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IL GIRO DI PROVA


di Foro_Romano
30.11.2018    |    14.576    |    6 9.7
"Spesso si tratta di lavori da poco ma bisogna comunque analizzare quale è il problema, sentire il rumore che fanno quando sono in moto, cercare di capire..."
(Racconto n. 93)

Sono le nove e mezza del mattino e la mia officina è già satura di lavoro. Un paio di macchine me le hanno portate ieri, una sono addirittura due giorni che è in osservazione, un altro paio di clienti mi hanno portato le loro questa mattina e tutti le vorrebbero riparate oggi stesso. A tutti dico “Si, non si preoccupi”. Spesso si tratta di lavori da poco ma bisogna comunque analizzare quale è il problema, sentire il rumore che fanno quando sono in moto, cercare di capire come risolvere, quali pezzi nuovi montare. Il tutto cercando di non sbagliare e di accontentare la clientela. Ho due dipendenti ma a volte sembrano dei completi imbecilli, non riescono a risolvere niente da soli. E’ vero che devo sempre decidere tutto io, che sono in proprietario, ma vorrei che pure loro imparassero qualcosa. Invece sembra che sanno solo eseguire quello che dico loro. Per carità, sono anche bravi e non posso lamentarmi, ma i giovani oggi mancano di passione.
All’età loro ero di tutt’altra pasta. Ho intrapreso questo lavoro perché mi piacevano i motori, il loro odore, il loro suono. Quando ne riparo uno mi sembra di avergli ridato la vita e mi sembra che me ne siano grati, i motori stessi e non solo i loro proprietari. Mia madre avrebbe voluto che studiassi. Mi vedeva già medico, o avvocato di successo. Mio padre, invece, mi avrebbe visto bene come calciatore. Lui, che era sempre stato un tifoso della squadra locale ma sportivo mai. Devo dire che uno sport mi piaceva: il rugby. Tanto mi ci ero impegnato che, da giovane, ero entrato in una squadra abbastanza importante ed ero uno dei migliori.
Sono alto un metro e 83, spalle larghe, muscoloso, con una barba folta ma corta. Il mio è già un lavoro pesante, ma mi tengo in forma anche andando quasi tutti i giorni in palestra, dopo la chiusura dell’officina. Sono sposato da più di 20 anni, me la passo abbastanza bene ed ho due figli che da poco vanno all’università. Uno medicina e l’altro giurisprudenza (ironia della sorte, quello che voleva mia madre per me). Insomma, non mi lamento. Con mia moglie, che vedo solo la sera e nelle feste comandate, ancora ci so fare e non può lamentarsi, anche se ormai non facciamo più tanto spesso. In compenso ho un certo successo con le clienti. Sarà perché, da quando ho superato i 40 anni, ho le tempie imbiancate, che si sà danno un certo fascino, o perché ho il corpo completamente coperto di pelo, specie sul petto, che ancora piace a molti, checché la moda sembri dire il contrario.
Le vedo come si sciolgono mentre mi parlano. Alcune mi portano la loro macchina molto spesso perché, dicono, ha qualche problema: ora un suono strano, ora una vibrazione fastidiosa. Tutte scuse. E io faccio finta di fare qualcosa e mi faccio pure pagare. Meglio tenersele buone. Mai però ho fatto niente con loro. Nascerebbero solo problemi di liti, di gelosie, di vendette. E quando le donne ci si mettono! Anche se qualcuna mi attizza non poco. Cerco di essere sempre distaccato, professionale, però mi piace stuzzicarle. Specialmente d’estate, come in questi giorni, mi metto la tuta a salopette col pantalone corto a metà coscia e resto col torso nudo, mettendo in mostra tutto il mio torace ricoperto di pelo. Vedeste come abboccano!
Quello che volevo raccontare era però tutto un altro argomento. Nel palazzo dove è la mia officina ci abita una madre single col figlio, anche lei una mia cliente. Quando aprii l’attività il figlio era un frugoletto sempre allegro. Mi sorrideva e si vedeva che aveva una certa simpatia naturale per me, così come io per lui. Avevo sempre nelle tasche una caramella riservata a lui quando passavano da me. Gli anni sono passati, si è fatto grande. Ha l’età dei miei figli ed anche lui ha appena cominciato l’università. Ha scelto ingegneria meccanica e dice che l’interesse gli è nato anche per la mia passione che, pare, in qualche modo gli ho trasmesso.
Da sempre, ogni volta che esce di casa o rientra mi saluta con un gran sorriso e, non so perché, ma da un po’ di tempo, quando lo vedo, c’è qualcosa che mi si smuove dentro. Non sapevo spiegarmi cosa ma ho cominciato a guardarlo in maniera diversa. Si è fatto proprio un bel ragazzo, forse troppo. E’ stato sempre piuttosto piccolino, magro ma proporzionato, senza eccesso. Il viso gli è rimasto un po’ infantile, tanto che dimostra meno anni di quanti ne ha. Un angioletto. Mi sembrava, poi, che anche lui ha qualcosa di cambiato nello sguardo. Forse… Era come se… Ma “che vai pensando”, mi dicevo.
Ha superato il primo anno di università e sembra che sia contento della sua scelta, tanto da aver superato brillantemente tutti gli esami previsti. Per questo la madre gli ha permesso di prendere la patente e comprarsi la sua prima automobile. Il fatto è che l’ha scelta lui, senza sentire un mio parere preventivo. Per questo l’ho redarguito. Bonariamente, ovvio. Io sono l’esperto e avrebbe dovuto interpellarmi prima. E’ venuto da me, ad acquisto avvenuto, quasi ad implorare il mio perdono.
“Scusami, Bruno. Mi piaceva troppo ma, mi conosci, sai che non l’ho scelta solo per la carrozzeria, sai che ne capisco abbastanza di motori”.
“Meriteresti una bella lezione al tuo sederino”, dissi ridendo ed agitando la mano. Rise anche lui ma c’era qualcosa di strano.
“Vorrei comunque un tuo parere”.
“Non è che questa macchina mi convinca molto. Alcune hanno un certo difetto di fabbrica…”
“Dai, provala una volta. Quando ti è più comodo. Poi mi dirai”.
“Ok. Vediamo un po’… Forse è meglio se me la porti la sera quando chiudo e andiamo a farci un giro… Dirò a mia moglie che ritardo… Va bene per domani?”.
“Si, si, certo. A me sta bene. Allora facciamo per domani sera”.
Così è stato. Il giorno dopo, quando i meccanici sono andati via, ho chiuso e sono salito al posto di guida della sua auto nuova fiammante. Lui al posto del passeggero, e siamo partiti verso la periferia per avere la strada più libera per provare meglio i freni, lo sterzo, l’accelerazione, eccetera. Pochi minuti e già avevo capito che la sua era stata una buona scelta. Almeno questo esemplare sembrava non avere problemi di sorta. Però, per esserne certo, l’ho provata per quasi mezz’ora. Alla fine mi sono fermato e gli ho dato il verdetto.
“Bravo Alex. E’ veramente una buona macchina. Complimenti”.
“Grazie, Bruno. Sono contento che ti piaccia… almeno lei” e mi mise una mano sulla mia gamba nuda. Ci fu un attimo di silenzio.
“Che vuoi dire con ‘almeno lei’?”.
“Ecco…”. Abbassò lo sguardo e si fece rosso in viso, poi mi guardò intensamente. “E’ che… tu piaci molto a me”. Silenzio. Fece scorrere la mano accarezzandomi il pelo. Un brivido mi percorse tutto. Avevo capito bene? Ne ero contento, forse… Non sapevo che fare, che dire.
Ritrasse la mano. “Scusami, fai finta che non ho detto niente”.
Gliela ripresi al volo e la rimisi sulla mia gamba, tenendogliela ferma. “Alex… Mi sembra un’assurdità ma… forse… ecco… credo che anche io provo la stessa cosa per te”.
Ancora silenzio. Ci siamo guardati, immobili. Intorno solo frinire di cicale. Pian piano ci siamo avvicinati. Le nostre labbra si sono sfiorate, si sono baciate. La passione, la voglia, sono andate via via aumentando. Le bocche si sono aperte, le lingue intrecciate. Gli ho tenuto ferma la testa con una mano, mentre con l’altro braccio l’ho stretto sempre più a me. Avevo paura che mi sfuggisse, che tutto svanisse come un sogno.
La sua mano è salita al mio pacco ed ha trovato il mio cazzo già completamente rigido che premeva contro il jeans della tuta, quasi a volerla strappare. Il bacio è stato ancora più intenso, così come la pressione delle sue dita sul mio sesso. Mi sono staccato.
“Alex… forse non è il caso…”
“Lui non è d’accordo”, ha detto aumentando la tenuta con tutta la mano.
“Alex… Potrei essere tuo padre…”
“Quello che non ho avuto?”. Mi ha messo un dito sulle labbra per dirmi di tacere. A cominciato ad armeggiare con la mia patta. Ha fatto scendere la lampo, ha abbassato l’elastico delle mutande, ha inserito la mano nell’apertura, ha afferrato la verga e l’ha tirata fuori. Era un palo di acciaio caldo solcato di vene. Io non riuscivo a muovermi.
L’ha guardato, mi ha guardato, è tornato ad ammirarlo, si è chinato sopra e mi ha preso la cappella in bocca, succhiandola e slinguandola.
“A…lex… Ohhh”. Era esperto, accidenti se lo era! La bocca completamente aperta, le labbra (quelle belle labbra carnose) facevano fatica a contenere il diametro della mia minchia però andava sempre più giù, più giù, più giù. Dal tapparsi la bocca è arrivato a tapparsi la gola fino a farselo entrare nell’esofago. Lo ha preso fino alla base, fino al pelo. Un attimo e poi se lo è sfilato, tutto viscido di densa saliva. Un attimo ed ha ricominciato il meraviglioso pompino. Su e giù, su e giù.
Cazzo! Ero su un altro pianeta. Avevo buttato la testa indietro, gli occhi fuori delle orbite. Rantolavo, grufolavo come un maiale. “Cazzo, Alex… Ohhh… Cazzo… Uhhh… Cazzo che… pompinaraaahhh”. Nessuna donna mi aveva mai fatto una pompa così. Volevo che continuasse, volevo che si fermasse, non capivo più cosa volere. Gli misi una mano sulla testa, solo ad accompagnarla nel movimento. L’avvolgeva tutta come una palla da basket. Ho abbassato lo sguardo, lui lo ha alzato verso di me. Ho letto la sua felicità nel darmi tanto piacere.
“Alex… Alex… sto per venire…”. Si divincolò, si staccò di scatto. Me lo lasciò all’aria, tutto bagnato… orfano delle sue umide fauci. Ero deluso. Lesse la delusione sul mio viso. La delusione che mi bloccò l’eruzione.
“Voglio assaggiartelo. Lo farò certamente ma un’altra volta. Adesso lo voglio nel culo”. Si è abbassato i pantaloni della tuta assieme alle mutande, si è girato ed appoggiato allo schienale offrendomi il culetto perfettamente rotondo, sodo, fresco. Si è bagnato tre dita con la saliva e se l’è infilate nel buchino, così, senza difficoltà. Non era certamente nuovo. Chissà quanti se lo erano già goduto. All’idea, mi sono ingrifato ancora di più, con un misto di gelosia e di voglia di montarlo.
“Dai, dammelo, lo voglio. Rompimi il culo, maschio”.
Non ho perso tempo. Sono passato dietro di lui. Ho appoggiato la cappella grondante saliva ed ormai paonazza alla porta di quel paradiso ed ho spinto con forza senza pensare ad altro. Un urlo di dolore ha accompagnato l’entrata di mezza minchia che gli ha aperto il buco, un altro urlo è seguito all’ingresso dell’altra metà che lo ha sfondato, questa volta di piacere. Appena qualche secondo per ambientarmi e poi ho cominciato a pomparlo senza sosta, senza mai farlo uscire. Si agitava, gemeva, muoveva la testa a destra ed a sinistra, godeva, mi incitava.
“Di più… di più… Forza… Così… Non ti fermare… Cosììì… siii… Aaahhh… Fottimi… Fottimi… Aaahhh… Sono la tua vacca…”.
Ormai spintonavo in tutte le direzioni, sempre più forte. Lo stringevo tra le mie braccia pelose, prima una attorno al collo e l’altra mano a tappargli la bocca, anche se le sue grida mi eccitavano ancora di più, se possibile, poi a tenerlo saldamente per i fianchi per affondare il più possibile in lui. Volevo sbragargli il culo e l’ho fatto e, quando ormai era diventato un antro spanato e slargato che non opponeva più alcuna resistenza, è stato allora che mi sono lasciato andare credo alla più grossa sborrata della mia vita. Fumando forse anche dalle orecchie come un bufalo, gli ho scaricato dentro tanta di quella sborra da fargliela uscire dalla bocca. Il mio cazzo, ad ogni pulsazione, gli sparava dentro una incredibile bordata di calda e viscida crema.
Quando ho finito, mi sono disteso sulla sua schiena e l’ho stretto a me. E’ stato in quel momento che, forse completamente cosciente di essere stato l’oggetto di piacere di un maschio come me, si è lasciato andare anche lui ed è venuto sul sedile. Vibrava e godeva tra le mie braccia, col mio cazzo ancora piantato fino in fondo.
Sono uscito lentamente da lui e sono tornato al mio posto a sdraiarmi sfinito. Anche lui, giratosi, si è lasciato andare sul sedile. Eravamo ancora affannati e dovevamo far tornare i cuori ad un ritmo regolare. In silenzio, respiravamo a pieni polmoni quell’aria satura di odore di sesso, di sperma. Poi lui si è allungato, tornando con la testa sul mio cazzo, adagiato verso il fianco destro, ancora gocciolante. Lo ha ripreso in bocca.
“Che fai?”
“Voglio pulirtelo bene e poi… Vedi?... Perde ancora e non voglio sprecare niente” e via a leccarlo.
Ho sorriso e l’ho lasciato fare. Rilassato. Però, sarà stato il rumore dei suoi risucchi, il pensiero che tornava alla meravigliosa scopata appena fatta, la sua bravura, sta di fatto che ha cominciato a risvegliarsi, chiaramente voglioso di godere ancora. Non potevo crederci. Non mi era mai successo in così breve tempo e, poi, alla mia età.
“Dai, smettila… Smettila”, dicevo senza molta convinzione. Ma lui ha continuato. Il cazzo era tornato d’acciaio e mi stava facendo chiaramente ancora un pompino. Ormai non potevo più tirarmi indietro. La mia mano è scivolata alle sue chiappette. Gli ho infilato un dito a rimestarlo nel buco pieno di sperma. Non ero più padrone di me stesso. Era il piacere che comandava mentre ero immerso in quella bocca umida e famelica. Non ci volle molto perché gli afferrassi la testa per tenerla ferma mentre scaricavo ancora una volta il contenuto dei coglioni, che ha ingoiato tutto, fiotto dopo fiotto, fino all’ultima goccia.
Avevo il cervello completamente vuoto, come le mie palle.
“Ti amo”, mi ha detto. “Tu sei il mio uomo”.
“Che dici? Non è possibile. Sono sposato e poi sono troppo vecchio per te. Ho 48 anni e tu 20. Devi trovarti qualcuno della tua età”.
“Non mi vuoi? Non ti piaccio? Non ti ho fatto godere come avresti voluto?” e mi guardava preoccupato.
“No, no, questo no. Sei stato fantastico. Non credevo di poter godere tanto. Non ho mai goduto tanto”.
“E allora? Tu mi sei sempre piaciuto, fin da quando ero piccolo e non sapevo ancora niente del sesso. Anche io non ho mai goduto come stasera. Con te ho finalmente raggiunto il cielo e non solo con un dito ma ne ho tutta la mano piena. Ti prego, vediamoci ancora, facciamolo ancora. Ti prego” e si strinse forte con la testa sul mio petto.
Non potevo negarlo. Dovevo ammettere a me stesso che anche io lo amavo. Lo accarezzai.
“Ok, ok. Hai ragione, cucciolo. Lo faremo ancora ma questo non deve influire sulla mia famiglia. Ancora non so che pensare, però non mi piace che la gente mi consideri gay, specialmente i miei figli”.
“Ma certo. Lo faremo con discrezione. Tu sei il mio uomo e voglio che tu resti un vero maschio agli occhi di tutti, anche dei miei. Il mio uomo è maschio e basta!” concluse categoricamente. Ci siamo guardati e ci siamo abbracciati, felici.
Adesso, tre volte a settimana, la mattina, quando la madre è al lavoro, io lascio l’officina ai miei meccanici e salgo un’oretta da lui per un caffè e me lo scopo alla grande. Tanto ormai gliel’ho completamente spanato. E godiamo come ricci.


(Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha lo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma godetevela il più possibile. Buona sega a tutti).

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