ti prego più forte, più forte, sfondami, aaaahhhh, siiiii”.
Ma non c’era bisogno di incitarlo. Lo andava fottendo come una bestia, affondando fino al pelo, con le grosse palle pendenti che sbattevano ritmicamente sul perineo. Il loro tipico suono si sommava allo sfrigolio dato dagli umori anali ed ai gemiti di piacere del ragazzino. Anche il padre non era da meno. Grugniva e mugghiava come un toro, assestando colpi in tutte le direzioni, slabbrando ancora di più il giovane buco. Con una mano sul collo, lo stava per strozzare.
“Ti sfondo il culo definitivamente, mia piccola troia. Sarai mio, solo mio. No, puttana, anzi, ti farò scopare anche dai miei amici. Voglio vederti come fai a far godere tanti maschi arrapati”. Ormai non capiva più niente. Non sapeva neppure quello che stava dicendo. Si abbassò ad avvolgere col suo possente corpo quello più piccolo che aveva sotto. Gli ficcò la lingua in bocca e gliela riempì con un lungo gemito, mentre dalle sue palle un copioso clistere di sperma salì lungo l’asta e finì a lavargli le budella.

Io e Marcello ci sedemmo sul divano spossati, coi cazzi flosci che gocciolavano, immediatamente ripuliti dalla lingua di Giuliano, che rimase lungo sul tappeto, ai nostri piedi ed al nostro servizio. Ce ne voleva ancora però per svuotarci completamente, ma avevamo tutta la notte davanti.

All’arrivo del ragazzo delle pizze ci eravamo ricomposti e fu una serata piacevolissima, innaffiata dal buon vino che avevo portato e che ci dette un po’ alla testa. Raccontammo delle nostre vite e degli aneddoti divertenti che ci erano capitati. Ed io non mi trattenni di parlare dei ragazzi che mi ero fatto in giro per il mondo. Marcello e Giuliano ridevano beatamente, consci che da quella sera, anche per merito mio, la loro vita era cambiata in meglio.
“Papà, a proposito di quello che mi hai detto riguardo i tuoi amici, non è che scherzavi, vero?”. Capito che troia?

(Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha il solo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma non mancate di godervela il più possibile. Buona sega a tutti).
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